Anime & Manga > Lisa e Seya
Segui la storia  |       
Autore: Andrewthelord    27/08/2012    1 recensioni
Agghiacciante cross-over tra il film “Fracchia la Belva Umana” e l’anime “Kaitou Saint Tail” (Lisa e Seya).
È arrivato in Giappone il più importante dipinto del novecento italiano, un Osvaldo Paniccia originale. Non solo Saint Tail (Seya), anche la Belva Umana (Paolo Villaggio) è sulle sue tracce. Riusciranno Asuka jr (Alan) e il Commissario Auricchio (Lino Banfi) ad impedire l’ennesimo furto? E Giandomenico Fracchia (Paolo Villaggio) verrà ancora utilizzato dal suo sosia per i suoi loschi piani?
Non si tratta, come potrebbe sembrare, di una fan fiction nonsense, ma di una vera e propria storia in cui i personaggi sono loro stessi e non delle caricature.
Sono ben graditi i commenti, anche brevi!
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

C’è chi le chiama “arrivate”. Chi “parvenu”. Chi “arrampicatrici sociali”. Giudizi di chi difende ciecamente le fortune accumulate senza meriti o di chi non ha avuto né il coraggio né la capacità di raccoglierne altrettante.

Eppure, la Contessa era in tutto e per tutto un’”arrivata”. Una “parvenu”. E forse, era anche un’arrampicatrice sociale. Ma se qualcuno avesse trovato il coraggio di sfidare apertamente le sue sette ville, i suoi milioni in banca, le sue vaste partecipazioni azionarie e dirglielo in faccia, se qualche nobile gli avesse gridato il suo disgusto vis a vis, se qualche giornalista prevenuto gli avesse fatto le solite domande volgarotte e antipatiche, la Contessa gli avrebbe dato pan per focaccia. Decisamente.

Dopo il baroccheggiante annuncio di Filini, bardato con quel suo vestitone settecentesco rubato dalla bara di chissà quale nobile in chissà quale sacrario della Francia meridionale, la Contessa fece il suo ingresso nel salone principale del Minato Art Museum.

Il volto ricoperto da profonde rughe, solcate non dagli anni ma dall’uso smodato di trucchi chimici, tossici e cancerogeni. I capelli alla Marge Simpson, tinti con una spenta sfumatura di rosso. Un naso prominente che spiccava nel bel mezzo di un viso ossuto da strega delle favole.

Avanzava come una pin up stagionata, una Silvana Pampanini scheletrica, avvolta in uno strettissimo abito vermiglio che non lasciava spazio alla fantasia, dal quale emergeva con violenza un seno vistosamente rifatto. Quell’abito, su Jessica Rabbit, avrebbe fatto la sua porca figura, così, invece, sembrava più una figura porca[1]. Gli artisti, i politici, gli sportivi e le autorità della cittadina giapponese la guardarono fissi con i loro occhi a mandorla. Fermi, senza proferire alcun commento. La controparte italica, già abituata a quell’insolito spettacolo, salutò la Contessa con inchini, riverenze e saluti servili.

La Contessa Silvani Serbelloni Mazzanti Viendalmare mostrò di gradire quegli atti di sottomissione. Quelle pubbliche riverenze che la rendevano speciale, ben al di sopra della massa degli inferiori e delle merdacce.

Perché la Contessa Silvani Serbelloni Mazzanti Viendalmare era la Contessa Silvani Serbelloni Mazzanti Viendalmare solo da pochissimi anni. Perché la Contessa Silvani Serbelloni Mazzanti Viendalmare, fino a pochi anni prima, era una merdaccia come tutte le altre, forse peggio delle altre. Perché la Contessa Silvani Serbelloni Mazzanti Viendalmare, non più di trenta mesi prima, era solo la ragioniera Silvana signorina Silvani, zitellona impiegata nell’Ufficio Sinistri della Megaditta, che si vantava solamente di essere stata eletta dai colleghi Miss 4° piano per due volte consecutive.[2]

Se insomma qualcuno avesse osato accusarla di essere un’arrampicatrice sociale, la Contessa, mescolando un contraffatto accento francese/nobiliare con la sua inconfondibile parlata romanesca, avrebbe notato: «E Cenerentola, che era?». In effetti, tutti avevano perdonato le principesse della Disney per aver rinunciato allo status di proletarie fuggendo in compagnia del principe azzurro. Perché non perdonavano lei per aver sposato sul letto di morte l’anziano vedovo Conte Serbelloni Mazzanti Viendalmare, senza figli e senza speranze?

