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Autore: sweetPotterina    27/08/2012    2 recensioni
Andromeda non riesce a dormire. Non può.
*Prima classificata al contest "Autori sadici, bastardi e FIERI di esserlo!" indetto da Rosebud.89.*
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Tonks, Nimphadora Tonks, Ted Tonks | Coppie: Ted/Andromeda
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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-Lumos.
Con la mano ancora sul pomello della porta appena spalancata, Andromeda si fermò sulla soglia.
Davanti a lei solamente l’oscurità.
Nera come il suo nome.
Nera come il suo cuore.
Socchiuse gli occhi istintivamente, adattando la propria vista al buio pesto della stanza, mentre un odore acre e pungente le investiva le narici. Storse il naso: l’aria intorno puzzava terribilmente di chiuso, di vecchio, di abbandonato.
Esattamente come lei.
Erano passati diversi mesi dall’ultima volta che vi aveva messo piede, eppure ne ricordava ogni aspetto: le pareti gialle, il parquet in legno chiaro, i divani verdi e i mobili in noce.
Era l’unica stanza che avevano arredato insieme, fino all’ultimo dettaglio, litigando per un brutto vaso ricevuto in dono e scherzando sullo specchio che a tutti i costi lei aveva voluto comprare.
Era speciale, la preferita della casa.

-Ted, dove mi stai portando? Devo ancora rassettare…
-Dopo, Dromeda. Ho una sorpresa.

Sbatté le palpebre, imponendosi lucidità e fermezza. Era maledettamente difficile, ora che il presente aveva lasciato il posto al passato, ma le mancava davvero poco.
Tentennò ancora qualche istante sull’uscio finché, issandosi sulle spalle, fece un passo in avanti ed entrò.

-Oh, mio Dio. Ted, è… è meraviglioso.
-Buon Anniversario, amore.

Esattamente come quel giorno, la sua attenzione fu catturata da un angolo alla sua sinistra.
Stavolta, però, le tende non svolazzavano leggere davanti alla finestra semi aperta, mentre tenui raggi del sole rilucevano sulla superficie liscia e riflettente del suo regalo, malamente incartato da uno strascico rosso.
Stavolta, solo il mantello della notte lo avvolgeva.
Ma Andromeda sapeva che era lì. Insieme a lui.
Indirizzò la bacchetta verso quel punto indistinto, benché la fioca luce si estendesse a malapena al di là dei suoi piedi.
Poco importava, quella notte non sarebbe bastato neanche il potente Patronus di Harry Potter a illuminare la sua via, né a scacciare i fantasmi che aleggiavano prepotenti attorno al suo povero cuore.
Era sola, passo dopo passo, mentre il graffiante silenzio veniva spezzato dallo scricchiolio delle assi del pavimento che s’incrinavano sotto il suo peso.
Ignorò deliberatamente il battito accelerato del suo cuore e strinse forte la presa sulla sua bacchetta, impedendo alle sue dita di tremare.
Ancora una volta, cuore e mente non andavano d’accordo dentro di lei.
Si concentrò sul suo percorso, sul pavimento sporco, notando così una grigia ragnatela ed evitando di inciampare su una bambola stranamente fuoriposto.
Chissà cosa avrebbe detto suo marito, nel vedere la stanza ridotta a quel modo.
“Finalmente, Dromeda! Era ora che lasciassi un po’ delle nostre tracce in questa casa; qualcuno potrebbe pensare che non vi abiti nessuno”.
Peccato che di tracce ne avesse lasciate fin troppe: non erano serviti i suoi incantesimi di pulizia più accurati per scacciare la sua presenza tra quelle mura, ancora impregnate del suo odore.
Un triste sorriso si spense ancor prima della sua venuta al mondo, quando intravide l’oggetto della sua ricerca erigersi in tutta la sua eleganza di fronte i suoi occhi.
Era arrivata.
Per un attimo il terrore dipinse il pallido volto della strega, quando si accorse che accanto a lei Ted non c’era.
Solo tanta polvere e il vuoto.
Un vuoto che rischiava di risucchiare la sua anima in un abisso profondo e irraggiungibile.
Irraggiungibile come lui.
Posò la bacchetta sopra il piano e, con una mano sul petto, provò a prendere un lungo respiro. Improvvisamente la stanza era diventata soffocante, irrespirabile.
Dove sei, Ted?
Rialzò lo sguardo per cercarlo, voltandosi a scatti da un punto a un altro, finché non lo vide e il tempo sembrò rovesciarsi.

