Anime & Manga > Vampire Knight
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Autore: Carlos Olivera    29/08/2012    2 recensioni
"Mi chiamo Eric Flyer.
Sono nato il dodici gennaio 1945 a Tokyo, in Giappone.
Io odio i vampiri.
Perché li odio? Perché sono dei mostri. Si ritengono un gradino al di sopra della catena evolutiva, ma per come la vedo io sono solo un vicolo ceco dell’evoluzione che prima sparirà, e meglio sarà per tutti.
Ma non è solo per questo.
Io odio i vampiri perché… anch’io sono come loro. Sono anch’io una creatura della notte."
Il cacciatore di vampiri Eric Flyer, vamprio egli stesso, arriva in Europa per indagare su alcuni efferati omicidi che convolgerebbero altri suoi simili.
Ma la verità è molto più complessa e spaventosa, e legata ad un'antica leggenda dimenticata: quella del leggendario vampiro Valopingius.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaien Cross, Kaname Kuran, Nuovo Personaggio, Seiren
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XII

 

 

Passò un altro giorno.

Non vi furono nuovi interrogatori.

Forse la direttrice sperava che Eric avrebbe finito per cedere, sottoposto ad un tale e totale isolamento, o forse temeva che non fosse in grado per ora di subirne ancora, imbottito com’era di psicofarmaci dei quali stava ancora smaltendo l’effetto.

La verità era che Vittoria non si sentiva per niente tranquilla.

Oltre al suo giovane attendente quasi omonimo, Ivanov si era portato dietro dalla Russia un vero esercito, oltre una ventina di guardie e cacciatori russi armati fino ai denti che ora pattugliavano e sorvegliavano l’edificio assieme alle guardie italiane. Le aveva giustificate dicendo che servivano per assicurare l’incolumità del direttore e dello stesso Flyer, una volta che fosse stato scarcerato per essere condotto in Russia, il che non era del tutto campato in aria visto quello di cui quel giovane vampiro era capace.

Non sapeva quali fossero le intenzioni di quell’uomo, ma non voleva correre il rischio di farsi cogliere in contropiede, così aveva preferito almeno per quel giorno tenere Eric chiuso in cella, sorvegliato a vista da uno dei suoi uomini migliori; sarebbe andata ad interrogarlo entro qualche ora, passata la mezzanotte, quando la sorveglianza fosse stata più stretta.

Anche l’inibitore non lo lasciava in pace, e in quelle condizioni non sarebbe stato capace di riottenere i suoi poteri per almeno altre ventiquattro ore.

Era una situazione quanto mai ironica.

Per tutta la vita aveva sognato di tornare ad essere un uomo, o quantomeno di assomigliarci il più possibile, e ora che ci era riuscito rimpiangeva quelle sue capacità di vampiro che altrimenti gli avrebbero permesso con un niente di andarsene da lì.

Ora sedeva da solo, impotente, cercando di ignorare quella richiesta di aiuto che come un suono impossibile da scacciare gli risuonava senza sosta nella testa, perché temeva che ascoltandolo avrebbe finito per impazzire.

Sentiva che Izumi era in pericolo, che lo stava chiamando, ma lui non poteva fare assolutamente nulla.

Aveva provato in ogni modo ad uscire da quella cella, ma non c’era stato niente da fare; per questo, cercava per quanto possibile di mantenere il controllo su sé stesso e recuperare le forze, nella speranza di riottenere quanto prima i suoi poteri e poter approfittare della prima occasione buona per tentare la fuga.

Fuori dalla sua cella, la guardia non staccava mai un momento dal suo lavoro, sorvegliando senza sosta quella piccola porta posta alla fine di un breve corridoio che più in là si congiungeva a T con quello principale.

Ad un certo punto, verso le ventitre, Ivan raggiunse la cella con passo deciso e sicuro di sé; aveva visto già due volte Eric in quegli ultimi due giorni, ma pur sapendo che dopo il tramonto scattava il coprifuoco, visto e considerato che inibitore o meno i vampiri diventavano più forti al calare del sole, chiese di poterlo incontrare nuovamente.

«Nessuno può entrare, mi dispiace.»

«È indispensabile che lo veda.» rispose pacatamente il giovane «Devo consegnargli i documenti per il suo trasferimento in Russia di domani mattina.»

«Gli ordini sono chiari. Il prigioniero non può ricevere visite fino all’alba».

A quel punto Ivan iniziò a perdere la pazienza, ed una strana luce si accese nei suoi occhi.

«Sono un Hunter di grado più alto della sede di Pietroburgo. E ti ordino di lasciarmi passare.»

«L’ordine proviene direttamente dalla signorina Gabrielli, direttrice della sede italiana. Questa sede. Io obbedisco solo a lei».

La guardia fece per mettere mano al manganello elettrico, in realtà solo a scopo intimidatorio, ma di colpo si udì un suono sordo, come uno schioppo leggero, e l’uomo sbarrò gli occhi, cadendo in avanti e rantolando sul pavimento bianco, che subito prese a colorarsi di rosso.

«Era meglio se mi lasciavi passare.» disse ironico Ivan prendendogli dalla tasca la tessera di riconoscimento.

Qualche attimo dopo Eric, ancora seduto sulla branda come fuori del mondo, sentì la serratura magnetica scattare, e la porta che si apriva con quel suo rumore sibilante.

«Ivan!?» disse vedendo comparire il suo amico tutto trafelato ed ansimante.

Poi, si avvide anche del corpo senza vita oltre l’uscio.

«Che è successo!?»

