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Autore: Hacy    28/08/2012    2 recensioni
Quando scese dalla macchina rimase come pietrificata: non aveva mai visto una struttura così grande ed imponente, le faceva quasi paura. Aveva sempre vissuto in un bilocale con tre sorelle e una mamma completamente assente ed era abituata agli spazi piccoli, sapeva gestire il proprio cerchio ed amava trovare rifugio negli angolini più protetti. Questo non era assolutamente quello che si addiceva al suo stile di vita.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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If its just you and me trying to find the light?

Quando scese dalla macchina rimase come pietrificata: non aveva mai visto una struttura così grande e maestosa, le faceva quasi paura. Aveva sempre vissuto in un bilocale con tre sorelle e una mamma completamente assente ed era abituata agli spazi piccoli, sapeva gestire il proprio cerchio ed amava trovare rifugio negli angolini più protetti. Questo non era assolutamente quello che si addiceva al suo stile di vita. Un imponente cancello di ferro le si sbarrava davanti e quando lo vide aprirsi sussultò portando una mano al petto. Si guardò attorno e fece qualche passo avanti: pietrificata una seconda volta. Le borse le sfuggirono di mano e si piantarono con un bel tonfo ai lati delle sue gambe schiacciando un profumatissimo strato di erba verde ed umida. Ettari ed ettari di giardino si estendevano alla sua destra e alla sua sinistra e grandi alberi svettavano fieri tra panchine, fontanelle, tavolini e un grande gazebo candido. Si sentì mancare per qualche istante: era tutto troppo, troppo grande. «Agorafobica?» chiese una voce alle sue spalle. Si girò di scatto e annuì per poi squadrare il ragazzo che aveva di fronte un po confusa e con la testa che le girava. Si sedette di scatto per riprendere un po di fiato e lui d’istinto venne in avanti trattenendola per la vita. «Stai bene?» chiese preoccupato. Lei si guardò ancora attorno e poi si alzò farfugliando qualcosa di incomprensibile. Annuì accennando un sorriso per poi prendere le borse e pian piano incamminarsi verso l’entrata della sua nuova scuola.
Subito prima del portone c’erano una decina di scalini bianchissimi non troppo alti con un corrimano nero e lucidissimo esattamente a metà. Lasciò una borsa per poterlo sfiorare stupendosi della tiepidezza del metallo, segno che c’era passato qualcuno da pochissimo. Arrivata sul portone si girò e notò che il ragazzo di prima era sparito lasciandola sola in quell’enorme ammasso di mattoni e colori sgargianti. Sopra di lei poteva vedere un arco e leggere due parole incise nella pietra stessa: ‘Hoffman University’. Pensò subito che la scuola avesse un nome talmente scontato da sembrare ridicolo anche se in fin dei conti moltissimi college e università prendono il nome della città dove sorgono. Hoffman era una cittadina del Minnesota, piccola ma accogliente. Quella grande struttura un po disorientava. Si trovava ad un paio di chilometri fuori città, costruita nel XVI secolo su progetto di un architetto italiano e leggermente ristrutturata nel 1992, probabilmente l’anno in cui avevano aggiunto panchine e tutto il resto. Guardando bene la struttura si poteva riconoscere perfettamente lo stile rinascimentale: colonne alte, archi e tante finestre così da permettere alla luce di illuminare completamente gli spazi interni. Era a dir poco sovrumano per lei pensare che quell’opera d’arte così antica e ben fatta sia poi stata data in mano ad un architetto qualsiasi per essere ristrutturata anche se solo pochi particolari. Quelle panchine stonavano così tanto con l’idea di moderno e di essenziale che sembravano rubate dal parco pubblico.
Forse ciò che l’aveva spinta a fare domanda in quell’università era proprio l’eleganza della struttura, in un posto così dovevano studiare solo delle persone talmente colte da fare invidia al mondo. Ana possedeva un intelletto smisurato e amava fermarsi a pensare praticamente su tutto, non per caso aveva saputo riconoscere gli stili. Oltre a questo possedeva un talento naturale per l’arte: disegnare e dipingere erano i suoi hobby che voleva far diventare mestieri proprio uscendo da quel luogo, magari da grande avrebbe potuto insegnare arte proprio in scuole prestigiose come quella.
