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Autore: Donixmadness    01/09/2012    4 recensioni
Ciao a tutti! Questa è la mia prima fic su Death Note, anime stupendo!! E dato che sono un'appassionata sostenitrice di L (Ryuzaki, appunto) ho voluto dedicare una storia riguardo al suo passato.
La storia di una ragazzina che intreccia i destini di L e Watari .... e che in un certo senso darà un'importante lezione di vita all'impassibile e freddo L. Anche se con ad un prezzo molto alto ...
Perciò recensite, e siate clementi per questa povera pazza!!!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Watari
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Spilli. Sottili aghi che piovono dal cielo. La gente si ripara con ombrelli, altri sprovvisti corrono con la giacca sulla testa, o facendosi scudo con la borsa.
Ma è inevitabile, non si arresteranno. E’ quella coltre grigia lassù che li genera, li fa cadere. Per L adesso la pioggia non sembra il pianto delle anime, come molta gente pensa. No, è quasi un castigo divino, o meglio la burla di un dio assetato dell’agonia degli umani.
Eppure quei pupazzetti di carne che camminano laggiù non sembrano minimamente accorgersene. Strano, non pungono questi spilli?
Oppure pungono senza che quelli ne avvertano il dolore.                                                                    
Gli occhi pece di L guardano la pioggia, fine, sottile che scroscia al suolo.                                                                            
–Il  55% … - mormora in un flebile soffio. Solleva lo sguardo buio dalla gente e lo rivolge al cielo.
Una luce bianca lampeggia tra le grosse masse grigie, susseguita dal rombo fragoroso di un tuono.                                                                                                                                                           
 




55%. 55% . Mentre mi avviavo nella mia stanza accompagnato da Watari, il mio cervello non faceva altro che ripetere questo risultato a raffica. La percentuale di interesse nei suoi confronti era schizzata come niente, eppure mi domandavo come fosse possibile…                      
Ci doveva essere per forza una spiegazione logica! Perché tra tutti i nuovi arrivati all’orfanotrofio, lei era stata la prima a raggiungere questo risultato?
Era una normalissima bambina con un quoziente superiore alla media. Era brillante lo dovevo ammettere, ma sarebbe stata alla mia altezza? Non c’era altro da fare se non metterla alla prova, in segreto. Avrei suscitato sospetto se avessi chiesto informazioni a Watari. Quindi non mi restava che monitorarla.
E sapevo già cosa avrei dovuto fare.                                                                                                     
–Cosa ne pensi della nuova arrivata, L? – domandò il vecchio inglese di fianco a me, ridestandomi dalle mie riflessioni. Dal canto mio, continuavo ancora a tormentarmi l’unghia del pollice, da una parte volevo tacere dall’altra esprimere la mia sincera opinione, ma considerando ciò che avevo intenzione di fare mi limitai a dire:                                                                                                        
-Non ho sufficienti dati per esprimere un’opinione esauriente. –riferii apatico senza scompormi. Watari inarcò un sopracciglio bianco, leggermente scettico. Probabilmente vista la mia reazione di prima, credeva  che finalmente mi sarei interessato a qualcuno, per la prima volta come persona non come oggetto da analizzare. In realtà, il mio scopo era trovare qualcosa di divertente. Niente di più.                                                                                           
Volevo sperimentare le sue capacità sia deduttive che di spirito di iniziativa. Anche se non lo davano a vedere anche Watari e Roger fremevano dalla curiosità di scoprire le sue reali potenzialità.                                                                                                                                                   
–Io credo che sia davvero brillante e che possegga delle doti fuori dal comune!- irruppe improvvisamente quel silenzio che si era creato poco prima.
