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Autore: Blackmoody    13/03/2007    9 recensioni
Imprecò di nuovo dentro di sé contro le nuvole che lo sovrastavano, rovesciandogli addosso la loro ira. E lui, a sua volta, covava una rabbia cieca contro di esse. Odiava la pioggia, quelle implacabili stille d’acqua che cadevano senza quasi far rumore. Erano piccole, leggere e letali, come proiettili. E il ragazzo le detestava con forza.
In una Tokyo "senza sole" – e forse senza speranza – s'intrecciano e scontrano quattro vite, quattro storie d'amore, morte e vendetta.
Enjoy the danger.
| incompiuta |
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Cho Hakkai, Genjo Sanzo Hoshi, Sha Gojio, Son Goku
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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The LOST

The LOST

Life Of  Sunsheltered Tokyo

 

 

 

 

 

 

1O . I Believe I Can Fly

 

 

 

Questo casto fuoco per il mio desiderio,

questa confusione per ansia d’equilibrio,

quest’innocente dolore di polvere nei miei occhi

solleverà l’angoscia d’un altro cuore

divorato dalle nebulose.

[Federigo Garcìa Lorca]

 

 

La neve cadeva lenta e fitta, quella sera. C’era un tale traffico, lungo le strade centrali di Tokyo, che Sanzo si trovò spesso bloccato in ingorghi impossibili, col rumore penetrante dei clacson che non faceva che aumentare il suo mal di testa e la sua irritazione. Niente omicidi quel pomeriggio, se non altro, ma aveva dovuto recarsi da un conoscente di Fujiwara per ritirare, da parte di quest’ultimo, documenti e una piccola valigia: aveva un paio di ipotesi riguardo al contenuto di essa, e non aveva voglia di accertarsene. Aveva guidato tutto il giorno, sotto la neve e il cielo biancastro, aveva sopportato le chiacchiere di un vecchio borioso, yakuza del peggior stampo, e il puzzo dei suoi sigari, e adesso era costretto pure a districarsi nel traffico prenatalizio.

La sua già labile pazienza era andata a farsi benedire. Aveva sempre trovato stupide le luci colorate e le vetrine straripanti di cose inutili in quel periodo dell’anno, persino quando era un bambino: il Natale gli piaceva, lo ricordava, solo se trascorso in casa, o all’aperto lontano dalla città, assieme a suo padre. Ora lo detestava soltanto.

Alla fine, ben più tardi di quanto avesse programmato, riuscì ad arrivare all’Hotel; dovette parcheggiare accanto al marciapiede, dato che il cortile laterale era completamente occupato, probabilmente a causa degli ospiti di Fujiwara giunti apposta per godersi i festeggiamenti, magari al Moon Indigo. Ebbe un inspiegabile moto di stizza, mentre sbatteva con forza lo sportello dell’auto e borbottava qualche accidente verso la neve e il freddo pungente.

- Buonasera, Hoshi-san. Tempo da lupi, eh? – lo salutò la sentinella di turno, amichevole.

- Fin troppo – ribattè Sanzo passandogli davanti senza fermarsi.

Si recò innanzitutto all’appartamento di Fujiwara con valigia e plico di documenti, e fu accolto con inusuale calore dall’uomo, il quale lo riempì di complimenti di fronte ad alcune persone, uomini e donne in abiti eleganti, che sedevano sulle poltrone del suo salotto. Il biondo immaginò si trattasse di altri amici e collaboratori, con le mogli.

- Perché non ti fermi con noi, Hoshi? Stavo giusto per far servire la cena – lo invitò Fujiwara.

Sanzo si ritrasse: - La ringrazio, ma preferirei andare a riposarmi, per adesso –

L’uomo rise: - Ti faccio lavorare troppo, vero? Almeno fai un salto al Moon Indigo, più tardi! – esclamò.

- Ci penserò su – promise il biondo senza grande impegno, e si congedò con un piccolo inchino formale.

La camera di Hakkai era vuota. Il moro, glielo aveva preannunciato, era uscito per incontrare il rosso ispettore Sha, con il pretesto che aveva da estorcergli nuove, preziose informazioni: ma se Sanzo conosceva l’amico, non aveva dubbi sul fatto che gli stesse nascondendo qualcosa. Da circa un mese a quella parte era più sereno e luminoso del solito, sorrideva in maniera spontanea e meno affettata. Si sentì ancora vagamente irritato, e forse persino invidioso di chissà cosa. Si rinchiuse in camera per un’ora buona, rimanendo steso sul letto a fissare i tendaggi sopra di sé, senza nemmeno rimuginare; poi si alzò, irrequieto, e se ne stette a fumare alla finestra guardando distratto i fiocchi di neve che cadevano sul giardino illuminato a festa e sulle persone che vi sostavano e transitavano, chiedendosi se era il caso di fare o meno un salto a quel maledetto locale.