Forse, tutti si accorgevano della drammatica differenza tra la mora/rossiccia ex-impiegata e la sofisticata e bionda vecchia Contessa, mancata tragicamente qualche anno prima. Il triste complesso Diana/Camilla della corona inglese applicato alla nobiltà della finanza italiana. Perché la vecchia Contessa era una donna di classe[3], che si circondava del meglio ma esigeva il meglio da parte di tutti, dall’ultimo dei giardinieri ad Amedeo d’Aosta, quando si trovavano sotto il suo tetto. Una distinta signora che possedeva il 33% delle azioni della Megaditta, destinava qualche migliaia di euro al mese per i «negretti e i disgraziati» (sue testuali parole) e non si perdeva un’inaugurazione, un taglio di un nastro, un varo di una nave.

Proprio lì, secondo alcuni giornalistuncoli da strapazzo, avrebbe firmato la sua condanna a morte. Uno scribacchino, un certo Marco Travalico[4], aveva persino ricostruito la vicenda in una sbrodolante articolessa di sei colonne.

La Contessa era stata trovata morta nella cattedrale. Causa del decesso un forte trauma cranico, provocato dal colpo di un vaso di piante ornamentali. Un delitto terribile, in quanto alla Contessa, mentre era ancora in vita, confermò l’autopsia, erano state tagliate con un’accetta tutte le falangi, parti del corpo che nessuno avrebbe mai più ritrovato.

Qualcuno, in particolare il cronista giudiziario, vi lessero analogie con l’incidente di pochi mesi prima[5]. Anche la scena del delitto indicava il possibile responsabile.

“CRIMINI VATICANI: PROVE INCHIODANO ARCIVESCOVO PER L’ASSASSINIO DELLA CONTESSA SERBELLONI MAZZANTI VIENDALMARE”, aveva titolato il suo quotidiano, noto per non voler ricevere finanziamenti pubblici. Un titolo ad effetto che innescò una bufera mediatica durata solo per alcuni giorni, poi tutti se ne scordarono. Nessuno poteva immaginarsi un delitto così efferato per mano di un arcivescovo. E poi di prove, contrariamente a quanto aveva scritto il giornalista d’assalto, proprio non ce n’erano.

In effetti, però, da quel giorno, quel particolare arcivescovo alto e che prediligeva le vesti antiche, aveva iniziato a mostrare un ghigno di feroce soddisfazione, come Torquemada al tiepiduccio per un fuocherello di eretici. Ma per tutti, dal più influente dei curiali all’ultimo dei fedeli, si trattava solo di una spregevole speculazione.

Fatto sta che il novantatrenne Conte Serbelloni Mazzanti Viendalmare, azionista di spicco della Megaditta, uno degli ultimi proprietari di navi negriere ancora in attività, finanziatore di dittatori sudamericani e Grande Ispettore Inquisitore Commendatore della famigerata loggia massonica P2, si era ritrovato da solo. O meglio, poteva ancora contare su un vasto giro di troioni da sbarco. Ma donnini come Moira la tigre del ribaltabile[6] o la sempiterna Giovannona[7] non potevano venir presentate al circolo del bridge.

Fu così che i suoi occhi caddero sulla procace Signorina Silvani, ragioniera geometra dell’Ufficio Sinistri che, come il dottor Jekyll e mr Hide, alternava momenti di squisita femminilità nobiliare ad episodi di burinismo estremo. Una donna stranissima ma affascinante, che nei giorni di ferie era capace di visitare una mostra dei macchiaioli toscani la mattina e di chiudersi in una bisca a fumare e a bestemmiare il pomeriggio in compagnia di Arnaldo detto “Er pantera” e Checco “Er pagnottaro”.

