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Autore: Reira74    01/09/2012    5 recensioni
E se? E se Melkor avesse vinto e i Valar fossero scomparsi? Dimenticate se potete quello che vi ha raccontato Tolkien e provate a seguirmi in questa ipotetica Terza Era... solo che non c'è stata più nessuna era dopo la Prima che non si chiama neppure prima perché non aveva senso numerarle...
Credo abbiate capito il concetto, Melkor ha vinto, ma dove c'è un Tiranno ci sono dei valorosi Eroi che gli si oppongono. Se vi interessa conoscerli aprite la porta ed entrate in questo nuovo mondo....
NOTE: Avevo cancellato questa storia per sbaglio, chiedo scusa a chi la seguiva
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aragorn, Legolas, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Melkor vincitore'
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*CAPITOLO 18*


-Adesso è quell'albero a meritare la tua rabbia?-

L'aveva sentito ancora prima di vederlo, i colpi sordi dei pugni che colpivano la dura quercia.

Le braccia dell'uomo caddero inermi lungo i fianchi al solo udire quella voce atona, ma non ebbe il coraggio di girarsi

-La persona che meriterebbe questi colpi è fuori dalla mia portata-

-Non riesci a controllare le tue emozioni e le sfoghi sulla prima cosa che ti passa vicino- una lama di ghiaccio trafisse la schiena del bruno

-Tu invece le controlli fin troppo bene- rispose stanco

-Preferiresti che ti colpissi?-

-Sì, mi sentirei meglio-

-Non sono qui per farti sentire meglio- ribatté secco, poi spostò lo sguardo sulle sue mani, lunghi nastri rossi colavano dalle nocche lungo le dita, formando grosse gocce che lente si allungavano fino a staccarsi e cadere a terra piegando l'erba fresca -E non mi pare ti serva il mio aiuto- continuò sprezzante -Sai ferirti benissimo da solo-

-Allora perché sei qui?-

-Perché? Dimmi solo il perché-

-Io non lo so il perché- si era girato continuando a tenere lo sguardo basso, ricordava quella voce gelida e non poteva rivedere quegli occhi di ghiaccio, non dopo aver visto i suoi veri occhi -Non so cosa mi sia successo... Non volevo farti del male... L'ultima cosa che voglio è farti del male...-

-Ma lo hai fatto. Perché?-

“Ti prego grida, insultami, picchiami, qualunque cosa, ma non nasconderti di nuovo dietro a quel muro”

-Io non lo so, nella mia testa vedevo quelle persone ed ero furioso e...-

-E hai deciso di diventare uno di loro-

-No!- un grido strozzato -Non potrei mai... Non...- “Non potrei, ma lo stavo per diventare, sarebbe bastato un altro minuto e lo sarei diventato”

-Tu mi desideri?- Non aveva bisogno di una risposta, il silenzio immobile, e l'ostinazione con cui si fissava gli stivali parlavano più di mille parole.

L'uomo sentì l'altro avvicinarsi, abbassò ancora di più gli occhi per escluderlo dal suo campo visivo, ma non poté escludere quello che vide cadere ai suoi piedi, una tunica nera seguita da un paio di braghe

-Sono qui, prendimi- avvicinandosi di un altro passo

Tàr arretrò sbattendo la schiena contro lo stesso albero su cui prima aveva infierito, si sentì afferrare il mento e sollevare il viso con forza ma spostò di lato lo sguardo per non doverlo guardare

-Non vuoi guardarmi?- continuò quella voce tagliente -Credevo ti piacesse il mio corpo?- e abbassò il viso fino a impossessarsi della bocca dell'uomo, un bacio cattivo, violento strinse tra i denti le sue labbra senza però ferirle, avrebbe voluto piangere, quanto aveva desiderato quelle labbra e quella sarebbe stata l'unica occasione per assaggiarle, il bacio con cui lui lo avrebbe odiato.