Fu la sua mente a decidere per lui. Si sovvenne dell’ultima conversazione che aveva avuto con Goku, del loro incontro nella sala deserta al suono del pianoforte e della sua voce, rammentò gli occhi d’ambra ardente e il sorriso, e senza rendersene conto capì che voleva avere occasione di rivederlo. Si cambiò in fretta, indossando un paio di jeans e un maglione chiaro, mise in tasca accendino e pacchetto di Marlboro rosse e uscì della stanza prima che potessero venirgli dei ripensamenti a riguardo.

Era già piuttosto tardi: doveva essere stato in camera molto più di quanto credesse, poiché quando mise piede nella hall scorse entrambe le lancette del proprio orologio fermarsi sul dodici. Sbuffò, ed entrò comunque nell’ambiente fumoso, caldo, invitante e denso di musica e voci del Moon Indigo. Fece ben attenzione a evitare Fujiwara, Rossini e i loro tirapiedi, spinto da un’incredibile voglia di passare inosservato; ordinò un bicchiere di vino bianco e sedette ad un tavolo in penombra da cui poteva osservare tranquillamente il resto del locale. In pista c’erano solo donne, tra cui Sumire, la ragazza di Akira, e nemmeno tra i camerieri riuscì a scorgere una sagoma che somigliasse a quella di Goku. “Perché cavolo mi aspetto di vederlo?” si domandava con stizza. “Perché lo sto cercando?”

Quale che fosse la risposta, comunque, pareva che il suo insensato desiderio fosse destinato a non realizzarsi, considerato che del giovane non c’era traccia lì. Pertanto, Sanzo si trattenne al Moon Indigo giusto il tempo necessario di svuotare il calice e di salutare controvoglia una mezza dozzina di persone che conosceva.

Si scoprì estremamente sollevato, nel dirigersi verso la scalinata dell’ingresso per tornarsene in camera. Ma aveva mosso pochi passi lungo il corridoio illuminato con discrezione quando udì due voci innanzi a sé, scorgendone subito dopo i proprietari: uno era un uomo di mezz’età, che il biondo riconobbe come un compare di Rossini, palesemente sbronzo, e l’altro… era Goku. L’uomo aveva la mano sinistra posata sulla maniglia della porta che si trovava dietro di lui e la destra a stringere un braccio del ragazzo, che si divincolava protestando.

- La prego, Kozama-san, mi lasci andare! – gridava piano.

L’interpellato ridacchiò lascivo: - Guarda che ti pago bene, che ti credi! – sbottò.

- Le ripeto che il mio lavoro non è questo! – replicò Goku in tono a metà tra il duro e il disgustato.

- Ma se Jonathan mi ha detto di sì… eddai, comunque fa lo stesso… ti pago, non fare storie! -

Aveva aperto la porta e stava cercando di trascinarlo nella stanza. Sanzo si fece avanti.

- Per l’ultima volta, Kozama-san, mi lasci andare!! – esclamò ancora il ragazzo.

E visto che l’uomo non volle saperne di dargli ascolto, il biondo ritenne più che opportuno intervenire: si avvicinò veloce e gli sferrò un sonoro pugno in piena faccia, facendolo crollare miseramente a terra svenuto. L’alcol sapeva essere un ottimo alleato, niente da eccepire. Sotto lo sguardo stupito e sollevato di Goku trascinò Kazama fino al suo letto e ce lo lasciò cadere sopra con un gesto sprezzante:

- Domattina attribuirà il tutto alla sbornia. Non abbiamo di che preoccuparci – proferì – Ora andiamocene -

Goku annuì e lo seguì, sempre un po’ stranito, fuori dalla camera. Il cuore aveva preso a battergli con più forza del normale, com’era ormai abitudine che facesse quando c’era il biondo nei paraggi. L’aveva aiutato di nuovo. Ne era felice, più che felice, ma sentiva di dover dire qualcosa, sia per ringraziarlo sia per sapere il motivo per cui l’aveva fatto per l’ennesima volta. Avrebbe tanto voluto capire quali fossero i sentimenti di quell’uomo.

- Dove stiamo andando? – si azzardò a domandare mentre salivano le scale fianco a fianco.

