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Autore: ConsultingFangirls    27/08/2012    1 recensioni
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, Jim Moriarty
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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James Moriarty è un bambino con gli occhi scuri che sembrano grandi quanto la metà della sua faccia, ed una boccetta di pillole nascosta nella taschina segreta del suo zainetto. James è intelligente, più intelligente di tutti i bambini della sua classe, ma non alza mai la mano quando la maestra fa una domanda. James guarda fuori dalla finestra e se qualcuno gli chiede qualcosa lo fissa, poi fa un sorriso che è quasi inquietante, perché potrebbe significare qualunque cosa, e poi risponde, ma non capisci mai se è la verità o una bugia perfettamente costruita.
James Moriarty è quello che viene preso in giro dagli altri bambini, perché, pur non essendo più piccolo della norma, qualcosa nei suoi occhi troppo grandi, troppo scuri, comunica un senso di sfida, qualcosa di profondo come una pozza d'acqua salata fra gli scogli. Lo guardi dall'alto e non sai se sarà abbastanza profondo per te da sopravvivere, o se t'inghiottirà.

Sebastian Moran è un ragazzino di quelli alti alti e magri magri, che non parlano tanto e sembra non ti vedano neanche; di quelli che si arrabbiano senza motivo, picchiano duro e poi ritornano immobili come prima. Di quelli che non rispondono alle domande, non portano i libri, fanno rimanere gli altri in dubbio su quanto siano intelligenti, su quanto abbiano capito.
Sebastian forse non è il più intelligente del mazzo, ma riesce a colpire i passeri sui rami più bassi degli alberi nel cortile della scuola con precisione millimetrica, ma che poi, quando quelli cadono a terra con un'ala spezzata, non si cura né di raccoglierli né d'infierire. Se ne va con le mani nelle tasche, come non fosse più affar suo. Non l'ha mai detto a nessuno, ma quando guarda alle cose, alle persone, Sebastian li vede come bersagli; può individuare i loro punti deboli, capire quale sarà la loro prossima mossa, quanta forza ci vorrebbe per farli cadere, come quei passeri dai rami. Ma non ne vede l'utilità, quindi passa il tempo a guardarli con occhi inespressivi, chiari come il ghiaccio.
Sebastian aspetta di andarsene, di trovare un bersaglio abbastanza interessante da centrare, abbastanza difficile da uccidere.

Poi, quando Sebastian Moran ha trent'anni, una carriera di cecchino radiato dall'esercito e sicario a pagamento sulle spalle, incontra un ragazzino di nome Jim Moriarty, che si vanta di essere il re del crimine di Londra; un bersaglio tanto affascinante quanto pericoloso - o, per meglio dire, ad essere un bersaglio sono i suoi occhi, che lo sfidano, come a dire questo è l'unico colpo che non riuscirai a mettere a segno.
Vero.
Sebastian Moran era stato assunto per uccidere un ragazzino che stava diventando troppo scomodo per la mafia clandestina londinese, e invece era diventato il suo secondo. Invece, aveva stretto la sua mano nell'appartamento completamente impersonale che gli avevano assegnato come base di copertura, dove Jim era andato a prenderlo per afferrare il toro per le corna. La sua copertura era stata bruciata quando aveva a malapena iniziato a studiare i files su di lui - o meglio, a memorizzare le sue abitudini in modo da coglierlo nel momento in cui fosse stato più fragile. Ma evidentemente Jim non voleva che lui vedesse troppo della sua vita. Sebastian aveva memorizzato il ristorante d'alta classe dove Jim aveva pranzato insieme ad un gruppo di cinesi, probabilmente del giro del Loto Nero, poi le strade che aveva percorso, in occhiali da sole e mani infilate nelle tasche del cappotto, dandosi di tanto in tanto un'occhiata nella vetrina. Sebastian aveva memorizzato la leggera piega all'insù delle sue labbra, la sicurezza del suo portamento, il modo in cui si lisciava la minima grinza nei vestiti di marca. Un uomo vanitoso, sicuro. 
Un uomo che bruciava la sua copertura e gli tendeva la mano come se lui non fosse lì per ucciderlo.
Ho voluto afferrare il toro per le corna, Mister Moran.
Avrà capito che non sono facile da sorprendere né da uccidere.
Ma sono un uomo magnanimo.
Valuti le sue possibilità.
Le lascerò una scelta, perché so chi è.
Si fidi, questo è l'unico colpo che non riuscirà a mettere a segno.
Ed i suoi occhi troppo scuri, pieni di sfida, l'unico bersaglio che non sarebbe riuscito a centrare.

