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Autore: 26elena3    28/08/2012    1 recensioni
Ellen Castle è una ragazza simile a quelle della sua città Spokane, simpatica, una persona da film tranne per il fatto che è un po' riservata. Ma non è l'unica. Anche un suo nuovo compagno di classe, Peter, è riservato e custodisce segreti che non immagini neppure...
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO La campanella squillò come se volesse farmi capire che era iniziata la mia tortura personale. Non che la scuola non mi piacesse ma l’idea di stare con tutta quella gente mi terrorizzava. I miei piedi si mossero senza che glielo dicessi. Mogia, mogia mi sedetti al mio posto. Sola, come al solito. Non sono un tipo che ama la compagnia. - Vieni, accomodati vicino a Ellen ma attento: non è molto socievole. – Quelle parole riecheggiarono nella classe. All’ingresso c’era un ragazzo alto, castano con stampato in viso un timido sorriso. Forse cercava di fare amicizia essendo nuovo. Era chiuso, cupo e strano, fin troppo strano. Dopo il primo sorriso e il discorso del prof non si mosse dalla sedia, rigido e dritto come se qualcuno gli avesse messo una puntina nel sedere. Cosa che non mi avrebbe sorpreso vista la scarsa serietà fra i miei compagni di classe. Fra un po’ avrebbe spaccato la matita che stava rigirando tra le candide dita, ne ero sicura. Appena il suono più sgradevole iniziò a girare per le aule, si alzò e uscì dall’aula. A mensa mi sedetti vicino ai compagni a cui stavo simpatica. Lui entrò senza fare cenno ma guardandomi malissimo tanto che, se il pavimento non fosse stato di cemento, avrei scavato una buca e mi sarei sotterrata. Ma soltanto in quel breve attimo mi accorsi veramente di lui. Si muoveva con grazia e in modo fluido come un…puma. Non saprei fare una descrizione migliore. Se non l’avessi visto con i miei occhi non ci avrei mai creduto date le sue grandezze. Era parecchio alto, come minimo uno e ottanta, ma si vede questo non gli era d’impiccio. I suoi vestiti sobri e moderni non sfiguravano il viso pallido, antico e bianco come la porcellana. Gli occhi brillavano di vendetta , illuminati dalle luci chiare delle vecchie lampade al neon. Si sedette in un tavolo a disparte tutto solo. Avevamo una cosa in comune. E comunque non era un bel benvenuto per un nuovo arrivato. - Ells, ci sei? Ci fai? Sei connessa? – mi chiamò Selly preoccupata. Era una a cui andavo particolarmente a genio. Simpatica, carina…e vivace. Aveva i capelli sciolti neri che ricadevano perfettamente sulle spalle olivastre. Occhi blu oceano, profondi. Una ragazza che si poteva trovare un bel fidanzato nonostante la mancanza di forme se non fosse che era una patita dello shopping sfrenato. Dalla sua espressione capii di essere sovrappensiero. - Chi è il tipo nuovo? Quello in fondo alla mensa…. – chiesi, senza far capire il mio particolare interesse. Interesse subito notato dalla mia amica. - Boh, chi lo sa? – rispose invogliata. - Si chiama Peter. Il prof ha detto che viene da Milano, una città italiana. Fa inglese nella mia classe… - disse unendosi alla conversazione Ale. Tipico ragazzo vivace, sportivo, “colorato”, che ama parlare e divertirsi. Ultimamente mi stava un po’ troppo attaccato ma non preoccupatevi, fa così con tutti. Continuai a fissare lui pur avendo addosso il suo sguardo minaccioso. Davanti a se, in bella mostra, aveva una lattina e un trancio di pizza. Ma ,guardandolo, capii che non aveva intenzione di mangiare . - Perché non proviamo a scoprire chi è? Come una mini-avventura. Ognuno di noi raccoglie materiale, le informazioni che riesce a trovare e poi vediamo chi è questo Peter. – disse Selly. Senza accorgersi mi aveva… come dire… “aiutato”? Volevo capire chi fosse. In un certo senso mi attraeva come una calamita come i suoi occhi. Volevo capire che segno fosse. Positivo o negativo? Impossibile a dirsi. - Ellen, perché non andiamo in segreteria a vedere nell’archivio? Così riusciamo ad avere informazioni prima degli altri, eh? - chiese Selly sussurrandomi in un orecchio. A malapena sentii la sua voce ma l’idea era più che buona. L’ archivio era una sorta di magazzino situato in una stanzetta della segreteria. Tutti gli studenti erano obbligati, appena arrivati, a registrarsi con un profilo scolastico dove poi era segnato l’andamento e i