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Autore: REAwhereverIgo    31/08/2012    4 recensioni
Che succederebbe se una ragazza con autostima pari allo zero si innamorasse di un bellissimo motociclista? E se le sue sorelle si mettessero in mezzo per darle una mano, rischiando di peggiorare la situazione?
Spero che questa storia sia di vostro gradimento, io di sicuro mi divertirò a scriverla! Rea
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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I disastri delle sorelle Stevens 3: il recupero del quaderno rosso

Rea aveva resistito una settimana intera prima di decidere di andare a parlare con Fabio. Lui non le aveva mai rivolto la parola e lei era in pena per il suo quaderno: che ne aveva fatto? Non l’aveva mai nominato, né si era mai preoccupato di restituirglielo, e ora, dopo sei estenuanti giorni di attesa da quando era rientrata a scuola, si era costretta ad andare a casa sua per riprenderselo.

Si sentiva in ansia e terribilmente stupida mentre marciava incerta verso la sua abitazione e aveva un terribile presentimento. Sembrava che in quei giorni le sorelle Stevens fossero affette da qualche terribile maledizione che le faceva comportare in maniera assurda: prima Laura che rifiutava un bacio da Johan dopo avergli versato tutta la bibita addosso (Rea era riuscita a far parlare l’amico dopo diversi ricatti e scambi di favore) e poi Emma, che non solo tentava di sedurre il professore in una pasticceria, ma poi lo baciava quando lui era mezzo nudo nel suo bagno. Decisamente c’era qualcosa di terribilmente inquietante in tutto ciò. E dire che lei non era una di quelle che credevano nella sfortuna.

Quando fu davanti alla porta di casa di Fabio, ebbe un attimo di esitazione: non era più molto sicura di voler entrare e affrontarlo. Si ricordò di come si erano salutati l’ultima volta e si sentì in colpa. “Forza e coraggio, devi solo riprenderti il blocco” s’incoraggiò. Suonò il campanello e attese.

Chi è?” domandò una voce dal citofono.

S-sono Rea” rispose, deglutendo. Ci furono trenta secondi di silenzio prima che la porta si aprisse, poi un Fabio stranamente spento si affacciò.

So già perché sei qui” le disse sospirando. La fece entrare e quel posto le mise addosso una certa tristezza, inspiegabile ai suoi occhi.

Vado a prendere il tuo quaderno in camera, aspetta un minuto” la avvertì, scomparendo nel corridoio. Rea si portò le mani sopra al petto e cercò di calmare i respiri. “Conta: uno… due… tre…

Ecco qua, tieni” esordì il ragazzo, rientrando in stanza e passandole il blocco. Evitò di guardarla negli occhi e questo le dette un po’ di fastidio.

Grazie” rispose lei, irrigidendo inconsciamente il tono della voce.

Di niente” ribatté lui. Nessuno dei due disse niente per i due minuti successivi, poi fu lei a rompere quel silenzio rumoroso che la stava facendo impazzire.

Forse è meglio se vado” ipotizzò, avviandosi verso la porta. Lui la seguì e gliel’aprì.

Scusa per il disturbo” lo salutò. Era quasi uscita quando lui richiuse la porta e rimase a testa bassa con una mano appoggiata sulla maniglia. Rea era confusa.

C’è qualche problema?” gli chiese. Il ragazzo continuò a rimanere zitto, poi si voltò a guardarla: i suoi occhi nerissimi erano spaesati, e i capelli, che gli ricadevano sulla fronte, gli mettevano in ombra il viso, rendendolo quasi spaventoso.

Io l’ho letto” esordì poi, allontanandosi dalla porta e avvicinandosi a lei. La ragazza indietreggiò.

Cosa?” domandò.

Quel quaderno. In queste due settimane dopo il nostro appuntamento l’ho letto tutto. Prima non ne vedevo l’utilità, poi tu sei fuggita e mi sono chiesto se, per capirti, non avrei potuto usare quegli appunti strani. Quella sei tu, vero?” l’aggredì, continuando ad avvicinarsi.

I-io?