Quando Jim era entrato, Sebastian era seduto per terra, con le ginocchia piegate e la testa tra le mani. Cercava il silenzio, perché era quello che non aveva. Restava immobile, senza accendere le luci anche quando il sole era ormai calato da tempo. Stava. Stare era quello che l'aveva salvato per così tanti anni, prima. Lo disturbava, che ci fosse un prima e un dopo quella sera in cui aveva capito di aver premuto il grilletto nella direzione sbagliata, gli faceva venire quel prurito fastidioso sotto il mento di quando le cose andavano storte. Solo che in genere poteva togliersi quel fastidio semplicemente sparando di nuovo, ma a quello non si poteva sparare. 
Sebastian aveva alzato gli occhi. «Non adesso. Torni tra venti minuti, così posso ucciderla» e Jim non aveva fatto una piega. Si era chiuso la porta alle spalle, e Sebastian l'aveva sentito sedersi sul pavimento lì fuori. Per un attimo aveva rischiato di sorridere, ma poi ci aveva ripensato. In effetti sarebbe stato inutile. Era rimasto ancora in silenzio per i suoi venti minuti, seduto sul pavimento sporco con la schiena appoggiata al letto, e aveva pensato, però pensato in silenzio, perché era l'unica cosa di cui aveva bisogno. 
Poi era uscito, e Jim era ancora lì. Si era alzato, si era sistemato il completo ridicolmente costoso e l'aveva guardato fisso con quei suoi occhi scuri come la peste, in cui Sebastian non aveva difficoltà a vedere cadaveri ammassati lungo le strade, butterati e sporchi, e madri dietro alle finestre che tenevano stretti i loro bambini con la pelle già ricoperta di macchie nere. «Allora, Mister Moran»
«Allora»
«Pensava che non me ne sarei accorto?»
«No. Io non penso» ed erano rimasti a fissarsi in silenzio, uno di fronte all'altro, Jim con le braccia lungo i fianchi e quel sorrisetto furbo da bambino che ce l'aveva appena fatta, a fregarli tutti, e Sebastian con le mani a fondo dentro le tasche dei pantaloni militari sporchi come tutto quello che c'era nel suo appartamento, i muscoli tesi come quelli di un leone che sta per scattare, ma sa che è ancora troppo presto, e deve restare il più fermo possibile, in silenzio, o la gazzella finirà per vederlo. Ma Sebastian il silenzio non l'aveva mai avuto. «Come ha fatto ad arrivare qui?»
«Doveva uccidermi»
«A questo posso sempre rimediare»
«Non sia troppo presuntuoso. I presuntuosi non mi piacciono proprio»

E adesso Sebastian è seduto in un pub che sa di pesce fritto e patatine molli, con la testa che penzola dalla mano sul bancone e la bottiglia di whiskey praticamente vuota di fianco alla sua testa. È sporco, non si è fatto la barba e ha i capelli che sono diventati un po' troppo lunghi, ma anche se gli cadono sugli occhi non gli impediscono di centrare i suoi bersagli. Tutti, tranne quello che avrebbe dovuto centrare all'inizio. Alza appena la testa e si versa un altro bicchiere, poi mormora un 'fanculo sommesso e beve direttamente dalla bottiglia, stropicciandosi gli occhi. Ha sonno, ma non vuole dormire, perché quando dorme non c'è più silenzio. Prima c'era, prima dormire era il modo per scappare da questa realtà rumorosa di macchine troppo veloci e annunci di voci elettroniche agli altoparlanti, ma adesso dormire vuol dire soltanto cadere in un baratro, come quando da bambino era caduto nel pozzo dell'orfanotrofio, ed era sicuro che sarebbe morto lì sotto, e non gli dispiaceva neanche. Solo che alla fine di questo pozzo c'è la schiena di Jim Moriarty che si volta, esce dalla porta e la lascia spalancata, e Sebastian sa che sta sorridendo anche se non può vederlo, perché sente il peso della pistola ancora carica nella mano. Ha sbagliato il bersaglio. Non ha sparato. Non l'ha ucciso, anche se è quello per cui è pagato. Ma la cosa peggiore, quella che non gli fa più trovare il silenzio per quanto a lungo lo cerchi, è che non sa il perché. 
Sente lo scacciapensieri sulla porta che tintinna, ma non si gira a guardare. Sono le tre del mattino, e soprattutto, non gliene frega un cazzo. Non gli frega un cazzo neanche della mano che si posa sulla sua spalla, solo che gli da così tanto fastidio che alza la testa quel poco che basta per guardare il ragazzino a cui non è ancora spuntata la barba e congelarlo. Lo sente balbettare, ma non gli frega un cazzo di quello che dice, né del perché gli sta indicando la macchina nera fuori dal pub. Lo guarda, si prende la sua bottiglia di whiskey e esce. 