Per quanto fosse difficile, forse Watari era l’unico in grado di intuire i miei pensieri, in particolarl modo quando ero piccolo.                                                          
Io non replicai: mi limitai ad osservarlo con le mie grandi iridi incupite dalle occhiaie. Aveva un aria piuttosto soddisfatta sul volto e coglievo un’enfasi ponderata. Doveva avere delle qualità particolari  per coinvolgere anche Watari. In realtà, sapevo bene che gli brillavano gli occhi ogni qual volta trovava un orfano dotato, ma mai l’avevo visto così preso.                                                                               
Questo non fece altro che accendere la miccia della mia arguzia: si sarebbe rivelato davvero un avversario interessante, lo dimostrava anche la percentuale da me calcolata.                                                         
Il giorno dopo ci fu lezione, ed ero in attesa di scoprire qualcosa in più sul suo conto. Come al solito entrai in aula circospetto e silenzioso, nessuno mi notava né io volevo espormi. Non avevo contatti con gli altri orfani, loro erano solo gli altri individui che occupavano i banchi dell’aula. In classe alleggiava il classico brusio di sottofondo degli allievi: gruppetti che chiacchieravano e bisbigliavano tra loro. Io ero totalmente estraneo a tutto ciò. Stavo bene così,  ma per il semplice motivo che i miei compagni di orfanotrofio non erano affatto interessanti. Tutto qui. Io li osservavo ma non interagivo con loro, anzi consideravo una perdita di tempo anche solo osservarli, quindi preferivo di gran lunga stare appollaiato sulla sedia di legno e concentrarmi a mordicchiare l’unghia. Aspettavo il momento in cui avrebbe varcato la soglia. In un attimo il brusio di sottofondo si interruppe di colpo, due paia scarpe nere lucide avevano varcato la soglia con un lieve calpestio.                                                        
Watari era entrato giusto in tempo, seguito dalla ragazzina che scrutava i volti dei compagni con le sue iridi chiare. A prima vista non sembrava spaventata o nervosa, aveva un atteggiamento piuttosto rilassato e composto. Tutti gli altri la osservavano curiosi, io invece dal fondo dell’aula ero solo impaziente di svelare le sue presunte qualità. Mentre la presentava alla classe, Quillsh mi scoccò un’occhiata indagatrice. Io ero immobile nella mia posizione fetale, e continuavo a torturare l’unghia mentre le mie grandi pupille petrolio l’avevano già adocchiata. Seguivo con lo sguardo tutti i suoi movimenti.                                                                                                           
–Piacere di conoscervi! – disse infine, grattandosi la nuca leggermente in imbarazzo nel constatare tanti occhi puntati su di lei – Il mio nome è Shiro e spero che andremo d’accordo … ehehh – seguì una flebile risatina alquanto nervosa, che si ammutolì di colpo. Tutti erano in religioso silenzio a fissarla tra il basito e il curioso, io continuavo a scrutare ogni particolare : ogni espressione, linguaggio del corpo, e gesti vari.                                                         
Dopo aver parlato si era irrigidita di colpo, ma Watari spezzò immediatamente quel suo torpore prima che diventasse una statua di sale.                                                                                                                              
–Bene, puoi andarti a sedere vicino ad L, lì accanto alla finestra – le indicò cortese Wammy, io ghignai divertito. Era un punto strategico quello, perché di solito ero io a  sedermi vicino alla finestra mentre il banco di fianco restava vuoto. Era una sorta di barriera tra me e gli altri, e durante le lezioni spesso mi perdevo a guardare fuori, ed ero puntualmente sorpreso dallo sguardo vigile di Watari il quale però non riusciva mai a cogliermi impreparato.
La ragazzina mi arrivò di fianco rivolgendomi una breve occhiata sorpresa, e poi si sedette al banco. Per tutta la durata delle lezioni non avevo fatto altro che fissarla insistente con il mio proverbiale dito in bocca. Non la guardavo con la coda dell’occhio, ma ero appositamente girato verso di lei in attesa di qualche piccolo movimento. Era chiaro che se ne fosse accorta e notai una leggera irritazione nei fugaci sguardi che mi rivolgeva ad intervalli di due minuti circa. Era infastidita, ed ogni secondo che passava accresceva sempre più la sua rabbia. Cercava di contenersi stringendo con fervore i pugni sul banco.