Tu sei l’anatroccolo della storia, sei la piccola indifesa che non riesce a stare dietro agli altri” Rea andava sempre più indietro, spaventata da quello sguardo. Temeva da tempo che prima o poi avrebbe fatto il collegamento, era il suo incubo più grande.

Ci può anche provare: può correre per raggiungere i suoi fratelli, ma non ci riesce, inciampa ogni volta che prova ad aumentare il passo. E piange. Piange tanto, l’anatroccolo, implorando qualcuno perché l’aiuti, e rimane fermo, pietrificato, ad aspettare. Solo un giorno, quando ormai il suo corpo si è trasformato, si alza, ormai stanco di essere sempre solo, e cammina col suo passo, a testa bassa, cercando di evitare gli sguardi altrui. È aggressivo per quanto riguarda chi entra nel suo perimetro vitale, ma non lo fa apposta: ha così paura che il suo precario equilibrio mentale venga sconvolto che è il suo solo modo per reagire. Alla fine, non si è nemmeno accorto di essere diventato un bellissimo cigno, gli basta solo continuare ad andare avanti nella vita, facendo meno rumore possibile per non essere più ferito recitò a memoria. Quelle parole la fecero rabbrividire e salire le lacrime agli occhi.

Fabio, basta” lo implorò con voce tremante.

Il cigno continua a nascondersi e a stare a testa bassa per tutta la vita, purché senza soffrire. Si annulla e tanto gli basta per convincersi di stare bene. Ed evita il coinvolgimento emotivo con gli altri.

Fin da piccolo, infatti, chi lo avvicinava lo faceva solo per prenderlo poi in giro. Lo illudevano. Gli facevano credere di accettarlo nonostante la sua diversità per poi distruggerlo pezzo dopo pezzo. E le sue lacrime non servivano a niente per avere un po’ di pietà: è per questo che il suo cuore si è corazzato e adesso rifiuta chiunque per qualunque motivo continuò.

Basta, basta, basta!” gridò Rea, senza avere la forza per sentire altro.

Quell’anatroccolo sei tu, vero?” le domandò implacabile. Continuava a spingerla verso il muro, dove lei si bloccò poco dopo.

Tu hai davvero così tanta paura? Sei davvero convinta di quello che scrivi?” continuò. La ragazza si portò le mani alle orecchie, ormai piangendo disperata.

Dimmelo! Dimmi che non sei tu e ti mando via, ma dimmelo!” le ordinò Fabio, prendendola per i polsi. Lei scosse la testa e lo fissò con occhi disperati.

SMETTILA, ADESSO BASTA!” gridò, col fiatone.

Sono io, sono io, SONO IO!” ammise, con soddisfazione dell’amico.

Io sono quell’anatroccolo e sì, ero convinta di ogni singolo, insignificante dettaglio che ho descritto. E lo sono tutt’ora: un cigno, per quanto esteticamente bello, cerca di allontanare tutti solo per frustrazione. E io, che non sono nemmeno bella, cosa dovrei fare?” gli chiese retoricamente.

Per le persone come me, che non possono permettersi di sperare in qualcosa che non troveranno mai, cosa rimane? Io non sono bella, né esteticamente né interiormente, e soffro in maniera così esponenziale per questo che mi ritrovo a chiedermi come possa sopportare questo dolore senza implodere. Passo ore a dirmi che potrei farcela, che prima o poi troverò chi mi apprezza e mi ama per questa cosa orrenda che sono, ma non ci riesco, non ho più la forza di sperare e poi piangere di nuovo perché mi ho sognato tanto e i miei sogni si sono infranti!” rispose. Fabio sbatté un pugno al muro e la fissò.

Ma allora sei del tutto idiota!” concluse.

Sei completamente deficiente!” continuò.

Perché?” chiese lei furiosa.

No, perché devo chiedertelo io: perché sei fuggita quando abbiamo toccato l’argomento scrittura? Come mai fuggi dal tuo essere te stessa, meravigliosa come sei?

