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Un giorno di tempesta, seduta al tuo fianco mentre guardavamo le gocce di pioggia scivolare disperate sui vetri, mi chiedesti cosa fosse un sogno. Guardai fuori e t'indicai gli alberi piegati. “I sogni sono come il vento. Sono raffiche insaziabili che sradicano la ragione”.
Poi ti soffiai sulle labbra e ti sorrisi incauta. “Sono soffi che ti sfiorano, fragili e invisibili”. Chinasti la testa verso destra, incuriosita. “E com'è il tuo sogno?” Esitai.
"Il mio sogno?" Traballai.
Ho un sogno? Sì, il più indegno e necessario. Mi osservasti. Seguii le onde dei tuoi capelli biondi, fingendo di pensare. “Il mio sogno è avere un sogno degno di essere chiamato tale”. Quella volta sorridesti e io avrei voluto baciarti. Vorrei baciarti adesso ma non te lo dico. Scrivo e non sai che parlo di te.
Mi vergogno del mio sogno, ne voglio un altro.
Lei che legge queste righe, vuole forse fare cambio? Vuole scambiare il suo sogno con il mio?