«Avevi ragione tu, Eric. C’è un complotto all’interno dell’associazione. E la mela marcia è proprio la Gabrielli

«Che cosa!?»

«Abbiamo trovato le prove. Quella sgualdrina ha complottato con Augusto Lorenzi per tutto questo tempo. Ha messo a tacere tutte le voci sui vampiri mutanti, e su richiesta di tuo nonno ti ha incastrato per l’omicidio di padre Caster per toglierti di mezzo.

Stava pianificando di ucciderti, spacciandolo poi come un suicidio. Per fortuna, siamo arrivati in tempo.»

«Non ci credo.» disse il ragazzo guardando in basso

«Ora non c’è tempo per questo. Dobbiamo andarcene. Il direttore si sta occupando della Gabrielli, ma presto ci saranno addosso.»

«Sì, d’accordo.» rispose Eric, che poi mostrò i suoi polsi ammanettati «Già che ci sei, non potresti anche fare qualcosa per queste?»

«Dopo. Ora l’importante è andarsene da qui».

Eric però esitò, continuando a fissare il pavimento.

Quasi non gli sembrava vero; aveva parlato con quella donna in più occasioni negli ultimi giorni, e anche se imbottito di farmaci e con i sensi assopiti non gli era parso di scorgere una simile bassezza nel suo animo; al contrario, semmai.

«Non temere.» disse Ivan dandogli una pacca sulla spalla e volgendosi verso l’uscita «Vedrai che una volta fuori di qui, sistemeremo tutta questa faccenda. Incastreremo tuo nonno, e daremo il benservito a Kaname Kuran».

A quel punto il giovane russo fece per avviarsi verso l’uscita, accorgendosi però quasi subito che Eric non si decideva a seguirlo, restando seduto sulla branda con gli occhi piantati sul pavimento.

«Allora, ti muovi? Presto ci saranno addosso! Non possiamo stare qui fino a domattina!».

Solo allora Eric si alzò, lentamente, ma non seguì Ivan; al contrario, quando alzò il capo lo fulminò con uno sguardo raggelante, provando insieme un misto rabbia, compatimento e rassegnazione.

«Io non ho mai fatto parola del coinvolgimento di Kuran».

Ivan sgranò gli occhi, spiazzato, e fiumi di sudore si materializzarono sulle sue tempie.

La bocca gli si spalancò di riflesso, e gli occhi per poco non gli uscirono dalle orbite.

«Come fai a sapere che Kaname Kuran è coinvolto? A parte il direttore Cross, nessuno a parte me sa di questo particolare».

Ormai era fatta.

Eric si aspettava che Ivan avrebbe tentato di dissimulare, o quantomeno di giustificarsi; a ben pensarci era possibile che in qualche modo lo fosse venuto a sapere.

Invece, il giovane russo infilò d’improvviso le mani dietro la schiena, prendendo fuori una pistola con silenziatore. Per fortuna Eric aveva i riflessi pronti, e come la vide comparire si gettò immediatamente addosso all’ex amico impedendogli di sparare.

Ne nacque uno scontro estenuante, reso ancor più violento dalla ristrettezza della cella, con i due avversari che si confrontavano in un infinito braccio di ferro.

Senza poteri e ancora ammanettato, Eric poteva usare solo un millesimo delle sue vere capacità, ma facendo appello alla sua conoscenza delle arti marziali riuscì a sfilare il caricatore dalla pistola e ad espellere il colpo in canna rendendola inutilizzabile, per poi allontanare l’aggressore con un calcio.

Per nulla domato, e ancora pieno di risorse, Ivan sfilò dalla tasca un coltello a serramanico, prendendo a sventolarlo minaccioso in faccia ad Eric.

«Avrei dovuto farlo tanto tempo fa.» disse ringhiando.

Il giovane russo tentò un paio di assalti, riuscendo anche a ferire leggermente Eric, ma quest’ultimo, pur ammanettato, riuscì comunque ad avere la meglio, proprio grazie alle manette; usandole come una morsa, riuscì ad imbrigliare il polso armato di Ivan, storcendoglielo e costringendolo a mollare il coltello.

Colto alla sprovvista, imprigionato e pazzo di dolore, Ivan riuscì a liberarsi sbattendo in faccia ad Eric il vassoio del pasto che il ragazzo aveva lasciato lì, e approfittando del momento si avventò sulla pistola abbandonata in terra, riuscendo ad rinfilare il caricatore; ancora una volta, però, Eric lo anticipò, e come Ivan si girò per sparargli lo centrò in pieno torace con il coltello a serramanico, lanciato con le precisione di un cecchino.

Ivan sgranò gli occhi, la pistola gli cadde di mano, e mentre il suo bel completo da distinto gentiluomo si colorava di sangue attorno alla ferita cadde esanime sul pavimento, morto.

Eric respirò profondamente, sia per la fatica e la concitazione dello scontro sia atterrito dal pensiero di aver appena ucciso quello che aveva sempre considerato uno dei suoi pochi amici.

Ma ora, quello che era fatto era fatto.

Tutto quello che poteva fare era andarsene di lì alla svelta, e raccolta la pistola di Ivan si avventurò fuori dalla cella.

In giro non si vedeva nessuno, almeno lì attorno.

Il suo primo pensiero fu di trovare Nagisa e assieme a lei andarsene alla svelta, ma poi un pensiero lo fulminò.

Non poteva lasciare lì Izanami. Quella spada poteva essere molto pericolosa se abbandonata a sé stessa, e comunque nel momento in cui l’aveva scelta come propria arma si era automaticamente assunto il compito di impedire che potesse finire nelle mani sbagliate.