Il vecchio Conte se ne innamorò, anzi, ne rimase folgorato, e iniziò a corteggiarla selvaggiamente. Prima con bigliettini, poi con regalini via via più costosi, dal piccolo anellino col diamante all’intitolazione a suo nome di un’Isola del Pacifico. C’è da dire che la signorina Silvani finse solo giusto qualche resistenza, per non dare l’immagine di sé come di una “preda facile”, per non rovinare insomma anche al vecchio Conte il gusto della conquista galante. Ma in cuor suo la ragioniera geometra dell’Ufficio Sinistri accolse la notizia come un 6 al superenalotto. Anzi, come se di 6 al superenalotto ne avesse fatti trecento. Quello più o meno l’impero economico di cui si stava parlando. Altro che le merdacce che la corteggiavano da una vita dentro quel tetro reparto della Megaditta[8].

«Silvana, vuoi sposarmi?» le chiese un giorno, a bordo di un megayacht sul lago di Como così grosso che, non potendo passare per i piccoli affluenti del lago, era stato elitrasportato da quattro mega elicotteri dell’esercito americano.

“Famose ingroppà da sta mummia”, pensò leggermente schifata ma immensamente felice. In realtà esitò qualche secondo, fingendo una timidezza più consona alla protagonista quattordicenne puccettosa di un manga shojo che a una cinquantenne scommettitrice sui cavalli nelle bettole più sporche e luride della capitale. Poi  esclamò: «Sì, amore!».

Non era bella, ma poteva piacere. Esistono ragazze/donne/anziane di questo tipo, le conosciamo tutti. Oggettivamente sono brutte. Hanno dei difetti troppo evidenti, sono troppo magre o troppo grasse, hanno un naso troppo grande, una fronte troppo spaziosa, dei capelli troppo stopposi o dei dentro troppo storti perché possiate, all’interno di una compagnia maschile, dire impunemente: «Quella è proprio bella» senza scatenare polemiche asperrime in grado di rovinare le amicizie. Il 99% degli uomini non si avvicinerebbe a queste signore nemmeno se fossero le ultime donne rimaste sulla faccia della terra, nemmeno sotto tortura.

Eppure, queste bruttone oggettive non sono mai condannate a un’esistenza solitaria, tutt’altro. Infatti, se il 99% del mondo maschile volterà loro le spalle non tanto nel senso metaforico, ma proprio nel senso fisico per non vedersele di fronte e rivedere la cena del giorno prima per terra, ci saranno sempre e comunque alcuni disperati che vedranno in loro non delle belle ragazze/donne/vecchiarde, ma le loro ragioni di vita.

I seni cadenti diventeranno nella loro mente malata un petto prosperoso e materno, il loro alito fognante un olezzo di fiori, i loro capelli stopposi una chioma rifulgente di luce. Non parlate di altre donne a questi eterni perdenti, non vi staranno ad ascoltare: la loro è una malattia mentale gravissima, incurabile. È l’amore.

E fu proprio questa malattia a portare alla morte il povero vecchio conte Serbelloni Mazzanti Viendalmare, 92 anni, senza figli e senza speranze. Quel “sì” sul lago di Como gli risultò fatale. Un coccolone decise di portarselo via. A quel punto la signorina Silvana Silvani temette seriamente di rimanere tale per tutto il resto della sua vita da zitellona impenitente.

Costrinse dunque il cappellano dell’ospedale Sant’Anna di Como a maritarli lì, sul letto di morte del Conte.

«Ma perché il matrimonio sia valido a tutti gli effetti», commentò un anziano avvocato, ricoverato nel letto a fianco per un’angina pectoris, «deve essere consumato!». La signorina Silvani si diede un manrovescio in fronte, un facepalm epico per la delusione. Il vecchio prete fece cadere a terra il benedizionale, il Conte sul letto di morte invece annuiva estatico, con un sorriso a 72 denti.

“E famolo morì contento”, si sacrificò la nuova Contessa, alzando gli occhi al cielo.

