Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Katekat    01/09/2012    3 recensioni
Non hai potuto salvarla, è vero, ma forse c'è ancora una cosa che puoi fare per lei.
Un'ultima canzone che puoi donarle.
La tua canzone per dirle addio.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Nessun contesto
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Song to say Goodbye 
 
 
 
 
 



Hai sedici anni; 
sei un uomo, cresciuto in fretta nel corpo secco e spigoloso di un ragazzo. 
Sei venuto su triste e cupo, diffidente e scontroso – un pizzico malvagio.
Ti mantieni nell’ombra, vivi nascosto, non ti piace attirare l’attenzione, se non di una persona in particolare. Ma lei sembra non vederti – non in quel senso, almeno.

 
Sai di essere più intelligente degli altri – più dotato, più capace; ma, al tempo stesso, ti senti sempre infinitamente inferiore a chiunque, anche al più imbecille tra loro.
Come quel Potter.
Preferiresti morire piuttosto che ammetterlo, ma daresti tutto quello che di più prezioso possiedi – la tua bacchetta e tutti gli Incantesimi Oscuri che conosci – per fare a cambio con lui; per essere, anche solo per un giorno, il maledetto, popolarissimo, osannato James Charlus Potter. Il Cercatore di Grifondoro. Lo sbruffone che fa cadere le ragazze ai suoi piedi con due moine e un paio di paroline dolci. 
Daresti la vita per essere guardato, anche una sola volta, come tutte guardano lui.
Tutte tranne lei.
E questo pensiero basta a risollevarti – la maggior parte delle volte.


Stamattina hai ricevuto un gufo da tua madre.
Le solite banali frasi di circostanza, le solite bugie (“Io sto bene, ho solo un po’ di mal di petto e una tosse che non va via, ma a parte questo fila tutto liscio… davvero, molto meglio del solito”), come se avesse bisogno di mentire con lui… proprio con lui...
Ma stavolta qualcosa di più grosso si nasconde tra le righe, tracciate con la grafia tremolante e incerta di una bambinetta: gli chiede se quest’anno può restare a Hogwarts per le vacanze di Natale. Non gli ha mai fatto prima una richiesta del genere: di solito è ben contenta di poterlo riabbracciare, quel figlio strano e smunto che vede così poco. E il motivo addotto è ancora più assurdo della richiesta: “Non voglio privarti della compagnia dei tuoi amici. Immagino che sarai molto più felice di trascorrere il Natale con loro che a casa”.
Per Merlino, sei quasi scoppiato a ridere mentre leggevi! Tu, amici?! Ma se non ne hai mai avuto uno, né a Hogwarts né fuori! E tua madre lo sa benissimo.
Questa lettera ti inquieta. Hai un brutto presentimento. 
Il comportamento di Eileen Prince è strano oltre ogni dire. Ti sta nascondendo qualcosa; qualcosa di molto grave, o non mentirebbe in modo così spudorato, così palese.
E’ scavando tra le frasi non dette e i pensieri nascosti di tua madre – nascosti per proteggerti, cullandoti in una falsa illusione di sicurezza che non poteva durare – che hai sviluppato l’abilità della Legilimanzia.
E’ nascondendo le tue paure e le tue debolezze a tuo padre – per non offrirgli il capro espiatorio su cui sfogare le sue frustrazioni – che hai sviluppato il tuo talento eccezionale per l’Occlumanzia.
Pochi riescono a vedere la menzogna nella tua mente; a te, quella degli altri, non sfugge quasi mai.
Devi tornare a casa, sì. Decisamente.

 

***
 


Non venire
, ti ha supplicato lei, quando le hai telefonato dalla cabina fuori dalla stazione di King’s Cross, appena scaricato dall’Espresso di Hogwarts nell’odiato mondo Babbano. E’ pazzo. Ti ucciderà. Non venire. 

Non l’hai nemmeno ascoltata.
Il taxi che ti portava a Spinner’s End sembrava andare troppo lento – la tua ansia cresceva a ogni minuto che passava.
L’orrore si annidava appena dietro l’uscio di casa, dimenticato socchiuso; faceva sentire la sua voce nella babilonia di lamenti e urla ringhiose che ti hanno aggredito appena messo piede dentro.
Hai capito che era troppo tardi ancor prima di trovarla lì per terra, sul pavimento dell’ingresso,  come l’hai vista tante, troppe volte – e non hai mai fatto niente.
Ogni volta che tornavi a casa per l’estate, tutti e due i suoi occhi violacei, e il labbro spaccato, e i graffi sulle sue mani ti urlavano di fare qualcosa, ma tu continuavi a far finta di niente. 
Ti chiudevi nella tua stanza con i tuoi libri di Magia Oscura, a inventare fatture e maledizioni contro ipotetici nemici, mentre il nemico, quello vero, ce l’avevi vicino, che si prendeva un pezzo dopo l’altro della donna al suo fianco.
Avevi una bacchetta, avresti potuto fare di tutto – ma non l’hai fatto.
La prossima volta la ucciderà, ti diceva una vocina, se non lo fermi adesso la ucciderà. Fa’ qualcosa ora, prima che sia troppo tardi. 