Inoltre, era evidente che stava accadendo qualcosa di molto grosso.

Ivan era una persona influente, d’accordo, ma non fino al punto di riuscire ad esercitare un tale controllo sull’operato dell’Associazione.

Doveva esserci qualcun altro, qualcuno che lo aveva mandato ad ucciderlo, e che sicuramente si sarebbe accertato di far nuovamente scomparire le sue tracce per non essere scoperto.

In quel momento, Eric valutò una possibile soluzione.

Forse, fermare i piani di questo corrotto portandolo alla luce poteva essere l’unico modo per riuscire a discolparsi, dimostrando la propria innocenza.

Incastrare chi l’aveva incastrato.

Certo, non sarebbe stata un’impresa facile, senza i suoi poteri ed in un edificio traboccante di hunter e guardie.

Gli servivano armi.

Sicuramente c’era un’armeria, da qualche parte in quel palazzo; il problema era trovarla.

Il ragazzo esplorò cautamente tutto quel piano, facendo sempre attenzione a non farsi vedere da guardie o semplici addetti che popolavano le stanze e giravano per i corridoi. Non voleva correre il rischio di incontrare qualcuno, pur sapendo che probabilmente in quella torre non c’era nessuno in grado di nuocergli anche così, eventuali hunter professionisti a parte; la sua situazione era già abbastanza grave, e non era proprio il caso di rischiare altri fraintendimenti.

D’improvviso, giunto ad un corridoio a T, mentre era appiattito contro la parete scorse una guardia intenta a pattugliare la zona camminando avanti e indietro. Stava ancora pensando ad un metodo per tentare di aggirarla o distrarla, quando avvertì il colpo sordo di un corpo che cadeva, e subito dopo una sensazione di vera minaccia.

Non perse tempo a domandarsi chi fosse o cosa volesse, ma tratto un lungo respiro si gettò all’esterno pistola puntata, trovandosi però con la mano aperta di una delle ultime persone che si immaginava di vedere lì appoggiata alla gola.

«Tu!?» disse riconoscendo Seiren.

La ragazza lo guardò con quei suoi occhi glaciali, molto simili a quelli del suo padrone; alle sue spalle, la guardia, fortunatamente solo svenuta.

Eric si convinse che fosse la fine; se avesse potuto contare sui suoi poteri di vampiro Seiren non sarebbe stata una grossa minaccia per lui, ma così era improponibile pensare di batterla.

«Kuran ti ha mandato a finirmi?» ringhiò il ragazzo a denti stretti.

Lei socchiuse un momento gli occhi, poi finalmente parlò.

«L’armeria è al piano di sopra. Terza porta del corridoio B. Izanami invece è all’ultimo piano, nell’ufficio del direttore».

Eric rimase senza parole: perché lo stava aiutando?

Come se non bastasse, Seiren allontanò la mano dal suo collo, poggiandola sulle manette del ragazzo, che al semplice contatto andarono in pezzi.

«E Nagisa?» chiese Eric massaggiandosi i polsi

«Di lei mi occupo io. Tu sbrigati. Non ci metteranno molto ad accorgersi della tua fuga. E quando succederà, questo posto diventerà un inferno.»

«Chi mi dice che posso fidarmi?»

«Nessuno.» e detto questo la ragazza se ne andò scomparendo lungo il corridoio.

Eric non sapeva cosa pensare.

Prima Kaname e la sua servitrice fedele sembravano essere schierati con suo nonno, ora invece sembravano stare aiutando lui.

Cosa diavolo stava succedendo?

Ma in ogni caso, non c’era tempo per pensarci. Doveva muoversi.

E poi, non sapeva perché, sentiva di potersi fidare davvero.

Correndo, ma facendo sempre attenzione a non farsi scoprire, il ragazzo raggiunse le scale, salì al piano superiore e percorse il corridoio B, trovando la porta con su scritto armeria proprio lì dove Seiren gliel’aveva indicata.

A differenza degli altri uffici e zone protette l’armeria non aveva un tastierino numerico o un lettore di schede, ma solo una serie di pesanti e robuste serrature, oltre ad una serie impressionante di talismani magici anti-vampiro.

Ad Eric venne quasi da ridere; per una volta, l’avere la propria metà di Creatura della Notte momentaneamente sopita lo avrebbe aiutato, visto che come vampiro a quel posto non ci si sarebbe neppure potuto avvicinare.

Tutto quello che dovette fare fu sparare ad ogni singolo lucchetto e serratura, consumando il caricatore, ma riuscendo infine ad aprire la porta.

Dentro c’era un inesauribile ben di Dio: armi leggere e pesanti, sia bianche che da fuoco, paletti esplosivi pieni di polvere d’aglio, proiettili perforanti al nitrato d’argento, cartucce anti-vampiro da pistola, da arma d’assalto e da fucile di precisione, e infine persino alcuni lanciarazzi B-300 con munizioni perforanti.

«Accidenti, che arsenale.» osservò il ragazzo basito «Ma dove credono di essere, in Vietnam?».

Comunque, tutto quel bel di Dio gli sarebbe tornato comodo.

 

Alle venti e un minuto, come da previsione, il direttore Ivanov si presentò nell’ufficio della sua parigrado per reclamare il maltolto.

