Ammissioni
Passarono tre giorni prima che Larxene si decidesse
ad andare da Demyx per parlare. Preferiva dire così, che andava a “parlarci”
piuttosto che ammettere che andava a chiedere perdono. Anzi, che andavano a
chiedere perdono. Sì, perché, non sapendo di preciso come doveva fare, aveva
implorato Axel di accompagnarla e rimanere lì almeno per i primi venti minuti,
giusto per darle una mano se si trovava in difficoltà.
“E che è, il mio
ragazzo?” aveva provato a ribattere lui.
“No, ma io sono la tua
migliore amica, quindi me lo devi” gli aveva detto.
“Io non ti devo proprio
niente!” si era ribellato.
“Sì, invece! Dai, ti
prego! Farò tutto quello che vuoi se vieni con me, anche se l’esito della
discussione fosse negativo” promise. Il ragazzo la guardò
male.
“Tutto?” le domandò.
Lei annuì
“Qualsiasi cosa”
ripeté.
Così, adesso, erano entrambi sul pick up di Axel che
andavano da Demyx per chiarire la situazione. In realtà il rosso si sentiva
piuttosto a disagio ad andare dal ragazzo della sua migliore amica con lei per
farli riappacificare quando lui non era nemmeno in casa al momento della
discussione. La sua presenza lì era paragonabile a quella di un gatto dentro un
frigorifero, più o meno.
“Ecco, sta qui, nella
traversa sulla destra” lo istruì Larxene, indicando una stradina stretta
e piena di automobili parcheggiate. Lui si fermò prima di
entrare.
“Stai scherzando?” le
chiese.
“No,
perché?”
“Secondo te io rischio di
rovinare il mio pick up infilandomi in quella sottospecie di corridoio un po’
più largo?” domandò retorico.
“Cosa vorresti fare,
lasciarmi qui e parcheggiare lontano?”
Cinque minuti e cinquecento metri dopo, Axel chiuse
la macchina e si diresse verso il vicolo in cui Larxene gli aveva detto abitava
Demyx. Al numero nove, si era raccomandata.
“Ma tu guarda cosa mi tocca
fare per amicizia” si lamentò ad alta voce.
“Ehi, adesso parli da
solo?” lo prese in giro una voce dietro di lui. Si voltò di scatto,
sorpreso di vedere lì Roxas, e sorrise.
“Che ci fai tu qui?”
gli chiese. Era felice di vederlo, davvero, davvero
felice.
“Sono venuto a fare la
spesa con nonna e Sora” rispose, indicando le buste che aveva in
mano.
“Ah, in pratica fai la brava
massaia” rise il rosso.
“Disse quello che guarda
tramonti sulle colline come Heidi” gli fece il verso.
Si avvicinò a una macchina da cui spuntavano un paio
di gigantesche scarpe scure e passò i sacchetti all’interno, poi chiuse lo
sportello.
“Beh, li guardo solo quando
sono in buona compagnia, in realtà” confessò, facendogli l’occhiolino.
Roxas arrossì.
“Me l’immagino. Per cui
deduco che tu ci sia andato con qualcun altro negli ultimi tre giorni”
disse, guardandolo un po’ arrabbiato.
“Ehi, non sarai mica geloso,
vero?” lo prese in giro Axel. Lui distolse lo sguardo e evitò di
rispondere.
“La verità è che non mi sono
fatto sentire perché Larxene ha litigato con Demyx e non si parlano da quando io
sono tornato a casa dopo averti riportato a casa. Sono qui perché l’ho portata
da lui per chiarire la questione, ma ho dovuto parcheggiare in capo al mondo
dato che il biondino ha avuto la brillante idea di abitare in una strada che è
larga più o meno quanto l’ingresso di casa mia” spiegò, avvicinandosi a
lui.
L’avrebbe baciato, sul serio, se non fosse arrivata
sua nonna in quel momento, nascosta da due gigantesche buste della
spesa.
“Sora, Roxas, venite ad
aiutarmi, per faaaaaaah!” stava per scivolare con tutto ciò che aveva
comprato, ma Axel fu più veloce e riuscì a farle ritrovare l’equilibrio,
reggendo i sacchetti da sotto.
“Grazie!”
sussurrò, avvicinandosi alla macchina, sorretta dal rosso.