Ora è troppo tardi.

 

You are one of God’s mistakes,
You crying, tragic waste of skin
I’m well aware of how it aches
But you still won’t let me in

 
Lo senti urlare e singhiozzare, aldilà della porta chiusa a chiave che dà nella cucina.
Non puoi credere che stia piangendo – lui, proprio lui.
Non può essere ancora capace di una cosa umana come il pianto, non dopo quello che ha fatto. Non ha il diritto di soffrire, non quando vi ha fatto versare così tante lacrime, a te e a tua madre, per ogni giorno trascorso nelle sue mani.
Eppure, al tempo stesso, vuoi che soffra – sei contento.
 

Ti basterebbe una Alohomora per far scattare la serratura, ma rimani come paralizzato da orrore e avida curiosità di fronte alla porta chiusa.
Non ti senti in colpa mentre godi – sì, godi selvaggiamente nell’udire la sua voce spezzata dai gemiti. Hai desiderato per anni poter sentire quei suoni uscirgli di bocca, mentre ti urlava e ti insultava e ti minacciava e ti faceva sempre più livido, di sangue e di vergogna.
Sai bene come ci si senta a essere meno che nulla, meno del più infimo essere vivente sulla faccia della terra; è così che deve sentirsi anche lui – lo merita.
Qualcosa, alla fine, sembra essersi spezzato nella sua mente malata, o forse è stato il fatto di trovarsi di fronte a una realtà più grossa di quanto potesse sopportare a fargli perdere la ragione.
(Chissà se voleva davvero ucciderla…)
Ma che importa? Ormai lei è andata.
Le ha tolto la vita e ora che fa? Piange.
E’ un verme. Indegno di esistere.
Se rimani in quella casa, è solo per tua madre.
I suoi occhi spenti non guardano niente, ma esercitano su di te un’attrazione malsana e incomprensibile che ti inchioda su due piedi, impedendoti di muoverti.
Con fatica, distogli lo sguardo da lei. Con un brivido nel sentirti così indifferente, così vuoto. Dai la colpa allo shock. Sei sotto shock, sì.
Il cane guaisce e si rotola nella sua rogna immonda, rintanato nella stanza.
Vuoi ucciderlo, ora? Vuoi fare giustizia?

 

Now I’m breaking down your door
To try and save your swollen face
Though I don’t like you anymore
You lying, trying, waste of space

 
E’ un senso vago di pietà e schifo che ti spinge a puntare, con un gesto secco, la bacchetta verso la porta. Non usi l’Alohomora, no.
Reducto!”
La porta si squarcia in mille pezzi, con un boato che è come un’esplosione e ottunde i timpani. Quando schegge di legno e polvere tornano a depositarsi, la scena si rivela in tutta la sua squallida prosaicità.
Se ne sta rannicchiato in un angolo. Alza appena la testa, quando sente la porta fracassarsi.
Non sai se ti riconosce; non sai nemmeno se può vederti, perché il suo viso è una maschera tumefatta che non ha più nulla di umano.
Tua madre, al telefono, ti aveva detto che era tornato a casa in quello stato, probabilmente dopo aver avuto una rissa con altri ubriachi – e se l’è presa con lei (doveva – come si dice? – scaricare la rabbia). Peccato che sia andato un po’ troppo in là, stavolta.

 
La rabbia ora monta dentro di te. Sfrigola palpabile, pulsante, nella punta della tua bacchetta.
Ma la tua mano non si solleva; le tue labbra restano chiuse.
Non dirmi che ora vuoi risparmiare questo relitto umano?
Vuoi salvargli la vita mentre tua madre, da lui assassinata, giace ancora calda nella stanza a fianco?
E’ aldilà di qualsiasi salvezza, indegno di qualsiasi aiuto, l’uomo che ti ha reso la vita un inferno, che ha malmenato e maltrattato tua madre davanti a te, che ti ha chiamato “piccolo bastardo”, “delinquente”, “topo di fogna”.
E’ lui la fogna, adesso – e puzza anche, come una fogna.
Senti la nausea avvinghiarti la bocca dello stomaco, salirti in gola in un fiotto caldo e amarognolo.
Gli vomiteresti addosso, ma dopo averlo massacrato di pugni, come tante volte lui con te.
Come può questo essere abietto e inutile, dopo quello che ha fatto, restare una creatura di Dio?
Ti sorprendi tu per primo di aver formulato questo pensiero, in questi termini. Tu non sei credente, e la religione non c’entra niente, adesso.
Tua nonna paterna, però, era molto devota. La madre di questo bastardo, così diversa da lui.
Lei te lo diceva sempre, diceva di perdonare e aiutare il prossimo, perché ognuno è creatura di Dio – ecco da dove ti sono venute quelle parole –, e ognuno porta la propria croce. 
Ma tu hai scoperto presto che alcune croci sono più pesanti di altre.