La camera ardente fu qualcosa di eccezionale: le nobildonne guardarono con disprezzo l’ex impiegata assurta a un ruolo di alta nobilità, i nobiluomini invece rimanevano più a lungo a fissare il volto felice e soddisfatto del fu Conte Serbelloni, come quello di un bambino addormentato a cui la mamma ha appena rimboccato le coperte. In effetti, dati gli ingenti quantitativi di Viagra ingeriti dall’uomo prima di spirare, gli addetti della lussuosa impresa funebre ebbero qualche difficoltà a chiudere la bara e permettere al Conte di gustarsi il meritato eterno riposo.

Fatto sta che da un giorno all’altro la signorina Silvani si ritrovò ad essere la Contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare. Il suo incontro con l’esecutore testamentario del marito fu un susseguirsi di “Mecojoni” e “Limortacci”. Nemmeno nei suoi sogni più spinti si era mai immaginata di ritrovarsi ad essere la donna più ricca d’Europa. Ma così era avvenuto. Così la sorte aveva decretato.

Dopo alcuni giorni di paradiso, si accorse del clima torbido vicino a lei: maggiordomi compassati, i manager dei vertici societari, persino le cameriere della megavilla la guardavano come una ladra. Non poteva non notare quegli sguardi di riprovazione e persino di manifesto disprezzo quando le servivano la cena, le riassumevano a fine giornata l’andamento delle sue azioni o le portavano il tè delle cinque.

La Silvana proletaria che ruggiva dentro di lei, la fiera popolana che aveva trasformato il suo assenteismo cronico in lotta di classe, tornò a galla, giorno dopo giorno. Quel 14 aprile entrò nella storia: persino il Sole 24 ore ne parlò, con un caldo editoriale del direttore Roberto Napoletano. Un repulisti, una vera e propria epurazione che vide eliminati nel corso di una notte molti dei vertici della Megaditta ItalPetrolCemeTermoTessilFarmoMetalChimica, tutti i membri dei CDA delle controllate Serbelloni e tutto il personale impiegato nelle sette ville di famiglia.

L’unica testa a salvarsi fu quella  del Megadirettore Galattico Duca Conte Balabam, potente come il Re Sole e feroce come un drago rosso di Dungeon and Dragons. Del resto, non era lui l’obbiettivo della vendetta della Silvani: anzi, il feroce nobile, che sedeva su una poltrona in pelle umana sollazzandosi di fronte all’acquario degli impiegati estratti a sorte, godette della perfidia della parvenu, anzi, se ne rallegrò e la incoraggiò. “Una degna erede”, commentò estatico ascoltando la drammatica diretta su Radio24, con un Oscar Giannino spaventato e teso come un inviato della FOX in Iraq nel 2003.

Caddero il Professor Guidobaldo Maria Riccardelli e la sua cineteca d’eccezione, il Megadirettore Ereditario Visconte Cobram e le sue biciclette, persino il Direttore Onorevole Cavaliere Conte Diego Catellani e la sue stecche di biliardo.

Al loro posto una nuova generazione di merdacce, profumate e rivestite, assumeva le posizioni di comando, con titoli nobiliari vistosamente fasulli, cavalierati di ordini medioevali ormai decaduti, pronti a sottomettere ad uguali torture una nuova generazione di inferiori e sottoposti. Li scelse, forse con un anelito di cameratismo, proprio tra coloro che nell’Ufficio Sinistri avevano condiviso con lei per anni angherie, torture, proiezioni di film in cecoslovacco e olimpiadi aziendali.