“Si figuri” rispose
lui. Nel sentire una voce che non era di nessuno dei due nipoti, si affacciò per
vedere chi fosse il gentile ragazzo che l’aveva aiutata.
“Ma lei è il signor
Flame” esclamò, sorpresa. Il ragazzo rise.
“Mi chiami solo Axel”
le disse, aprendole la portiera
dell’auto. Lei posò tutto quanto sul sedile posteriore, vicino a Sora, e poi lo
fissò sorridente.
“Grazie mille per
l’aiuto” ripeté.
“Non lo dica troppe volte,
non ho fatto niente di che” la rassicurò con un gesto della
mano.
“Sono seria, invece: se
non fosse stato per lei sarei caduta portandomi dietro chissà quanti soldi di
spesa. Mi ha salvata” disse con un tono quasi disperato. C’era qualche
problema di cui Roxas non gli aveva parlato?
“Non importa, io ho solo
mosso un passo” minimizzò. Scese un silenzio imbarazzato, nel quale il
biondino cercava di non parlare per evitare gaffe e la donna si teneva le mani
al petto, respirando affannata.
“Adesso vado, Larxene mi
aspetta per andare da Demyx. Ci vediamo” li salutò
voltandosi.
“Aspetti!” lo
fermò la nonna.
“Sì?”
“Senta, le va di venire a
cena da noi stasera? Preparerò la pizza e mi andrebbe di ringraziarla in qualche
modo, visto che è stato gentile prima con mio nipote e poi con me” gli
propose. Axel non se la sentì di rifiutare, nonostante Roxas gli facesse segno
di no da dietro le spalle della signora. Sarebbe stato
divertente.
“Sì, perché no? Molto
volentieri” accettò. Il ragazzino lo fissò, prima incredulo poi
arrabbiato, e gli fece il segno di strozzarlo con le mani senza essere visto da
nessuno.
“Allora ci vediamo dopo.
Chieda anche alla sua amica se vuole venire, vi aspettiamo” lo salutò,
salendo in macchina. Il rosso mimò al biondo con le labbra un “ci vediamo dopo, piccolo Roxy”, ma lui gli fece la
linguaccia, seguendo la nonna.
Quando partirono, lui si avviò verso casa di Demyx
per raggiungere Larxene.
“Sei solo un
bambino!”
“Io? Il bambino sarei
io? Sei tu che mi hai detto che non te ne frega niente di
me!”
“Queste parole non sono
mai uscite dalla mia bocca”
“Ma andiamo! Hai
esplicitamente detto che le mie cose per te non sono
importanti!”
“Solo alcune. Come i
fumetti o i videogiochi! Cosa vuoi che me ne freghi a me se il tuo eroe dei
manga è morto o se sei riuscito a superare un livello in uno stupidissimo gioco
per la playstation?”
“Ma sono cose che fanno
parte del mio essere così! Quindi se per te non sono importanti loro non lo sono
nemmeno io”
“Tu devi avere il cervello
di un cetriolo per fare questi discorsi”
“I cetrioli non hanno il
cervello!”
“Precisamente! Ma ti
ascolti quando parli?”
“Mi ascolto più di
quanto non faccia tu, tranquilla! E non mi dire che non ho capito perché mi fai
arrabbiare!”
“Tanto ora non lo sei,
vero? Stiamo litigando, se non te ne sei accorto, e tu stai facendo discorsi
senza senso”
“Senti da che
pulpito”
Axel trovò la porta aperta ed entrò senza chiedere il
permesso, sicuro di non sbagliarsi: fin dalla strada si sentivano le loro voci
arrabbiate gridare.
“Salve” salutò. I due
non parvero aver sentito niente.
“Cosa vorresti dire, che
io faccio discorsi senza senso?”
“Sì, brava, intendevo
dire proprio questo”
“Mi fai quasi ridere,
davvero. Ah-ah-ah, visto?”
“Smettila di fare la
prima donna e scendi dal piedistallo, baby”
“Scusa, cosa hai detto?
Ripetilo un po’ se ne hai il coraggio!”
Stavano urlando come due matti, e Axel provò a
inserirsi di nuovo.
“Ehilà, mi sentite?”
disse, e fu ignorato di nuovo.
“Sei una prima donna e
vuoi essere sempre al centro dell’attenzione. Egocentrica!” ripeté il
biondo. Infuriata, Larxene prese in mano un libro dal tavolo e lo tenne sopra la
sua testa.