Tàr puntò le mani su quel petto candido, macchiandolo di sangue, spingendolo via

-Ti prego smettila-

-Ti sbagli, sono io a dovere implorare, non era forse questo che volevi? Sentirmi implorare- rincarò sadico

-No!- gridò, poi ripeté in un sussurro -No-

-Tu mi desideri- continuò l'altro suadente avvicinandosi nuovamente e cominciando ad accarezzargli il petto -E questo è un problema, non riesci a controllarti...- si avvicinò ancora schiacciandolo contro il tronco affondò il viso nel suo collo succhiando e lappando la pelle morbida finché non lo sentì ansimare -Non devi, sai? Sai che posso darti il piacere che desideri...- gli afferrò le natiche facendo cozzare i bacini, sentendo attraverso il tessuto ruvido l'eccitazione dell'uomo premere contro la sua libera e svettante che non si preoccupava più di trattenere -Lo hai sempre saputo, è solo sesso, tu non mi sei indifferente e neppure io ho soddisfatto i miei bisogni da quando mi sono unito a voi... siamo carne, solo carne, io ti voglio, tu mi vuoi... solo carne-

-Non sono solo carne... Non...-

-Ah, No? E questa cos'è? Non è carne?- tenendo una mano ancora salda sui suoi glutei fece scivolare l'altra in avanti, carezzano l'interno della coscia, salendo fino al rigonfiamento bollente e prendendo a frizionarlo deciso, sorrise compiaciuto vedendo l'uomo gettare indietro il capo senza poter soffocare un gemito di piacere -Avanti dimmi cosa devo fare per soddisfarti. Vuoi che mi inginocchi?- e scivolò lentamente a terra cominciando a slacciargli i pantaloni

-Basta... per favore... non così... basta- lo implorò ansimando con il viso arrossato afferrando quei fili dorati per allontanarlo da se, striandoli di rosso, lo spinse via, facendolo cadere a terra, tremando mentre le lacrime gli rigavano il volto.

Lo osservò mentre si allungava distendendosi sull'erba, come se le sue parole o i suoi gesti non lo avessero neppure sfiorato, si sollevò sui gomiti, inarcando la schiena, esponendo il collo candido, guardandolo languidamente mentre passava la lingua sulle labbra scarlatte

-E come allora? Dimmi come mi vuoi e lo sarò- “Dimmi che mi vuoi, non odiarmi, non allontanarmi” allungò la gamba passandola dietro la caviglia dell'uomo e facendola salire lentamente, mentre con la mano si accarezzava lascivamente incatenando il suo sguardo

-Non così... Smettila... Non così... Basta... Non è il tuo corpo che voglio- si allontanò di scatto malfermo sulle gambe molli cadendo anche lui a terra

-Non la pensavi in questo modo ieri- “Cosa pensavi ieri? Ti disgusto tanto da fuggirmi come fossi una bestia?” ne approfittò per gattonare felino fino a lui che tentava inutilmente di allontanarsi strisciando sui gomiti

-No...Non... non ero in me...-

-Ne sei certo? Neghi forse di desiderarmi al punto di perdere il controllo?- “Ma io sono davvero una bestia, un mostro che non merita di vivere” ormai era inginocchiato su di lui, bloccandolo a terra, gli afferrò i polsi portando le sue mani sul suo petto

-Toccami... sentimi...- “Ti prego toccami, quest'unica volta toccami, fammi sentire il tuo calore... Ti prego sentimi, senti il mio cuore che batte, senti la menzogna dietro i miei gesti... non credermi, non disprezzarmi... NO!... Lui deve... deve... deve credermi!” fece scivolare quelle mani sulla sua pelle, sporcandosi di altro sangue ora misto a terra

-Non... Non così... non voglio questo-

-E cosa vuoi allora?- “Quello che vuoi non posso dartelo... Quello che vuoi non esiste...”

