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Autore: London27    29/08/2012    0 recensioni
Nulla è eterno, eccetto l'amore.
[Il racconto di una storia d'amore legata simbolicamente ad un parco.]
Descrizione di un amore timido, forte e paziente.
-Recensite please-
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stesso posto,stessa ora,stessa panchina,stesso punto nel vuoto,lui era lì. Era lì e la aspettava,la aspettava come un cane aspetta il suo padrone davanti alla porta,come un bambino aspettala sua mamma davanti alla finestra dell’asilo,come un pescatore aspetta che la sua canna si muova,lui era lì ed aspettava. Costantemente alle undici e ventisette minuti della mattina lui entrava in quel parco,spostava la catena che lo teneva chiuso e si sedeva sempre sulla sua solita panchina verde,spostava un po’ le foglie secche o il polline bianco che vi si era posato sopra e si sedeva adagiato lì come fosse l’uomo più paziente del mondo e non leggeva,non guardava il cielo,gli alberi,i bambini giocare o le persone passare ma fissava costantemente un punto nel nulla,come una qualsiasi persona che si perde nei propri pensieri durante l’attesa di un qualcosa. Per ora di pranzo tornava a casa e si ripresentava solamente verso sera,per vedere il tramonto e richiudeva il parco. Solamente rare volte,si dice,che sia stato visto entrarci alcune notti d’estate per vedere le stelle. Nessuno sapeva il vero motivo di quegli orari,di quel parco,di quella panchina,di quello sguardo triste e nostalgico perso nel vuoto.
Era una mattina di maggio e come suo solito William usciva per portare a spasso il suo cane. Ogni mattina scendeva le numerose scale del suo palazzo e andava nel parco più vicino a casa sua per accontentare il suo fedele amico a quattro zampe. Verso le undici il parco era ancora quasi vuoto ma tutti i venerdì sull’unica panchina che avevano montato in quel prato,vi era una fanciulla con il suo solito libro,seduta a leggere. Ogni venerdì era lì ed era impossibile non notarla perché ogni volta sfoggiava un bizzarro cappello pieno di colori vivaci e fiori o spighe di grano raccolti. Molte volte,osservandola,veniva da sorridere,ma lei nella sua grazia e compostezza rimaneva perennemente immobile,fissa e concentrata sul suo libro che alla vista di tanta serietà non si poteva fare a meno che ammirarla solo in religioso silenzio. William l’aveva sempre ammirata a lungo da lontano e timido com’era non aveva mai avuto il coraggio di avvicinarsi a parlarle,anche se avrebbe tanto voluto. Tornato a casa,si accorse che non faceva che pensare a quella ragazza. Iniziava a chiedersi che libro stesse leggendo,perché sempre e costantemente a quella precisa ora andava lì per leggere,come mai indossava quei buffi cappelli e non sorrideva mai? Si accorse,anche che iniziò a mancargli,così decise di anticipare l’orario della passeggiata del suo cane,per vederla prima,ma lei non c’era,arrivava sempre più tardi. Talvolta,quando non la vedeva arrivare si allarmava,iniziava ad agitarsi,ad andare in ansia e a preoccuparsi per lei,come fosse la sua bambina. Ma con il tempo si accorse che quella graziosa fanciulla,si presentava ogni venerdì costantemente alle undici e ventisette precise,non un minuto di più,non un minuto di meno. E William imparò ad essere puntuale anche lui,come fosse un appuntamento programmato,si preparava i vestiti,coordinava colori e cravatte,spazzolava bene il suo cane e usciva di casa tutto pulito e profumante. Ma in realtà non osava neanche avvicinarglisi un minimo e lei sembrava non degnarlo neanche di una minima occhiata o un semplice sguardo,perché era troppo impegnata a leggere il suo preziosissimo libro. Lui iniziò a soffrire,a dipingerla nei suoi quadri,a scriverle poesie e parole che non sarebbe mai riuscito a dirgli,iniziò a piangere per la sua vergogna di non riuscirgli a parlare,di non reagire,ma aveva paura di rovinare tutto,di rovinare quella pace,quella armonia,di spaventarla,di non rivederla più e continuava a preferire immaginarla. Nella sua fantasia tutto era perfetto,lei continuava ad essere bellissima e parlare in modo docile e calmo,organizzavano viaggi,passeggiate,si consigliavano libri,e lei posava spontaneamente per i suoi ritratti. Immaginava più volte la sua voce e come fosse stato sentir pronunciare da lei il suo nome,iniziò a morire al solo pensiero di venir salutato da lei.