“Demyx, non
sfidarmi!” lo minacciò.
“Non mi fai
paura!” la sfidò. Il rosso vide l’amica prendere la rincorsa con il
volume e cercò di mettersi in mezzo.
“FERMA!” gridò. Sentì
il colpo fendere l’aria, ma ormai era già a metà percorso e fu preso in piena
testa da un libro contenente ottomila canzoni diverse con annessi accordi.
L’ultima cosa che pensò fu che avrebbe dovuto farsi gli affari suoi, invece di
farsi convincere a dispensare favori idioti a delle persone
idiote.
“Axel? Mi senti?”
una voce femminile lo stava chiamando. Cercò di mettere a fuoco, ma non riusciva
nemmeno ad aprire gli occhi.
“Spero per te che non
sia morto, sennò uccido anche te”
“Ma no che no è morto! È
solo svenuto. Mi sa che ci sono andata troppo pesante con
quell’affare”
“Trovi?”
“Giuro che se non la
smettete di litigare vi prendo per il collo e vi butto giù dalla
finestra” furono le prime parole che il ragazzo riuscì a dire prima di
focalizzare la stanza attorno a sé.
“Axel! Dio mio, stai
bene!” esclamò Larxene, smettendo di passargli uno straccio bagnato sulla
testa.
“Più o meno” rispose,
aprendo del tutto gli occhi e mettendosi a sedere con un gemito. Si toccò la
ferita sulla sommità del capo e ritrasse subito la mano, sentendo bruciare
tutto.
“Non sanguina, vero?”
domandò preoccupato.
“No, no, hai solo un
gigantesco bernoccolo” lo tranquillizzò Demyx.
“Ah, allora tutto a
posto” ironizzò lui. Li guardò male entrambi.
“Mi spiegate che diavolo
stavate facendo? Sono entrato in casa con soli dieci minuti di ritardo rispetto
a lei e ho trovato la terza guerra mondiale, con annessi bombardamenti –che,
naturalmente, ho subito solo io- . Ma vi sembra un comportamento da persone
mature?” domandò. I due abbassarono gli occhi,
imbarazzati.
“Non è colpa mia”
esclamarono insieme.
“Ma guardatevi! Sembrate due
bambini che litigano per un giocattolo! Ma vi rendete conto?” li
sgridò.
“Se continuate così giuro
che picchio entrambi” minacciò. Rimasero zitti tutti e due per un minuto
buono.
“Mi dispiace”
disse Demyx.
“Anche a me”
affermò Larxene, imbarazzata.
“Eravamo venuti qui per
risolvere, non per peggiorare le cose. Io rimarrò qui a fare da arbitro, quindi
voi ora mettetevi a tavola e parlate da persone civili” ordinò,
alzandosi.
La stanza gli girò intorno per un secondo, poi riuscì
a stabilizzarsi e li prese per i gomiti, facendoli sedere con la forza su due
sedie.
“Iniziamo dalle
donne” annunciò.
“Che cosa? Perché?”
si ribellò Larxene. Lo sguardo di Axel non ammise repliche e lei abbassò lo
sguardo.
“Cosa devi dire al tuo
ragazzo?” le chiese come un padre che dice al figlio di scusarsi con la
vicina perché le ha rotto i fiori con una pallonata.
“Scusami” sussurrò
lei, arrossendo.
“Non ti abbiamo
sentita”
“Scusami! Va bene ora?
Sono stata un’idiota, perché non dovevo dirti quelle cose offensive, e mi
dispiace!” esclamò quasi gridando. Il rosso fece una faccia soddisfatta e
si avvicinò a Demyx.
“Tu, invece, devi dirle
qualcosa?” domandò. Lui scosse la testa, guadagnandosi un colpo sulla
nuca.
“Te lo chiedo ancora: hai
niente da dirle?”
“Non sono io che devo
dire qualcosa! È lei che mi ha offeso” fece presente. Altro
colpo.
“La smetti di
picchiarmi?” lo implorò, massaggiandosi la testa.
“No, finché non le dici che
ti dispiace e che la perdoni”
“Ma…” provò a
ribattere, ma Axel alzò di nuovo la mano e lui si bloccò.