«Bere su una proposta da valutare con lucidità non mi pare l'idea migliore, Mister Moran.»
Lui non risponde, può sempre rifugiarsi nel silenzio; anche se nella sua testa non ce n'è più, la sua bocca ne è piena. Invece lo guarda, e Jim lo osserva di rimando, così divertito da dargli sui nervi. Se avesse un fucile, sa che l'ucciderebbe adesso.
No.
Basterebbe anche solo una pistola, di quelle minuscole che si portano dietro le donnette terrorizzate dai tizi con la faccia sporca all'angolo della strada.
No.
Gliela punterebbe nell'occhio sinistro, che in questa luce è più visibile di quello destro. Di solito mira in mezzo alle sopracciglia, ma sono gli occhi di quest'uomo a farlo incazzare, a farlo uscire di testa, a farne uscire il silenzio. E poi, non è che faccia molta differenza.
No.
D'improvviso, il viso di Jim si fa serio. Il luccichio non sparisce dal fondo dei suoi occhi neri, ma non c'è più quell'insopportabile ghigno, mezzo nascosto, quasi infantile, all'angolo della sua bocca. «Forse non ha capito. C'è un'unica risposta, che può darmi, a meno che lei non abbia tendenze suicide.»
«Tanto mi ammazzerebbero in ogni caso.» Le parole escono fuori come un conato di vomito, le sue dita strette convulsamente sul collo della bottiglia. Perché diavolo non ha portato almeno una pistola? Sono anni che Sebastian Moran non va in giro disarmato. Eppure stasera è successo. Proprio stasera. «Tu mi ucciderai se non accetto, i miei datori di lavoro mi ucciderebbero non appena scoprissero che ho fatto il doppio gioco.»
La risata di Jim è lievissima, i suoi occhi sembrano essersi accesi. «Se accetterai la mia proposta e mi rivelerai i nomi dei tuoi capi, hai la mia parola che non dovrai preoccuparti più di nulla se non di guardare le mie spalle. E obbedire ai miei ordini.»
Sebastian socchiude la bocca, gli occhi fuori fuoco per l'alcool, ma si concentra sul suo viso, non capisce. «Ma perché mi vuoi?»
Lui, l'uomo che non è riuscito a uccidere, è completamente voltato verso di lui sul sedile della limo che sembra lungo un chilometro e mezzo; una mano è posata fra di loro, bianca conto la pelle nera, Jim alza l'altra e si sfiora le labbra in un gesto pensoso, ed i suoi occhi sono scuri, e nei suoi occhi non c'è più sfida. «Sei una pedina interessante, Mister Moran. Davvero.» Gli si avvicina un po', le palpebre pesanti, gli occhi sotto che sembrano bruciare. «Non credo tu non pensi. E se davvero non pensi, tanto di guadagnato.»
Sebastian volta gli occhi, la gola secca; si passa la lingua sulle labbra spaccate. «Non mi fido della tua parola.»
Jim ride. «E fai bene. Ma questo è un contratto, Mister Moran, non un giuramento dei boy scout.»
I suoi occhi come pozzi profondi. Come bersagli troppo piccoli, troppo veloci, troppo scuri nelle tenebre. Eppure, nel momento in cui Sebastian prende coscienza che accetterà - non ha scelta - nel suo cervello è come se qualcuno avesse staccato una spina. Il rumore scompare, sostituito da un debole ronzio nei recessi della sua mente, come quello di una sbornia che sta passando.
La parola è già sulla punta della sua lingua, definitiva. Accetto. Ma non viene fuori. Invece, guarda Jim da attraverso le ciglia, e in qualche modo Jim capisce, e sorride. Sorride davvero, fa un po' paura, ma è un sorriso soddisfatto, dolce, che poi si tramuta in qualcosa di quasi selvaggio.
Sebastian annuisce, piano, leccandosi di nuovo le labbra.
Si stringono la mano.
Benvenuto nel gioco, Mister Moran.