Il geometra Luca Calboni, col titolo di Marchese Eroe dei Due Mondi Fil. De. But. Gran Visir si ritrovò a controllare la divisione attività illegali della Megaditta: l’ufficio Sinistri, l’ufficio Raccomandazioni e Bustarelle, l’ufficio Ricatti e l’ufficio Impiegati Smarriti. Il ragionier Fonelli fu assurto al ruolo di Megadirettore generale dell’ufficio neocolonialismo e schiavitù, dell’ufficio traffici di droga e del reparto tratta delle bianche. Il ragionier geometra Renzo Silvio Arturo Filini, già tragico organizzatore delle gite aziendali, arbitro delle sanguinolente Scapoli – Ammogliati che così tante vedove e orfani producevano ogni anno, venne scelto dalla neo Contessa come maggiordomo, primo consigliere e tuttofare. Un ruolo che ricoprì con orgoglio: predisponeva meeting con pontefici e teste coronate con la stessa nonchalance con la quale prenotava un pullman da trenta posti per portare i colleghi alla fiera della salsiccia il sabato sera. Anche il povero Fantozzi ebbe il suo riscatto: capo-cameriera della Megavilla, con vestito maiden d’ordinanza dei peggiori anime fan service mai realizzati dai più pervertiti mangaka nipponici.

Dopo però una buona azione – o almeno, aver sconvolto gli scenari di ciò che rappresentava il 3% del PIL italiano per una stupida ripicca la percepiva una buona azione – si sentì in credito con la sua coscienza. Un credito enorme, che la rendeva tranquilla nello soddisfare tutti i suoi vizi.

Partì con le cose legali, di quelle cose che si perdonano ai più abbienti perché così “gira l’economia” e “aumentata il gettito fiscale”, grazie alle forti tasse sul lusso imposte dai governi con l’acqua alla gola: cavalli veloci, auto di lusso, gioielli, yacht e gigolò africani. E l’arte. Già, l’arte. Assieme ai cavalli la sua vera passione. Solo che i cavalli poteva comprarli, l’arte, però, non sempre.

Nelle segrete della sua Villa di Portofino, in pochi mesi, aveva allestito un vero e proprio museo, uno di quelli che se avesse voluto avrebbe potuto aprire al pubblico, chiedere un biglietto e guadagnarci persino sopra. Ma quella era la sua collezione privata, una collezione sterminata, una collezione – il suo regno –  che aveva tutta intenzione di espandere. Con ogni mezzo.

Dopo le prime aste, le prime offerte d’acquisto a qualche museo prestigioso, i primi ricatti, le prime minacce, iniziò la sua carriera di committente. Non però una committente come lo furono i Papi del rinascimento, in grado di ricoprire Roma di tesori ineguagliabili, ma una committente di furti d’arte. Il suo appoggio principale: la Belva Umana.

Un feroce ladro di cui aveva tanto sentito parlare ma che non aveva mai visto di persona: era Filini che curava i rapporti con lui. «Com’è questa Belva?» aveva domandato una volta al suo tuttofare. «Assomiglia vagamente a Fantozzi. Più giovane, più magro». «A chi? Alla merdaccia?» osservò schifata la Contessa. «Strano eh?» commentò a bocca aperta il solito Filini. La Belva era puntuale, precisa, pulita. Spargeva sangue solo se necessario. Un unico intoppo però all’ultimo furto, pochi mesi prima. Quello del Paniccia originale[9].

«Chiede 20 pippi[10] in più per il piccolo problemino incontrato durante il suo lavoretto», informò la Contessa un imbarazzatissimo Filini.

«Esticazzi? Lo paghiamo già abbastanza…» la sua smisurata ricchezza non l’aveva resa una scialacquatrice. I soldi a sua disposizione erano tantissimi, ma non aveva intenzione di gettarli al vento.

«Gli dii quei soldi o ci mettiamo nei casini», la implorò Filini.

«20 pippi? Mecojoni». La replica della Contessa.

In Giappone però non aveva badato a spese. Nonostante un incidente, anni prima, in un ristorante nipponico[11], amava la cultura del Sol Levante. E ci teneva a fare bella figura: ecco perché le auto, ecco perché gli autisti, ecco perché il galà.

Arrivò al suo posto, accompagnata da Filini. Alla sua destra il ragioniere, alla sua sinistra il signor sindaco. Rimase in piedi e si rivolse agli invitati: «Carissimi amici», pronunciò a bocca aperta, con un esagerato accento nobiliare, «sono estasiata di avervi tutto qui, al Mirato art museum…». «Minato», suggerì Filini sottovoce. «Minato, Mirato, stessa cosa…» si adirò leggermente la Contessa, che tossì. Anzi, scatarrò.

