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Autore: Valerie Clark    29/08/2012    0 recensioni
Questa è la mia storia,o meglio la storia di cosa sono diventata.Forse scriverla qui è l'unica cosa che mi resta.Chiedo già scusa se ci sono errori;non ho avuto le palle di rileggere cosa avevo scritto.
'E ci sono questi occhi e ci sono io.
Sono brutta, poi bella e poi niente.
Niente è un aggettivo: io sono niente. Io valgo niente.
Quello che ero mi è stato portato via.'(capitolo5)
-Ogni capitolo ha il titolo di una strofa di 'Shake it out' dei Florence&the machine-
Genere: Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Cause looking for heaven, found the devil in me.
INSEGUIMENTO
 
Corri, corri, corri.
È stata tutta una corsa continua verso una meta che mi ero immaginata. Non esisteva, non poteva esistere. Non la raggiunge mai nessuno e io mi ero pensata che arrivavo io e ce la facevo.
E invece non ce l’ho fatta.
 
Corri, corri, corri.
Sto inseguendo me stessa alla fine.
Me stessa? Di quale ‘me stessa’ sto parlando? Di quella che non si arrende e continua a inseguire qualsiasi cosa o di quella che piange di nascosto?
Di quella che gridava ‘si va in scena’ o di quella che dietro la scena si nasconde e a teatro non ci mette neanche più piede? Di quella che i sogni li aveva o di quella che li sta lasciando spegnere? Di quella che aveva milioni di cose da dire o di quella che non ne vuole più sapere di parlare con la gente?
 
Corri, corri, corri.
Sempre a correre, a sperare che tutto migliori e invece non migliora niente.
Sempre a sperare che questa sia l’ultima volta e invece non è mai l’ultima volta.
 
Corri, corri, corri.
E se non corri muori. E se non corri che vivi a fare?
E mentre speravo che tutto migliorasse, siamo di nuovo caduti tutti in un burrone.
Ogni volta che perdi cadi, ho perso di nuovo. Ho perso qualcuno di nuovo.
E mi dispiace di non aver fatto abbastanza.
Sì, dopo tutto mi dispiace.
Mi dispiace, nonno.
Non è perché te ne sei andato, per quello figurati, beato te, è per chi resta che bisogna preoccuparsi, ma perché non mi hai nemmeno dato il tempo di pensare che potesse succedere.
Non l’hai dato a nessuno.
Ti odio un po’ per questo; ti ho sempre odiato in un certo senso. Mai convinto, mai sicuro, mai una volta che prendessi una posizione, mai una volta che non seguissi il miglior offerente. Mai una volta che avessi chiesto a tuo figlio, buttato sul divano con quegli occhi vuoti, cosa non andava. Mai. Mai una volta che ti fossi preoccupato di appoggiarlo, di aiutarlo quando ne aveva palesemente bisogno.
Per come ti conoscevo io, come te non avrei mai voluto esserlo, ma la tua generosità, quella sì che la vorrei.
Quella sì che l’ammiravo.
Amore senza riserve per chiunque, magari in modo sbagliato, ma per chiunque.
Io stavo male, nonno.
Forse avrei potuto dirtelo, ma in fondo come avrei potuto? Cosa abbiamo mai avuto da spartire noi?
Bene, te lo posso dire adesso, per quello che conta: io sto male, nonno.
E tu stavi bene.
E la notte in cui te ne sei andato io, per la prima notte dopo mesi, stavo ridendo.
In una notte in cui dal balconcino non si vedeva la luna, io ridevo.
Lo sapevo che qualcosa non andava, ma in me quella notte andava tutto bene.
Giusto qualche ora prima ci eravamo sentiti. ‘Mi raccomando, quest’anno divertitivi come quando viene lì nonno e fate le stesse cose, che tra qualche giorno vi raggiungo.’ E non ci hai più raggiunto.
E quelle cose non le abbiamo nemmeno fatte perché il tempo non ce l’hai dato; ma quella notte sì, io quella notte mi divertivo. Io quella notte la luna me la immaginavo e i problemi non c’erano.
E non c’eri più nemmeno te.
Mi dispiace, nonno, se ridevo mentre tu morivi.
Mi dispiace se ridevo mentre tuo figlio piangeva.
Mi dispiace se ridevo scacciando da me il pensiero che qualcosa stava succedendo a mille chilometri da me.
Mi dispiace se ridevo convincendomi che non poteva essere.
E soprattutto mi dispiace se quando me l’hanno detto non sono riuscita a piangere; piangevano tutti ed io no.
Te l’ho detto, nonno, io sto male: non sento più niente, non ci riesco più a piangere. Pensavo non avessi più niente da piangere, niente più lacrime, esaurite, e invece no; le lacrime ci sono, scendono da sole.
Guardavo la gente intorno a me che piangeva lacrime vere per una perdita troppo grande da essere sopportata e mi sentivo perfida perché io non ci riuscivo. Te lo dico subito, nonno, le mie lacrime non erano vere. Non perché non ti volessi bene, ma perché non sapevo cosa fare.
Bene te ne volevo, te ne voglio, certo, ma non ce la facevo.
Perdonami, ti prego, ma tanto per me tu non sei morto, lo sai.
Lo sai come la penso sulla morte: non c’è la morte. Non esiste. Una persona non può morire. Può andarsene, può sparire per sempre, può prendersela dio, può volare via, ma resta viva. Le idee di una persona, i suoi ricordi, sono sempre vivi in chi l’ama. Per me non è mai morto nessuno, mi si è solo riempito poco a poco il cuore del ricordo di tutti.
Tutti quelli che mi sono stati portati via, io me li ricordo. Sento il loro profumo e rivedo i loro visi. Sono qui.
Vorrei che lo pensasse chi intorno a me piange; vorrei che la smettesse di soffrire, fare funzioni e seppellire cadaveri; non è onorare questo. Siamo tutti qui, non piangere, siamo ancora tutti qui. Tu sei qui.
Mi dispiace che mio padre pianga. E non so cosa dire perché non gli ho mai detto niente su di te. Non avrei mai voluto allontanarmi da te, ma non ho mai condiviso come lo trattavi, anche se forse non ne avevo il diritto. Ma ti voglio bene, nonno, e non hai neanche idea del vuoto incolmabile che hai lasciato quella notte che io ridevo.
‘E’ il giorno della morte che da alla vita il suo valore’
 
Corri, corri, corri.
Ecco ora te l’ho detto, e posso ricominciare a correre.
Ora sai cosa sto provando e posso ricominciare a sperare che tutto migliori.
Ora posso ricominciare a cercare qualcosa di bello e ricominciare ad imbattermi in qualcosa di brutto.
 
   
 
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