“Va bene, d’accordo, lo
faccio. Larxene, scusa se sono fuggito via in quel modo brusco e sì, ti perdono
per quello che mi hai detto” declamò, tenendo d’occhio il braccio teso
del rosso.
“Davvero? Insomma,
torniamo… torniamo insieme?” chiese lei, speranzosa. Demyx vide nei suoi
occhi che era sincera e annuì.
Rimasero tutti in silenzio per un po’, poi i due
fidanzati si gettarono l’uno nelle braccia dell’altro.
“Amore!” “Tesoro!” esclamarono all’unisono, abbracciandosi e
baciandosi.
Axel uscì di casa lasciandoli soli prima di venire
preso da vomito convulso e si avviò verso la macchina.
Mentre camminava, si toccò il bernoccolo e
rabbrividì.
“E il problema è che non
posso nemmeno tornare a casa. Piccolo Roxy, aspettami”
disse.
“Perché sei così
agitato? È solo una cena!” chiese Sora al fratello. Il biondo non aveva
fatto che camminare su e giù per la stanza da quando erano rientrati, aspettando
con ansia e timore il momento in cui il rosso fosse
arrivato.
“Non mi fare domande a cui
non ti posso rispondere!” rispose, mordendosi un labbro. Il gemello
sbuffò e incrociò le braccia.
“Certo che sei proprio
uno stronzo” disse. Roxas si immobilizzò.
“Cosa?” domandò,
sperando di non aver sentito bene.
“Sei uno
stronzo!” ripeté Sora.
“Nonostante tu abbia
giurato e spergiurato fissandomi negli occhi che non mi avresti mai nascosto
niente, stai evitando di dirmi i tuoi segreti e questo mi fa arrabbiare”
spiegò.
“Ma non ti nascondo
nulla” provo a ribattere lui. Capì subito che non serviva a niente e che
mentire stava solo facendo soffrire il gemello, così respirò
profondamente.
“Ok, forse qualcosa che non
ti ho detto c’è, ma…” esitò un attimo, col cuore a mille. E se non
l’avesse accettato? Se si fosse schifato? Decise di rischiare nonostante
tutto.
“Promettimi che non mi
giudicherai male, ok?” implorò.
“Promesso”
rispose Sora.
“Va bene, ecco, il fatto è
che… insomma, Axel mi… Axel mi… mi…”
“Piace?” suggerì
il castano, incrociando le gambe sul letto. Lui annuì e si aspettò un commento
di disgusto o disprezzo, ma l’altro rimase zitto.
“Non… non dici
niente?”
“Che devo dire? Sto
aspettando che tu mi dica cosa mi nascondi” rispose. Roxas spalancò la
bocca, incredulo.
“Te l’ho detta!”
esclamò.
“Ah, davvero?
Probabilmente non ero attento. Ripetila”
“Mi piace
Axel!”
“Sì, questo l’avevo
capito da me, ora dimmi il segreto”
“Ma è
questo!”
“Cioè che sei innamorato
del porcospino? Oh, e io che pensavo chissà che”
“C-che significa? Tuo
fratello ti dice di essere gay e tu reagisci così?” si stupì il biondo.
L’altro alzò le spalle.
“E come dovrei reagire?
Sei una persona innamorata di un’altra persona. Non ci vedo il problema”
rispose. Poi ci ripensò.
“Aspetta, ma tu ti sei
fatto tanti problemi per dirmi una cosa del genere?” domandò incredulo.
Sentendosi un idiota, Roxas annuì arrossendo. Sora rise
forte.
“Ma non ce n’è bisogno!
Non vedo come mai vergognarsene! Solo perché siete due
maschi?”
“Beh…
sì!”
“E allora? Il mondo è
bello perché è vario, sei sempre mio fratello, mica cambia qualcosa!”
esclamò. Il biondo ci penso su un attimo e sorrise.
“Hai ragione. E io ti
voglio un sacco di bene!” disse abbracciandolo.
Passarono l’ora successiva parlando un po’ di tutto:
dall’amore allo skate, senza preoccuparsi di essere giudicato l’uno dall’altro.
Alle otto Axel arrivò con il suo pick up e scese,
vestito con una camicia bianca e un paio di pantaloni neri strappati sul
ginocchio.
Roxas si sentì felice come non mai e scese di corsa
per andare ad accoglierlo.