Si aspettava di trovare Vittoria seduta alla sua poltrona, pronta alla battaglia per strappare almeno qualche altra ora di tempo, invece quando entrò la vide in piedi, intenta a riattaccare il telefono. Accanto a lei, appoggiata sulla scrivania, Izanami, che non sentendosi sicura a lasciarla nell’armeria aveva ordinato di farla portare nel suo ufficio, dove sarebbe stata molto più al sicuro.

«Le ventiquattro ore sono passate.» esordì «Adesso, se non le dispiace, porterei Eric via con me. Erano i patti.»

«Direttore Ivanov.» disse Vittoria guardandolo in modo molto enigmatico, quasi sarcastico «Proprio lei cercavo.»

«Non me ne voglia a male, ma è la procedura. Non le ho fatte io le regole.»

«Quelle ufficiali no.» rispose beffarda la donna «Ma di sicuro ne ha fatte di sue.»

«Come, prego!?» disse incredulo il direttore

«Ho appena riattaccato al telefono con la sede centrale in Giappone. A loro non risulta che sia mai stata autorizzata la sua presenza qui. Al contrario, mi hanno informata che aveva fatto richiesta anche a loro di poter estradare l’hunter Flyer in Russia, ma che le sia stata rifiutata».

Ivanov strinse i pugni e digrignò i denti.

«Allora? Che cosa c’è sotto? Perché tutta questa fretta di mettere a tacere quel ragazzo?» poi, Vittoria gli lanciò un’occhiata di malevole complicità «Non sarà forse per quello che potrebbe raccontare?».

Di nuovo, il direttore rispose con il suo silenzio e guardando in basso, come a voler nascondere i suoi occhi.

Poi, all’improvviso, li rialzò, ed erano molto diversi.

«D’accordo. Quand’è così…» e senza dire altro sparò a Vittoria, che colta alla sprovvista prese in pieno il proiettile, fortunatamente ad un fianco, ma abbastanza per farla rantolare sulla moquette tenendosi la ferita e mugugnante per il dolore.

«Mi dispiace.» disse il direttore avvicinandosi alla sua scrivania «Non volevo che finisse così.»

«Ba… bastardo.» ringhiò la donna «Allora Eric aveva ragione. Sei tu… il traditore…»

«L’ho sempre detto che quel ragazzo era solo una fonte di problemi.» disse Ivanov mentre si infilava un’auricolare nell’orecchio «Se fosse dipeso da me, gli avrei tagliato la testa nel momento in cui è venuto a bussare alla porta dell’Associazione.» quindi si mise in contatto con i suoi uomini disseminati in tutto l’edificio «Procedete come stabilito».

Al comando del direttore, gli uomini che l’avevano seguito dalla Russia rivelarono le loro vere intenzioni, cogliendo alla sprovvista i loro compagni italiani e prendendo a scaricare su di loro fiumi di proiettili iniziando a farne strage.

Il piano era semplice.

Provocare una strage nella sede italiana ed uccidere nel contempo Eric, facendolo passare per il responsabile di tutto; un tentativo di fuga finito nel sangue. In questo modo si sarebbero ottenuti ben tre risultati utili: quella spina nel fianco morta, tutte le prove scomparse, e una patata a dir poco bollente per l’associazione, che per un bel po’ non avrebbe potuto portare avanti altre indagini.

Per rendere il tutto ancor più credibile, il direttore Ivanov, seguendo le disposizioni che venivano dalla sede della Fondazione Manovic, avrebbe applicato il Protocollo Armageddon, un piano messo appunto da ogni singola base dell’associazione nel mondo per prevenire eventuali minacce interne in caso di emergenza.

Ivanov si avvicinò quindi a Vittoria, che tentò vanamente di opporsi, strappandole la piccola chiave d’argento che aveva al collo ed infilandola in una minuscola serratura incastonata sul ripiano della sua scrivania, svelando la consolle accanto al computer che controllava i duecento e più ordigni disseminati in tutta la torre.

«Perché… fate questo?» chiese Vittoria a denti stetti

«È inevitabile, direttore. Guardiamo in faccia alla realtà.

Questa cosa succederà comunque. Lei non ha idea dei progressi che hanno fatto negli ultimi tre anni. E le intromissioni di quella scheggia impazzita li hanno solo spinti a lavorare con più determinazione e volontà di prima.

E quando il supervampiro che vanno cercando vedrà infine la luce, beh… molto meglio essere dalla parte giusta della barricata.

Perché le garantisco che contro quello che stanno preparando, non c’è niente che si possa usare per fermarlo.»

«Sei solo… uno schifoso codardo.»

«Sono un realista. Anche questo è un modo per garantire l’equilibrio. In cambio di qualche sacrificio, alcuni umani  saranno risparmiati.

Non le sembra un sacrifico accettabile?».

Poi, all’apparecchio del direttore giunse una comunicazione che non lo mise per niente di buonumore.

«Che cosa!?» urlò all’auricolare «È scappato!? Beh, comunque non ha importanza».

Detto questo, Ivanov azionò il timer della bomba, fissato sui cinque minuti.

«Fra trecento secondi, quel maledetto mezzosangue sarà comunque morto».

 

Nel mentre, alcuni piani più in basso, la sala di sorveglianza era già stata occupata da due uomini di Ivanov, che non trovando niente di meglio da fare stavano ammazzando il tempo sorseggiando delle lattine di birra trovate su di un tavolo, proprio accanto ai corpi senza vita della guardie che avevano appena ucciso.

