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Autore: Francesco4    29/08/2012    0 recensioni
AVVISO IMPORTANTE: questo racconto si pone come un proseguo della fanfiction
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jane osservava attentamente ogni parola che usciva dalla bocca della sua amica Scarlett mentre le raccontava lo strano sogno che aveva avuto la notte prima. Terminato il resoconto, “tu che ne pensi, Jane?” le chiese “cosa credi che significhi? Ti interessi di psicologia, ne capirai qualcosa, no?” “anche se ne capissi qualcosa, non sono comunque la persona più adatta a cui chiedere, non sarebbe meglio se tu andassi da un vero psicanalista? Per me non ha alcun senso, ma…” “sai meglio di chiunque altro che a me gli strizzacervelli non piacciono, non solo dovrei pagarlo, ma per prima cosa contatterebbe i miei genitori, e non voglio coinvolgerli in una faccenda così mia personale” la interruppe brusca; “da quanto tempo hai detto che hai questo sogno?” “ieri è stata la terza volta in cinque giorni” “uhm… facciamo così: per ora non ci pensiamo, lasciamo passare la mattinata e poi, uscite da scuola, andiamo in biblioteca a cercare qualche libro sull’interpretazione dei sogni, non è il massimo, ma almeno è qualcosa” “buona idea, visto che anche tu quando ti ci metti…” “guarda che di solito non sono le mie idee a cacciarci nei guai, Holmes” “su, non prendertela, Watson”, cercò di rabbonirla “ti ho detto mille volte che io mi chiamo Ericson; non è che solo perché tu hai il cognome che hai e io, ogni tanto, ti ho fatto da assistente puoi chiamarmi come ti pare!” la ragazza si voltò aggiustandosi gli occhiali sul naso “però Jane Watson suona bene, è quasi uguale all’originale, e con Scarlett Holmes è praticamente perfetto… acida!” mugugnò nel suo braccio destro. Jane, in realtà, era tutt’altro che irritata: si era comportata in quel modo solo perché sapeva che alla sua amica divertiva quel suo fare imbronciato, e lei stessa avrebbe ridacchiato di nascosto per il suo atteggiamento così immaturo, ma in quel momento si sentiva oppressa da una profonda inquietudine, ed era inevitabile, visto che il significato di quel sogno le era evidente, o almeno così le sembrava: dentro di sé Scarlett desiderava morire, ma, ovviamente, visto che di Scarlett Holmes si trattava, in un modo spettacolare, che rispecchiasse in qualche modo la sua vera natura. Jane tentò di volare con la sua fantasia, voleva immaginare cosa provasse Scarlett, ma subito rabbrividì al pensiero di ciò che attende, inevitabile, chiunque intraprenda un simile folle volo. Per tutta la mattina continuò a tormentarsi il labbro inferiore e la giuntura della stanghetta sinistra, cercando di comprendere che cosa mai potesse spingere la sua amica a desiderare di morire; era vero che Scarlett non era una ragazza di quelle che si dicono “popolari”, anzi tra i loro compagni di scuola molti la ritenevano quasi una pazza, ma questo non l’aveva mai infastidita, le faceva, invece, quasi piacere il fatto che quegli stupidi si fossero accorti “dell’originalità propria dei geni che mi contraddistingue da quella misera folla di persone qualunque”, come lei amava ripetere. No, Holmes amava troppo sé stessa per poter, anche solo lontanamente, concepire la propria morte o, peggio, il proprio suicidio. La campanella di fine lezioni pose un termine ai suoi pensieri. Le due ragazze, con ancora indosso la divisa scolastica, camminavano per le vie affollate di una Londra stranamente luminosa, chiacchierando del più e del meno e scambiandosi battute. “Scusa, Scarlett, ma, seriamente, potresti dirmi perché porti ancora il cappotto? Ormai è quasi maggio, non hai caldo?” “Tsk, Jane, si vede che non hai occhio per i dettagli: questo cappotto è uguale a quello di Sherlock, non te ne eri accorta?” “Ti ho già spiegato che non seguo quel telefilm e, comunque, dove avresti trovato?” “Su internet, ovviamente!” “Non credevo tu fossi il tipo di persona che si fa fregare in questo modo così sciocco, non oso neanche immaginare quanto tu abbia speso per questa imitazione” “vedi che manchi di intuito? È ovvio che non l’ho comprato su un sito per appassionati, semplicemente ho cercato in un sito di abbigliamento un capo che avesse le stesse caratteristiche. Ci ho speso delle ore, ma ne è valsa la pena, non me ne separerei neanche se morissi di caldo a tenerlo!” Jane non era poi così convinta della sua versione dei fatti “sarà, spero solo che tu non abbia comprato anche un cappello”, ovviamente le sue speranze erano infondate. Dopo alcuni minuti giunsero, finalmente, alla biblioteca; Jane conosceva alla perfezione la sezione dei libri di psicologia, con tutte le volte che ci era stata, perciò si poterono mettere subito alla ricerca. Era dal padre, il dottor Ericson, che la giovane aveva ereditato la sua grande passione per la scienza della mente umana: aveva cominciato a sfogliare i suoi libri già ai tempi delle elementari e, nel corso degli anni, aveva messo mano almeno una volta a ciascuno dei volumi riposti su quegli scaffali, e ne aveva letti almeno una cinquantina. Scarlett, a sua volta, era molto interessata a questo aspetto della sua amica: le sarebbe stata