- Ti sto accompagnando alla tua stanza. È bene che tu ci rimanga, stanotte -

Goku trovò la risposta vagamente deludente e non disse altro finchè non vi furono davanti. Si fermò ad una certa distanza dalla porta e si appoggiò al muro, stringendosi nella maglia nera che indossava, gli occhi quasi sognanti: Sanzo lo trovò pericolosamente adorabile, e stette zitto.

- Se continui ad aiutarmi non saprò più come sdebitarmi, lo sai? – disse alla fine il ragazzo sorridendo.

Il biondo scrollò le spalle: - Io non pretendo niente in cambio. Non ci pensare neanche –

Goku lo guardò: - Però voglio almeno ringraziarti – ribattè – Sei sempre nel posto giusto al momento giusto, quando mi trovo in queste situazioni, e ne sono felice. Grazie, davvero –

- Sei felice perché te ne tiro fuori? – indagò l’altro, inaspettatamente. Cosa voleva sentirgli dire?

- Certo! Ma soprattutto… beh, perché sei tu, Sanzo – rispose il ragazzo di getto. Cominciava a fare caldo.

Era questo, quello che voleva sentirsi dire. Non ebbe dubbi nemmeno un cinico come lui, nemmeno per un attimo, perché le parole di Goku gli avevano fatto nascere il piccolo, piccolissimo ed innegabile impulso di sorridere: ed era talmente tanto che non ne provava il desiderio! E il secondo desiderio, quello non così improvviso di prendere il ragazzo tra le braccia e portarlo via da lì, non era meno presente.

Ma si dominò e si limitò ad avanzare di qualche passo e a bloccare Goku al muro, ponendo entrambe le mani sopra la sua testa e guardandolo dritto negli occhi d’ambra ardente. Questi sussultò appena e non si mosse.

- Ascoltami bene – esordì Sanzo con una voce roca e vibrante che fece arrossire il giovane – Io non ti ho salvato da certe situazioni per avere la tua riconoscenza o per aiutarti. Non sono così interessato al prossimo -

S’interruppe, mentre l’altro aspettava e tratteneva il fiato. Il biondo fu colto dall’idea di non proseguire, di lasciar perdere e di non pronunciare la frase che avrebbe definitivamente dimostrato quel che realmente pensava, ma non era questo che voleva. Perciò si accostò un po’ di più a Goku, senza tuttavia sfiorarlo:

- Lo faccio perché vorrei che tu fossi mio, e mio soltanto – disse – Tutto qui -

Tutto qui. Nient’altro che la pura, semplice, stupida, bellissima verità che ormai ben conosceva. Non avrebbe parlato ancora: che fosse Goku a rispondergli, in qualunque modo e quando avesse inteso farlo.

E forse la risposta già gli si leggeva in volto, constatò Sanzo nel guardarlo di nuovo e nel notare che aveva le guance colorite, gli occhi lucidi e stupiti e le labbra socchiuse verso di lui, tanto che l’uomo dovette fare un notevole sforzo di volontà per allontanarsi senza prima catturarle tra le proprie. Ma avrebbe atteso una vera risposta.

- Va’ in camera, adesso – gli ingiunse in tono gradevolmente burbero.

Goku ebbe un leggero scatto, scuotendosi: - Ah! Sanzo… - balbettò.

Lui si avviò verso le scale, voltandosi un istante: - Buonanotte – tagliò corto, e prese a scendere i gradini dandogli sempre le spalle, ermetico e comunicando al tempo stesso un chiaro messaggio. Il ragazzo, con la mente ovattata e il viso in fiamme e il petto in tumulto, fece per aprire la porta della propria stanza ed entrarvi, ma si bloccò.

Non aveva detto nulla, non aveva lasciato capire niente di certo di quello che provava, della contentezza che gli aveva donato la frase di Sanzo. Era rimasto zitto e a bocca aperta come un cretino, e non aveva alcuna intenzione di concludere lì quella notte che sembrava – e che fu – così preziosa.

Sapeva qual era il messaggio che aveva immaginato di vedere sulla schiena del biondo che s’allontanava: Raggiungimi.

Non indugiò oltre. Richiuse di botto la porta e si precipitò giù per le scale, quasi correndo.

 

 

Era stato un completo stupido a limitarsi ad una specie di dichiarazione? Probabilmente sì, però se l’avesse preso senza essere certo dei sentimenti del ragazzo sarebbe stato alla stregua di Kazama, Rossini e degli altri idioti che lo consideravano una puttana o qualcosa di maledettamente simile. E lui non era uno stinco di santo, no, ma non si sarebbe mai sognato di comportarsi come loro. Soprattutto non con Goku, assolutamente.