Suo marito doveva essere impazzito, altrimenti non riusciva a spiegarsi come avesse speso più di quanto potessero permettersi per farle un regalo.
Non che non li amasse, i regali, ne aveva richiesti e accolti parecchio durante la sua giovane vita, e ciò che stava ammirando in quel momento era forse il più bello –e inaspettato- che avesse mai ricevuto.
Un elegante e lucente piano a coda.
Conscia dello sguardo di Ted su di sé, gli diede le spalle e si avvicinò conquistata allo strumento, scrutando con occhi critici quello che doveva essere un pezzo di antiquariato in ottime condizioni.
Ne accarezzò incantata la superficie riflettente, la curva scivolosa, fino ad arrivare alla tastiera bianca.
Non era prezioso come quello che aveva lasciato nella casa della sua infanzia, eppure per lei aveva appena assunto un valore inestimabile.
Una risata soffocata alle sue spalle la riscosse dai suoi pensieri, indispettendola.
-Quanto l’hai pagato?
-Meno di quanto in realtà valga.
La strega non si voltò a guardarlo, certa che se avesse incontrato i suoi occhi gli si sarebbe gettata tra le braccia, piena di gratitudine.
Non poteva passarla liscia così facilmente.
-Non avresti dovuto, sai che non possiamo permettercelo.
La sua voce uscì più dura di quanto avesse in realtà voluto e se ne vergognò.
Codarda, continuò a dargli le spalle, volgendo il suo sguardo fuori dalla finestra.
-Ho risparmiato, Andromeda, sta tranquilla- lo sentì rassicurarla, seppur con una punta di fastidio.
Ted odiava sentirsi rinfacciare la loro precaria situazione economica. Lo faceva sentire in colpa, soprattutto quando ripensava alla vita agiata che la donna avrebbe potuto avere se non avesse scelto lui, al posto della propria famiglia.
Era così ingenuo e buono.
-No. Devi riportarlo indietro.
Lo sentì fare un passo verso di lei, prima di arrestarsi nuovamente. La voce, stavolta, gli uscì a malapena.
-Non ti piace?
Nello stesso istante in cui la delusione di Ted la colpì, si voltò verso di lui e gli andò incontro.
-Ted! Come puoi pensarlo? Sai che non è a questo che mi riferisco. Il piano è bellissimo, praticamente già lo adoro.
Suo marito parve riacquistare il suo entusiasmo, stringendole i fianchi e attirandola a sé.
-E allora non pensare adesso ai soldi. Accettalo e basta, è un regalo.
Andromeda gli sorrise, carezzando una sua guancia dolcemente.
-Perché?
Sapeva che quello di Ted era un modo per rendere migliore la sua vita, in quel mondo così diverso da quello cui fino a un anno prima era stata abituata.
Ma non aveva più bisogno di quel tipo di attenzioni per essere felice. L’unica cosa che contava per lei era suo marito.
Il mago la guardò per un lungo istante, soffermandosi sui suoi occhi grandi e scuri.
-Perché spero che in questo modo sentirai meno la mancanza della tua famiglia. Ricordo che l’ultimo anno, al rientro delle vacanze natalizie, tuo padre te ne aveva regalato uno come dono di Natale. Eri così felice…
Non gli diede il tempo di terminare quelle assurde ragioni che lo baciò con passione, per ringraziarlo del regalo, per ringraziarlo di essere semplicemente ciò che era, per ringraziarlo dell’amore cui ogni giorno le faceva dono.
-Sei uno sciocco, Ted Tonks.