indubbiamente d’aiuto, nelle indagini future, un’assistente in grado di comprendere le dinamiche della mente umana. “Accidenti, non c’è, spero non l’abbiano preso in prestito” mormorò Jane mentre con le dita scorreva i dorsi ben allineati “eccoti!” esultò la ragazza “era stato spostato”. Reggendolo con entrambe le mani porse a Scarlett, in un modo che le parve un po’ troppo cerimonioso, un piccolo volume, sì e no seicento pagine, dalla copertina di un viola molto scuro in cui si intravedevano delle venature blu e nere, con il titolo stampato in lettere bianche “la comprensione del subconscio, vol. 2, i significati dei sogni” lesse ad alta voce. Si trattava di una sorta di dizionario, o enciclopedia, dei principali elementi ricorrenti nei sogni con le loro definizioni. Jane lo aveva letto almeno tre volte: non sarebbe stato accuratissimo, ma era la cosa migliore se Scarlett si ostinava a non farsi visitare da un professionista. Da sotto gli occhiali la giovane scrutava con attenzione le espressioni del volto della sua amica mentre sfogliava il volume. Dopo alcuni minuti Scarlett le espose l’interpretazione che l’autore indicava per le varie parti del suo sogno: “il desiderio di volare è qualcosa di atavico e connaturato a tutti gli esseri umani, la sua espressione manifesta una grande voglia di libertà, ma anche di insoddisfazione del quotidiano e dell’ordinario; il fallimento, e la conseguente morte, rappresentano un senso di profonda oppressione, dovuto principalmente alle persone con cui il soggetto viene in contatto; il fatto che la morte sia avvertita come un evento non spiacevole è indice o di una grande fede religiosa, o di una estrema sofferenza nella vita, la cui cessazione diventa un evento preferibile; i messaggi e le lettere lasciati a parenti e amici sono interpretati come un legame ancora forte col mondo, possono, tuttavia, costituire una delle cause della caduta; questo è quanto”. Forse un po’ più accurato, ma, nel complesso, identica all’interpretazione a cui Jane era arrivata in quelle tormentate ore di scuola: la sua amica si sentiva intrappolata, psicologicamente parlando, da persone mentalmente inadeguate alla sua originalità, un po’ come se un falco venisse cresciuto tra le galline; la mente di Scarlett si ribellava, quindi, all’ordinario, in un anelito di libertà che l’avrebbe portata all’autodistruzione. Ma c’era ancora una speranza, rappresentata dalle sue ultime lettere: finché lei non avesse smesso di pensare ai suoi cari avrebbe sempre potuto tornare indietro, anche se, per farlo, avrebbe dovuto vincere il proprio egoismo, il che non era cosa da poco. A ben pensarci, anche Sherlock Holmes aveva problemi simili che risolveva, per così dire, con l’oppio; Jane doveva forse temere che Scarlett iniziasse a drogarsi? In fondo anche quello era un modo per autodistruggersi. “Senti, non ci ho capito molto, però adesso devo proprio andare, altrimenti farò tardi per gli allenamenti di scherma. Ci vediamo!” Prima ancora che Jane potesse aprir bocca la ragazza era già sparita tra gli scaffali. Si lasciò andare su una delle sedie. Avrebbe dovuto aspettarselo: Scarlett non aveva preso per niente sul serio l’intera faccenda, probabilmente non era mai stata preoccupata, solo curiosa, come sempre. E se avesse avuto ragione? In fondo era solo un sogno e, per giunta, nemmeno il più strano che le avesse raccontato. C’era qualcosa, tuttavia, che turbava Jane, un presentimento, solo una sensazione. In ogni caso, per maggior sicurezza, trascrisse su un foglietto l’interpretazione che Scarlett aveva appena letto e lo infilò nel suo diario. “È vero, si è fatto tardi” pensò guardando il sole che già spariva dietro ai grattacieli. Prese una bicicletta per tornare a casa, il suono delle ruote la distoglieva dai suoi pensieri. “Sono a casa!” “hai fatto tardi” “scusa, mamma, ero in biblioteca con Scarlett e ho perso la cognizione del tempo; vado in camera a cambiarmi” “fai con comodo, la cena sarà pronta solo tra mezz’ora” “grazie”.la porta si chiuse alle sue spalle con un rumore secco; lasciò la cartella su una sedia lì accanto e si tolse la giacca e la cravatta, appoggiandole su un mobile a cassettoni; si abbandonò esausta sul letto, slacciandosi i primi bottoni della camicetta: le mancava ancora l’aria per la lunga pedalata. Rimase così, immobile per alcuni minuti, prima di accorgersi di stare ancora indossando le scarpe. Scacciò via la stanchezza con un paio di schiaffetti e si tirò in piedi. Si cambiò in fretta, facendo attenzione a riporre correttamente ogni indumento; avrebbe fatto la doccia dopo cena. Nella sua tenuta casalinga osservò compiaciuta il perfetto ordine della sua stanza, diametralmente opposta a quella di Scarlett; si era chiesta tante volte come facesse a vivere in quelle condizioni, ma in quel momento non si sentiva di porsi una simile domanda. Scese in salotto con in mano il libro di letteratura, si accoccolò in una poltrona e iniziò a sfogliarlo, in cerca di qualche brano che catturasse la sua attenzione. “L’importante è tenere la mente occupata” diceva tra sé e sé “tutto si sistemerà da sé, è inutile perderci il sonno”.
  
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