Si sforzava di ignorarmi ma era tutto inutile, a quanto pareva le infondevo una sorta di macabra sensazione. Watari me ne aveva accennato tempo fa, mi aveva esortato a non fissare troppo le persone. Ma io ero assolutamente insofferente ed insensibile su certi argomenti. I miei occhi pece si incatenarono alla sua figura, che si ostinava a fingere di seguire la lezione, cercando di ignorare volutamente la mia presenza. Era tutto in inutile, era intrappolata nel mio sguardo abissale, non mi sarebbe sfuggito neanche un sibilo.
E inoltre lei non era una campionessa di apatia: << Il soggetto è alquanto suscettibile se osservato con insistenza da altri individui. Ne conseguono reazioni come la stretta dei pugni, leggero tremore delle spalle ed il movimento stizzito e ritmico di un sopracciglio. Ergo: il soggetto si sente minacciato ed infastidito da presenze che invadono eccessivamente i suoi spazi >>.                                                                                                         
Completai la prima analisi senza staccarle gli occhi di dosso: ero come il predatore allerta al minimo movimento da parte della preda. Watari si accorse della mia eccessiva invadenza così tentò di distrarmi in qualche modo:                                                                                                                                                
-L ,vieni alla lavagna a risolvere questa equazione! – mi chiamò dal fondo. Udii i fruscii di stoffa che si torcevano: prevedibile che alcuni si fossero voltati ma io non mi scomposi e continuai a fissare Shiro, non demordevo per nessuna ragione.                                                            
–Non ce n’è bisogno – tuonai atono  - il risultato è 125/71.                                                                               
A volte Watari la tirava un po’ troppo per le lunghe durante la lezione. Shiro sbarrò gli occhi accigliata, non staccando lo sguardo dai numeri impressi sulla lavagna. Più che di stupore, la sua era la classica espressione di chi aveva confermato le sue deduzioni, o  i suoi ragionamenti.
L’avevi già calcolato anche tu, Shiro?                                                                                                          
La mia bocca si curvò in un ghigno compiaciuto: mi stavo divertendo con il mio nuovo giocattolo. Shiro mi folgorò con lei sue iridi verdi: uno sguardo agghiacciante affilato come la lama di un rasoio.                                                                                                                                                        
–Ehi! Tu! – tuonò minacciosa, sbattendo il pugno sul banco – Si può sapere perché mi stai fissando?! E’ dall’inizio della lezione che continui a farlo.– domandò stizzita cercando in qualche modo di trattenersi.                                                                                                                                  
I suoi occhi erano annebbiati da qualcosa di oscuro che si faceva largo in lei: io ero il nemico.                                                                                                                                                                                         –Allora? Non mi rispondi? – esortò con lo stesso tono adirato, stavolta alzandosi dalla sedia. La sua ombra mi sovrastò completamente e lei rimase nella sua postazione, in attesa di una risposta. Mentre le sue iridi chiare si assottigliavano severe e sospettose. C’era qualcosa di particolare nei suoi atteggiamenti, come se avesse avuto una specie di sesto senso.                  
Aveva avvertito in me una sorta di pericolo, e dalla sua reazione e dai primi dati raccolti il giorno precedente potevo certamente affermare che : non era un tipo schivo, ma soprattutto era una ragazzina molto acuta e attenta a ciò che la circondava, e se c’era qualcosa che la infastidiva l' affrontava a viso scoperto. Come stava facendo con me in quel momento.                 