Sono sei mesi, dieci giorni e tredici ore da quando ha accettato la proposta di Jim Moriarty ed è su un tetto, con il fucile già montato e poggiato sul cavalletto, appoggiato ad una spalla, gli occhi che scannerizzano pigramente la strada sotto di lui. Sta aspettando un'auto.
Sei mesi, dieci giorni e dieci ore fa veniva scaricato in un nuovo appartamento impersonale quanto quello da cui l'avevano portato via, ma con tutti i suoi averi accatastati vicino alla porta. Si era guardato attorno, in una mano la bottiglia di whiskey, l'altra che ancora formicolava per il tocco del suo nuovo capo, ed il silenzio era una cosa così grande da parere viva, qualcosa che avrebbe potuto afferrare e stringere, farla rientrare dentro di sé. Ma c'era già, se ne accorgeva dalla calma perfetta che gli circolava nelle vene, nonostante le sue mani da ubriaco continuassero a tremare. Specialmente quella destra.
Benvenuto nel gioco.
Aveva cercato la camera da letto, si era accasciato sopra le lenzuola ed era morto per ventiquattrore buone; finché il telefono non aveva iniziato a squillare e la voce di Jim Moriarty gli aveva assegnato un incarico per provare la sua fedeltà. Da allora, uccideva per lui.
Sebastian aveva iniziato a tenere il conto, come aveva fatto per qualunque altro lavoro. Aveva rivisto Jim poche volte dalla sera in cui aveva accettato il lavoro, in una delle quali il suo nuovo capo lo informava che i suoi vecchi datori di lavoro non erano più sulle sue tracce.
A Sebastian piace il silenzio nella sua testa, da quando aveva iniziato a lavorare per lui, ma gli piace di meno il brusio che si sorprende ad ascoltare in momenti come questo, in cui è solo su un tetto e aspetta che il suo bersaglio arrivi. Sono le parole di Jim Moriarty, la sua schiena che si volta e le dita che si sfiorano le labbra in un gesto pensoso. Sono quegli occhi, l'unico bersaglio che non ha centrato. E gli da fastidio, davvero, di non essere riuscito a capire, dopo sei mesi, dieci giorni e tredici ore, perché quell'uomo lo renda così vigile, così insofferente, così reattivo, come non era successo neanche in Afghaninstan, quando le bombe scoppiavano e c'era una linea così sottile fra vivere e morire da farlo sentire già fuori dal suo corpo.
Ed ecco che la macchina che stava aspettando arriva, i suoi muscoli si tendono ed il respiro rallenta, mentre questa parcheggia e le portiere, lentamente, si aprono. Sebastian mette il dito sul grilletto, l'occhio sul mirino, chiude l'altro, respira, spara.