***

L’ultima volta che era stata in quella stanza era stata la notte prima dell’arrivo di Harry.
Avevano fatto l’amore sul tappeto, come tante altre volte prima, mentre il piano appositamente incantato aveva intonato la loro musica, accompagnando i battiti frenetici dei loro cuori, dei loro gemiti, dei loro sospiri.
Da allora, i giorni si erano susseguiti l’uno con l’altro in un vortice frenetico, non lasciando più il tempo a futili piaceri come quello.
Tuttavia, adesso che la clessidra aveva lasciato scivolare via l’ultimo granello di sabbia, insieme alla sua speranza, si rendeva conto che avrebbe dovuto trovarlo, il tempo.

-Bene. Vengo con te.
-No, Dromeda. Il cognome della tua famiglia ti terrà al sicuro, tu puoi restare.

-Tonks è il cognome della mia famiglia. Fuggiremo insieme.
-Andromeda, no! Tu rimarrai a casa.
-Non voglio!
-Maledizione, è per nostra figlia. Ha… ha bisogno di te.

Era stata la prima volta che si erano separati.
Fino a quel momento, non aveva mai trovato una sola ragione che potesse dividerli.
Persino incontro alla morte aveva immaginato di camminare al suo fianco, magari entrambi vecchi e soddisfatti dell’esistenza vissuta.
Non era stata tanto fortunata.

-Tornerò presto, vedrai. Non ti accorgerai nemmeno della mia assenza.
-Sarà meglio per te, altrimenti avrai ben altro da temere.
-Ti amo, Dromeda.


Ninfadora si era trasferita definitivamente in casa sua quella stessa sera. Le aveva spiegato che era per la propria gravidanza, ma sapeva che era lì anche per tenerle compagnia e darle il suo sostegno.
Ciò nonostante, purtroppo, non erano bastati i chiacchiericci futili di sua figlia e i guai che seminava al suo passaggio, a distoglierla dal pensiero di lui.
Durante i pasti aveva cucinato per tre, benché nascondesse poi la porzione di Ted prima che Dora scendesse le scale.
Durante le giornate aveva continuato a occuparsi della casa senza fermarsi un attimo, anche se le stanze rilucevano come uno specchio.
Lo aveva fatto per non pensare, per non vedere la sua assenza, per non sentirsi sola.
Ma la solitudine aveva fatto capolino ugualmente, abbattendo le sue resistenze come un uragano su una spina di grano.
Devastante.
Eppure, era la notte il momento peggiore, che la coglieva impreparata e indifesa.
Gli incubi l’avevano tormenta a tutte le ore senza darle un attimo di tregua, lasciandola risalire dall’oscurità sudata e senza fiato, annaspando l’aria come se fosse stata sul punto di morire annegata. Lo cercava invano, poi, tastando la parte sinistra del letto per trovarlo vuoto e freddo.
Un colpo all’anima, ogni singola volta.
I quei momenti, non riusciva a fare a meno di immaginare il corpo nudo del marito, sporco di fango e privo di vita, funereo e gelido. Conscia di essere sveglia, la paura di star assistendo alla realtà la paralizzava, finché gli occhi chiusi del compagno non si aprivano di scatto implorando il suo aiuto.
Solo allora urlava e lasciava correre le lacrime come un torrente in piena, violento e inarrestabile.

L’assenza di notizie, inoltre, l’aveva uccisa giorno dopo giorno, mentre la radio si trasformava in un necrologio senza fine. Il più delle volte preferiva estraniarsi, fingendo di non sentire quei nomi, come se fossero solo parole prive di significato.
Finché, in una fredda giornata di marzo, quel portatore di morte disse un nome che Andromeda non riuscì proprio a ignorare.