Io non sono meravigliosa! Non lo sono mai stata! Ero un’impedita a scuola, sempre quella diversa, sempre a sentirmi dire che non ero come gli altri. Ero brutta quando siamo entrati alle medie, se possibile più di ora, e me lo sentivo ripetere spesso e con insistenza. Ero e sono tuttora una ragazza che si è stufata, che non riesce più ad alzarsi dal letto senza sentirsi pesante e scoraggiata. Io sono questo, non sono meravigliosa!” gridò. Ormai le lacrime non smettevano di scendere, erano come un fiume in piena e nessun argine riusciva a fermarle.

Quindi è per questo che mi hai respinto? Che ti rifiuti di uscire dal tuo guscio? Hai solo fottutamente paura!” la accusò.

Sì. Sì ne ho, e molta! E quelli come te, i bellissimi e impossibili che vengono braccati dalle ochette come quelle tre idiote di classe nostra, per le persone come me sono off limits!

Ma ti ascolti? Li senti i tuoi discorsi deliranti?

Non sono deliranti, sono sensatissimi” affermò convinta. Aveva abbassato il tono di voce e ora stava guardando fisso a terra, debole e fragile.

Io non riesco a fidarmi di te perché tu sei un ragazzo bellissimo. L’ho fatto, una volta, di dire ad una persona che scrivevo. Sai cos’è successo? Mi ha detto che non dovrei farlo perché sono un’inutile incapace, e che non dovrei quasi nemmeno esistere. Il giorno dopo, arrivata a scuola, tutti avevano letto una mia storia e mi prendevano in giro. Era così umiliante e straziante che non ricordo nemmeno come ho fatto per rialzarmi. Da lì in poi non mi sono più fidata nemmeno di Emma e Laura. Ho il mio diario, nascosto in camera in un cassetto, ma non riesco nemmeno a essere sincera con me stessa

E questo cosa c’entra con me?

La persona di cui mi sono fidata era il ragazzo di cui mi ero innamorata. Era bellissimo e ricordo che era dolce e gentile con me. Io ero una studentessa delle medie che credeva nel principe azzurro un po’ per tutte le donne e mi sembrava così simile al mio ideale che non mi ero mai chiesta se fosse sincero o no. Mi baciò, sai? Fu il mio primo bacio. Oggi posso ringraziare che si fermò al bacio, ma per me era così importante e bellissimo che non passarono che un paio di giorni e io gli avevo detto di tutti i miei segreti, dalla scrittura al canto. La mattina dopo, quando arrivai a scuola, tutti ridevano e mi guardavano e lui urlò in mezzo alla classe che ero una ragazzina stupida, che non sapevo fare niente, che gli avevo creduto. Per me è un dolore anche solo ricordare, ma ogni notte mi sogno il mio corpo e poi sogno quello di tutti gli altri e mi chiedo come mai io non riesca ad essere come voi, a stare bene con me stessa. Sarebbe così bello. Dopo sei arrivato tu, e sei stato prepotente e arrogante ma io non voglio che tu mi entri nella vita più di quanto abbia già fatto! Se ti facessi entrare poi mi faresti male!” continuò disperata. Nemmeno lei si era resa conto di avere tutti quei pensieri, nemmeno lei si era accorta che la sua sofferenza era tale, ma aveva parlato in modo automatico, senza freni. Era qualcosa che doveva confessare, altrimenti sarebbe scoppiata. Alzò lo sguardo e lo fissò, tra le lacrime, poi strinse gli occhi.

Per cui, ti prego, vattene prima che io soffra come ho già sofferto!” lo implorò. Fabio rimase allibito di fronte a quest’ammissione di dolore, a questa richiesta rumorosa, ma non si mosse e la strinse ancora un po’ di più al muro.

Se tu fossi stata solo un capriccio non mi sarei sforzato tanto” disse infine, senza guardarla.

Se avessi voluto prenderti in giro non avrei tenuto il quaderno per me” continuò. Rea aprì gli occhi di colpo quando lui l’abbracciò, incredula.

Se tu non mi interessassi non sarei qui, confuso e triste, a chiederti una possibilità” terminò, stringendola forte. La ragazza era stupita, e, in cuor suo, pregava affinché tutto quello fosse vero, ma poi si dette della stupida, e cercò di allontanarsi.

Non posso” lo respinse, più allibita di lui nel dire quelle parole.

