Una
divertente serata in casa Key
Il suo cuore ebbe un sussulto quando se lo ritrovò
davanti, fresco di doccia, con i capelli profumati di gel e i vestiti da punk
qual era. Dalla finestra l’aveva visto, ma non avrebbe creduto che fosse COSI’
fico, una volta che l’avesse avuto davanti.
Cercò di non dar a vedere quanto si sentisse
emozionato e lo raggiunse sorridente.
“Ehi, piccolo Roxy!” lo salutò, scompigliandogli i
capelli.
“Cosa ti dico
sempre? Non chiamarmi piccolo” gli ricordò
il biondo, riaggiustandosi.
“Ma lo
sei. E poi ti svelo un segreto” disse,
abbassando la voce.
“A me i piccoletti
piacciono” gli sussurrò nell’orecchio, facendolo
rabbrividire.
“Axel! Ben arrivato!” lo accolse la nonna, uscendo di casa con le mani
sporche di sugo.
“Buonasera, signora
Key” ricambiò lui, facendosi abbracciare.
“Vieni,
accomodati pure. Non abbiamo una casa grande quanto la tua, ma
è abbastanza accogliente” si scusò,
trascinandolo all’interno. Roxas
li seguì, ancora scosso dai brividi.
“Ecco, mangeremo in
salotto.
Mio marito non c’è per… affari urgenti, ma noi bastiamo,
giusto?” chiese un po’
incerta. Il ragazzo
sorrise a trentadue denti.
“Meglio pochi ma
buoni!” confermò. Si sedette a tavola e fu subito seguito dai due
fratelli. Il biondo si mise vicino a lui, mentre l’altro
davanti.
Quando la nonna fu tornata in cucina, Sora fissò male
Axel.
“Mi raccomando”
lo minacciò. Il rosso non capì.
“Scusa?” chiese
confuso.
“Non fare doppi giochi o
idiozie simile, capito? Se fai del male a
Roxas ti picchio” lo
avvertì. Lui
rise.
“Guarda che sono
serio!
È mio fratello e gli voglio bene, per cui niente cuori
infranti” ripeté.
“Va bene, va
bene. Non ti scaldare” lo
calmò. Il biondo era
rimasto allibito da quelle parole e stava per tirare una forchetta nella mano a
Sora, ma fu fermato dalla mano di Axel.
“Ti prometto su quanto ho di
più caro che non lo ferirò in alcun modo. Fidati se ti dico che
gli voglio bene quanto te, forse di più”
promise.
“Più di me è
impossibile, ma voglio crederti. Però vi terrò
d’occhio” lo avvertì.
In quel momento la nonna rientrò in stanza e tutti si
zittirono, ma Roxas non poté fare a meno di sentire il
cuore battere all’impazzata pensando a quello che Axel
aveva appena detto: ci teneva sul serio così tanto a lui?
“Vanno bene pasta al
forno e salsicce alla brace?” domandò la donna, mettendo sul tavolo una
pentola fumante.
“Certamente. Io sono un amante
delle salsicce” rispose il rosso, facendo
l’occhiolino agli altri due, che si trattennero dal
ridere. Lei, non avendo
capito, fece un sorriso tirato e si mise a servire la
cena.
Quando finirono di mangiare, Sora si mise a giocare
con la playstation, mentre Roxas aiutò la nonna a
mettere a posto. Fu seguito a ruota da Axel, che
sparecchiò la tavola e asciugò le pentole.
“Non devi aiutarci, sei
un ospite” lo rimproverò la signora Key, cercando di togliergli di mano
l’asciughino.
“Lo so, ma siete stati così
gentili ad invitarmi e così cerco di sdebitarmi” rispose, alzando il
panno e mettendolo fuori dalla portata della donna.
“Ma per
favore!
Ci hai salvati due volte, prima mio nipote e poi me, quindi
siamo noi a doverci sdebitare” protestò,
arrendendosi e tornando all’acquaio per finire di
lavare.
“Ma si figuri, non è stato
niente di che” minimizzò lui.