voti. Obbligati a scrivere cognome, indirizzo, famiglia, numero di cellulare e altre cose molto importanti. Buon piano se non fosse che, se ci beccavano, venivamo sospese. E la sospensione vuol dire bocciatura. - Sembrerò Catwoman o Mission Impossible! Tuta nera e corpo da figa!!! – disse Selly. Dalla sua espressione capii che era felicissima dell’ idea che le era venuta e inconsapevole del guaio che potevamo fare. - Magari la tuta nera no, neh… - . Speravo in una fuga veloce, senza pena né morti. In poche parole, senza sospensioni. Ero già in punizione dentro quel mortorio di città. Spokane: piccola ma piena di persone, vicino a Greneng. Una madre che l’adora e un padre che la odia: tipico. Pochi apprezzavano quel mortorio di vita tra cui la mia insolita madre. - Durante la mensa, quando tutti sono in fila per il cosi detto pranzo. Ci stai? - . Un pranzo, in tutto il mondo, è considerato un pasto perlomeno decente e mangiabile. Il nostro pranzo scolastico era un insieme di colori dall’aspetto veramente poco invitante e il gusto era ancora peggio della presentazione. Meglio portarsi dietro un panino da casa. - Penso proprio che sia il momento migliore. – dissi con noncuranza. - Bene, perché… - . Il mio cervello perse il resto del discorso. Si spense del tutto, come una lampadina, ma il cuore no. Continuava a martellare nel mio petto. E gli occhi. Instancabili. Lo guardavano senza perdersi un solo movimento, gesto come una stupida ragazza non si perde un solo episodio della sua serie preferita. Ma la magia si ruppe appena il suo sguardo incontrò il mio e le dita della mia compare schioccarono davanti alla mia faccia stupita. - Ellen, sei assente oggi. Cos’hai? - . Con un gesto di indifferenza dissi – Niente… - . - Sarà… - disse Selly – ma secondo me, non me la racconti giusta. Il novellino ti piace - . - C-c-o-osa??!!?? No!! No no no a me non piace… - . Il resto della giornata andò come doveva andare. Avete presente la luce fioca delle candele? Io sono come una di loro. Passi vicino ad esse e la loro fiamma si affievolisce, non c’è nessuno e la loro luce arde bollente. In poche parole stando da sola ero me stessa. Presi la macchina e tornai a casa. Mio padre mi aspettava. - Com’è andata la scuola? - . - Bene – risposi. Da quando avevo dieci anni avevo capito da chi avevo preso la solitudine. A mio padre non gli fregava niente di come girava il mondo. Se fosse scoppiata una guerra vicino a casa, non se ne sarebbe accorto. A meno che non fosse una guerra tra giocatori di hockey. Amava stare da solo e guadare le partite su ghiaccio. - Tesoro, sei a casa? - . La voce dolce e mielosa di mia madre arrivò fino a me. Non risposi. Salii sulle ripide scale ed entrai in camera mia. Sbattei la porta e mi chiusi dentro me stessa. Lasciai liberi i miei pensieri, le mie paure e i miei problemi. Fasci di idee vagavano nella mia testa come fasci di luce. Vagano felici di essere stati liberati e ognuno di essi mi ricordava chi era. Tutti e diversi si libravano leggeri e offuscavano la parte della mia mente lucida. Uno particolare aleggiava nella mia testa incessantemente: il “suo” ricordo. Non c’è bisogno di dirvi chi era. Il suo viso pallido illuminato dalle luci chiare delle lampade al neon. Gli occhi illuminati e il suo sguardo. Spento e perso nei suoi ricordi. I capelli di bronzo, gli occhi neri e profondi. I lineamenti del suo viso, dolci ma decisi e un poco spigolosi. Non mangiai e andai direttamente sotto le coperte, sognando a occhi aperti. L’indomani ci avrei provato, avrei capito cosa pensava di me ma soprattutto chi fosse. Il mio catorcio di macchina, mogio come me, mi portò a scuola come al solito. Ale mi venne incontro ridendo. - Ah, che roba! Mancano solo due mesi alle vacanze estive e Selly ha già comprato il costume da bagno! Verde vomito! DA URLO! – urlò. Sembrava che avesse bevuto cinque caffè super concentrati di fila. E forse era anche la verità perché era agitatissimo. Dietro di lui ci stava venendo incontro Selly. - Non è verde vomito! È verde speranza! Speranza per il mare che forse non riuscirò neanche a vedere – ribattè. - Puoi sempre andare al fiume – disse Ale ridendo ancora. - Ma è congelato! –. - Appunto -. Lasciai i due e il loro battibecco alle spalle e mi incamminai verso l’edificio della scuola. Sapete chi incontrai? L’unica persona al mondo