“È con grande rammarico che noi informiamo i nostri ascoltatori degli omicidi di Ted Tonks e Dirk Cresswell”.

Le era sembrato che il tempo si fosse fermato e che la casa avesse preso a vorticare, così velocemente che la concentrazione sui suoi incantesimi si era rotta, lasciando a una rovinosa caduta gli oggetti che aveva fatto lievitare fino a quel momento.
Ma l’impatto con il pavimento era stato assorbito da uno schianto più grande, più rumoroso.
Mentre, infatti, le gambe perdevano improvvisamente forza, facendola inginocchiare mollemente in terra, era riuscita a distinguere attorno a sé i cocci degli oggetti ormai in frantumi e, con essi, gli infiniti pezzi del suo cuore che non era riuscita a reggere.
No, non è vero.
Aveva provato a riprendersi quella parte di sé che stava inesorabilmente abbandonandola, aggrappandosi a una speranza che non riusciva a vedere. Aveva cercato di afferrare lui.
Ma, era stato a quel punto, mentre lo cercava intorno a sé, che si era accorta che il suo incubo era divenuto realtà.
È morto.
Come nei suoi sogni ad occhi aperti, in quel momento era riuscita a vederlo indistintamente, steso a terra e privo di vita.
“… informiamo i nostri ascoltatori degli omicidi di Ted Tonks e Dirk Cresswell”.

Ted Tonks.

Andromeda, alla fine, si era portata istintivamente le mani sulle orecchie, tirandosi i capelli con le dita, e aveva urlato.
Quel nome lo aveva sentito come un eco assordante e infinito nella sua testa.

***

Mentre girava intorno al pianoforte, con un dito ne accarezzò la superficie sporca, disegnando linee sottili sul grigio manto di polvere.
Quando arrivò alla tastiera, la sua mano si fermò a mezz’aria, quasi avesse il timore di spezzare l’incantesimo con il suono prodotto dalla cassa armonica. Eppure, l’invisibile figura di Ted al suo fianco ora le pareva una presenza più forte così, incoraggiata, si sedette sullo sgabello e intonò un la minore.
L’aria sembrò vibrare.
Come se avesse fatto una magia, la stanza abbandonò i toni scuri e prese colore. Lasciò che la sensazione familiare la avvolgesse come un abbraccio e che i suoi sensi prendessero la strada dei ricordi.
In quella stanza, avevano riso e pianto di felicità.
Sul divano, avevano passato interi pomeriggi avvolti tra le coperte e riscaldati dalle coccole dell’altro.
Su quel pavimento, si erano amati e avevano concepito la loro bambina, il frutto della loro unione.
Su quel piano, lei gli aveva insegnato qualche canzone di Natale e lui l’aveva ascoltata cantare.
Ted adorava sentirla suonare.
Si appoggiava alla finestra e la ascoltava rapito, lo sguardo fisso sul suo viso e il sorriso sulle labbra.
La guardava come se fosse un sogno ad occhi aperti.
Anche dopo tanti anni, lo aveva trovato un comportamento lusinghiero da parte sua, che a lungo andare però finiva sempre con il farla arrossire.

-Smettila, Ted.
-Di fare cosa?
-Di guardarmi in quel modo.
–Scusa. Ma, non posso farne a meno.
-Allora non farlo.
-Se hai appena detto…
-Non smettere mai.