“In effetti, ci hai
ospitati per più di una volta, quindi dovremmo trovare un modo per
ricambiare” ammise Roxas, passandogli i piatti
da asciugare. Senza farsi sentire dalla donna, Axel
gli strizzò l’occhio e poi sussurrò di nuovo.
“Se vuoi puoi trovarlo tu il
modo per ripagarmi” gli suggerì.
Il biondo avvampò e abbassò lo sguardo. Ma che gli
era preso quella sera? Lo voleva veder morire agonizzante dal batticuore? Era
crudele a farlo arrossire così.
Terminarono le pulizie e tornarono in salotto, dove
Sora continuava imperterrito a giocare al suo videogame.
“Guarda che avresti potuto
aiutare” gli fece presente il fratello, dandogli un colpo in
testa.
“C’eravate già voi, io
non vi sarei servito. Comunque
ahia” si lamentò.
“A stare davanti a questi
cosi diventi pure ritardato” osservò Roxas,
alzando gli occhi al cielo con fare drammatico.
“Meglio questi dei libri
di scuola.
Tu studieresti anche di notte”
ribatté il castano, senza distogliere lo sguardo dallo
schermo.
“Perché io tengo al mio
futuro e voglio diventare bravissimo” spiegò il ragazzino, senza
arrabbiarsi.
“Ah, io avevo creduto
che tu lo facessi perché sei un secchione e basta” lo prese in giro Sora.
A quel punto suo fratello si arrabbiò.
“Ripetilo se hai il
coraggio” lo sfidò, iniziando a dargli piccoli ceffoni dietro la
nuca.
“Ahia! Mi fai male,
Roxas” esclamò,
cercando di ripararsi con la mano.
“Chiedimi scusa”
ordinò.
“No”
“E io ti stacco la spina
della play” decise. Fortunatamente era più
mingherlino e più veloce del castano, e riuscì ad arrivare al filo che collegava
il gioco alla corrente prima di lui, strappandolo.
La console si spense con un bruttissimo suono, e Sora
lo guardò a bocca spalancata.
“Come hai osato?”
domandò, iniziando ad avvicinarsi a lui con passo
minaccioso.
“Così impari a darmi del
secchione” rispose l’altro, allontanandosi.
“Io. Ti. Ammazzo!” gridò, prima di gettarglisi contro. Ridendo, Roxas iniziò a
correre per tutta casa, scansando abilmente il tavolo e le sedie e mettendole in
mezzo alla strada del fratello. Solo quando questo fu a un passo da lui,
entrambi furono presi per la maglietta e sospesi a
mezz’aria.
“Ma che
diavolo…?”
“Ora basta” annunciò
Axel, stanco di vederli giocare come due bambini
piccoli.
“Lasciami
andare!” protestò Sora, arrabbiato.
“Prometti di fermarti e non
cercare più di picchiare questo qui?”
“Prometto” giurò
lui. Il rosso lo lasciò andare e lui cadde a terra con le
ginocchia.
“Potevi usare un po’ di
tatto!” protestò, alzandosi.
“Non mi andava”
rispose l’uomo, con un’alzata di spalle.
“Perché lui se ne va e io
rimango qui, penzoloni come una salsiccia?” domandò Roxas
contrariato. Axel se lo caricò sottobraccio
come un sacco di patate, stupendolo: ma quanto era forte?
“Perché tu vieni con
me” spiegò, aprendo la porta.
“Cosa? Dove?” si stupì lui.
“Qui fuori. È una bellissima
serata e non mi va di sprecarla guardando voi due rincorrervi come gatto e
topo”
“E perché mi porti in giro
come se fossi una zavorra?”
“Perché mi
diverte”
Il biondo sbuffò e incrociò le
braccia.
“Andate da qualche
parte?” chiese la nonna, arrivando dalla cucina.
“No, non si preoccupi, ci
mettiamo solo qui davanti a guardare il cielo” rispose Axel, sorridendole. Lei ricambiò il sorriso e si mise a fare
altro. Aveva uno sguardo che al rosso piacque poco, e, quando posò gentilmente
Roxas a terra una volta arrivati in giardino,
sospirò.