che in quel momento mi potesse far spuntare un sorriso sulle labbra fredde. Passò con la sua solita grazia. Il suo sguardo quella mattina era spento e non acceso di vendetta come il giorno precedente. Era pensieroso ma un leggero cenno di sorriso riaffiorava sul viso come se avesse appena terminato di fare una bella cosa. Era soddisfatto di se stesso. Soddisfatto di ciò che aveva fatto e di ciò che farà. Io invece non ero per niente soddisfatta ma lo sarei stata solo durante l’ora della mensa. Il suono più brutto della mia vita e della mia condanna mi avvertì che la scuola era appena iniziata. Avanzando piano piano superai i corridoi e d entrai in classe. Eccolo, seduto e fermo come una statua. La poca luce del pallido sole gli illuminava il viso. - Prego, signora Castle. Prenda posto, veloce – disse il prof di religione. Velocemente mi sedetti sulla sedia vicina a lui. Poi il professore continuò. – Oggi parleremo e discuteremo della propria religione e fede. Ognuno di voi adesso parli con il proprio compagno di banco e cercate di sapere il più possibile a proposito di questo argomento. Sappiate che non avete molto tempo e che la prossima settimana mi dovrete dire cosa avete scoperto. – disse convinto. Mi voltai lentamente verso il mio vicino. Mi stava guardando, cupo ma con una lieve punta di felicità. Mi persi nei suoi occhi neri, neri come il petrolio, magnetici. - Ciao, non ci siamo ancora presentati ufficialmente. Sono Peter Wenery, piacere. – disse. La sua voce era calda e potente, piena di sicurezza. - Ah.. mmm… io… io sono Ellen. Ellen Castle. – dissi in un sussurro. Non potevo credere di parlare con lui e quale migliore occasione di questa poteva capitarmi per la ricerca con Selly? - Lezione di biologia?- -Già - dissi – ma come mai hai il nome e cognome inglesi? Cioè… mi hanno detto che sei di…Milano, giusto?- - Giusto. I miei genitori ed io siamo stati lì due anni ma sono nato e cresciuto in America. Abitavamo nella città di Oklahoma City. – disse vagando nei ricordi. - Ah, allora… in cosa credi? – dissi. Spostai lo sguardo verso il prof. - Nel niente. Secondo me la vita è un lungo segmento, con due punti: uno l’inizio e uno la fine. Credo molto nel destino: non tutte le cose nascono per caso, ne tanto meno finiscono. Forse l’unica cosa in cui sono d’accordo con le altre religioni è che credo nell’esistenza di un paradiso e di un inferno. - . - Mi stai cercando di dire che appartieni ad una setta?- dissi, voltandomi verso di lui. Un lieve sorriso era comparso sulle sue labbra. Una setta… non mi sembrava il tipo. - Non una setta. Più una specie di propria fede. – disse – io e la mia famiglia pensiamo in un modo del tutto diverso dagli altri. Ognuno pensa ciò che vuole, no? - . - Si, si… io invece.. - . Mi guardava con occhi dolci come se volesse guardarmi nell’anima. - Tu invece? – disse aiutandomi. - Niente…ma dimmi com’è la tua famiglia? - . - Ci siamo io, i miei genitori e mio fratello minore. - . Una voce ruppe il nostro discorso. – Va bene, ragazzi. Ci vediamo la prossima lezione. Arrivederci. – disse il prof. Il suono sgradevole della campanella iniziò a girare per le aule. Con estrema calma si alzò e uscì dalla classe. Presi le mie cose e uscii anch’io. Lo seguii con lo sguardo e Peter si diresse verso un’altra classe. E il mio sogno sparì con lui. - ELLEN!!!! – urlò qualcuno alle mie spalle. Mi voltai. Selly aveva un sorriso gigante stampato in faccia e gli occhi luccicavano. - Un secondo… - dissi. Feci due passi verso l’aula di Peter ma la mia amica mi prese per un braccio e mi strattonò via. Mentalmente dissi “ NO! “ ma dovevo sapere i suoi dati pertanto non dissi niente. Mi feci trasportare per tutto il corridoio come un peso morto mentre gli occhi cercavano una sua traccia. - Vuoi aiutarmi si o no? – mi disse irritata la mia compare. Di colpo mi ero trovata per terra. - Si, ti aiuto ma tu aiutami ad alzarmi. – le risposi seccata. Si girò e mi vide stupita per terra. Mi diede una mano ad alzarmi. - Dobbiamo pensare in grande! Bisogna che ideiamo un piano perfetto… - e ricominciò il suo lungo discorso. Forse, sotto sotto, solo a lei importava di fare quella “ricerca”. Anch’io certo ma forse meno… - Ellen, la sai una cosa? – - No dimmi… - - Il pranzo non è il momento adatto. –
  
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