-Voglio te, voglio conoscerti, sapere quello che hai dentro, voglio conoscere il tuo cuore-

-Cosa ho dentro?- si alzò incombendo su di lui in tutto il suo splendore selvaggio -Ossa, muscoli, sangue e tendini, qui c'è lo stomaco e più su i polmoni- ogni parola come una coppia di lame gemelle colpiva in egual misura chi la ascoltava e chi la pronunciava -Vuoi conoscere il mio cuore? E' qui- indicando il petto -E' un organo vitale, batte, se si ferma significa che sei morto, se viene colpito da una lama o da una freccia sei sempre morto-Arretrò di un passo per permettere all'altro di vederlo bene -Ti basta o voi conoscere altro? Guardami!- allargò le braccia e girò lentamente su se stesso -Io sono questo! Non c'è nient'altro, lo sai, lo hai sempre saputo, sono stato chiaro dall'inizio. Quindi ora decidi, o così o in nessun altro modo- “No, non così... Valar, se esistete vi prego, non così”

Tàr restò immobile, pietrificato dalla vista dell'immortale, splendeva nella notte come un Dio, in piedi davanti a lui, “bellissimo e terribile” incombeva con le gambe divaricate, “da adorare e da temere” senza nascondere nulla alla sua vista, “possedere ed essere posseduti” il suo sesso che luccicava umido lo chiamava a sé, “carne, solo carne” la pelle candida sotto la luna sporca di sangue, “del mio sangue”, le braccia aperte pronte ad accoglierlo e a strappargli il cuore “per divorarlo con quella bocca rossa e sensuale” gli occhi accesi dal furore e dal desiderio, “fuoco e ghiaccio” i biondi capelli sollevati dal vento “Dio o Demone?” sorrideva gelido, perfetto, inarrivabile e vuoto “Carne, solo carne, lussuria e piacere, dannazione ed estasi...”

Fu un momento, la sua mano che si sollevava lentamente tendendosi verso quella figura maestosa in una muta richiesta... fu solo un momento... prima che ricadesse pesante sull'erba

-No, non così- sussurrò l'uomo esausto ma deciso

-E allora non fare più strani pensieri su di me- continuò l'elfo glaciale - Perché non c'è nient'altro oltre quello che vedi, ma se pensi che non sarai in grado di controllarti in futuro, prendi ora quello che ti viene offerto- l'elfo si girò rigidamente, allontanandosi a recuperare gli abiti e dando un'istante ai suoi nervi per placarsi e ritrovare il controllo e la determinazione che minacciavano di sfuggirgli sempre di più, rendendolo incapace di sostenere quello sguardo.

-Ti assicuro che non avrai più problemi da me- Come aveva fatto ad illudersi così, lui aveva ragione, sapeva bene chi era, eppure vedendolo cambiare si era illuso di rientrare nel cambiamento, aveva sperato che il suo cuore si aprisse ad altro oltre che all'amicizia, ma per lui non era altro che carne e non poteva accontentarsi della carne.

Era ferito, quella freddezza lo aveva ferito più dei colpi che si era rifiutato di dare “Ma se quello stolto si illude che io mi arrenda si sbaglia di grosso!” quell'episodio non sarebbe mai dovuto accadere, maledisse lo Spirito dei Nani, era presto aveva appena scoperto l'amicizia, non poteva pretendere che capisse che due corpi si uniscono non solo per il mero piacere, ma non avrebbe accantonato i suoi piani “Per ora illuditi pure di avermi sconfitto, mio freddo Principe, ma non ho ancora finito di uccidere il mago malvagio e come ogni nobile cavaliere non mi arrenderò prima di averlo fatto”

Ma di quei pensieri niente giunse a insospettire l'elfo

-Me lo auguro- così impassibile esteriormente eppure dentro tremò, aveva avuto quello che voleva, perché allora stava così male?  Ma si costrinse ad addolcire lo sguardo in un sorriso tendendo la mano in segno di pace

-Mi dispiace per quello che è successo, non accadrà più- afferrando quella mano dimentico delle ferite

-Ti perdono perché so che realmente non eri in te. Per quanto mi riguarda questa faccenda si chiude questa notte, non desidero parlarne oltre- poi rigirando la mano scura nella sua -E perché se non lo facessi non riusciresti più a impugnare una spada a forza di colpire alberi. Morgoth Dannato! Guarda come ti sei ridotto! Cosa penseranno gli altri?-

-Che ho preso a pugni un albero e come al solito l'albero ha vinto-

-Lo fai spesso?- inclinò il capo sorpreso inarcando il sopracciglio

-E' capitato altre volte-

-Sciocco mortale impulsivo... Vieni- lo trascinò gentilmente verso il fiume, lo fece sedere e cominciò a pulire delicatamente le ferite.

