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Autore: herestous    29/08/2012    0 recensioni
You should let me love you, let me be the one to give you everything you want and need.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cory Monteith, Lea Michele, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si sentiva che quel giorno Cory non doveva lavorare. Si era svegliato alle 11:00, con il sole che filtrava dalle tende poco tirate, il caldo già forte, la città in pieno movimento. Non aveva progetti per la giornata: Mark era impegnato, Dianna era partita, Chris era a New York e il resto del cast sparpagliato in giro per gli Stati Uniti. Si ritrovava a Los Angeles, nel suo appartamento, circondato da tutte le ragazze con cui era stato a letto e… Lea. Dopo aver saputo che era fidanzata, aveva fatto in modo di evitarla il più possibile. Non riusciva a spiegarsi perché, ma di certo non gli dava fastidio il fatto che fosse fidanzata perché non poteva portarsela a letto. Non si sarebbe fermato neanche davanti a quello, se fosse stato solo quello. No, sapeva benissimo che c’era qualcos’altro, qualcosa che non conosceva e a cui non riusciva a dare un nome.
Si alzò dal letto con l’intento di fare colazione, ma il bip incessante sul suo iPhone lo fece innervosire. Afferrò con noncuranza il telefono, e aprì l’sms svogliato.
 
Ehi Cory! Vic è partita, perciò mi chiedevo se ti andava di fare un secondo giro turistico, a pranzo… Offro io, stavolta! Fammi sapere, L.”
 
Ebbe bisogno di chiudere e riaprire gli occhi per capire che non stava sognando. Stava davvero esagerando. Era semplicemente una conoscente, un’amica che gli chiedeva di vedersi per pranzo e girare ancora un po’ per Los angeles. Del resto, la città degli angeli era troppo grande per poterla visitare tutta.
 
Ehi! Va bene, passo a prenderti alle 12.30, ok?”
 
Attese la risposta, in silenzio. Era immobile, seduto sul suo letto, addosso solo i pantaloncini grigi del pigiama. Erano le 11.07, e aveva un’ora piene per prepararsi psicologicamente a quell’incontro. Si sentiva così stupido. Incontrava Lea tutti i giorni, per lavoro, e ora, in quella situazione, aveva il cuore a mille come fosse un primo appuntamento.
 
Ok, ti aspetto!”
 
Sorrise, e si alzò in piedi. Preparò un caffè veloce e lo bevve in un sorso, poi guardò l’orologio. Le 11:12. Aprì le finestre, sistemò la camera, si diresse nuovamente in cucina e bevve un sorso d’acqua. Le 11:20. Si chiese come era possibile che, nel momento in cui voleva che il tempo accelerasse, in realtà scorreva ancora più lento.
Optò per una doccia, per ammazzare il tempo, e quindi raggiunse il bagno, si spogliò e vi si infilò dentro. Lasciò scorrere il getto d’acqua tiepida sulla sua testa, in modo da bagnarsi i capelli, e poi sul suo corpo. Di certo avrebbe voluto che bastasse l’acqua per far scivolare tutti quei pensieri e farlo tornare il ragazzo che era prima.
Uscì dalla doccia che le erano le 11:52. Senza accorgersene aveva passato mezz’ora sotto l’acqua a pensare sempre all’unico punto fisso del momento: Lea Michele. Uscito dal bagno, si asciugò i capelli strofinandoli un paio di volte nell’asciugamano; poi, aprì l’armadio, afferrò i suoi jeans Levi’s corti, una maglia grigia con scollo a V e un paio di scarpe da ginnastica, per stare comodo. Era pronto, ma erano solo le 12:00. Casa di Lea distava solamente 15 minuti da casa sua, e stranamente, per la seconda volta consecutiva, era in anticipo. Si sedette sul divano in pelle del soggiorno, dopo aver socchiuso le finestre e tirato le tende del resto della casa. Era lì, che batteva il piede a terra nervoso, in attesa delle 12:15 per uscire da casa e raggiungere casa della ragazza che lo aspettava. Quando furono le 12:10, stanco di aspettare, Cory prese le chiavi dell’auto, chiuse la porta dell’appartamento dietro di sé e scese in garage per prendere l’auto e raggiungere Lea.
 

---

 
Anche quella volta Cory era arrivato in orario. Lea aveva imparato a conoscerlo attraverso le descrizioni degli altri, e c’era chi sottolineava il fatto che fosse ritardatario, chi quello che fosse un bel ragazzo. C’era però soprattutto chi diceva che fosse stronzo, un donnaiolo che le ragazze le trattava come pezzi di carta. Aveva cercato in tutti i modi di evitarlo, ma era pur sempre la sua co-star, e avevano dei ruoli troppo uniti per cercare di rimanere ognuno sulle sue. Eppure, quando l’aveva portata a cena, e poi invitata a colazione il mattino seguente, lei aveva visto tutto in lui, tranne cattiveria.
Non ebbe bisogno di scendere le scale, lo aspettava da almeno 20 minuti ferma sul divano, impaziente di vederlo. Uscì di casa velocemente, sfoderando un sorriso enorme, che fece sciogliere Cory, all’interno dell’auto. Non solo il suo viso, con quel sorriso, sembrava ancora più dolce di quanto già non fosse. Era splendida, in una maniera diversa dal solito.
 