Sbuffando con uno stizzito “tsk!”, Sanzo si sedette su uno sgabello imbottito accanto alla finestra, una Marlboro già in mano; nella stanza accanto tutto era silenzio, segnale che Hakkai avrebbe trascorso ancora una volta la notte fuori, e dal cielo ormai nero continuavano a cadere lievi le scaglie di neve. Si udivano pochissimi rumori.

Poi, un bussare discreto alla porta attrasse la sua attenzione, e il biondo si rialzò per andare ad aprire:

- Chi è? – domandò, pur sapendolo già.

- Sono io… posso entrare? – disse di rimando la voce imbarazzata di Goku.

L’uomo aprì uno spicchio di porta e s’affacciò nel corridoio, trovandosi davanti il ragazzo che lo guardava con un certo nervosismo e le mani nascoste dalle lunghe maniche della maglia: - Cosa vuoi? –

Goku gli puntò gli occhi negli occhi, deciso: - Risponderti – replicò.

- Non importa che tu lo faccia adesso – lo freddò Sanzo, più laconico di quel che in realtà si sentiva.

- Ma se conosco già la risposta da tanto tempo… da prima che tu me lo dicessi… perché dovrei aspettare? – incalzò il ragazzo, e aveva un tono così intenso che il biondo spalancò la porta lasciando che si avvicinasse alla soglia.

Goku continuò: - Dopo me ne tornerò di sopra, se lo desideri, ma prima… fammi parlare, Sanzo, ti prego –

Questi non protestò, ben lungi dal volerlo fermare adesso. Era il suo turno di attendere altre parole.

- Io… anch’io vorrei essere tuo, e tuo soltanto. Tuo soltanto – sorrise Goku – Lo vorrei davvero… -

La voce gli si ridusse ad un sussurro, e Sanzo tese una mano, afferrandogli un polso e tirandolo dentro la camera assieme a sé, per poi richiudere la porta e premurarsi di girare due volte la chiave nella toppa.

Il ragazzo si ritrovò così con le spalle appoggiate contro il legno e il respiro del biondo vicinissimo al suo, il calore inaspettato del suo corpo che iniziava a confonderlo, unito al profumo di tabacco e chissà quale fragranza:

- Ah… se non vuoi… non voglio che tu faccia questo… Sanz… - provò a dire in un soffio, controvoglia.

Sanzo gli circondò il volto con le dita fresche e chiare: - Sst. Ti ho lasciato parlare abbastanza, Goku -

Il giovane allora chiuse gli occhi, capendo con sollievo che il compagno desiderava la medesima cosa sua. Gli balenò per un attimo in mente il timore che l’uomo l’avrebbe tenuto con sé solo per quella notte e poi l’avrebbe lasciato andare una volta soddisfatta un istinto momentaneo, e che tutto sarebbe tornato come prima, o peggio; ma se anche era così, l’unica cosa che gl’importava era il presente.

Si abbandonò pertanto tra le braccia e alle labbra di Sanzo, schiudendogli la propria bocca con cieca e completa fiducia, e fremette. Quel primo bacio fu lento, lungo, assaporante, senza respiro, caldo, stordente, e meraviglioso: Goku si strinse alle spalle del biondo con spontaneità e quasi disperazione, e Sanzo di rimando lo serrò ancor di più contro il petto, allontanandosi pian piano dalla porta, continuando ad assaggiare la bocca e le labbra del ragazzo senza fretta.

Si separarono dopo istanti dilatati come giorni di sole e vento, il respiro accelerato e i sensi infiammati. Ripresero a baciarsi senza dire niente, ora profondamente, ora fugaci, le mani che si sfioravano e sfioravano la pelle al di sotto dei maglioni; Sanzo spostava le labbra da quelle brucianti di Goku al suo collo, a tratti mordendolo appena, cominciando a strappargli piccoli gemiti, e tornava alla sua bocca, ancora e ancora, perché era più inebriante di una droga. E lo teneva stretto, come se temesse di vederlo svanire da un momento all’altro, evaporare come pioggia.

Ma oltre i vetri un po’ appannati non pioveva più: cadevano indolenti i fiocchi bianchi, nello stesso silenzio denso e morbido che regnava nella stanza, denso e morbido al pari dei sospiri e del fruscìo delle stoffe su cui il biondo si adagiò, il ragazzo sotto di sé.