Sui monitor, qualunque dei tanti si guardasse, correvano immagini da guerriglia, con i mercenari russi, perché di questo in realtà si trattava, intenti a fare strage delle guardie italiane; persino gli Hunter, che teoricamente avrebbero dovuto essere avversari più difficili, venivano inesorabilmente uccisi, travolti uno dopo l’altro, dalla differenza di numero, visto e considerato che il direttore aveva portato dalla Russia non venti, ma oltre duecento uomini, che ad un suo segnale erano sbucati dai camion merci dove si erano nascosti dando il via alla strage.

Era tutta gente altamente specializzata, che sui campi di battaglia ci era praticamente vissuta, e tra loro c’erano anche molti veterani russi dell’associazione, più alcune guardie della Fondazione Manovic e persino qualche vampiro.

D’un tratto, le due guardie avvertirono un rumore provenire da oltre la porta chiusa della stanza, cosa strana dal momento che in quel piano non doveva esservi più nessuno vivo.

«Chto eto bylo? (cosa è stato?)» domandò quello seduto alla poltrona del sorvegliante

«YA proveryu. (vado a controllare)» rispose l’altro, che mitra alla mano aprì la porta ed uscì.

Passò solo qualche secondo, e dall’esterno giunse un nuovo rumore, accompagnato da un rantolo di agonia.

La prima guardia fece a malapena in tempo a realizzare che il suo compagno era morto, quando la porta venne letteralmente sfondata, e un’ombra gli piombò addosso arrivando dall’alto.

«Synsuka! (figlio di una cagna!)» riuscì ad urlare prima di venire trafitto da parte a parte al collo e morire.

Seiren si scrollò di dosso il sangue quasi con stizza, quindi scostò il cadavere e prese ad armeggiare alla consolle, fino a che su uno dei monitor non comparve Nagisa, ancora seduta sulla branda della sua cella come ipnotizzata, o forse perché paralizzata dalla sua impotenza di fronte a quella situazione.

A quel punto Seiren spinse qualche tasto, e come per incanto Nagisa vide la porta della sua cella aprirsi lentamente davanti a lei.

«Ma cosa…» disse alzandosi in piedi

«Eric sta dirigendosi all’ultimo piano.» sentì dire di colpo dall’altoparlante della cella «Faresti meglio a raggiungerlo».

Nagisa non aveva mai sentito la voce di Seiren, quindi non la riconobbe, ma dando per buona l’informazione non si fece pregare e fece come le era stato detto.

Conclusi i propri obblighi Seiren prese il telefonino dalla tasca e compose un numero, continuando a pulirsi del sangue dei due mercenari mentre aspettava.

«Pronto?» disse una suadente voce dall’altro capo della linea

«Mio signore? Ho fatto come mi avete chiesto.»

«Li hai liberati entrambi?»

«Con lui non ce n’è stato bisogno.» rispose la ragazza sorridendo e con una punta di ironia

«Molto bene. Ora esci da lì. Le forze speciali in arrivo da Vienna saranno lì entro un’ora.»

«Come desiderate».

 

Uscendo dall’ascensore all’ultimo piano della torre non si incontrava altro che un lunghissimo e stretto corridoio, che esattamente al centro dell’edificio si divideva in due tronconi per fare spazio ad una enorme sala circolare con tanto di colonne, volta affrescata con immagini celestiali di angeli e divinità; sul fondo, dalla parte opposta, c’era la porta dell’ufficio del direttore.

Alcune guardie italiane che erano riuscite a rompere l’accerchiamento ai piani inferiori avevano tentato di raggiungere il loro direttore per accertarsi che stesse bene, ma giunti nel salone si erano trovati la strada sbarrata da trenta e più soldati nemici intenzionati ad impedire a chiunque di avvicinarsi all’ufficio.

Ne era nata una battaglia furiosa, nella quale però le guardie stavano avendo drammaticamente la peggio.

Non solo erano in inferiorità numerica, ma tra i loro avversari c’erano anche dei vampiri, per quando di livello medio-basso e senza alcun potere particolare; la maggior parte dei mercenari se ne stavano al riparo sul fondo della sala, protetti dalle colonne o dai pesanti scudi d’acciaio portati da alcuni di loro, altri erano riusciti a guadagnare terreno, abbastanza da poter insidiare seriamente i vicini con pallottole e granate.

Tra le guardie c’era anche il secondo in comando della sede italiana, Vincenzo Seravere, ma neanche la sua esperienza riusciva a permettere a lui e ai suoi uomini di uscire da quella specie di trappola mortale.

«Signore, sono scarico!» urlò d’improvviso uno dei suoi mostrando il suo fucile

«Comandante, se restiamo qui siamo carne da macello!»

«Maledizione, ma chi diavolo sono questi qui!?».

D’improvviso, come se non bastasse, alle loro spalle si udì il classico campanello dell’ascensore, quasi una sorta di gong che sancì una momentanea interruzione dello scontro; perché anche gli assalitori restarono un momento basiti, per non dire terrorizzati, nel veder comparire, mentre le porte si aprivano lentamente, un giovane sulla ventina, capelli neri come la notte, occhi blu che trasudavano fierezza, e con tante di quelle armi con sé da far spavento.

Vincenzo e i suoi restarono ugualmente attoniti, e quando il giovane, con spaventosa e quasi imbarazzante nonchalance, prese ad avanzare lentamente verso di loro, alcuni istintivamente alzarono i fucili verso di lui, ma fu il loro stesso superiore a dissuaderli.

«No, aspettate.» disse facendo loro segno di abbassare le armi.

Infatti, per qualche motivo, Vincenzo non riusciva a vedere quel ragazzo come una minaccia; si era convinto di questo fin dal momento in cui lo aveva arrestato, e qualcosa dentro di lui gli diceva che ora ne avrebbe avuto la conferma.