“Ciao!” Disse entrando nella vettura e accavallando le gambe scoperte. Indossava una minigonna di jeans che le lasciava scoperta metà coscia, ed una camicia bianca, con i primi due bottoni non allacciati.
 
“Stavo pensando… Ti andrebbe di andare al mare?” Lea lo guardò negli occhi, sorpresa da quella proposta perché era esattamente la stessa cosa che voleva chiedere lei. Sorrise, e annuì.
 
“Mi sembra un ottima idea.” Disse abbassando il finestrino dell’auto. Cory imboccò l’autostrada, poi si diressero verso Santa Monica.
 

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“E’ stato il pranzo più pesante di tutta la storia!” Esclamò Lea, passando una mano sulla pancia che si era gonfiata un po’, dopo aver pranzato al ristorante. Cory scoppiò a ridere, le mani infilate nelle tasche dei jeans. Erano le 14:30, e non aveva intenzione di lasciarla andare almeno fino alla sera stessa. Camminarono a lungo, il vento che soffiava ancora leggero, i loro corpi che sembravano muoversi insieme. Raggiunsero un pezzo di spiaggia isolata; le onde si infrangevano contro i piccoli scogli sparsi qua e là. Lea rimase affascinata da quella visione, era difficile che a New York vedesse il mare. Erano due stili di vita completamente diversi.
 
“Venivo qui ogni volta, quando ero piccolo. Spesso mi ci portavano i miei, poi verso i 16 anni ho cominciato a venirci da solo.” Disse Cory, sedendosi sulla spiaggia e facendo poi cenno a Lea di fargli compagnia. La ragazza si sedette accanto a lui, portando le ginocchia al petto e stringendole poi tra le braccia. “Era il mio spazio, nel mondo. Solo mio.” Guardò il mare. Era visibile una certa malinconia nel suo sguardo, ma Lea decise di passare oltre, e di non fare domande. Sentiva che era giusto così.
 
“Quindi, sono l’unica che fa parte di questo spazio, oltre a te?” Disse lei ironicamente, sapendo che non era così. Ma il ragazzo la stupì ancora, annuendo con un piccolo sorriso stampato sul volto. “Oh.” Si guardarono negli occhi. Cory non potè fare a meno di notare quanto gli occhi di Lea fossero profondi, belli, e adatti a lei. Lea non potè fare a meno di pensare che Cory le sembrava fin troppo perfetto, lì, in quel momento, e che avrebbe voluto baciarlo, se solo avesse potuto. Il vento smosse i suoi capelli, coprendole il viso. Alzò la mano all’altezza del volto per spostarli, ma lui la precedette e con un gesto rapido ma delicato scansò i capelli che le coprivano gli occhi. Era bella, fin troppo bella, e voleva baciarla. Non gliene fregava niente se era fidanzata, magari anche sposata. Doveva baciarla. Sentiva quel desiderio dentro di sé, e non era per sfizio o qualsiasi altra cosa. Doveva farlo perché ne aveva bisogno. Con la mano ancora sui suoi capelli, prese il suo viso e la guardò a fondo negli occhi. Lea non si mosse, con il cuore che le batteva a mille. Sapeva che non doveva, che era sbagliato, ma in quel momento c’erano solo lui e lei e quel pezzo di mondo che adesso era solo loro. Cory avvicinò le labbra alle sue, cancellando improvvisamente la distanza che li separava. Cercò improvvisamente la lingua di Lea, e fu accontentato poco dopo quando finalmente le loro lingue si intrecciarono e sembrava non volessero più staccarsi. Quando finalmente si lasciarono, nessuno dei due ebbe il coraggio però di separare le labbra. Sebbene fosse solo una settimana, entrambi si sentivano come se avessero nascosto quel desiderio così troppo a lungo che ora ogni secondo, ogni gesto valeva oro e non volevano più staccarsi l’uno dall’altro. Solo dopo un po’ Lea staccò, alla fine, le labbra, a malincuore, e si rese conto di ciò che aveva fatto. Di ciò che avevano fatto.
 
“I-io… Io non -”
 
“Non puoi, lo so. Sei fidanzata.” Lei lo fissò, la bocca aperta.
 
“Come fai a saperlo?” Chiese poi, un misto di sentimenti dentro. La voglia di baciarlo ora si era trasformata in… Nemmeno lei sapeva cosa. Era un misto di stupore, rabbia, delusione, tristezza.
 
“Me… Me lo ha detto Dianna.” E ora riusciva a spiegarsi tanti comportamenti. Perché Cory l’avesse ignorata, perché Dianna fosse diventata all’improvviso così fredda.
 
“Non avresti dovuto baciarmi.” Esordì alla fine Lea, lo sguardo distante. “Non avrei dovuto lasciarmi andare.”
 
“Lea…”
 
“Voglio andare a casa.” La ragazza si alzò, e Cory sperò che per un attimo potesse tornare indietro e tenere la bocca chiusa. Poi si alzò, e cercò di avvicinarsi a Lea, che però camminò più distante. Avevano rovinato tutto.
Fecero ritorno alla macchina, entrarono, e Cory mise in moto per tornare a casa. Per tutto il tragitto, entrambi, in silenzio.

  
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