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Autore: London27    29/08/2012    0 recensioni
[...Ma l'unica cosa certamente sicura è che tutti voi avete un inizio e una fine. Proprio come delle rette delimitate da due punti...]
E mentre tutto corre, tu rimani lì immobile a guardare la vita degli altri andare avanti. Leggi nei gesti e negli sguardi parole che non verranno mai dette e sorrisi forzati tra lacrime nascoste. E mentre sei lì a pensare, capisci che in realtà nulla scorre, che il tempo è solo un'invenzione umana, e tutti sono sempre stati fermi. [...] Chissà quante altre persone esistono al mondo che non incontreremo e conosceremo mai...ognuno con i propri dolori e felicità; con la propria solitudine.
Chissà quante altre solitudini esistono parallele alla nostra.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                         Lei

Avete mai provato la sensazione di vivere in un luogo troppo stretto per voi? Come se vi misuraste un paio di jeans della taglia sbagliata, che vi stringono forte in vita tanto da non farvi più respirare. Ecco, in questo periodo della mia esistenza io mi sentivo proprio così. Era tutto troppo piccolo. Sentivo la mia vita rinchiusa in una scatola, una scatola immensamente stretta che non mi lasciava respirare. La voglia di evadere, agitarmi e buttare giù le pareti, la gente che mi circonda, i volti delle persone, i negozi, le stesse strade, la mia casa, i miei amici. Ma "miei" di chi? Come puoi dire che una cosa è "tua" se non la senti tale? Come potevo definire la vita che stavo vivendo "mia", se non ero stata io a sceglierla. Ci si ritrova gettati in un quartiere, in una famiglia, in una scuola, senza aver avuto la possibilità di scegliere e ci viene ordinato di seguirli incondizionatamente senza saperne il motivo. Perchè, bello o brutto che sia, ci meritiamo questo? Ok, esageravo. Erano lo stress, i ritmi della "mia" vita che mi buttavano giù, talmente giù da non poter continuare. Nel mio caso, non riuscivo più ad andare avanti con il mio lavoro.
A volte la vita ti prende alla sprovvista e ti ritrovi immerso in situazioni spesso anche assurde. Nella mia carriera da giornalista scrivere era all'ordine del giorno e continuare a farlo nel mio tempo libero era diventata un'abitudine; non mi rimaneva che questo e ci mettevo tutta la passione che possedevo. Così fortunatamente, pubblicai il mio primo libro: "Brian O'Conner e i segreti di Letford Street"; inconsapevole che da quel momento la mia vita sarebbe cambiata radicalmente. Scrissi semplicemente perchè avevo voglia di raccontare una storia, di consolarmi con un mondo fantastico che potevo inventare io!
Visto che non possiamo scegliere per noi, che non possiamo scegliere dove nascere, chi conoscere, chi incontrare, se essere fortunati o meno, se preferire la vaniglia al cioccolato, se essere allergici alla mandorle o ai pistacchi, se piangere e soffrire oppure ridere e gioire, visto che non avevamo queste possibilità di scelta decisi di scrivere, per vedere cosa si provava ad essere come Dio, a dare e togliere la vita alle mie creature, ai miei personaggi; volevo guidarli io, scegliere la loro vita, essere l'artefice del loro destino. Volevo poter far fare loro quello che io non posso. Brian O'Conner, infatti, si imbatteva in una serie di eventi improbabili che io non avrei mai avuto la possibilità di vivere. Brian poteva evadere, fuggire dalla realtà, trovare un mondo assurdo dove l'impossibile diventava possibile e non esistevano barriere all'immaginazione, lui era il mio sfogo, la mia speranza, e mi portò fortuna più di quanto avessi potuto immaginare.