Poi una sera Jim arriva al suo appartamento con il viso ricoperto di sangue e farneticando sul fatto che il suo Gucci è irrimediabilmente rovinato dovrai ucciderli per questo, Seb, accidenti, i criminali senza senso della moda mi fanno davvero uscire di testa, e Sebastian lo afferra per le spalle e lo tira dentro, sperando che la nonnina che abita sul pianerottolo di sotto non l'abbia visto, perché quella è già abbastanza sospettosa su di lui, e intanto pensa a Jim che lo chiama Seb.
Lo porta in bagno, mentre Jim continua a blaterare a proposito del suo completo, dell'ingiustizia e della bruttezza del mondo, con una vocetta acuta da bambino, ma l'avranno brevettato un profumo che sa di sangue? Immagina le vendite e Sebastian vorrebbe mettergli dello scotch sulla bocca per zittirlo perché gli fa impressione, gli fa impressione la sua bocca che si muove come quella di un pupazzo per ventriloqui e i suoi occhi sgranati e schiariti dalle luci al neon del bagno in cui l'ha portato. Si sente stupido e fuori posto, con le mani troppo grandi, mentre gli toglie la giacca e la camicia sporche, e Jim ride come un bambino, lagnandosi che gli sta facendo il solletico, e poi gli toglie anche i pantaloni e le scarpe, lasciandolo in canottiera e boxer, e poi cerca di pulirgli la faccia con un asciugamano umido, e quando finalmente riesce a distinguere la pelle chiara del suo viso le risatine dell'altro si sono calmate, e i suoi occhi hanno riacquistato una dimensione umana. 
Sebastian non riesce a capire perché sta facendo ciò che sta facendo, ma mentre Jim se ne sta a guardarlo con l'asciugamano in testa, come un bambino che si nasconde sotto una coperta, sente che è una cosa giusta, anche se le sue mani sembrano ancora troppo grandi. Si fruga in tasca e prende una sigaretta e l'accendino dal pacchetto, se l'accende, anche se teoricamente starebbe mangiando una di quelle schifezze da riscaldare nel microonde, involtini primavera, bastoncini di pesce, cotolette impanate che poi hanno tutte lo stesso sapore.
«Mi hanno teso un agguato mentre ritornavo da un incontro con alcuni del clan russo. Questo è stato il primo posto in cui mi è venuto in mente di venire.»
Sebastian fa un cenno di assenso. Non sa cosa dire.
«Tu non c'eri.» La voce di Jim è bassa e quasi spezzata, però continua a guardarlo, come se si aspettasse una risposta.
Sebastian non sa cosa dire. «Mi dispiace.»
In risposta ha una risata quasi inaudibile, una mano che si allunga verso di lui, afferra la sua manica. Jim sembra un bambino, rannicchiato sul water con la canottiera che gli pende da una spalla. «Se ci fossi stato, mi avresti parato il culo ed il mio Gucci sarebbe a posto. Invece non c'eri, quindi ora ti tocca farmi da balia.» Si alza di scatto, l'asciugamano cade per terra e Sebastian coglie un frammento del suo petto bianco prima che la canottiera bianca gli sbatta in faccia. Jim apre l'acqua della doccia e Sebastian esce prima di vederlo togliersi anche i boxer.
Mentre il suo capo si fa il bagno, lui butta via ciò che rimaneva della sua cena e si siede sul divano fumando una seconda sigaretta e poi una terza, meditando sui possibili significati di quell'apparizione improvvisa.
Poi Jim compare sulla soglia del salotto barra sala da pranzo barra cucina avvolto in un asciugamano e con i capelli corti bagnati, ciocche appiccicate alla fronte e un'espressione divertita, quasi provocatoria sulla faccia. «Mi presti un paio di boxer, Seb?»
«È la serata del prendersi confidenza, Jim?» Gli passa accanto, attento a non sfiorarlo neanche col bordo della maglietta, lo sente che lo segue lungo il breve corridoio che porta nella camera da letto, avvolto nel suo asciugamano, mentre lui è completamente vestito, e gli scappa un sorriso sarcastico al pensiero.
«Io mi prendo sempre confidenza con i cecchini infallibili, biondi e gnocchi.»
Sebastian si morde le labbra, non sa se per trattenere un sospiro o una risata, poi rotea gli occhi mentre gli apre la porta.
«In realtà è per questo che ti ho voluto dalla mia parte. Pedina interessante è il mio nome in codice per gli uomini fregni.»
«Di', ti hanno dato anche una botta in testa?» Sebastian apre la cassettiera e prende un paio di boxer blu.
«Da dove credi venisse quel sangue che avevo in faccia?» replica Jim, con una voce pedante. «Ma credo che il mio improvviso attacco di sincerità sia dovuto allo shock - non sono mai stato pestato così - e anche ad una certa dose di frustrazione sessuale.»
«Ah.» Gli passa i boxer, continuando a dargli le spalle. Sente l'asciugamano scivolare per terra.
«Non hai idea di quanto sia difficile rimanere un capo professionale quando ogni volta che venivi nel mio ufficio volevo solo… Mmmh, i tuoi boxer mi stanno grandi.»
«Non credo di averne di più piccoli.» Muove nervosamente le mani sul cassettone, desiderando una sigaretta, anche se l'ultima che ha fumato risale a cinque minuti prima.
D'improvviso Jim scoppia a ridere. «Non ti aspettavo così in imbarazzo, Seb! Nelle mie fantasie eri moooolto più… come dire, aggressivo.» Lo sente sospirare, poi le molle del letto cigolare. Lentamente, come se stesse fronteggiando un predatore, Sebastian si volta e lo vede rannicchiato sulle sue lenzuola stropicciate, con i boxer addosso e le gambe raccolte al petto. Lo vede sfregare lentamente una guancia sul suo cuscino. I capelli bagnati stanno formando un'ombra scura sulla federa bianca.
Jim sorride con aria assonnata e vede che ha un livido scuro sullo zigomo ed un taglio arrossato all'attaccatura dei capelli. «Avresti dovuto metterti un cerotto, lì.»
«Non avevo voglia di cercarlo» gli biascica in risposta, senza aprire gli occhi, e poi: «Spero di non essere risultato troppo invadente con le mie, uhm, avances. Cioè, ignorami, se ti da fastidio.»
«Dov'è finito Jim Moriarty, in tutto questo?» Sebastian si avvicina un po' al letto per osservarlo dall'alto e finalmente gli occhi dell'altro si aprono, lo guardano. 
«James» sussurra, poi fa un'altro mezzo sorriso e affonda di più la faccia nel cuscino, le palpebre di nuovo chiuse, con un mugolio di dolore per i lividi. Sebastian può vederne una costellazione sulle sue costole pallide.
«Non credo che t'ignorerò.»
Jim non apre gli occhi, però sul suo viso è rimasta traccia di quel sorriso.

Il mattino dopo, Sebastian si sveglia in una posizione contorta sul divano e dentro l'appartamento c'è un silenzio diverso da quello solito; sembra quasi che all'ambiente sia stato tolto calore. Non ha bisogno di controllare per sapere che se n'è andato, però va lo stesso in camera da letto, e poi in bagno, con una sigaretta spenta in bocca. I vestiti di Jim sono spariti. I suoi boxer sono spariti. Una delle sue camicie ed un paio dei suoi jeans sono spariti.
Non vuole sorridere, eppure gli angoli della sua bocca sono arcuati verso l'alto.