Un giorno decise di parlarne chiaramente al suo cane che era l’unico che poteva capirlo davvero. Iniziò a fare prove di quello che avrebbe dovuto dire alla ragazza e di come si sarebbe dovuto comportare. Così,quando decise che avrebbe trovato il coraggio e sarebbe andato lì vicino a lei a parlargli,la dolce fanciulla non si presentò. Lui pensò che fosse un segno del destino ma iniziò anche a preoccuparsi di che fine avesse fatto. Aspettò. Passarono giorni,settimane,ore e lui stava sempre peggio. Non dormiva la notte,si affacciava irripetute volte al parco,fissava la panchina,la aspettava,la attendeva in ansia, preoccupato. Iniziò ad essere rimangiato dal rimorso,dal fatto di non avergli parlato prima,di aver avuto tutto quel tempo e non aver fatto nulla,si accusò di essere stato uno stupido,uno sciocco,iniziò a pensare il peggio,di non poterla rivedere mai più,di aver perso tempo e giorni,di averla persa per sempre. Ricordava sofferente l’ultima volta che l’aveva vista e la immaginava ora tra le braccia di qualcun’ altro,caso mai vestita di bianco e sorridente come non l’aveva mai vista,come lui che con tutte le sue paure non sarebbe mai riuscito a farla sorridere e divertire in quel modo. Non riusciva più ad andare avanti,era diventata la sua ossessione,il suo rimorso più grande,che lo torturava il giorno,lo uccideva alle undici e ventisette nel parco e non lo faceva dormire la notte.
Quando decise di farla finita,tornò un’ultima volta nel parco e come un miracolo vivente la vide,lì seduta sulla sua solita panchina,con il suo solito libro e un nuovo cappello bizzarro in testa. Era come sempre,era bellissima e immobile come una statua greca,come in un sogno,come nei suoi sogni. Gli si riempirono gli occhi di lacrime,il cuore gli iniziò a battere velocemente e senza la paura che lei lo potesse sentire,non esitò un secondo ad andargli vicino,non avrebbe più sbagliato,avrebbe cancellato il rimorso,avrebbe tentato contro tutte le sue paure e orgoglioso si diresse verso di lei con occhi lucidi. Quando fu abbastanza vicino si fermò e aspettò che lei girasse lo sguardo e lo notasse e così fece. Per la prima volta i loro occhi si incrociarono e per William fu come morire,ma morire di gioia. Da quel momento lei avrebbe saputo dell’esistenza di lui e lui avrebbe scoperto del tono candido di voce di lei e il suo nome,sul quale aveva fantasticato più volte. Con voce tremante ma decisa gli chiese quale libro stesse leggendo e lei con entusiasmo gli rispose ed iniziarono a parlare,per la loro prima volta.
Era una mattina di maggio e come suo solito Demetra usciva per andare al parco vicino casa sua per leggere il suo libro preferito: cime tempestose. Verso le undici il parco era quasi vuoto ma lei tutti i venerdì si recava lì per stare un po’ in pace e sfogliare i suoi libri. Adorava indossare bizzarri cappelli per farsi notare dai passanti,alcuni di questi,osservandola,sorridevano e a lei faceva piacere essere notata e portare un po’ di spensieratezza e gioia. Si sedeva sempre sull’unica panchina presente in quel parco e passava tutta la mattinata lì a leggere. Con il tempo,iniziò a notare un ragazzo che tutti i giorni al suo solito orario portava il cane a passeggiare in quel parco. Era inevitabile notarlo perché erano gli unici due che frequentavano costantemente il parco a quell’ora. A Demetra poi piacevano tanto i cani e gli sarebbe piaciuto molto andare a parlare con il padrone e chiedere il nome del cane che portava a spasso ogni giorno. Così ogni giorno si ritrovava a pensare a lui e sopraffatta dall’imbarazzo e dalla vergogna rimaneva sempre seduta sulla panchina a fissare concentrata il suo libro. Iniziò ad avere paura anche solo ad alzare semplicemente lo sguardo,iniziò ad avere paura di incrociare i suoi occhi o il suo volto e tremava al solo pensiero che lui si potesse accorgere che lei lo stava osservando. Così preferiva rimanere concentrata sul suo libro nonostante sapesse che lui le era lì affianco a pochi metri. Decise di presentarsi al parco alle undici a ventisette,perché in quell’ora precisa sapeva di trovare sicuro quel ragazzo e che quindi lei non avrebbe dovuto alzare lo sguardo e distogliere l’attenzione dal suo libro e dare troppo nell’occhio,perché sapeva che lui era già lì. Anche solo il sapere della sua presenza la rendeva felice,talvolta gli pareva di sentirsi osservata,chissà forse da lui e il cuore accelerava il battito,ma subito scostava via quel pensiero dicendosi che era impossibile ed era solo la sua immaginazione. Tornata a casa non vedeva l’ora che il giorno passasse velocemente per ritornare al parco l’indomani e si lasciava inghiottire dai suoi pensieri,immaginandosi con lui. Sognava di presentarsi,di conoscerlo,di scambiarsi dei libri,dei pareri,di parlare,di passeggiare insieme a lui. Iniziò così a soffrire,a immaginarsi discorsi e parole che non sarebbe mai riuscita a dirgli,iniziò anche a piangere per la sua vergogna di non riuscire ad avvicinarsi a lui,di guardarlo,di sorridergli,perché aveva paura di spaventarlo,di non piacergli,di non rivederlo più,di rovinare tutto,di rovinare quella pace,quell’armonia e così continuava a preferirlo immaginare lì nella sua fantasia dove tutto era perfetto.