Mentre aspettava sulla soglia del portone gli altri sette nuovi studenti tornò a guardarsi intorno e dopo aver sceso gli scalini riuscì a riconoscere la vita che c’era in quel giardino. Fiumi di ragazzi erano sparsi tra i tavoli, sulle panchine e sugli alberi, stesi a terra e sotto il gazebo. Erano talmente tanti che faticava a pensare che ce ne fossero altri dentro. Si chiese come avesse fatto a non notarli prima anche se quando era arrivata avrebbe giurato il parco fosse completamente vuoto. Non poco distante riconobbe il ragazzo che aveva visto prima. Bruno, alto, occhi chiari: classico bello e impossibile dietro al quale strisciava tutta la scuola. Si rese conto che lo stava guardando e le sorrise sfoderando uno dei suoi sorrisi migliori e dopo qualche titubanza le si avvicinò di nuovo. «Tu sei una degli otto studenti nuovi giusto?» chiese appena le fu distante un paio di metri. Lei annuì e lui rise. «Scusami se ti offendo, ma tu sai parlare?» risero di gusto.
«Secondo te?» gli disse e fu lui ad annuire questa volta per poi passarsi una mano tra i capelli.
«Mi chiamo Ana, piacere di conoscerti.» esordì lei facendo qualche passo avanti tendendogli una mano che venne stretta poco dopo. Lo sconosciuto aveva le mani molto calde e.. morbide.
Lui fece per aprire la bocca ma fu bruscamente interrotto «Harry!» lo chiamarono i suoi amici che lo aspettavano ancora vicino quell’albero dove gli aveva lasciati. «Vuoi gentilmente venire qua o preferisci rimorchiare qualche ragazza appena arrivata?» disse uno squadrandola dalla testa ai piedi un paio di volte.
«S..si! Arrivo!» disse per poi sorriderle e baciarle delicatamente la mano prima di scappare via.
Rimase come pietrificata per la terza volta in un’ora, quella scuola non smetteva di stupirla e sperava non avrebbe smesso tanto preso visto quello che si aspettava.
Prima che potesse rendersene conto si ritrovò due ragazzi affianco che dopo aver sistemato le borse affianco le sue si guardavano attorno con la bocca aperta e gli occhi spalancati. Finalmente erano in tre gli ‘appena arrivati’, ne mancavano ancora cinque. Il primo dei due era molto alto, capelli lisci e grandi occhi azzurri mentre il secondo aveva gli occhi scuri e i capelli dello stesso colore e si alternavano ciocche lisce e ciocche poco ondulate. Iniziò a sperare ci fossero un paio di ragazze tra i ragazzi che dovevano ancora arrivare, non sarebbe sopravvissuta un giorno con compagni solamente maschi.
Si ritrovò a sorridergli e loro ricambiarono calorosamente dicendo poi di chiamarsi Louis il primo e Josh il secondo. Si scambiarono qualche informazione tipo la città d’origine, l’età e roba così per poi piombare di nuovo nel silenzio.
Louis, il primo veniva da New York mentre Josh da Denver ed entrambi, come lei, avevano 16 anni il che era ovvio visto che stavano per frequentare lo stesso anno.
A rompere quel silenzio durato relativamente non troppo ci fu il suono di una voce femminile che parlava al telefono con quella che sembrava essere sua madre date le frasi tipo ‘sto bene’ o ‘ok, lo farò’ o ancora ‘certo, sta tranquilla’. Appena Ana la vide le brillarono gli occhi: lunghi capelli neri, lisci ma sicuramente piastrati, occhi grandi e di ghiaccio: quel grigio così intenso la fece rabbrividire. Appena chiuse il telefono sorrise alle tre persone che si ritrovò di fronte e disse di chiamarsi Natasha ma che loro dovevamo assolutamente chiamarla Nat, 16 anni anche lei e Californiana su tutti gli aspetti.
Altro silenzio.
Gli altri quattro arrivarono stranamente insieme, due ragazze ed due ragazzi. Era ovvio che non si erano mai visti in vita loro perché anche se camminavano sulla stessa riga erano molto distanti l’uno dall’altro e non si guardavano neanche con la coda dell’occhio. Tutti e quattro tenevano gli occhi puntati su di loro e le sembrò la stessero squadrando dalla testa ai piedi più e più volte come se avessero davanti un alieno o una qualche strana specie animale. Appena furono vicini si sorrisero e si presentarono da persone educate quali erano. Eva, Claire, Liam e Niall: Boston, Filadelfia, Houston e Dublino. Dopo una manciata di secondi sentirono dei passi alle loro spalle, infatti poco dopo nove persone si presentarono di fronte a loro con dei grandi sorrisi. «Benvenuti alla Hoffman University of Arts.» disse la donna nel mezzo che sembrò la rettrice. «Sono la professoressa Marie Terry e sarò la vostra preside per i prossimi tre anni di studi..» iniziò cordiale ed educata. Narrò velocemente la storia della scuola, di come negli anni si era occupata principalmente di arti come la pittura e la recitazione ma che offriva comunque corsi canori e lezioni di strumenti musicali, da quanto tempo era alla guida di quel prestigioso istituto, di come venivano svolte tutti i giorni le lezioni e, parte più importante, cosa avrebbero dovuto fare subito dopo l’interessante discorso che stava abilmente esponendo. «I professori che vedete alla mia destra e alla mia sinistra vi scorteranno nelle vostre camere solo per posare i bagagli e successivamente dovrete seguirli fino l’aula magna dove l’intero corpo studentesco vi darà il benvenuto nella nostra scuola. A più tardi.» e detto questo si congedò.