L'uomo osservava da dietro quella testa chinata intenta a curarlo, un piccolo sbuffo silenzioso gli uscì dalle labbra, sarebbe mai riuscito a capirlo? Quell'immortale era l'essere più complicato che gli fosse mai capitato di incontrare! L'attimo prima era il bastardo più freddo e cinico che avesse mai conosciuto, un secondo dopo si prendeva cura di lui delicatamente, come si poteva essere così assolutamente imprevedibili? Prima o poi lo avrebbe fatto impazzire!

L'elfo sentì quel leggero alito solleticargli la nuca e sorrise, poteva immaginare i pensieri dell'altro, e non poteva dargli torto, doveva sembrargli folle ma era giusto che fosse così.

-Adesso va meglio. Se non sbaglio domani hai il tuo piccolo tesoro da disseppellire, almeno non sporcherai di sangue una preziosa creazione degli Eldar-

“L'ho già fatto” pensò ricordando le impronte delle sue mani scure su quel petto pallido

-Dovresti pulirti anche tu o penseranno che abbiamo fatto a pugni- Fu invece quello che disse.


Rientrarono all'accampamento assieme, sotto gli sguardi sollevati dei compagni, qualunque fosse stata la causa quella momentanea crisi sembrava risolta.

Il nano fece l'occhiolino alla ragazza facendole notare che arrivavano dalla direzione presa dal loro capo e non da quella dell'elfo, ricevendo un sorriso compiaciuto in risposta, nessuno fece commenti sulle mani scorticate, come aveva previsto Tàr immaginavano già che fosse andato a sfogare la rabbia in quel modo.

Quello che però evitarono di dirsi l'un l'altro, per non preoccupare gli amici, senza sapere che tutti l'avevano capito, fu che la crisi era passata, ma non risolta, ormai conoscevano abbastanza bene il biondo immortale da poter vedere il velo di tristezza che nascondeva sotto l'apparente soddisfazione, e altrettanto bene il loro capo da vedere invece l'allegria che traspariva dallo sguardo contrito, potevano quasi vedere il suo cervello lavorare frenetico come quando stava per entrare in azione, stava pianificando, valutando, si stava preparando ad un lungo e accurato assedio.

Sapevano cosa significasse quello sguardo, sedevano anche per giorni fuori da antiche rovine guardandolo mentre le osservava nello stesso modo, poi all'improvviso si alzava ed entrava, e non c'erano trappole o tranelli che lo fermassero, Mithrandir una volta aveva detto che non era lui a scoprire gli antichi tesori, ma erano i tesori a rivelarsi a lui, perché sapeva sempre attendere il momento migliore per vederli... E ora stava osservando il nuovo compagno come fosse un'antica fortezza da espugnare, e questa volta non sarebbe stato facile perché nonostante le sue porte, come avevano detto Gimli e lo Stregone, fossero già aperte erano difese strenuamente dall'elfo che per qualche ignoto motivo non voleva che l'uomo le vedesse.

Ma non volevano neppure essere nei panni dell'elfo, oh no, quando il loro capo si metteva in testa qualcosa, niente era in grado di resistergli e quel povero immortale stava per imparalo a sue spese.   


Quando lasciarono i boschi si trovarono davanti una verde vallata, l'erba fresca ondeggiava al tiepido vento, macchie colorate di narcisi, saponaria, scilla e fiordalisi la punteggiavano allegramente, qua e là si alzavano cespugli gialli di profumate ginestre che si mischiava al profumo fresco della salvia selvatica dai delicati fiorellini blu.

In lontananza la pallida roccia degli  Hithaeglir brillava sotto il sole stagliandosi contro un cielo azzurro e senza nubi.

Farfalle variopinte e api laboriose si spostavano tra i fiori, solleticando i viaggiatori che disturbavano la loro quiete.

Quel luogo meraviglioso sembrava non aver mai conosciuto oscurità o guerre, eppure Tàr ricordava bene che proprio sulle rive del fiume che avevano appena lasciato alle spalle tanti anni prima lui e sua madre erano stati sorpresi da una pattuglia di orchi, aveva solo quindici anni ma aveva combattuto e aveva vinto, aveva impugnato Narsil con onore come altre volte prima... non era bastato, lei era ferita, forse con le conoscenze che aveva ora avrebbe potuto salvarla ma non a quei tempi, a quei tempi era solo un ragazzino che cercava di essere grande.