 

Before our innocence was lost
You were always one of those blessed
With lucky sevens
And the voice that made me cry

 
Una volta se ne andava in giro con aria tronfia di disprezzo. Disprezzava tutti: i suoi colleghi, i suoi compaesani, i vicini, tua madre, te. 
Lui, misero ometto senza arte né parte, si credeva superiore agli altri. Un palmo sopra tutti. Si faceva forte con voi, che eravate più deboli, mentre si comportava da pecora con i suoi superiori. Come si può chiamare “uomo” uno così?
E tu, che ancora non potevi difenderti, vedevi in lui un esempio della mostruosa ingiustizia divina. La prova lampante che tua nonna si sbagliava, che era un’ingenua se pensava che tutti meritassero una seconda chance, se diceva che è giusto e buono porgere l’altra guancia, anche se si viene colpiti ancora, più forte.
Chi meglio di te poteva saperlo? Hai smesso subito di porgere la guancia, ma lui ti colpiva lo stesso.
Perché eri così sfortunato? Perché ti era toccato proprio lui come padre? E, soprattutto, perché lui non veniva punito, perché nessuno lo fermava?
Non era giusto, pensavi sgomento. Non era giusto che bastasse il suono della sua voce a spingerti a correre, a nasconderti dove le sue mani non potessero arrivare.
Non poteva essere giusto che tu dovessi temere ogni suono che usciva dalle sue labbra, quasi quanto ogni colpo dei suoi pugni di ferro.
Sono quei pugni che ti hanno tolto l’innocenza; hanno ucciso il bambino prima e la madre poi. Si è lasciato dietro un cadavere da un lato e un fantasma dall’altro, che ora lo fissa truce, senza una parola.
Fai un altro mezzo gesto di sollevare la bacchetta; fiacco, il tuo polso ricade come privo di vita.
All’improvviso, volti le spalle a questo spettacolo ripugnante.
Sei un uomo, ormai, ma ora vorresti tanto le braccia di tua madre ad accoglierti, spalancate, come un angelo in volo.
Lei è lì – un angelo di morte.
 


You were mother nature’s son
Someone to whom I could relate
Your needle and your damage done
Remains a sordid twist of fate

 
Ti inginocchi accanto a lei.
Ti ci vuole un grande coraggio per sostenere la vista del suo corpo che reca i segni, molteplici, di percosse. Ma non sono state quelle a ucciderla – l’ha aggredita con un coltello da cucina, il vigliacco. Lo vedi nella tua mente, scagliarsi come una bestia contro una donna che non poteva difendersi, dopo averla tempestata di calci e pugni.
Vorresti piangere, ma le lacrime sembrano essersi congelate sotto le palpebre.
Volevi finire il lavoro in bellezza, eh? O forse picchiarla non ti sembrava abbastanza?
Volevi farle più male, non è così? 
È tutto uno squallido, perverso scherzo del destino, pensi. Lei, tua madre, che non ha mai fatto male a una mosca, la vera figlia di Madre Natura, l’unica persona che ti volesse bene e su cui potessi contare, è morta. E lui, il mostro, il demone, è vivo. La sorte, ancora una volta, ha giocato un brutto tiro. Ha fatto morire la vittima e ha risparmiato l’uccisore. Caino e Abele, è sempre stato così.
Come fanno i Babbani ad avere ancora fede? Sono così stupidi o solo ciechi?
Come poteva tua nonna avere ragione?
Come può esserci una giustizia a questo mondo?
Come può Dio esistere se permette che cose simili accadano, ogni giorno, ogni ora, in ogni dove?
 

All’improvviso un folle, assurdo, incredibile lampo di speranza ti pervade. Nello shock del momento, non ti sei neppure curato di controllare che fosse morta. E se fosse stata ancora viva e tu, perdendo tempo, per colpa della tua stupidità, l’avessi lasciata dissanguare?
Con un ansito strozzato, più animalesco che umano, di senso di colpa e di speranza – ma non ci credi fino in fondo, mai, neppure per un istante – ti chini su di lei a sentirle il polso. La scuoti, continuando a tenerle le dita premute sull’arteria. Ti sembra di sentire qualcosa, ma è il contrarsi forsennato del tuo stesso cuore che ti rimbomba nelle orecchie, nella pelle, in ogni centimetro quadrato del tuo corpo, in punta dei tuoi polpastrelli.
 


