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Autore: ladymisteria    30/08/2012    1 recensioni
"Per diversi istanti sembrò che il tempo si fosse fermato.
Nonostante i capelli più corti e una leggerissima barba a circondargli le labbra perfette, Irene non poteva non riconoscere quel viso, quegli occhi.
L'avevano tormentata per mesi, nei sogni.
Era lui.
Ed era vivo."

La mia personalissima interpretazione di quanto accaduto durante il periodo in cui Sherlock si è finto morto.
Versione riveduta e corretta.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'After Sherlock's Fall'
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John Watson si schiarì la voce, cercando di continuare il racconto.

«Era... Era solo una persona... particolare. La sua vita lo era, il suo modo di viverla... Bisognava solo capirlo. Capirlo ed accettarlo per com'era. Un genio e una delle migliori persone che potessero esistere. Più o meno» aggiunse, cercando di tornare a sorridere.

L'ultima affermazione suscitò un sorriso da parte della sua interlocutrice.

Preso dallo sconforto e dalla voglia di fare qualcosa, John aveva accettato di rilasciare un'intervista sull'amico morto ormai dieci giorni prima.

Sapeva, certo, che i media avevano giocato un ruolo fondamentale in quanto accaduto; ma era l'unica soluzione per far capire chi era il vero Sherlock Holmes.

«Sembra che lei lo conoscesse davvero bene» disse la giornalista.

Si chiamava Mary Morstan e lavorava per il Daily Mail.

John era rimasto sorpreso quando, uscendo di casa, aveva trovato quella donna ad aspettarlo, con la proposta di rilasciare un'intervista sul vero volto del detective.

Forse era stato proprio il suo non aver definito Sherlock un bugiardo e un impostore ad aver spinto John a darle retta.

«E' così, infatti».

«Ma da quanto ne so, ha convissuto solo diciotto mesi con lui. Crede sia un tempo sufficiente perché lei possa dire di conoscerlo?»

«I mesi, con Sherlock, erano come anni. I più belli che io abbia mai vissuto. Fondamentalmente aveva poche abitudini fisse, precise. Conosciute quelle, conosciuto il suo carattere, la sua indole...».

La giornalista annuì, spostandosi un ricciolo bruno dietro all'orecchio.

«Quindi lei non crede a quanto scritto dai miei colleghi del Daily Mail sul suicidio del suo amico?»

«Affatto. Io so che Sherlock non si è suicidato volontariamente. Così come so che era un genio».

«Come può dirlo con tanta sicurezza?»

«Ascolti. La prima volta che ci incontrammo mi raccontò minuto per minuto la mia vita»

«Ma durante la vostra ultima telefonata, il suo amico affermò di aver fatto delle ricerche su di lei».

John represse una risata nervosa.

«Giusto. Ora io le chiedo: come pensa avesse potuto farlo? Su che basi? Ci presentarono quel giorno stesso. Prima di allora io non avevo mai sentito parlare di Sherlock Holmes e sono certo che per lui fosse lo stesso. Ero tornato da appena due settimane dall'Afghanistan, e passavo le mie giornate dalla mia terapista o nel mio appartamento. Sherlock mi disse tutta la mia vita, senza neppure avere avuto occasione di cercarmi su Google. Ora lei sa dirmi come avrebbe potuto fare ricerche in circostanze simili? Accettiamo ogni giorno persone che si dimostrano degli autentici geni, siano essi bambini o anziani. Perché Sherlock non avrebbe potuto essere uno di loro?».

Si appoggiò con i gomiti sulle ginocchia.

«Senta. Potrei farle i nomi di persone che sono state testimoni, per non dire vittime, della genialità di Sherlock. Poteva aver fatto ricerche su tutti loro? Le pare credibile? Io la sfido, ora, a cercare il nome di uno qualsiasi degli abitanti di Londra. Se anche dovesse scoprire qualcosa, magari grazie ai social network, potrebbe affermare con certezza di conoscere tutto di lui? Direbbe che è un alcolista, o un bravo padre di famiglia, senza che lui l'abbia rivelato per primo?».

La donna non rispose, ma prese rapidamente appunti di tutto quello detto dal medico.

«Mi ha convinto, dottor Watson. E' indubbio che lei abbia sollevato parecchi interrogativi...».

Sorrise.

«Penso che questa storia meriti più attenzioni. Lei mi trovi alcune di queste... vittime. E io le prometto, dottor Watson, che farò tutto il possibile perché venga fatta luce una volta per tutte su chi fosse realmente il suo amico».

*

Quando Irene Adler rientrò nella camera d'albergo che divideva con Sherlock Holmes, lo trovò vicino alla finestra.

Lo osservò giocherellare con il cellulare, lo sguardo perso fuori dalla finestra.

«Perché non gli mandi un SMS?» domandò.

Il detective si voltò, confuso.

«Come?»

«Perché non gli scrivi?» ripeté la donna.

«A chi?»

«Oh, non fingere di non saperlo, Sherlock».

L'uomo tornò a guardare fuori dalla finestra.

«Dovrei essere morto. Se gli mandassi un SMS ora mi tradirei, e lo metterei in pericolo. Metterei tutti in pericolo».

Scosse il capo.

«Non posso rivelarmi. Non ancora».

La Donna si sedette sul letto, togliendosi le scarpe a tacco alto.

«Pensi di tornare?» gli chiese.

«Appena mi sarà possibile. Ma prima devo far sì che ogni piccola parte dell'organizzazione di James Moriarty sia sparita dalla circolazione. In un modo o nell'altro».

Mise il cellulare nella tasca.

«Ebbene? Scoperto qualcosa dai tuoi ex - colleghi?».

Straordinaria la sua capacità di cambiare discorso da un momento all'altro, si ritrovò a pensare Irene.

«Sì. Che sono incredibilmente stupidi. Non hanno messo in dubbio neppure per un istante che io potessi essermela cavata senza l'aiuto di qualcuno».

Sherlock ghignò.

«Spero comprenderai che la loro stupidità non era mai stata messa in dubbio».

Irene rise.

«Giusto. Sono riuscita ad avvicinare Adam Bones»

«Il contrabbandiere?».

La Donna annuì.

«Proprio lui. Era il più... disponibile a dirmi quello che volevo sapere. Non c'è stato neppure bisogno che io mi affaticassi troppo a…».

Sherlock guardò ostinato la porta, le labbra serrate.

«Ma suppongo che io possa omettere questa parte, vero?»

«Esattamente».

«Beh, quanto successo a Jim non ha fatto altro che farli infuriare ancora di più. La tua morte non li ha placati, anzi. Ritengono che le tue... colpe debbano ricadere sui tuoi amici».

Sherlock imprecò.

«Dannazione. Speravo, con il mio gesto, di aver impedito proprio questo genere di complicazioni. E invece…».

Imprecò nuovamente.

Si sedette sul divanetto, raccogliendo le ginocchia al petto.

Irene lo fissò seria.

«Che si fa, ora?».

 

 

E dopo un piccolo "break" con Crypto (XD), eccomi tornata a questa long. :D

   
 
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