Con i palmi della mano schiacciò più tasti, interrompendo la triste e macabra melodia dai toni cupi e agghiaccianti.
Faceva così male ricordare, così dannatamente male.
Eppure era l’unica cosa che gli rimaneva di lui.
Tirò su con il naso, respingendo le lacrime che imploravano una via di fuga.
Da quando Ted era fuggito, aveva bellamente ignorato l’esistenza di questa stanza perché aveva trovato ingiusto varcare la soglia di quella porta senza di lui.
Quasi fosse un’eresia.
Sapeva che in sua assenza non sarebbe stato lo stesso e che quel luogo avrebbe perso la sua magia.
Ora, però, sapeva con certezza che lui non sarebbe più tornato e che avrebbe atteso invano.
Questa stanza, non l’avrebbe mai detto, aveva assunto un significato nuovo.
Adesso, rappresentava il confine tra sogno e realtà, tra ragione e follia, tra presente e passato.
Era il loro limbo.
Solo lì avrebbe potuto riviverlo ancora, solo lì avrebbe potuto dirgli addio.

-Dai, Dromeda, suona per me.

Riusciva a vederlo disteso sul tappeto, mangiucchiando un disgustoso pasticcio di sua madre.
Era così bello, così felice. Le sorrideva.

-Non farti pregare, solo una volta. Suona la nostra canzone.

-Sì.
Era lei, quella canzone, l’origine di tutto. Testimone del loro primo incontro, della nascita del loro amore.

Quella notte non riusciva proprio a dormire, per via di sua sorella Bella. Avevano litigato un’altra volta.
Le dispiaceva avere così poco in comune con lei, nonostante più volte si fosse sforzata di andarle incontro. Da quando aveva varcato i cancelli di Hogwarts, se possibile, la loro diversità si era fatta più evidente e il divario tra loro più profondo.
I momenti passati al Manor a giocare e ridere tra le ale della dimora erano ormai diventati solo un lontano ricordo.
-Bella, non è vero?
Una voce la colpì alle spalle, facendola sussultare. Si tirò il mantello sulle spalle e si voltò verso chi aveva interrotto i suoi pensieri. Ci mise un po’ a trovarlo, perché se ne stava seduto sulle tegole del tetto come se niente fosse.
Doveva essere pazzo.
-Che stai facendo, lì?- gli chiese, con un cipiglio severo. Era pericoloso.
-Sto ascoltando. E tu, che fai?
Di fronte alla sua naturalezza non poté fare a meno di stupirsi. Era una fredda notte e nonostante scorgesse a malapena i lineamenti del suo volto, riuscì intravedere il sorriso gentile che le rivolgeva. Eppure, era certa di non conoscerlo.
-Sono salita qui perché volevo…
-Scappare?- continuò il ragazzo al posto suo.
Andromeda sorrise, celando la sorpresa nell’essere stata capita da lui, uno sconosciuto, quando neanche la sua famiglia riusciva a farlo.
-Accomodati. Dai, vieni…
La giovane sbarrò gli occhi a quell’invito. Non poteva credere che davvero volesse farla salire su quel tetto vecchio e instabile. Era già una fortuna che lui non fosse scivolato.
-O forse hai paura?
A quell’insinuazione, Andromeda gli rivolse un’occhiataccia.
Quelle parole le ricordarono per un attimo quelle di sua sorella maggiore.

-Bella, smettila di prendertela con ogni studente che passa;
non puoi sfogare su di loro tutte le tue frustrazioni.
-Sta zitta, Andy. La verità è che tu sei solo una codarda:
mai una parola di troppo, mai un errore.
I Black non obbediscono a nessuna regola se non la propria!
Ricordatelo la prossima volta, sorellina.
-A volte, Bellatrix, sai essere davvero crudele.