Now I’m trying to wake you up
To pull you from the liquid sky
‘cause if I don’t we’ll both end up
With just your song to say goodbye

 
«Madre! Madre!» Ora stai urlando proprio come un bambino. La disperazione ha soverchiato tutto il resto.
Non sei un medico, ma non c’è bisogno di esserlo per riconoscere i segni: non c’è alito di vita a soffiarle nel petto, né luce nei suoi occhi. Devi accettare la realtà, Sev. Devi dire a te stesso che è morta e non serve a niente continuare a scuoterla, cercando di farla muovere. Non si muoverà più, né parlerà più; non sarà più a casa ad aspettarti.
Ma tu non vuoi più mettere piede in questa casa, vero? Non con lui, che è ancora di là a trapanarti i timpani con le sue urla irragionevoli.
Con uno sforzo di volontà, riesci a dominare gli impulsi mostruosi che scuotono la testa nel tuo petto – devi controllarti, ci sono cose più importanti, ora, a cui pensare.
Devi accettarlo, Sev: tua madre è morta. Cosa farai con tuo padre, adesso? 
Ebbene sì, quella bestia è ancora tuo padre, almeno per la legge. Ed è ancora vivo, e devi prendere una decisione, subito.
 

Ma almeno questa pena ti è risparmiata.
Luci blu e sirene si fanno largo nell’ottundimento dei sensi che ti avvolge come una bolla di sapone – i vicini devono aver chiamato la polizia. Non ci avevi nemmeno pensato che lo strepito e le urla avessero destato l'attenzione di qualcuno. Ma allora perché nessuno è corso in aiuto?
Nascondi la bacchetta con quella scintilla di presenza di spirito che ancora ti rimane.
Le immagini scorrono veloci. Veloci e surreali. Come se qualcuno stesse mandando avanti le scene di un vecchio film che si conosce a memoria, ma che non si può fare a meno di rivedere.
Poliziotti Babbani fanno irruzione. Sembrano così stupidi, visti con gli occhi di chi esce or ora dall’Inferno.
Le loro pistole non ti fanno minimamente paura: dopo essere stato abbracciato dalla Paura, quella vera, ti paiono solo ridicoli giocattoli.
Si fermano sgomenti davanti alla scena madre. La luce delle loro torce rotola sul pavimento, sui muri. Le voci si alzano; le domande si rincorrono – non ci sono risposte.
Poi qualcuno lancia un urlo di avvertimento dalla cucina – tutti si precipitano lì.


E’ come un vecchio film, visto milioni di volte: sai esattamente cosa sta per accadere; conosci le battute una per una e puoi recitarle prima degli attori.
Tu invece sei spettatore, mentre trascinano via tuo padre ancora urlante, sbavante come un cane rabbioso, completamente folle.Sei come un sordomuto, o un alieno proveniente da un altro pianeta, mentre ti fanno domande che non capisci, che non ascolti. Fissi le loro labbra aprirsi e chiudersi in silenzio – nessun suono ne esce.
Abbracci stretto tua madre, lasci che il suo sangue ti scorra addosso per l’ultima volta – come tutte le volte che hai medicato le ferite e i tagli sul suo corpo indifeso – e cominci a cantare.
I poliziotti Babbani smettono di farti domande. Ti guardano a bocca aperta, con un misto di orrore e compassione sul viso, ma non provano a fermarti. Forse, pur stupidi come tutti i loro simili, hanno capito che questo è il tuo regalo d’addio per tua madre.
 

Se c’è una cosa che nessuno sa di te, nemmeno Lily, che hai sempre tenuto nascosto perchè ti fa vergognare, è che hai la voce di un angelo. Nessuno lo immaginerebbe, prima di sentirti cantare – solo tua madre ha avuto questo privilegio, nessun altro.
Quando restavate da soli in cucina, dopo che l’animale vi aveva pestati per bene ed era crollato esausto e sbronzo sul divano, lei chiudeva la porta e ti chiedeva sottovoce di intonarle una canzone, mentre si affaccendava con garze e cerotti. E tu, anche se imbarazzato, anche se dolorante per le botte, aprivi la bocca e cantavi, perché sapevi che era l’unica cosa che la rendeva felice; l’unica cosa che la consolava e vi faceva sentire vicini.
Non hai potuto salvarla, è vero, ma forse c’è ancora una cosa che puoi fare per lei.
Un’ultima cosa che puoi donarle.
La tua canzone per dirle addio.
 


It’s a song to say goodbye,
It’s a song to say goodbye
It’s a song to say goodbye

 

Placebo, Song to say Goodbye 

 
 


Fine
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Katekat