«Non ho davvero bisogno di te» sono le prime parole che escono fuori dalla bocca di Jim, mentre Sebastian si accende una sigaretta e cerca di trovare una posizione comoda sul divanetto di pelle dove hanno appena scopato. Quando Jim gli ha telefonato per dirgli che aveva un nuovo incarico, se l'era aspettato. Di solito gli incarichi arrivavano come pezzetti di carta nella sua cassetta delle lettere. In più, era la prima volta che si parlavano dalla sera in cui Jim si era presentato alla sua porta tutto sporco di sangue.
Un momento prima gli stava spiegando i come ed i perché della donna che avrebbe dovuto assassinare e l'attimo dopo era addosso a lui e lo tirava su dalla sua sedia e Sebastian si era sentito come un fottuto oggetto fra le sue mani, però non rispondergli era come tentare di non respirare, e alla fine c'era il divano contro la sua schiena nuda e alla fine era solo Jim, e il fatto che questa volta non avesse perso tempo con tutte quelle stronzate era stranamente confortante.
Sono confortanti anche le parole che gli sono appena uscite di bocca, Non ho davvero bisogno di te, in un loro modo perverso. Sebastian annuisce e si dice che può avere a che fare con questo, questo non lo obbliga ad essere un babysitter o a farsi domande. Con la sigaretta in bocca si alza e si riveste, ed esce senza una parola, lasciandolo lì sul suo divano a gambe incrociate, come un bambino.

«Ho bisogno che tu mi faccia sentire umano.» Sta seduto sul suo letto con le lenzuola strette fra i pugni e lo sguardo basso. È come una continuazione della prima e ultima volta che hanno fatto sesso, solo che adesso Jim non è freddo, e Sebastian può ancora sentire il suo calore sulle braccia, lo stomaco e la schiena.
La cenere gli cade sul lenzuolo e lui la spazza via. «Sai che mi ricordi? Fight Club
Per un attimo, sembra non capisca. «Non ho due personalità» dice poi, e la sua voce è dura.
Sebastian non risponde, com'è nella sua natura, si volta solo per buttare un altro po' di cenere nel barattolo già pieno di mozziconi.
«Non ho due personalità. È solo che, per come la vedo io, tu puoi significare più di chiunque, per me, e non essere niente allo stesso tempo.»
«Mh.»
«So che non ha senso.» La frustrazione nella sua voce è palpabile.
Silenzio.
«Seb.» Lo sente avvicinarsi a lui, colmando quei pochi centimetri che li separano, ma lui continua a dargli la schiena. «Seb, io non ho bisogno di te. Ma ho bisogno che tu mi tenga umano. Finché non ho fatto ciò che devo fare.»
Finalmente si volta, e sospira. «Fossi stato morto, sarebbe stato più semplice.»
Jim ride. «Sì, vale per entrambi.»
«Va bene, James.» Gli porge la mano, se la stringono.
«Ma, di preciso, che è che devi fare?»
«Vincere» 

Sono passate due settimane, in cui James torna tardi la sera e si butta sul divano sgranocchiando i pop corn che trova tra le pieghe dei cuscini, restando muto davanti ai documentari alla televisione, senza guardarli davvero. Sebastian, intanto, lucida le sue pistole, cucina cibo che nessuno mangerà, continua a bere whiskey e birra, la maggior parte delle volte insieme, e fuma sigarette che finiscono poi sul pavimento. Nessuno pulisce quella casa da che lui ci è entrato, e a volte James lo guarda e gli dice che si prenderanno l'ebola, a scopare su quella merda, che sembra di stare in una discarica, ma Sebastian scrolla le spalle e si gira dall'altra parte. «A me piace.»
«Ti piace lo sporco?»
«Mi piace che sappia di qualcosa, e non di deodorante o detersivo. Almeno questo è un odore vero. Mi aiuta a pensare, e mi ricorda chi sono.» quando gliel'aveva detto, James aveva riso «Ma per favore,» gli aveva risposto «piantala con la retorica. Serve soltanto a ricordarti cos'è la doccia. E, tra l'altro, ne avresti bisogno»
Seb si era alzato dal letto e l'aveva mandato affanculo, però si era buttato nella vasca. Quando era uscito, James non c'era più. 
Ora era rientrato bagnato fradicio, ma con un sorriso che gli andava da un orecchio all'altro. «Seb, ce l'ho fatta.»
«Mh?»
«Ho trovato come devo fare» Sebastian alza un sopracciglio, spegnendo la sigaretta che sta fumando contro il muro «Come devi fare che?» 
James non risponde. Lo guarda soltanto e continua a sorridere. 