Il mio nome era Jane Julia Williams ma dopo la pubblicazione di questo mio primo, fortunato, libro divenni meglio conosciuta come la mamma di Brian O'Conner, il ragazzino padrone di un mondo fantastico scoperto accidentalmente dietro al muro di una strada. La storia di Brian affascinò molti bambini che volevano assolutamente conoscermi e parlarmi, mi chiedevano autografi, foto e volevano sempre farmi domande. Brian O'Conner mi fece diventare qualcosa che non avrei mai immaginato di poter essere. La mia fantasia aveva partorito un ragazzino esile dai capelli rossi che faceva sognare ad occhi aperti grandi e piccini. Volevano trovare tutti un mondo come quello di Brian. Ma i miei lettori desideravano particolarmente che io rispondessi ad una domanda specifica: "Brian riesce a tornare a casa alla fine?!"; una domanda che mi venne rivolta insistentemente e costantemente e che potrei definire la causa di tutti i miei pensieri che non mi fecero dormire intere notti. Ecco, gli ultimi capitoli del mio libro si concludevano con Brian imprigionato nel suo mondo fantastico e condannato a vivere lì per l'eternità. Con questo finale volevo esprimere la sensazione di vivere in una situazione di perenne benessere e divertimento eterno, un qualcosa di impossibile, come un "e vissero per sempre felici e contenti". Ma si poteva davvero vivere per sempre felici? A questa domanda, nel finale del mio libro, non ponevo soluzione. Brian perdeva ogni contatto con la realtà e diventava padrone di un universo magico e perfetto. Ma il distacco con quel mondo tanto sofferto, dove nessuno lo capiva e dove si sentiva sempre come un pesce fuor d'acqua, era pur sempre la sua realtà dalla quale lui era fuggito e dove si trovavano ancora la sua famiglia e i suoi amici che lo aspettavano ansiosi . Cosa doveva fare quindi? Vivere "per sempre felice" come un re, in quel mondo perfetto o tornare alla realtà dove era sempre vissuto per stare con i suoi cari? L'ultimo capitolo lasciava in sospeso questi sentimenti che vacillavano tra la malinconia e la gioia, il rimorso e l'euforia, e la percezione di un senso di colpa dovuto alla sua felicità. Ma si poteva, davvero, lo stesso essere felici vivendo con sensi di colpa? Non prevedevo, in seguito, una risoluzione di questi stati d'animo, di questa situazione, eppure i miei lettori la richiedevano incessantemente, tanto da farmi quasi impazzire. "Quando uscirà il suo prossimo libro?!" mi chiese un giornalista durante un'intervista "Non saprei, sinceramente non ho in programma nessun'altro progetto." "E Brian?" Queste domande mi spiazzavano. "Brian cosa?" avrei voluto rispondere. Brian era una storia conclusa per me, un libro finito, con il suo successo di cui, certamente, andavo fiera ma non avevo nessunissima intenzione di dare un seguito a quella storia. Allora rispondevo: "Brian? Bè vedremo...". Naturalmente questa risposta non soddisfaceva nessuno perchè la gente richiedeva certezze da me, che io ,però, non ero in grado di dare.
"Jane, dico, ma sei impazzita?!" urlò Thomas Pain, il mio manager, dopo aver letto la mia ultima intervista.
-"Come ti salta in mente di rispondere "bè vedremo" ad una domanda simile?!"
-"Perchè Thomas, cosa avrei dovuto rispondere? E' questa la verità. Per me Brian O'Conner è una storia conclusa e tu lo sai bene."
-"Jane, ascoltami bene: Brian ha fatto sognare migliaia di bambini che non aspettano altro di leggere il finale di questa storia, non puoi deludere così questi ragazzini sognanti!"
-"Ma Thomas, io ho già scritto il finale della storia!"
-"E dov'è?!"
-"E' quello che hanno letto tutti! E' l'ultimo capitolo, è quello il finale che volevo!"
- "Jane, hai dei lettori che adorano te e il tuo Brian, hai un pubblico, hai il successo in tasca e tu cosa fai? Gli chiudi le porte in faccia? Jj fallo per me, per il tuo manager che vuole vederti sempre all'apice delle classifiche; fallo per i tuoi lettori, per i bambini che hai fatto sognare fino ad ora! Fallo! E' la tua occasione, coglila! Scrivi per noi!"
-"Thomas, ma io non so cosa scrivere...non posso..."
-" Jane tu puoi! Inventa, scrivi! So che sarà un altro grande successo! E' tutto lì nella tua mente!"
L'insistenza di Thomas divenne stressante ed insostenibile, la mia mente si riempì di sensi di colpa verso i miei lettori che divennero sempre più esitanti.
Brian O'Conner doveva continuare. Dovevo scrivere un libro. E non sapevo da dove cominciare.
  
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