Un giorno però,un giorno così a caso,Demetra si ammalò gravemente. Non fece che tossire tutto il giorno,tutte le ore,a tutti i minuti,per intere settimane. Tossiva in continuazione,faceva fatica a respirare e non poteva alzarsi dal letto. Ma la sua principale preoccupazione era il non poter andare al parco. Soffrì più del dovuto,immaginava che lui avrebbe smesso di andare al parco,che il suo cane in realtà era di una zia e lui lo ebbe in affidamento solo per poche settimane. Iniziò a pensare il peggio. Immaginava la sua panchina vuota o occupata da qualche altra ragazza più coraggiosa e intraprendente di lei che forse avrebbe trovato il coraggio di sorridergli,avvicinarsi e parlargli. Lo immaginava con un’altra donna,che era capace di farlo sorridere come lei non sarebbe mai riuscita a fare,che lo rendeva felice e spensierato. Lo immaginava con una donna che sarebbe riuscita a stare con lui finché morte non li avrebbe separati,cosa che con lei sarebbe accaduta ben presto. Demetra era malata. Era malata d’amore e di cancro.
Ma non voleva rassegnarsi a quei suoi pensieri,non voleva morire senza rivederlo ancora un’ultima volta,anche se sarebbe stato peggio per tutti e due rivedersi e sperare in qualcosa che comunque non sarebbe durato,lei appena rimessa,anche se non ancora del tutto,non attese neanche un attimo  e si ripresentò di nuovo al parco piena di ansia,speranza e con il cuore che le batteva a mille. Aveva paura di non ritrovarlo,ma non fu così. Alle undici e ventisette precise lui arrivò,come sempre,come se nulla fosse cambiato e mentre lei incapace di alzare lo sguardo continuava a fissare il suo libro intensamente mentre il cuore le esplodeva in petto,qualcuno le si avvicinò. Non aveva visto chi,ma sapeva che era lui e quando alzò lo sguardo e lo vide fu come morire per lei. I loro occhi,i loro sguardi si incrociarono per la prima volta e lui le chiese la cosa che aveva sempre sognato sentirsi dire “Che libro sta leggendo,signorina?” e lei che aveva sempre sperato un giorno di dargli quella risposta,che anche se banalissima e insulsa si era sempre preparata,con entusiasmo rispose “Cime tempestose!”. Ed iniziarono a parlare per la prima volta.
Furono felici insieme. Lei posò per i suoi quadri e divenne la musa delle sue poesie,si scambiavano spesso consigli sulle letture,libri,pensieri e opinioni. Portavano insieme a spasso il cane e facevano lunghe passeggiate. Alle undici e ventisette,anche se non c’era più bisogno,loro uscivano insieme e andavano al parco. Scherzavano,ridevano e progettavano insieme viaggi e avventure. Progettarono anche un matrimonio e fu bellissimo. Affrontarono insieme gioie e dolori,momenti belli e difficili e lui fu pronto ad accettare la sua malattia. Vissero felicemente il tempo che gli era stato loro concesso. Furono attenti a stare lontani dai rimorsi,vivendo giorno per giorno senza perdersi niente. Si promisero tante cose,finché morte non li separi,e tutte furono mantenute.
Ma quel fatidico giorno giunse,come tutti sapevano e si aspettavano. Lei lo visse con gioia senza rimpianti e rimorsi,con il sorriso stampato sul viso.
Lui fu straziato da un dolore silenzioso che non concepiva nemmeno le lacrime,perché lei non avrebbe voluto.
Subito dopo il funerale,silenziosamente e pacatamente con tutta calma,andò a prendere tutti i soldi che aveva risparmiato e che aveva in banca, e andò al comune dove fece richiesta per comprarsi quel parco e averlo in affidamento. Davanti a tale somma,il sindaco non poté rifiutarsi e gli vendette il parco.
Subito il parco preso il nome di Demetra ed iniziò ad aprire ogni giorno alle undici e ventisette precise. Tolta la catena William si andava a sedere sulla panchina dove aveva conosciuto sua moglie. E ricordava. Ricordava tutti i giorni passati insieme,tutti i loro sorrisi e le emozioni che si erano riusciti a trasmettere,ricordava il loro primo incontro, la prima volta che si erano parlati e che i loro sguardi si erano incrociati.
Ogni giorno andava lì si sedeva ed aspettava. Aspettava di rivederla.
  
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