È inutile. Anche dopo una vita passata sul filo del rasoio, le ginocchia continuano a tremare, e non puoi farci niente. Jim sale gli ultimi gradini e sente che non può farci niente. Non è spaventato, non ha paura, è soltanto che le ginocchia tremano, e continueranno a tremare. Non ha neanche le mani sudate, e il suo sorriso rimane impassibile. Si siede sul bordo del tetto e accavalla le gambe, smettono sempre quando fa così. Non può permettersi di tremare quando arriverà Sherlock, perché è un anno intero che si prepara questo piano, e non può mandare a fumo tutto per un paio di ginocchia. Accende il telefono quasi senza accorgersene, è una reazione istantanea, e mette su i Bee Gees, perché sa che fanno uscire tutti di testa, con la loro allegria che vuole essere contagiosa ma davvero non ci riesce. Gli piacciono perché fanno vedere quanto è davvero squallido il mondo, gli ricordano i cartelloni dei Luna Park, tutti colorati di zucchero filato rosa confetto  e mamme che tengono i loro bambini per mano, almeno finché non viene la pioggia, e allora sotto la carta che puzza ancora di colla ma sta già iniziando a staccarsi vedi il metallo arrugginito della bacheca, e non c'è più zucchero filato né bambini felici. Stessa sensazione. Anzi, se chiude gli occhi riesce quasi a sentire l'odore di metallo - è come quello del sangue, alla fine. Punge, ma è buono - e a vedere l'enorme cappello a cilindro di James l'Illusionista scollato e caduto a pezzetti in una pozzanghera. Ah-ah-ah-ah, staying alive.
Non c'è nessuno lì in giro. Solo lui e Sebastian, sull'altro palazzo. Sa che in quel momento Sherlock Holmes sta salendo le scale, con il respiro appena affannato, e John Watson sta salendo sul taxi che Sebastian è incaricato di puntare. Solo puntare, però, senza uccidere. Non ancora. 
In realtà Jim non vorrebbe neanche essere arrivato a questo punto, non gli piace l'idea. Avrebbe voluto continuare a giocare al gatto e il topo con Sherlock, ma sa che ormai non può più, e che è diventata una questione feudale, la legge della giungla: mangia o sarai mangiato. Sorride. Sì, è proprio così. Lo scrive sul telefono e lo invia a Sebastian con un messaggio. 
L'ombra di Sherlock si dipinge sul pavimento, e lui sa come sta per andare. Come un copione già scritto e già imparato a memoria. Ci ha pensato talmente tanto spesso, ultimamente, che sa già anche cosa dirà lui. Non ha neanche di essere presente con la testa.

Here we are at last, with our problem, the final problem. Staying alive.

E capisce che speranza non ce n'è più. Da come lui cammina, da come si muove, capisce come andrà a finire. E l'unica cosa a cui pensa è Non ho avvertito Sebastian. 

Because I've beaten you. And you know what? In the end it was easy.

Già. Non gli ha detto che potrebbe andare così. E non c'è nessun altro, solo loro tre. Riesce a trattenere una smorfia. Ci è abituato.

Richard Brook. - Nobody seems to get the joke. 

Soldato, in Afghanistan. Ci è abituato. Non si preoccuperà. Ci è abituato. 

I told all my clients. Last one to Sherlock is a sissy.

Ma non riesce a non pensarci. Non riesce a concentrarsi su quello che sta succedendo. È forse il momento più importante della sua vita, e tutto quello a cui riesce a pensare è uno stupido cecchino, ce ne saranno migliaia in tutto il mondo. Una pedina. 

Sherlock, your big brother and all the king's horses couldn't make me something I don't want to.

È una pedina che gli sta distruggendo tutto lo spettacolo. Perché ci pensa. Perché lui, alla fine, era bravo, e non gliel'ha mai detto. Ma non ce n'era bisogno. Lo sapeva, di essere bravo, e lo saprà anche adesso che tutto sta finendo. 

Well, good luck with that.