Eric lentamente oltrepassò la stremata linea difensiva delle guardie, facendo qualche passo all’interno del salone sotto gli occhi increduli dei mercenari, facendo ringhiare di rabbia e disapprovazione i pochi vampiri tra di loro.

Seguirono lunghissimi attimi di quiete assoluta.

Poi, d’improvviso, l’inferno.

Uno dei vampiri spiccò un altissimo salto piombando addosso ad Eric dall’alto, il ragazzo prima schivò, poi spezzò entrambe le gambe al vampiro e infine, quando era a terra, gli piantò un paletto dritto nel cuore, uccidendolo.

A quel punto, tutti i mercenari staccati dal gruppo iniziarono a sparare senza tregua, facendo piovere proiettili da ogni direzione.

Fulmineo, Eric rispose al fuoco, sfoderando prima una coppia di beretta, poi, quando queste furono scariche, un fucile d’assalto, tutti caricati con proiettili d’argento, facendo una strage sia tra gli umani che tra i vampiri.

I suoi avversari tentarono in ogni modo di metterlo sotto, ma lui, forte anche dell’appoggio di Seravere e dei suoi, riuscì ad avere ragione di tutti loro, fino a che non restarono solo quelli a presidio del corridoio che andava verso l’ufficio del direttore.

Era quasi una scena da inferno.

Eric in piedi al centro della stanza, attorniato da cadaveri, con l’aria satura di sangue e fumo di polvere da sparo, osservato con sgomento dai nemici rimanenti.

Questi però, erano ancora in numero considerevole, forti delle loro difese e corazzati all’inverosimile, oltre che armati di tutto punto.

Riuscire ad abbatterli rischiava di non essere una sfida da poco.

«Ne dvigatʹsya monstr!(Non ti muovere, mostro!)» urlò il loro comandante.

Eric, che capiva il russo, parve obbedire, gettando a terra il fucile ormai scarico.

Tutti gli altri soldati allora alzarono le armi, pronti a crivellarlo, ma all’improvviso, veloce come il fulmine, il giovane fece rotolare verso di loro alcune granate a gas, che immediatamente saturarono il salone con una fitta coltre maleodorante.

I mercenari, che tra le altre cose avevano dei caschi ermetici con respiratori, restarono immuni ai lacrimogeni, ma rimasero comunque accecati per alcuni secondi.

Poi, quando la coltre si dissolse, il loro capo si avvide che ora avevano un lanciarazzi puntato dritto su di loro.

Eric sorrise beffardo, quindi tirò il grilletto.

«Vot derʹmo! (Merda!)» fece in tempo ad urlare.

Il missile centrò in pieno il gruppo, producendo un’esplosione che fece tremare tutto il piano, facendo cadere per poco anche lo stesso Ivanov, ancora in piedi di fronte alla scrivania del direttore Gabrielli.

«Che cosa…» disse cercando di non cadere.

Qualche istante dopo, la porta si aprì lentamente, ed Eric si palesò davanti a lui con una spada medievale stretta tra le mani. A Vittorio e i suoi aveva detto di starne fuori, che ci avrebbe pensato lui, e di tornare ai piani inferiori, dove i loro compagni avevano sicuramente bisogno di aiuto.

Tuttavia, Ivanov non parve più di tanto sconvolto né preoccupato nel vederselo comparire davanti.

«Sei davvero una seccatura, ragazzo. Lasciatelo dire.»

«Avevo fiducia in te. Ti credevo un Hunter nobile e virtuoso.»

«Nobiltà e virtù sono solo parole. Quello che conta nel nostro mondo è solo restare vivi.»

«No. Quello che conta è preservare la pace tra umani e vampiri».

L’anziano direttore sorrise, quindi, sotto gli occhi di Eric e di Vittoria, ancora seduta in terra con la schiena al muro a tenersi la ferita, raccolse Izanami.

«A modo mio, è quello che sto cercando di fare.» disse accarezzandone l’impugnatura «Puoi credermi.»

«Sei una vergogna per l’Associazione.»

«No. La vera vergogna è aver accettato un bastardo mezzosangue come te.» e detto questo, il direttore sguainò la spada, dimostrando fin da subito una scioltezza ed una maestria quasi inusuali per la sua veneranda età.

Contemporaneamente, spinse alcuni pulsanti del computer, facendo comparire sul grande schermo piatto alle spalle della scrivania il timer del Protocollo Armageddon.

«Ti restano meno di due minuti, ragazzo. Ora farò quello che avrei dovuto fare molto tempo fa».

Eric sfoderò la spada a sua volta, e dopo un attimo di studio i due contendenti si corsero incontro.

Fu un duello estremamente acceso, ma fin da subito Eric si ritrovò in una situazione di svantaggio; senza i suoi poteri, e con Izanami come avversaria, non era per niente un’impresa facile, tanto più che Ivanov era un provetto spadaccino.

E intanto, i secondi correvano.

Vittoria cercò di trascinarsi fino alla poltrona per disattivare la bomba, ma come tentò di muoversi, la investì un dolore tale da farle credere che sarebbe sicuramente morta se ci avesse provato di nuovo, e l’ultima cosa che vide prima di perdere i sensi fu il timer che iniziava a scandire l’ultimo minuto di tempo.

Intanto, Ivanov si era portato in deciso vantaggio su Eric, ma ormai Izanami stava iniziando a reclamare il suo tributo; il direttore poteva pure essere un Hunter con secoli di esperienza alle spalle, ma restava pur sempre un essere umano, e agli esseri umani Izanami non toglieva solo il sangue, ma anche il raziocinio.