Fu bellissimo spogliarlo senza fretta, e lasciarsi spogliare da quelle mani esili e percorse da leggeri brividi, e sentire piano piano il contatto che, disarmante, aumentava tra i loro due corpi nudi e tiepidi, e vedere quegli occhi dorati fissarlo, liquidi e sorridenti, attraverso la frangia scura.

Non pensava più a Fujiwara, al Moon Indigo, alle pericolose assenze di Hakkai, a tutti i proiettili che aveva sprecato, al desiderio di vendetta che lo divorava. Non pensava a niente, e questo, per uno come lui, era un benevolo miracolo. O forse no: Goku era il miracolo.

Gli si abbandonava completamente, e al contempo gli donava un amore e un piacere che non avevano limiti. S’inarcava contro di lui ad ogni suo bacio, ogni sua carezza, ogni suo movimento, intrecciava le dita e le gambe con le sue, ansimava con dolcezza e gli cercava le labbra con le proprie, sempre così calde e piene, le guance arrossate e il respiro che gli tremava in gola. E lo sentiva, Sanzo, il battito forte del suo cuore.

Per lunghissimi minuti si rotolarono tra coperte e lenzuola bianche, non cessando mai di assaggiarsi, mentre le loro ombre unite danzavano sul muro nella poca luce e si accompagnavano alla neve che vorticava lenta contro il cielo nero di velluto. Velluto, come quelle sensazioni.

E dopo, dopo quei lunghissimi, eterni minuti, il biondo fu di nuovo sopra il giovane, e premette cauto con i fianchi contro i suoi fianchi, le mani che correvano su e giù sulle anche di Goku; e Goku, socchiudendo le palpebre, mordendosi appena il labbro inferiore, ancora gli si abbandonò, felice di farlo, e lasciò che Sanzo gli scivolasse dentro. Non fece caso al dolore, lo abbracciò soltanto, invocando il suo nome in un gemito mal trattenuto.

Si baciarono per l’ennesima volta, e quel sentire che li pervadeva divenne tanto forte da spazzar via le loro coscienze.

Le immagini si mescolarono, vorticando come i fiocchi chiari: la piccola lampada accesa in angolo, i riflessi vaghi sui vetri, il biancore di quel letto immenso, la porta nell’ombra lontana, e il soffitto a sovrastarli, il soffitto che Goku scorgeva dietro le spalle ampie di Sanzo.

I movimenti si fecero languidi, ondeggianti, incalzanti. Seguivano il ritmo dei loro sospiri e delle voci che a vicenda si chiamavano nel silenzio.

Poi ogni cosa parve esplodere, nelle loro menti già fluttuanti.

Fu come trovarsi davanti ad un grande mare luccicante sotto il sole, come essere avvolti in quella luce sotto un cielo che acceca.

Come esserci, in quel cielo straordinario. Perché fare l’amore con lui era…

Sì. Era come volare.

 

 

 

 

٭ Tenth Chapter Ends ٭

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice:

ebbene sì, anche questo capitolo è pronto. Vi ho fatto aspettare un po’, e ho scritto meno di quel che pensavo, ma come sempre il tempo è tiranno (e non lo dico tanto per dire, giuro @_@ <- sto per collassare) e ho fatto quel che ho potuto… spero che apprezzerete comunque!

Insomma, la scena 3x9 tanto attesa eccovela qui ^^ - ed era veramente un tot che non narravo di ‘sti due come protagonisti!

Non ho molto da dichiarare, circa questo capitolo, né molto da spiegare, ma voi fatemi sapere cosa ne pensate, as usual.

Dal prossimo cominceremo ad avviarci verso il climax della storia intera, perciò state pronte… ho in mente già tutto, e non vedo l’ora di metterlo per scritto *_*

(me, la donna che adoooora gli intrighi e l’azione *svah*)

E mo’, invece delle solite ||CC|| vi consiglio chiaro e tondo quali canzoni mettere in sottofondo per gustarvi il capitolo fino in fondo:

Live with me, Teardrop, Unfinished simpathy, Protection e Sly dei Massive Attack + Believe di Elton John + The dancer di PJ Harvey + The power of love dei Frankie Goes To Hollywood; e ovviamente, I believe i can fly di R Kelly, che dà anche il titolo al capitolo.

La citazione iniziale è tratta da una poesia di Federigo Garcìa Lorca che personalmente trovo stupenderrima.

Ah, dimenticavo! Come sempre, grazie mille a tutte! Continuate (e continuiamo) così :*

Ci sentiamo alla prossima! yours Blackmoody ~

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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