Un’ambulanza
alle otto di mattina
Roxas aprì un occhio, svegliato da un suono che non
gli era affatto familiare. Cercò di riaddormentarsi, ma Sora lo svegliò
preoccupato e con uno sguardo che non gli aveva mai visto in vita
sua.
“Alzati! Dobbiamo andare
dalla nonna” lo chiamò.
“Che succede? Perché tutta
quest’ansia?”
“Il nonno si è sentito
male, ha avuto una crisi respiratoria. Lo stanno portando in ospedale!”
rispose. A quelle parole il biondo, che si sentiva ancora intontito dal poco
sonno, si alzò e corse giù dal letto, raggiungendo l’entrata. Parcheggiata sul
vialetto c’era un’ambulanza e tre uomini stavano trasportando l’uomo sulla
barella per farlo salire nel retro. Sua nonna piangeva silenziosamente, da una
parte, e li guardava portare via il marito.
“Che succede?”
chiese Roxas, impaurito.
“Tesoro, non ora”
rispose lei.
“Che. Diavolo. Sta.
Succedendo?” ripeté lui, arrabbiato.
Anche se non si vedevano molto per il lavoro che
svolgeva suo nonno, loro due erano sempre stati molto attaccati. Avevano un
carattere molto simile, timido e chiuso per certi versi, ironico e divertente
per altri, e c’era sempre stato un legame speciale tra di
loro.
“Signora, noi portiamo suo marito in ospedale. Vuole
venire con noi o preferisce rimanere con i ragazzi?” le chiese un
volontario.
“Rimango qui. È bene se
spiego ai miei nipoti la situazione” rispose. L’uomo annuì e salì
sull’ambulanza, che poi partì a tutto gas con la sirena
accesa.
“Nonna, esigo subito di
sapere cosa cazzo succede qui!” la aggredì il biondo. La donna gli tirò
uno schiaffo forte, che lo fece quasi perdere l’equilibrio, poi rientrò in
casa.
“Non si dicono le
parolacce davanti a me” lo sgridò, prima di chiudersi la porta alle
spalle. Lui rimase fermo, allibito, con una mano sulla guancia pulsante. Se si
comportava così doveva essere qualcosa di serio, per forza. Quindi avevano avuto
ragione lui e Axel quando avevano detto che nascondeva
qualcosa.
La seguì all’interno dell’abitazione e si sedette
accanto a Sora a tavola. Lei portò loro un piatto di latte e biscotti, poi gli
si mise di fronte e sospirò.
“Ragazzi, c’è una cosa
che non vi abbiamo detto” ammise. Tutti e due rimasero zitti, senza
toccare la colazione.
“Qualche mese fa, circa
verso marzo, vostro nonno si sentì male. Un dolore forte ai polmoni, crisi
respiratoria e tosse fortissima. Andammo in ospedale e lo tennero lì un paio di
giorni per gli accertamenti” iniziò a spiegare. Gli occhi le si
riempirono di lacrime, ma le cacciò indietro, imponendosi di essere
forte.
“Il resoconto non fu per
niente buono e abbiamo scoperto che lui è malato… ha un… un…” non
riusciva a dirlo, tanto era il
dolore che le provocava.
“Ha un tumore,
vero?” l’aiutò Roxas. L’aveva capito già da quando aveva iniziato a
raccontare, senza sapere come mai se lo immaginasse. Lo sapeva e
basta.
“Sì, purtroppo sì. E
anche grave, ormai esteso a gran parte dei polmoni. All’inizio pensavamo che
sarebbe riuscito a curarsi, ma poi ha cominciato a tossire sempre più spesso e
sentiva dolore sempre più acuto. Nelle ultime settimane era spesso fuori casa
perché andava in ospedale per farsi controllare. Ormai non gli è rimasto più
molto tempo” confessò. I due fratelli rimasero paralizzati a quella
notizia, immobili.
“Perché non ce l’avete
detto prima?” chiese Sora.
“Non volevamo farvi
preoccupare. Non vi sareste comportati nello stesso modo se aveste saputo che ha
una malattia terminale e non vi sareste goduti l’estate. Questa è l’ultima
vostra estate da liceali e volevamo che fosse come è sempre stata, senza
pensieri. Non pensavamo che avrebbe avuto un’altra crisi, e temo che lui… che…
lui…” la signora Key si mise a piangere e fu scossa da singhiozzi forti.
Anche gli occhi dei gemelli si riempirono di lacrime e entrambi
l’abbracciarono.
“Lui non tornerà a
casa” sputò alla fine.
“Nonna, non fare
così” la consolò il biondo, piangendo con lei.
“Ci siamo noi con
te” le assicurò il castano. Tutti e tre rimasero fermi in quella
posizione per non si sa quanto tempo prima che il telefono
squillasse.
“Pronto?”
“Ciao tigre. Come va?”
“Oh, Axel… ciao”
sussurrò Roxas, spento.
“Ehi, cos’è successo?”