“C’è qualcosa che non mi hai
detto?” indagò. Il ragazzino lo guardò stralunato.
“Del
tipo?”
“Non lo so, tua nonna mi
sembra… triste, ecco” spiegò. Anche gli occhi del biondo si incupirono,
ma scrollò le spalle e lo guardò impassibile.
“Non lo so che cosa le
succede. Sono
un po’ di giorni che lei e mio nonno ci tengono nascosto qualcosa. Non capisco cosa, ma non sono così scemo da non rendermene conto,
solo che mi fa paura domandarlo”
rispose. Axel comprese che non era un argomento utile per iniziare un
discorso con lui, quindi si sdraiò sull’erba e si mise a fissare le stelle.
Roxas si stese accanto a lui,
sorridendo.
Intorno a loro scese il silenzio, rotto solo dal
canto delle cicale in sottofondo.
“Mi dici una cosa?”
chiese il più piccolo.
“Mmh” annuì l’altro.
“Cosa ti è preso
stasera?
Non hai fatto altro che prendermi in giro e lanciarmi
frecciatine” indagò. L’uomo trattenne una risata.
“Volevo vedere come reagivi
a qualche innocua provocazione. Non ti avrò messo in
difficoltà spero” rispose, girandosi su un
braccio e guardandolo negli occhi.
“N-no,
figurati” negò il biondo, imbarazzato. Sì, l’aveva messo in difficoltà e
molto, visto che le provocazioni erano a sfondo sessuale e lui non ci era
abituato.
“Meglio
così. Anche perché sarebbe un peccato”
commentò, accarezzandogli una guancia per poi scendere sul suo
collo. Quel contatto fece
eccitare Roxas, che sentì il sangue fluire
direttamente nel basso ventre. Strinse gli occhi cercando di pensare ad altro:
allo skate, alla scuola, ai compiti a… a…
“Axel…”
sussurrò, allontanando la sua mano.
“Sì?” rispose a bassa
voce lui.
“Fermo” sputò fuori
con fatica. L’altro si immobilizzò all’istante, ma rimase vicinissimo al suo
viso.
“Perché?”
“Perché mia nonna è in casa
e se esce e ci vede così intimi dà di testa” rispose, mettendosi a
sedere. Il rosso rise e tornò nella posizione iniziale, con il viso rivolto al
cielo e le braccia incrociate sotto alla testa.
“Senti, ti va di fare una
cosa pericolosa?” gli propose il più grande.
“Del tipo?” domandò
il biondo un po’ preoccupato.
“Io adesso me ne
vado. Tu
aspetta un’ora e poi vieni giù dalla finestra, tanto è al primo piano, non
dovresti farti del male. Io ti aspetterò quaggiù al buio, poi andremo a guardare
le stelle per tutta la notte. Ci stai?” spiegò. Roxas ci pensò un bel
pezzo prima di decidere.
“Se mi rompo un braccio ti
picchio col gesso, però” rispose. Axel
rise.
“Rischierò”
“Sora mi copri tu
allora?”
“Certamente. Se la nonna
chiede qualcosa farò in modo che non si renda conto di nulla” promise di nuovo.
“Grazie mille, non saprei
come fare senza di te. Io vado,
buonanotte” lo salutò.
“Divertiti” gli
augurò il fratello. Lui aprì la finestra e si sedette sul cornicione, poi guardò
sotto di sé. Non era così alto in effetti. Strinse gli occhi e deglutì, un po’ impaurito.
“Ci facciamo mattina se non
ti lasci cadere” lo prese in giro Axel da
sotto. Quando era arrivato?
“Va’ via, mi metti
ansia!” gli sussurrò.
“No, rimango qui a
guardarti” rispose il rosso, appoggiandosi al muretto e
fissandolo.
“Benissimo, fa’ come ti
pare” disse Roxas irritato.
Cercando di evitare di pensare che lui lo stava guardando ininterrottamente, il ragazzo si dette la
spinta e saltò di sotto. A metà discesa si rese conto che sarebbe atterrato
male, e imprecò dentro di sé.