Si erano trascinati fino alle pendici dei monti prima che lei crollasse definitivamente, così aveva cercato un riparo ed era restato a guardarla mentre la vita la abbandonava e lì l'aveva sepolta, in quello stesso anfratto della roccia nascosto dall'edera dove l'aveva vista spegnersi, a pochi passi da una pietraia di quelle tanto comuni in montagna, che copriva ripida il fianco del monte, e fu proprio da quel impervio sentiero che Mithrandir scendeva quando sentì i singhiozzi del ragazzo e decise di condurlo con se, anche se per poco perché quell'animo inquieto mal sopportava la tranquillità della valle nascosta e si allontanò presto per cercare la sua strada, senza però smettere di aiutare l'Istari.

E ancora dopo tanto tempo nulla era cambiato, quel tendaggio verdeggiante che in quella stagione si copriva di piccoli fiori bianchi e profumati celava ancora l'ingresso.

L'uomo inspirò profondamente, prendendo coraggio prima di scostare l'edera con una mano e scomparire alla vista dei compagni che lo osservavano, non lo avrebbero seguito, non quella volta, aveva diritto di restare da solo.

Era una tomba semplice, colei che fu Regina di Númenor giaceva nella terra, solo un cumulo di pietre candide adornava la sua ultima dimora, tra esse spiccava solitaria un unica roccia  nera, sulla quale era stato inciso rozzamente un albero bianco senza foglie, l'ultimo omaggio di un figlio alla madre sovrana di un regno che l'aveva rinnegata.

A lungo ristette sulla soglia, lame di luce mobile filtravano tra le foglie, per la prima volta non provava pena in quel luogo ma speranza.

Si inginocchiò accanto alla tomba, spostando con cura e riverenza pietra dopo pietra fino a rivelare il tesoro che aveva nascosto tanti anni prima, con cautela aprì la stoffa e, lucente e maestosa come se tempo e polvere non l'avessero sfiorata, Narsil rivelò il suo splendore, sotto di essa incastonata in un filo di mithril risplendeva una bianca stella di cristallo elfico, Elendimir, la corona di Númenor, non aveva bisogno di essere pesante o maestosa perché lo splendore di quell'unica gemma rendeva inutile qualunque altro ornamento.

Dopo aver accuratamente riposizionato le pietre rimase a lungo fermo con quell'unica nera tra le mani, poi con un sorriso prese una candida scheggia e adornò quei rami spogli di piccole foglie e sopra di essi pose una stella incoronata

-L'albero piantato da mio padre sta per fiorire madre, non ho perso la speranza-

Con queste parole pose anche quell'ultima pietra sul tumulo e uscì.

Quando la luce del sole colpi per la prima volta dopo tanto tempo la Stella di Elendil questa esplose in un'accecante bagliore di arcobaleni incoronando di luce Tàralelyol che mai come in quel momento era sembrato così nobile e maestoso, egli era realmente Ar-Agorn il legittimo erede di Númenor e i compagni dovettero resistere all'impulso di inchinarsi tanto regale appariva ai loro occhi.

-Eccola la Stella degli Elfi!- colma di meraviglia era la voce dell'Istari -Fu davvero un triste giorno quando essa venne trafugata dall'elmo di Fëanor* per diventare simbolo di una discendenza di Traditori della Luce! Oggi gioisce il mio cuore perché di nuovo essa risplende sul capo di chi è degno di portarla-

Tra tutti Mithrandir fu l'unico a trovare la voce per parlare perché gli altri restavano muti e sopraffatti dalla vista di tale splendore che nessuna parola sarebbe stata degna di essere pronunciata.

Fu solo quando la gemma venne accuratamente riposta che l'attenzione fu catturata dal secondo oggetto che il númenóreano portava, forse meno appariscente ma sicuramente non di minor pregio, Narsil, la spada dei Signori Supremi dei Noldor, tramandata a partire da  Finwë fino all'ultima mano che la impugnò, quella di Turgon.