Gli occhi dell’anziano direttore iniziarono a colorarsi di rosso, ed il suo viso si mutò in una maschera di sadica follia omicida.

«È fantastico.» disse in un momento di quiete «Questa sensazione… questo potere… mai provato niente di simile!».

Sapendo di non avere più molto tempo, Eric si decise a chiudere la questione ora e subito, tanto più che in quelle condizioni Ivanov poteva essere meno pericoloso di quanto apparisse.

Ormai pazzo, il direttore menò un fendente che spezzò in due la spada di Eric come fosse stata di legno, ma il ragazzo girò su sé stesso, colpì violentemente il polso dell’uomo allentandone la presa, recuperò Izanami e, giratosi nuovamente, lanciò un potentissimo fendente verticale dall’alto verso il basso, senza apparentemente colpire Ivanov.

Questi, tuttavia, si immobilizzò, come folgorato, poi cadde in ginocchio, e dopo qualche secondo la sua faccia, ancora piegata in quella sadica espressione di follia, si staccò dal resto del corpo, recisa di netto assieme alla sua vita.

Nel frattempo, Eric aveva già iniziato la sua corsa disperata verso il timer, nel tentativo di fermare l’inevitabile. Ma ormai, i secondi rimasti erano meno di tre, insufficienti per poter raggiungere il dispositivo e premere l’arresto d’emergenza.

Eric si sentiva impotente, e anche se una parte di sé gli diceva che era inutile fece appello a tutti i suoi poteri, perché solo con quelli poteva sperare di fare qualcosa.

«No!» urlò con tutta la sua voce mentre il timer segnava 0.00.99

Un fuoco infernale parve accendersi dentro di lui, gli occhi divennero del colore del sangue, e un’onda d’urto si propagò per la stanza.

Lui divenne più veloce, il tempo più lento, e quando riuscì finalmente a spingere il bottone il timer era a 0.00.53

«Arresto di emergenza confermato.» disse la voce robotica dell’intelligenza artificiale «Protocollo Armageddon rientrato».

Eric tirò un sospiro di sollievo, guardandosi le mani e passandosele sul cuore; non si era ma sentito tanto felice di essere un vampiro, e di sentire quel potere scorrere dentro di lui.

Forse era vero, come gli aveva detto il direttore Cross, che forse un giorno avrebbe potuto trovare qualcosa di buono nella bestia che aveva dentro di sé.

Passata la tempesta, il ragazzo si chinò accanto al direttore Gabrelli, ancora svenuta, e toccatole l’addome con una mano sanificò istantaneamente la sua ferita, quindi la sollevò delicatamente ponendola su un divanetto accanto alla scrivania, dove la donna dopo qualche attimo si riprese.

«Non si agiti.» le disse vedendola che cercava di alzarsi «È ancora debole.»

«Il Protocollo Armageddon… la bomba…»

«È disattivata. Stia tranquilla. Il peggio è passato».

Vittoria guardò un momento in basso, come mortificata, compatendosi e vergognandosi per essere stata così prevenuta con quel ragazzo, ed essersi rifiutata di credere alla sua storia. Ma era troppo orgogliosa per ammetterlo.

«I miei uomini!?»

«È tutto sistemato.» rispose Eric dopo aver sentito via radio la notizia che anche gli altri mercenari in giro per il grattacielo, alla notizia della morte di Ivan e Ivanov si erano arresi «La maggior parte è sopravvissuta».

Non si erano salvati tutti, ma date le circostanze era già un miracolo che ne fossero sopravvissuti alcuni.

Eric si alzò in piedi, cercando di riprendere fiato, ma d’improvviso una nuova sensazione di minaccia gli illuminò la mente, e fulmineo si volse alle proprie spalle; Ivan era lì, miracolosamente vivo, con il coltello che Eric gli aveva lanciato ancora conficcato al centro del petto, e una nuova pistola puntata alla testa del suo vecchio amico, che colto alla sprovvista si ritrovò indifeso.

«Umeretʹ , ublyudok! (Muori, bastardo!)» urlò pazzo di follia.

Vi fu uno sparo.

Ma il colpo non partì dalla pistola di Ivan, che anzi dopo qualche attimo cadde morto in avanti, fulminato dietro la nuca.

«Nagisa.» disse Eric vedendo comparire la sua salvatrice

«State bene, mio signore?» domandò lei con la sua solita aria mite e quasi mortificata

«Sì, grazie a te».

Ma ora non c’era più tempo.

La notte era ancora giovane, e mettendosi in viaggio subito poteva raggiungere suo nonno prima che fosse finita.

«Aspetta.» disse Vittoria vedendolo che se ne andava «Dove stai andando?»

«È ora di chiudere i conti con mio nonno una volta per sempre.»

«Perché non aspetti? Quando avrò parlato con l’Associazione, potrebbero decidere di aiutarti.»

«Non mi rimane molto tempo. Inoltre, temo che una persona alla quale tengo sia in pericolo.

Però le sarei grato se facesse confluire quanto prima tutti i cacciatori possibili alla sede centrale della Fondazione Manovic in Croazia.»

«Farò il possibile.»

«D’accordo».

Eric a quel punto si avvicinò un momento al direttore e la guardò, facendola quasi arrossire, poi le sfilò dal taschino le chiavi della sua potente due posti.

