Fiori
Le erano sempre
piaciuti i fiori.
Lui la guardava
spesso quando, credendosi sola, si chinava sporcandosi il kimono a guardarli.
Lui la guardava e
avrebbe voluto essere un fiore.
Perché solo a loro
lei sorrideva (non era che una lieve increspatura delle
labbra, però).
I suoi occhi (senza colore che però vedevano tutto) fissavano ammirati ogni corolla colorata.
E poi sorrideva.
E lui avrebbe
voluto per sé quel sorriso (egoista, dannato
egoista).
“Ciao Hinata-chan”
Aveva alzato gli occhi, lei, e aveva smesso di sorridere.
Lo aveva guardato (e lui si era sentito morire).
Lei non sorrideva più.
“Konnichiwa Kiba”
Quanto aveva
desiderato essere uno di quei fiori.
Li guardava e
sentiva di odiarli (non avrebbe dovuto).
Rose, gigli e
fiori di ciliegio.
Tutti.
Un unico fiore
amava (lei).
Ma quello
detestava lui (questo lo uccideva, sempre).
“Hinata-chan ti andrebbe di venire a mangiare con noi?”
E lei alzava lo sguardo (sempre puntato su quei fiori) e smetteva di sorridere.
Li guardava con quell’aria assente e scuoteva il capo (e lui moriva).
“Scusatemi, ma preferisco stare sola”
Le erano sempre
piaciuti i fiori.
Loro c’erano
quando tutti gli sguardi (senza colore, dal primo
all’ultimo) della sua famiglia la oltrepassavano, come se fosse un
soprammobile, come se non avesse sentimenti.
E lei (balocco abbandonato) si era rifugiata nelle
allegre tonalità delle rose del giardino.
E loro le erano
state accanto (dove sarebbero potute andare poi?).
“Hinata-chan perché ti isoli sempre?”
Ed era arrabbiato (non con lei, però).
E lei lo fissava (senza neanche accennare l’ombra di un sorriso).
Poi scoppiava a ridere (ma era dolore quello che si percepiva) e scuoteva il capo (ancora).
“Non mi isolo Kiba, non li vedi i miei amici?”
Era bella, lei, in
quel kimono bianco contornata da rose rosse.
E lui le odiava.
A lei erano sempre
piaciute.
Era questo che li
rendeva diversi (dire distanti sarebbe più giusto),
questo a dividerli.
E lui lo sapeva e
avrebbe voluto essere un fiore (ma non poteva).
Bello, profumato e
suo amico.
Però era
impossibile.
“Hinata-chan?”
E lei alzava ancora gli occhi (che erano bianchi ed inespugnabili).
“Si?”
E col dito (delicato e sottile) sfiorava un petalo rosso.
“Noi siamo amici, giusto Hinata-chan?”
Lei annuiva (e il suo cuore riprendeva a battere).
“Certo Kiba, però, adesso, lasciami sola”
A lei erano sempre
piaciuti i fiori.
Erano i suoi veri
amici (alla fine anche lui l’aveva capito).
A loro aveva
consegnato il suo segreto.
Perché loro le
erano stati vicini dall’inizio (e lui li odiava per
questo).
E lei li amava.
“Mi hanno detto che sei malata”
Lei aveva alzato lo sguardo (era diversa).
E poi, inaspettatamente, aveva sorriso (e lui si era sentito leggero).
“Tubercolosi”
Le erano sempre
piaciuti i fiori.
Ma alla fine si
era aperta anche a lui (troppo tardi).
E lui glieli aveva
portati.
Bianchi ed in
mezzo una rosa rossa.
Li aveva posati (stavano bene sul marmo nero) e si era allontanato.
Le erano sempre
piaciuti i fiori.
Lui li avrebbe
detestati per sempre.
Note:
Piccola
Kiba/Hinata. Oddio dovrebbe esserlo, più o meno. Hinata è dannatamente strana
in questa storia, però mi piaceva inquadrarla così e così l’ho inquadrata.
Adoro il personaggio di Hinata, ha molte sfaccettature. Kiba è uno dei miei
personaggi preferiti e lo adoro assieme ad Hinata. Splendidi.
Ad
ogni modo spero che questa storia possa esservi piaciuta.
Un
bacio, skiblue.