Se lo facessi ti darei la possibilità di farmi male, di usarmi a tuo piacimento fin quando non ti verrò a noia e mi butterai via come fossi un giocattolo vecchio. Io non mi sono trasformata in cigno, purtroppo, sono rimasta un piccolissimo anatroccolo, ma non voglio lo stesso che le persone abbiano il potere di ferirmi” disse. Gli occhi del ragazzo si infuriarono e lui iniziò a dare pugni al muro, impazzito, facendola gridare di paura.

Perché. Non. Ti. Fidi?!” urlò.

Fabio, tu sei pazzo! Fammi andare via!” esclamò Rea, impaurita, cercando di uscire da quella posizione.

No! Non te ne vai, non posso farti scappare così!” negò lui, avvicinandosi. Messi in quel modo, lui sembrava più alto del normale, quasi gigantesco rispetto alla sua statura piccola.

Ti prego, fammi tornare a casa!” lo implorò la ragazza.

NO!” gridò Fabio. La prese con le mani e la alzò di qualche centimetro, baciandola. Era un bacio conteso tra la disperazione e la voglia di farle passare la paura, di darle un po’ di speranza in qualche modo, di aiutarla, di farla alzare.

Rea rimase ferma, immobile, in silenzio, stupita, poi lo spintonò dandogli un colpo nello stomaco e facendolo arretrare.

Lo fissò un attimo, senza sapere che cosa dire o fare, poi strinse il quaderno al petto a scappò via, lontana da lui e lontana da quella casa, lasciandolo fermo lì, tremante e senza fiato.

Perché era così cocciuta e testarda? Perché non voleva credergli? E soprattutto, perché lui sentiva così male nel pensarci? Non si conoscevano che da poche settimane, eppure la amava. No, non gli piaceva, ne era innamorato profondamente. E, se anche era irrazionale, non gli interessava.

Se n’era accorto quando lei l’aveva fissato impaurita la prima volta che aveva provato a baciarla, in una muta di richiesta di non farlo, e ne aveva avuto la sicurezza quando l’aveva abbracciata implorandola di restare. Non serviva un genio per capire che era sincero, ma lei non voleva vederlo. O proprio non ci riusciva.

Rimase fermo, con le mani abbandonate lungo il corpo per un tempo indeterminabile, poi si mosse verso il telefono. Fece il numero di casa Stevens e attese.

“Pronto?” rispose una voce allegra.

Pronto, buongiorno, avrei bisogno di parlare con Rea. Sono un suo compagno di classe” disse.

“Mi dispiace, ma mia figlia non è ancora tornata. Penso che rientrerà a breve, se mi lascia un nome la faccio richiamare” spiegò la donna, ma lui aveva già attaccato. Poteva cercarla solo in un altro posto.

 

 

Non sapeva dove era, né come ci era arrivata, ma sapeva che aveva continuato a piangere fin quando la testa non le era girata così forte da farla cadere a terra. Rimase inginocchiata sul prato del parco, incapace di alzarsi, terribilmente debole. Non poteva rientrare in quelle condizioni, tutti si sarebbero accorti che stava male, ma non poteva nemmeno stare fuori casa tutta la notte.

In quel momento qualcuno le mise una mano su una spalla.

Vieni con me, ti porto al caldo” disse.

 

Davanti a una tazza di tè fumante e al fuoco scoppiettante del camino, Rea si sentì subito meglio. Almeno fisicamente.

Aveva continuato a fissare un punto indefinito sul tavolo, stringendo la coppa tra le mani e tremando impercettibilmente, almeno finché lui non le schioccò le dita davanti.

Penso di essermi guadagnato delle spiegazioni” le fece presente.

Ti ho trovata al parco e ti ho adottata, quindi ripagami dicendo qualcosa” chiese. Lei parve non sentirlo, e continuò a fissare la tovaglia con gli occhi semi-aperti.

Porca miseria, REA! Riprenditi!” la sgridò. La ragazza alzò lo sguardo con gli occhi in lacrime.

Johan, posso dormire da te stanotte? Non riesco a rimanere sola” lo implorò.

 

  
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