«Se non le spiace, avrei bisogno della sua macchina. Niente di personale.» e detto questo si avviò nuovamente verso l’uscita

«Hunter Flyer!» disse invece Vittoria con tono di ordine.

Lui allora si volse a guardarla, e lei, scacciato il rossore, sorrise beffarda.

«La rivoglio.»

«Ci proverò.» rispose lui sorridendo a sua volta, per poi lasciare definitivamente la stanza assieme a Nagisa.

 

Izumi fu portata rapidamente al castello della fondazione Manovic, e qui subito posta sotto analisi da parte dell’equipe medico-scientifica del cavaliere.

Nonostante le affermazioni sensazionaliste e rassicuranti di Kilyan circa l’unicità di quella ragazza e del suo sangue occorrevano esami specifici per accertare la sua compatibilità con il progetto che Lorenzi aveva in mente, che per fortuna potevano essere svolti in poche ore.

Osservando il volto della ragazza, sedata e rinchiusa all’interno di una capsula medica, il cavaliere non riusciva a non pensare a sua figlia; somigliava davvero molto a Serena, all’epoca in cui era una giovane e testarda vampira erede del suo illustre casato. A quell’epoca Augusto l’amava alla follia, e in un certo senso nulla di tutto ciò sarebbe mai accaduto se, una volta tanto, non avesse dato retta come al solito alla sua maledetta ostinazione e alle sue fantasie da romantica sognatrice.

Nel momento in cui l’aveva persa, il vecchio Lorenzi, già vedovo da molti decenni, non aveva trovato altro rifugio che quel suo sogno di una nuova rinascita per i vampiri, che da allora, senza più affetti né una famiglia, era diventata la sua unica ragione di vita.

Forse, si disse, non era un caso che la sua strada si fosse incrociata con quella di suo nipote, anche se lui al destino non ci aveva mai creduto.

«Allora?» domandò al capo dell’equipe

«Questa ragazza possiede un sangue dal valore energetico incredibile.» commentò l’uomo seduto al suo computer «Non ho mai visto niente del genere. Il valore medio del sangue di un normale essere umano di buona costituzione e in buona salute si aggira attorno al 20% per litro; il sangue di questa ragazza invece ha un valore che supera il settanta.»

«In questo caso, passiamo alla sperimentazione pratica».

Ad Izumi venne prelevato un campione di sangue, alcune gocce del quale vennero lasciate cadere su di una coltura di cellule cerebrali di vampiro prelevate ad un Livello E da laboratorio; i corpi dei vampiri si vaporizzavano e si incenerivano istantaneamente al momento della morte, ma le parti del corpo espiantate in vita si conservavano più a lungo, e potevano essere preservate più facilmente.

Terminata questa procedura il dottore infilò l’occhio nel microscopio; a livello organico, il sangue portava le cellule cerebrali ad una momentanea iperattività, il che era anche la causa dell’euforia che colpiva alcuni vampiri nell’atto di alimentarsi, ma anche con il contatto diretto tra il sangue e le cellule normalmente servivano ben più di quelle poche gocce per ottenere una reazione significativa.

E invece, come le molecole di sangue riuscirono a farsi strada nella soluzione alla formalina, la coltura di neuroni si accese come un albero di natale, producendo una reazione elettrica e generando attività.

Ma non era ancora finita.

«Non ci posso credere!» disse sconvolto il dottore «I neuroni… si stanno riproducendo!»

«Che cosa!?» esclamò il cavaliere gettandolo letteralmente via «Ma questo è impossibile. I neuroni non si possono riprodurre.»

«Invece, sta succedendo.» disse il dottore sedendosi nuovamente al computer «Non mi spiego ancora come sia possibile, ma il sangue di questa ragazza è talmente puro da aver stimolato una mitosi spontanea nelle cellule cerebrali.»

«Mio Dio.» disse Augusto volgendosi nuovamente a guardare Izumi, poi fissò nuovamente il dottore «Allora? Con il suo sangue sarebbe fattibile?»

«Ecco…» rispose lui esitando e sistemandosi gli occhiali «Io direi che… effettivamente… sì… si potrebbe anche tentare.»

«Perfetto! Allora procediamo!»

«Aspetti, la prego. Questo sangue è assolutamente unico, come ha avuto modo di vedere. È impossibile prevedere quale effetto potrebbe avere se inserito nel corpo di un vampiro vivente, soprattutto in grandi quantità e per via endovenosa come dovremmo fare.

Ci vorrebbe qualche test.»

«Non abbiamo tempo per i test, dottore!» sbraitò il cavaliere afferrandolo per il bavero «Eric è appena scappato dalla sede di Venezia, e ora sta venendo qui! E per Dio, non mi lascerò sfuggire questa occasione neanche a dover morire!

Quindi ora ci dia un taglio coi timori e si metta al lavoro!».

Il cavaliere scaraventò praticamente il povero medico contro la sua scrivania, e questi, ormai più spaventato dal suo principale che dalle conseguenze di un esperimento del tutto nuovo e dai risvolti imprevedibili, si risolse a procedere.

«Preparatela per l’operazione.» comandò ai suoi assistenti indicando Izumi.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

E così, siamo giunti a soli 2 capitoli dalla fine di questa mini-fic estiva che ha catturato più consensi di quanto mi aspettassi.

Prometto che questo è l’ultimo capitolo mostruoso che vi propino. I prossimi due, e anche l’epilogo, dovrebbero essere nell’ordine di 7-8 pagine al massimo, o anche qualcosa meno.

Lo giuro!

Nel prossimo, intanto, finale a sorpresa.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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