Adesso sono passati due anni, da quando Sebastian ha buttato il fucile carico da una parte all'altra della stanza, da quando gli è caduta l'ultima lacrima. Da quando ha pulito la casa. Adesso è tutto perfettamente ordinato, e tutto sa di quell'odore impersonale di fiori marci e candeggina mischiati, non ci sono più bottiglie dietro il divano e patatine spiaccicate per terra, mischiate con la cenere caduta di sigaretta. Il divano ha un'altra fodera, bianca, come tutto quello che c'è nella casa; ha ridipinto i muri per nascondere le bruciature sulla tappezzeria, ha comprato dei posacenere che svuota ogni volta, ha preso delle tende di lino bianco e dei tappeti, bianchi. Non legge mai libri, ma ne ha comprati una caterva - tutti col dorso bianco - da mettere sulla libreria a parete, bianca. Anche i suoi capelli sono un po' più bianchi sulla nuca e dietro le orecchie, ma restano biondi per la maggior parte. Sono i suoi occhi ad essere sicuramente più bianchi. 
L'ultima cosa che si ricorda davvero è di essersi messo a correre. Si era infilato il fucile a tracolla, senza neanche curarsi di svuotare la cartuccia, e aveva iniziato a correre il più veloce che poteva, mandando a fare in culo tutti i santi che gli venivano in mente. Fanculo anche a quel cazzo di esibizionista di Moriarty. Quando era arrivato a casa aveva buttato il fucile per terra, e tutti i proiettili erano partiti per la stanza, uno aveva rotto la finestra sulla strada, un altro aveva colpito il lavello e schegge di ceramica grigiastra si erano sparse ovunque, un altro aveva preso la cappa della cucina, e aveva rimbalzato contro il metallo per un minuto buono, facendo un rumore che sembrava entrargli in testa e bruciargli il cervello, un pezzo per volta. Non c'era più silenzio. Tutto era rumore, macchine, proiettili, urla, tutto. Voleva silenzio. Silenzio. Era corso in camera sua, inciampando nelle bottiglie per terra. Era caduto, si era rialzato. Era caduto di nuovo. Aveva battuto la testa contro qualcosa, un'altra bottiglia, probabilmente, perché aveva dei cocci di vetro a fondo dentro la pelle della mano, che lo facevano sanguinare, ma non se n'era curato. Era rimasto sdraiato per terra, in mezzo a mozziconi di sigaretta, cartocci di alluminio ancora sporchi e calzini bucati, e aveva visto qualcosa di bianco e pulito sotto il letto. Non si era alzato per prenderla, aveva solo allungato la mano sanguinante fino a raggiungerla, e l'aveva stretta. Alle macchie di sangue già vecchie sulla maglietta di James se ne erano aggiunte di nuove, più rosse, più piccole, come lacrime di formica. Ce l'aveva addosso quando era venuto a casa sua la prima volta, ed era rimasta lì. Sei mesi. Era rimasta ad attendere paziente per sei mesi sotto il suo letto, con le sue macchie scure a ricordargli ogni momento. A ricordargli come l'avesse fatto sentire umano. L'aveva presa in mano e si era alzato in piedi, senza più urlare. Aveva preso l'accendino dalla tasca e una bottiglia ancora mezza piena di Jack Daniel's, e aveva dato fuoco a tutto quello che vedeva. 
Quando  tutto era diventato nero, quando il fuoco si era calmato, quando anche le sue mani sapevano di carbone e i suoi capelli erano strinati fino alle radici si era sdraiato sulla cenere, con gli occhi chiusi, gli era scesa una lacrima sola. Aveva stretto la maglietta e si era addormentato, stringendo i denti, e ripetendosi che non sarebbe cambiato nulla. Che tutto sarebbe stato uguale. Che era solo un altro che se ne andava.
Il giorno dopo aveva iniziato a pulire. 
Una settimana dopo era arrivata la pittura.
Due mesi dopo, la casa era rifatta, bianca e profumata come una stanza di ospedale. 
Adesso, due anni dopo, è seduto sul divano sgranocchiando pop corn da un pacchetto, e resta muto davanti ai documentari alla televisione, senza guardarli davvero. Perché alla fine era solo un altro che se ne andava, e si portava via tutto quello che rimaneva dell'uomo che aveva costruito. Ora Sebastian sorride, fuma una o due sigarette al giorno, ma ha già comprato quelle a vapore, e beve solo Sprite Zero, di quella che non sa assolutamente di niente se non di zuccheri finti e aria in scatola. Anche casa sua adesso sa di zucchero finto. Anche i suoi vestiti, e i suoi capelli, e la sua pelle. 
Si alza senza neanche accorgersene e va a buttarsi sul letto, con le coperte di poliestere appena lavate, e gira la testa sul cuscino, con gli occhi chiusi. Non c'è più stato silenzio, però. Si è riempito di nulla per cercare un silenzio, ma non è più arrivato. È rimasto il rumore della pistola di James. James. Non gli fa male pensare a quel nome, non gli fa male pensare a lui in generale, ma ogni volta che lo fa sente nel naso l'odore di sigarette e whiskey e birra, la maggior parte delle volte insieme, e vestiti sporchi e cenere per terra e cibo cinese e una di quelle schifezze da riscaldare nel microonde, involtini primavera, bastoncini di pesce, cotolette impanate che poi hanno tutte lo stesso sapore,  e quello sì che fa male. Ricordare non è bello. Ricordava di non aver messo a segno un colpo, che quegli occhi restavano ancora il suo bersaglio più lontano, e quello sì che fa male. Ricorda che non è stato lui a far spegnere James Moriarty, e quello sì che fa male. Gli fa sentire che non è più stato davvero umano. Gli fa sentire che è fallito, e quello sì che fa male. 
Sebastian Moran è morto. Ora c'è solo un uomo bianco in una casa bianca che parla con voce bianca e pensa rumore bianco, e non ha più trovato il suo silenzio. Non ha più fucili nell'armadio, ma solo vestiti bianchi, non ha più pistole nei cassetti, ma calzini e boxer bianchi. 
Ora c'è solo un uomo vestito di bianco sdraiato su un letto bianco che cerca di isolarsi dal rumore del mondo circondandosi di deodorante per ambienti e detersivi profumati. Sul comodino adesso c'è un bicchiere d'acqua, e un libro che non leggerà mai con la copertina completamente bianca. 
Ora c'è solo un uomo sovrastato dal caos. 

  
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