“Nulla, non ti
preoccupare”
“Invece mi preoccupo! Sei il mio ragazzo e mi preoccupo per
te” gli fece presente il
biondo attese qualche istante prima di scoppiare in
lacrime.
“Axel, ti prego… posso
venire da te?”
Mezz’ora dopo era a casa Flame, seduto sul divano con
le ginocchia strette al petto.
“Roxas, mi dispiace”
disse il rosso una volta che ebbe terminato di raccontare.
“Anche a me” rispose
lui, fissando il vuoto. Non era riuscito a rimanere a casa, ma tanto non sarebbe
servito a niente: i suoi genitori erano andati in ospedale e Sora aveva
accompagnato la nonna. Avrebbe tanto voluto andarci anche lui, ma non riusciva a
pensare che suo nonno era in un lettino anonimo, praticamente in coma, e che non
si sarebbe risvegliato mai più. Solo immaginarlo lo faceva
piangere.
Vedendo le sue lacrime, l’uomo lo strinse forte al
petto.
“Perché deve succedere a
lui? Magari non ci ho passato molto tempo insieme negli ultimi mesi, ma gli
voglio bene, non voglio che muoia!” esclamò, aggrappandosi alla sua
camicia.
“Perché lascia la nonna da
sola? Lei non ce la può fare, ormai è vecchia ed ha passato tutta la vita con
lui. Non riuscirà ad andare avanti se non c’è”
continuò.
“Shh, Roxas, shh… va tutto
bene. Si sistemerà tutto” lo tranquillizzò Axel.
“Perché deve
morire?” gli chiese il ragazzino, con gi occhi pieni di lacrime. Lui ci
pensò un attimo, poi sospirò.
“Ti dirò la verità, io non
ce l’ho una risposta. Studio le medicine e la loro funzione ma non so come ma
poi la gente muore lo stesso. Però posso assicurarti che ti starò accanto e non
ti lascerò” promise. Il biondo tirò su col naso e poi appoggiò la faccia
al suo petto.
“Vuoi andare in ospedale? Ti
accompagno io” gli propose. Lui annuì, e si alzò.
Lo seguì fin dentro al pick up, ma poi lo ignorò per
tutto il viaggio.
La verità è che non ci era abituato. Non aveva mai
avuto lutti in famiglia o perdite gravi nelle amicizie, aveva sempre vissuto
nell’infantile idea che la morte era qualcosa di lontano da lui. Dava per
scontato coloro che amava: sua madre, suo padre, i nonni, Riku, Xion, Axel,
Sora… facevano parte della sua vita e nessuno poteva portarli via. O almeno così
credeva.
Adesso, però, chiuso in quel fuoristrada, mentre
andava in ospedale, si rese conto che non riusciva a sopportare quel
dolore.
“Siamo arrivati,
tigre” lo chiamò il rosso, posandogli una mano sulla guancia. Lui
sobbalzò e lo fissò, quasi non si fosse accorto di
dov’erano.
“Te la senti?”
s’informò.
“Devo andare. I miei sono
tutti lì e io, anche solo pensando che potevo scappare, sono stato un codardo.
Però ti prego… vieni con me” lo implorò. Axel gli dette un lieve bacio
sulle labbra.
“Non ti lascio,
memorizzato?” promise.
“Grazie”
La camera dove avevano messo suo nonno era una
semplice camera d’ospedale: due letti bianchi, una flebo lì vicino, un bagno e
un televisore vecchio tipo messo su una mensola attaccata al
muro.
Erano tutti lì: sua madre, suo padre, Sora e sua
nonna. Non mancava nessuno. Quando entrò, seguito da Axel, tutti gli occhi si
puntarono su di loro, ma lui continuò a stringere la mano del rosso, nonostante
le occhiate incuriosite del padre.
“Scusatemi per il
ritardo” disse, sedendosi vicino al fratello. Lui gli sorrise stanco, poi
tornò a fissare il nonno.
“Novità?” chiese,
per rompere il silenzio. Sua madre scosse la testa.
“Dicono che probabilmente non si risveglierà più. È
in coma farmacologico e lo terranno così per fare in modo che non senta il
dolore. Pare che abbia sofferto tanto e noi non c’eravamo… io non c’ero” spiegò,
iniziando a piangere. Il marito la strinse, cercando di alleviare un po’ quella
sofferenza, ma anche lui era provato. Il fatto era che il signor Key era amato
da tutti, non si poteva non volergli bene: si era occupato prima della figlia,
poi anche del genero quando non avevano casa, e tutte le estati stava dietro ai
nipoti. Mostrava sempre un sorriso di comprensione anche quando avevi fatto
qualche danno e riusciva a dare affetto a tutti, nessuno escluso. Come mai era
proprio lui a doversene andare?
“Non possiamo fare
niente?” domandò.
“No, Roxas. I medici
dicono che è meglio così: se ora si svegliasse soffrirebbe troppo”
rispose Sora. Lui lasciò la mano si Axel e abbracciò il fratello, che
ricambiò.