Ci pensò per un lungo istante e poi, stringendosi forte nel mantello, lo raggiunse con passi eleganti e orgogliosi.
Prese la mano che il ragazzo le porgeva, raccogliendo così la sua sfida.
Ma, una volta salita, se ne pentì immediatamente. Le gambe iniziarono a tremargli e cercò di non guardare il vuoto sotto di sé. Trovò un appiglio solo nel caldo sguardo del mago.
-Lo senti anche tu?
Andromeda corrugò la fronte, confusa, ma nello stesso momento una melodia dolce e intensa raggiunse le sue orecchie.
-Ma da dove proviene? Che cos’è?
-Nessuno lo sa. C’è chi dice che sia opera di un fantasma del castello. Ma sa di desiderio.
Inspiegabilmente, Andromeda sentì le gote prendere calore. Distolse lo sguardo e si concentrò sul cielo, dove una luna piena risplendeva nel suo regno costellato di stelle.
-E quella, che suono ha?
Quella stupida domanda le sfuggì, più per la necessità di spezzare il silenzio che era calato tra loro.
-Quando ero piccolo le parlavo sempre- le confessò il mago dopo un lungo istante.
La strega si voltò verso di lui indispettita, certa che la stesse prendendo in giro, ma il ragazzo aveva rivolto lo sguardo alla luna.
-Sì, certo. Bugiardo.
Il mago si scotolò la testa, ridendo con voce bassa e roca, prima di rimetterla al centro della sua attenzione.
-Lo faccio da un sacco di tempo.
-E lei, ti risponde mai?- si ritrovò a chiedere, divertita da quella conversazione davvero poco credibile.
-Una volta. Ora, invece, mi lascia parlare con me stesso. In un tetto, da solo.
Il sorriso sul volto del giovane si spense, mentre i suoi occhi si tingevano di uno strano sentimento. Erano velati da un’emozione che non riuscì a identificare ma che, tuttavia, ebbe il potere di farle venire la pelle d’oca.
-Ma, stasera, ci sono io.
Lui sorrise a quella timida risposta, cogliendo l’accento piccato nel suo tono. -Sì, ci sei tu.
-Mi chiamo Ted.
- Andromeda.
Si diedero la mano, come due persone educate, e rimasero così. L’uno negli occhi dell’altro.
-Chi sei, Andromeda?- le chiese poi all’improvviso, lasciando di colpo andare la sua mano.
-Io sono…- provò a rispondere, ma improvvisamente ciò che rappresentava il suo nome le parve inadatto a descriverla.
-Sono solo me stessa.
Lui accentuò il suo sorriso e lei ebbe la strana sensazione di percepire uno sbattere d’ali nello stomaco.
Che strana magia le aveva fatto?
-Che stai guardando?- gli chiese. Era così vicino che il calore sulle guance parve irradiarsi sul tutto il viso. Le prudevano le mani e aveva una strana voglia di…
-Te.
Ancor prima di capire quella vicinanza inopportuna, lui la stava baciando.


Ted Tonks non aveva mai saputo che, quando alla fine di quell’anno era rientrata a casa per le vacanze natalizie, aveva chiesto a suo padre in dono un pianoforte per imparare quella canzone.
Non aveva mai saputo che si era esercitata tutti i pomeriggi fino a tarda notte per tentare di riprodurla, per tentare di rivivere quel loro magico momento.
Non aveva mai saputo che quando era finalmente riuscita a trovare le note esatte aveva capito di amarlo.

-Ciao, Ted. Alla fine lo hai scoperto.
Era proprio lì, accanto alla finestra. Le sorrise, proprio come quella prima volta.
-Mi dispiace se ti ho fatto aspettare.
Ted inclinò il capo su un lato e fece spallucce. Alternava lo sguardo dal suo viso alle sue dita ancora poggiate sulla tastiera.
Andromeda gli sorrise di rimando e prese a suonare. Il volto finalmente sereno e rigato da calde lacrime, che adesso poteva lasciare libere di correre via.
Ti amo, Ted.
Addio.


FINE






Questa storia ha partecipato ai seguenti contest:
-"Autori sadici, bastardi e FIERI di esserlo!" indetto da Rosebud.89, classificandosi prima.
-"Stupiscimi!" e "E tu cosa scegli?" indetti entrambi da _Aras_, classificandosi rispettivamente terza e seconda.
Ringrazio entrambe le giudici e tutti voi che siete giunti fin qui. Spero sia piaciuta anche a voi!



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© Elyxyz

   
 
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