“Ehi, non così!”
esclamò Axel, andandogli sotto. Lui gli atterrò
dolcemente in braccio, senza sapere come fosse successo.
“Principessina, va bene
cadere tra le braccia del bellissimo e fortissimo principe azzurro, ma così si
esagera” lo prese in giro, ridendo. Lui gli dette un pugno sulla spalla e
scese dalle sue braccia, rosso in viso.
“Mi sembra che stasera tu
sia venuto solo per sfottermi” osservò, guardandolo con le braccia
incrociate.
“Non era nei miei programmi,
ma è divertente, sì” rispose, iniziando a
camminare.
Roxas
sbuffò e lo seguì, un po’ controvoglia.
“Dove andiamo?”
chiese.
“A vedere le stelle, te
l’avevo già detto. Non mi ascolti molto, mi pare”
“Sì che ti avevo ascoltato,
ma qui siamo in campagna. Insomma, una volta che anche mia nonna è andata a
dormire e le luci saranno spente, potremo vederle anche dal mio
giardino”
“Ti sembro il tipo che si
mette a guardare le stelle nel giardino di casa? Mi
offendi!”
“Ehi, porcospino rosso
rubino, non ti innalzare!” lo sfotté. Un secondo dopo inciampò in un
sasso, sbattendogli contro: si era fermato di botto.
“Volevi ammazzarmi? Perché
ti sei fermato?”
“Come mi hai chiamato, scusa?”
“Porcospino rosso
rubino. È quello che sei!”
ripeté. Axel si girò e lo strinse tra le braccia, cercando di
soffocarlo.
“Rimangiatelo, piccolo Roxy!” gli ordinò, scompigliandogli i capelli e
ridendo. Il ragazzino cercò di divincolarsi e iniziò a muovere le gambe
all’indietro.
“No!” rispose,
ridendo a sua volta.
“Sei malefico!” lo
accusò il rosso, continuando a tenerlo fermo.
“Anche tu!” ribatté
il biondo, riuscendo finalmente a staccarsi. Nel fare ciò rimase impigliato col
braccialetto d’argento che Sora gli aveva regalato mesi prima al suo
giacchetto.
“Ma porca…” iniziò a
imprecare, cercando di toglierlo.
“Certo che sei una specie di
disastro ambulante tu. Fermo, lascia fare a
me” consigliò, mettendosi ad armeggiare con il
braccialetto.
“Non è vero, non lo
sono” ribatté poco convinto.
“Sì, lo
sei. E quando sei con me lo sei di più, dato che sei nervoso” confermò Axel, liberandolo
finalmente.
“Io non sono
nervoso!”
“Senti ma tu controbatti a
tutto quello che dico? Non potresti solo darmi ragione una volta?”
“No, non sarebbe così
divertente” lo scimmiottò, ridendo.
“Che vipera!” lo
accusò il rosso.
Ripresero a camminare in silenzio, cercando di
trovare uno spiazzo in cui mettersi a guardare il cielo in pace. Possibilmente
senza sassi che potessero far inciampare Roxas.
“Qui va bene?”
s’informò il più grande, quando arrivarono in una specie di
radura.
“Sì, certamente”
annuì l’altro, sdraiandosi.
L’altro gli si mise accanto ed entrambi iniziarono a
parlare delle stelle.
“Se ne vedranno di
cadenti?”
“Siamo un po’ fuori tempo,
ma forse sì.
Osserviamo” suggerì Axel.
Attesero per un bel pezzo prima di vederne una, che
lasciò una scia luminosa lunga e splendente.
“Ehi, eccola!”
esclamò Roxas, con gli occhi brillanti. Si mise a
sedere e chiuse gli occhi, esprimendo un desiderio.
“Perfetto, io il mio l’ho
deciso. Tu?” domandò, aprendo di scatto gli
occhi. Si ritrovò il viso
di Axel a un centimetro dal suo, il suo sguardo verde
intenso incollato nel suo.
“Non mi serve”
rispose, baciandolo.