“Adesso dobbiamo solo
aspettare…”
Un paio d’ore dopo i due erano davanti alla
macchinetta del caffè per prendere qualcosa da bere. Non che ce ne fosse
bisogno, era solo per poter occupare almeno dieci minuti fuori da quella stanza
che sapeva di morte lontano un chilometro.
“Senti, se vuoi andare a
casa vai pure. Almeno per oggi io rimarrò qui con la mia famiglia, quindi non
penso che sia indispensabile che tu rimanga qui” disse il biondo,
sorseggiando un tè bollente.
“Tu hai bisogno di
me?” gli chiese il suo compagno, fissandolo intensamente. Avrebbe voluto
dire di no, fare la persona forte e farlo andare via per il suo bene, ma non ce
la face.
“Sì, io ho bisogno di
te” ammise.
“Allora resto fin quando non
andrai via anche tu” decise. Non se la sentiva di mollarlo lì, indifeso
com’era. In realtà non aveva conosciuto suo nonno, ma da come gliene aveva
parlato doveva essere una persona in gamba. E lui doveva soffrire in modo
terribile in quel momento.
Dal fondo del corridoio videro arrivare Sora, con gli
occhi lucidi e le mani tremanti.
“Roxas, la nonna ha
detto che, se vuoi, puoi tornare a casa” gli disse.
“Perché solo io e non
voi?”
“Perché lei sa. Si è
resa conto di come state insieme e ha detto che se almeno uno di noi riesce a
trovare un po’ di sollievo al di fuori di qui, sarà un bene per tutti”
spiegò.
“Non ho capito”
ammise il ragazzino.
“Se tu esci con Axel, o
comunque ti fai portare a casa, poi dopo sarai in grado meglio di noi di
prenderti cura della casa e, magari, di rallegrarci un po’. So che ti sembra
pazzesco, ma credo che abbia ragione” rispose. Lui riuscì a capire cosa
intendesse il fratello e ci pensò su.
“Forse… forse è meglio, sì.
Allora noi andiamo e vi preparo la cena, così, quando rientrate, avrete qualcosa
da mangiare” decise.
“Non credo che qualcuno
avrà voglia di cenare” gli fece presente Sora. A Roxas si riempirono gli
occhi di lacrime.
“Lo so, ma è la cosa più
normale che mi viene in mente” ammise triste. Il castano lo abbracciò
forte, poi sorrise
stanco.
“Ci vediamo dopo”
lo salutò rientrando nella camera.
Axel, in tutto questo discorso, era rimasto in
disparte. Si sentiva un intruso in tutto quel dolore, ma, per qualche motivo,
stava soffrendo con loro. Aveva percepito la disperazione della famiglia di
fronte a quella notizia di morte imminente e si rendeva conto che lui, nella sua
di famiglie, non aveva mai avuto un amore così infinito né per qualcuno né da
parte di qualcuno.
“Vieni con me?” gli
chiese Roxas, prendendolo per mano.
“Non ti lascio”
promise.
Nel tragitto fino alla macchina rimasero zitti,
ognuno perso nei propri pensieri.
“Guarda, guarda chi si vede” commentò una voce dietro
di loro un attimo prima che salissero sul pick up. Si voltarono nel medesimo
istante e videro un Saix vestito di bianco arrivare lentamente verso di loro. Il
biondo fu subito assalito da una rabbia cieca.
“Che cosa vuoi?”
chiese in malo modo.
“Niente di che, mi stavo
solo chiedendo quando foste diventati così intimi” rispose mellifluo.
Aveva un tono di voce lento ma preciso, freddo e
calcolato.
“Fatti gli affari
tuoi” intimò il ragazzino. Lui rise divertito, ma aveva una risata così
metallica che gli fece venire la pelle d’oca.
“Mi piace il tuo modo di
fare, sai? Devi essere una tigre. Soprattutto in certe… situazioni”
commentò. Quella frase fece irrigidire Axel, che si mise in mezzo e lo guardò
male.
“Vattene Saix, questo non è
un bel momento” ordinò.
“Me lo immagino. Allora
aspetterò che lo sia e vedrò come si comporta il tuo amichetto. Mi
incuriosisce” lo avvertì.
“Ti avverto: se ti azzardi
anche solo a toccarlo con una mano io ti ammazzo. Ci siamo capiti?” lo
minacciò.
“Come siamo aggressivi.
Stavo scherzando e basta” lo tranquillizzò, voltandosi. Poi sorrise senza
essere visto.
“O forse no”
aggiunse. Roxas si pietrificò a quelle parole e trattenne il respiro
involontariamente. Solo quando l’uomo fu del tutto scomparso alla sua vista
riuscì a respirare con calma e ad aggrapparsi ad Axel.
“Non mi piace. Non mi piace
per niente” ammise, tremante.
“Non ti preoccupare: finché
sei con me non può succederti nulla” gli promise il rosso,
abbracciandolo.
“Mi porti a casa? Ho
bisogno di dormire” lo implorò, sentendo la testa
pesante.
“Sì, è meglio se ti riposi.
Andiamo”