Le si avvicinò un professore alto, molto magro e con una folta barba che lo rendeva affascinante.
«Devi essere Ariana Jonson, io sono il professor Brown, sarò il tuo insegnante di pittura.» disse sorridendo. La ragazza ricambiò e andò verso le sue borse e quando fece per prenderle il professore gliene sfilò di mano una iniziando a camminare davanti a lei per farle da guida.
Appena fece un passo dentro si sentì come svenire. L’atrio era di una grandezza spropositata e, come aveva intuito era talmente illuminato che i pavimenti e le pareti sembravano brillare. In fondo, una lunga e larga scala si fermava su un pianerottolo e poi continuava a ridosso della parete a destra ed a sinistra senza alcun tipo di muratura da una parte. Accanto a lei, da entrambi i lati, due file di colonne alte ed imponenti catturavano subito l’attenzione e tra una e l’altra svettavano grandi archi. Alle pareti erano appesi centinaia di dipinti ma quello esattamente di fronte a lei era forse il più grande e bello che avesse mai visto in tutta la sua vita. Una donna seduta all’amazzone su un cavallo candido dall’aria fiera: i particolari come i lunghi capelli rossi, quasi dello stesso colore dei suoi ed i grandi occhi color nocciola era ciò che la colpirono subito ma purtroppo non poté stare altro tempo ad ispezionarlo a causa del professore che la chiamava dalla scala sulla quale sarebbe dovuta passare cinque minuti prima.
«Avrai tre anni per ammirare le bellezze di quest’edificio.» spiegò sorridendo il professore per poi continuare a salire la rampa di scale. Arrivarono ad un corridoio molto lungo che si concludeva con una svolta a destra ma loro si fermarono alla terz’ultima stanza cioè la quindicesima o sedicesima contando dalle scale. Il cuore cominciò a batterle forte perché tra poco avrebbe visto il posto nel quale avrebbe vissuto, studiato e soprattutto costruito ricordi. Quando aprì la porta fece un passo avanti per poi farne due indietro barcollando. La stanza era quadrata, saranno stati 10m2. Si poteva perfettamente riconoscere la linea immaginaria che tagliava in due quella stanza che si trovata tra i due comodini ai quali si affiancavano i letti matrimoniali colmi di cuscini, le casse ai piedi di questi ultimi, i due armadi uno di fronte all’altro e le due scrivanie con le sedie. Era tutto perfettamente in ordine il che voleva dire che la sua compagna di stanza sarebbe stata un’altra degli otto appena arrivati e lei sperò subito si trattasse di Nat perché era quella che le aveva fatto l’impressione migliore. «Lascia i tuoi bagagli ai piedi delle casse, potrai sistemarli più tardi.» le spiegò l’uomo con voce calma e profonda ma che la spingeva a fare in fretta. Posati i grandi borsoni neri uscì dalla stanza chiudendo la porta e sempre dietro il professore ripercorse i suoi passi fino alla scala per andare in aula magna mentre ne sentì degli altri proprio alle sue spalle segno che la sua compagna di stanza stava per fare ingresso in quella che sarebbe stata casa loro per quelli che si prospettavano tre meravigliosi anni.


look here babes!
ok, questa non so da dove mi è uscita però devo ammettere che non la trovo una cattiva idea v.v
intanto ringrazio tanto tutti quelli che leggeranno e che recensiranno♥
poi vorrei ringraziare la mia amata giusy per tutto il supporto morale dato prima di pubblicare e il mio grande amore michi che è stata la prima a darmi un parere :3
spero che vi piaccia e che non la prendiate come la solita fan fiction perchè non l'ho pensata per questo.
vorrei aggiungere anche che il titolo è da una bellissma canzone di mat kearney -ships in the night- che mi ha passato giusy♥ grazie amore*c*
comunque, niente, al prossimo capitolo♥
kiss, frah.
  
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