«Ecco… Siamo qui insieme per ammirare questo fantastico quadro del compianto artista italiano Osvaldo Paniccia!» declamò sorridendo l’ex signorina Silvani.

«Veramente è ancora vivo», suggerì sottovoce un serio Filini. La Contessa si girò verso di lui, e commentò sottovoce. «Cioè quando schiatta vale de più?» domandò seria. «Uuuuuhhh», agitò il braccio in segno di soddisfazione Filini. «Mazza aho…» commentò ridendo. Le compunte autorità giapponesi li guardarono stupiti, tranne la vecchia Kaori Masamune, nobile 144enne imparentata con la famiglia imperiale, che russava beatamente a bordo della sua sedia a rotelle. Qualcuno, tra i più conosciuti, arrivò a pensare si trattasse di uno scherzo, e iniziò a scrutare la stanza per cercarvi delle telecamere. Anche in Giappone, infatti, esiste il format di Scherzi a Parte.

«Dunque, cioè…», la Contessa non sapeva più che dire, «… ah sì… per magna’… Ho pensato», tornò a declamare e scandire le parole con il suo accento pseudo nobiliare, «a dei bravissimi quanto simpatici chef di un pittoresco locale romano». Brusii e sguardi allarmati tra gli invitati. Quel “pittoresco” mise in allarme moltissimi, soprattutto della delegazione italiana. «Prego!!!», urlò allegra, «le pietanze!!!».

Meimi e Asuka jr si scambiarono un’occhiata di preoccupazione. Poi si voltarono verso le porte delle cucine, allestite per l’occasione in una saletta attigua. Alcuni omazzi in canottiera e braghette bianche unte trascinavano stancamente un carrello cigolante con due pentoloni. Uno di loro aveva addirittura una sigaretta in bocca. Meimi spalancò gli occhi, cercando lo sguardo di Asuka, troppo scandalizzato e sorpreso perché questo potesse ricambiarlo.

Un omino aveva portato una pianola portatile al centro della stanza, seguito da un altro, vistosamente obeso e anziano, con una maglietta blu sudaticcia e i peli del petto che gli spuntavano ispidi dal collo a V, con in mano una chitarra. Si diedero un’occhiata complice e cominciarono a pigiare tasti e strimpellare.

La cena con Sergio e Bruno era appena iniziata.

-

Avete appena letto il capitolo 21. Con la narrazione sono al capitolo 28/29. Verso il fine settimana aggiungerò il numero 22, dedicato a Sergio e Bruno, due colonne portanti di questa fiction.

Se questa fic via piace, condividetela con i vostri contatti ma soprattutto lasciate un feedback, anche breve, anche solo una parola. Ammetto però – lo so, mi sto ripetendo – che questo esercizio serve prima di tutto a me, per riscoprire una capacità che pensavo di non avere più.

Certo che un “mi piace” o un “mi fa schifo” in più mi aiuterebbero a capire un po’ meglio.

-

Vi propongo un giochino:

 

Provate ad immaginare gli sviluppi della storia. Chi vi si avvicinerà di più vincerà un “brofist™[12] o una “fetta di torta” virtuale a seconda del suo genere d’appartenenza.

 

Buona vita!

 



[1] L’italiano regionale del Nord-Est contiene questa locuzione.

[4] I bei tempi in cui Emilio Fede incuteva ancora timore

[8] Stiamo parlando ovviamente del geometra Calboni e la sempiterna merdaccia Ugo ragionier Fantozzi

[9] Suor Seira ce l’aveva già raccontato. Per sottrarre l’Osvaldo Paniccia la Belva aveva freddato due guardie giurate Un uomo di sessant’anni e un ragazzo di ventidue.

[10] Milioni, secondo il gergo di Fantozzi in Paradiso

[12] http://t0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcRBrGkMOBQyXRQoPvvB0znltbfO7IZS1LSRFa3Xwe8TqE7HOfNJ8A&t=1

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lisa e Seya / Vai alla pagina dell'autore: Andrewthelord