-Per la Barba di Durin! Guardate!- Gimli stava ammirando l'arma che era certamente opera dei nani quando aveva esclamato eccitato indicando le Rune incise sulla lama

Dal momento che nessuno sembrava condividere il sue entusiasmo continuò rivolto all'uomo

-Insomma! Non hai mai letto l'iscrizione?-

-Di grazia, quella sarebbe un iscrizione? Mi ero sempre chiesto cosa fossero quelle lineette! Sii serio Gimli, non vedo questa spada da quando ero un ragazzo e di certo a quei tempi non conoscevo le Cirth, ancora oggi non conosco abbastanza del vostro linguaggio per poterle tradurre-

-Non hai torto, teniamo ben custodito il segreto delle Rune, comunque qui dice "Narsil essenya, macil meletya, Telchar carnéron Návarotesse Finwëin " che significa "Narsil è il mio nome, spada potente, Telchar mi fece a Nogrod per Finwë" Capite! Che meraviglia una lama di Telchar si dice che nessun nano riuscì mai a eguagliare la sua abilità alla forgia e ora che vedo questa spada posso asserire che è certamente vero-

-Una spada forgiata dai Nani per il Signore dei Noldor, un cimelio di un epoca in cui l'odio non aveva ancora diviso quei popoli- biascicò l'anziano stregone -Quest'arma significa molto di più di una potente alleata in battaglia!-

-Ora che mi dici Estel?- ghignò l'immortale -Ancora coincidenze?-

Dopo aver lanciato un occhiata torva all'elfo senza degnarlo di una risposta continuò chiedendo ai compagni

-Secondo voi Erestor lo sapeva quando me ne ha fatto dono?-

-Se lo sapeva? Certamente, la storia di una Spada così famosa è sicuramente conosciuta da tutti gli immortali- rispose l'Istari -Se prevedesse per lei un altro destino oltre quello di scendere in battaglia non so dirlo, ma se quell'Erestor è lo stesso di cui ho memoria allora posso azzardarmi a dire che forse lo sperava-

-Di cui hai memoria?- Gwath aveva a lungo represso la curiosità nei confronti dell'anziano mago ma mai prima d'ora le parole lo avevano tradito tanto, questo aggiunto al quelle della Dama di Lòrien rendevano impossibile ignorare ciò che ormai era evidente a tutti, ossia che Mithrandir era molto più di quello che rivelasse

-Immagino che sia giunto il momento per voi tutti di sapere con chi state viaggiando- sospirò -Ebbene sia, accendiamo il fuoco e accampiamoci, quella che ho da narrare è una lunga storia e purtroppo non felice, il calore delle fiamme scaccerà forse la tenebra del mio cuore-


NOTE

*Scusate la “licenza poetica” nella storia originale l'Elendimir venne creato (non si sa da chi) per Silmariën, figlia di Elendil... in questa versione lo faccio risalire a Fëanor (quello che ha creato i Silmaril e i Palantiri) e Elendil l'ha solo ritrovato e fatto montare sul mithril per regalarlo alla figlia.

     Per i più curiosi: Tale gemma come i Silmaril aveva poteri magici, incuteva timore nei nemici e la sua luce non poteva essere spenta o resa invisibile dal potere dell'Unico Anello  « ...perché gli Orchi ancora temevano l'Elendilmir che portava in fronte » ... « L'Elendilmir dell'Ovest non poteva essere spento, e all'improvviso splendette rosso e minaccioso come un'ardente stella. Uomini e Orchi fecero largo impauriti; e Isildur, coprendosi con il cappuccio, svanì nella notte. »  Racconti Incompiuti (III,1) J.R.R. Tolkien

*Le cirth ("rune")  sono utilizzate per le iscrizioni dai nani e dagli elfi parlanti Sindarin. Secondo la mitologia tolkeniana le Cirth sono state ideate da Daeron, menestrello del re Thingol. Tuttavia con l'avvento delle Tengwar di Fëanor, ben più evolute, le Cirth caddero in disuso. Vennero in seguito adottate dai nani che le utilizzarono per trascrivere il Khuzdul. L'alfabeto è formato da una sessantina di rune 

  
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