La classe era sprofondata in un silenzio abissale, non un fiato si udiva e Watari stranamente non si mosse. Forse era incuriosito da come avrei reagito, visto che sin dal primo arrivo alla Wammy’s avevo creato scompiglio tra gli allievi mostrandomi assolutamente incompatibile con gli altri. Tolsi il dito dalla bocca e proferii distaccato:                                                                            
-Ti osservo perché sei un esperimento – secco ed inesorabile.                                                                       
–Un esperimento? – domandò tra il sorpreso e il disgustato, arricciando una smorfia che trasudava repulsione.                                                                                                                                           
– Esatto – sollevai lo sguardo piantando i miei onici  nei suoi occhi verde acqua. A quel gesto aggrottò le sopracciglia austera e minacciosa.                                                                                                                                                                   
–Io osservo tutto e lo esamino come il pezzo di un mosaico. Lo giro, lo squadro da diverse angolazioni per coglierne ogni particolare. Ma sei poi si rivela noioso e superficiale lo butto via.                                                                                                                                                                                               
–Quindi adesso io sarei il pezzo di un mosaico, è corretto? – rispose stringendo i pugni, come se un discorso così oggettivo e gelido l’avesse trapassata come una lama.                                                                                                             
–Sì, esatto. L’ho sempre fatto con tutti gli allievi dell’istituto, ma si sono rivelati noiosi e hanno perso il mio interesse.
Ghignai enigmatico: - Ma tu non sei  male come giocattolo…                                                                                                                                                        
A quelle parole Shiro perse il controllo e contrò ogni mia previsione, si scagliò contro di me. La sua piccola mano di bambina ci mise un attimo stringersi in un pugno, ed il suo colpo sferzò in aria all’improvviso. Il pugno si incastonò alla base del viso, facendomi perdere l’equilibrio. Sbarrai gli occhi per la prima volta in vita mia, colto di sorpresa. Mi sembrò di lievitare per interminabili secondi, poi la sentii sotto il mio corpo: la superficie dura del banco, mentre le gambe di metallo si spostarono in uno stridio. Un colpo sferrato con precisione millimetrica, quasi mi sfiorò il dubbio che fosse abilitata a qualche arte marziale. Mi accasciai malamente sul banco reclinando il capo in maniera innaturale. Poi ad un tratto li vidi. Non li dimenticherò mai: gli occhi con il fuoco dentro. Un attimo e mi sollevò leggermente per colletto della maglia, in preda all’isteria ed ad una rabbia incontenibile. Sentii Watari richiamare i nostri nomi, ma non me ne curai minimamente.                                                                                                                                                                                                                           
Mi prendi in giro??!! – urlò – Chi ti credi di essere??!! Non puoi giudicare gli altri sulla base di fatti che tu stesso ritieni rilevanti o meno!!  
Le persone non sono degli oggetti che puoi manovrare a tuo piacere!!                                                                                                                           

Quelle parole mi perforarono i timpani, non per il tono alto della voce, ma per la loro logica. Al mio cervello queste erano informazioni del tutto sconosciute.                                                                                                             
–Qualunque siano le tue ragioni … – bisbigliai a capo chino- Non c’è colpo che non renda! Io sono la giustizia!                                                                                                                                            
Mi divincolai dalla sua presa ed impiantai un calcio in pieno stomaco, lei non poté evitarlo ed indietreggiò annaspando sul bordo del suo banco, dolorante. Ci scrutammo in cagnesco, nessuno staccava gli occhi dall’altro. Prima che uno di noi due potesse fare alcun ché, Watari intervenne a separarci: non poteva sperare in una reazione passiva da parte mia.                                           
–Adesso basta!! Ve le siete date abbastanza! Entrambi nell’ufficio del preside! – tuonò l’inglese con un’autorevolezza che non avevo mai udito dalla sua voce. Com’era prevedibile tutti i nostri compagni di classe erano rimasti a dir poco basiti per lo spettacolo appena assistito. Cominciarono i primi bisbigli e tutti quei ragazzini ci tenevano gli occhi puntati addosso. Non male come primo giorno, eh Shiro?  Nei corridoio deserto echeggiavano solo i nostri passi: quelli stizziti di Shiro, i miei pacati ed annoiati, e quelli rassegnati di Watari. Era chiaro che non avrebbe dovuto arrivare a tanto ma era suo dovere di educatore. Fu  un attimo ed io e Shiro ci trovammo seduti di fronte alla scrivania di Roger. Non appena ci vide il direttore cacciò stupore ed incredulità, susseguito da un profondo sospiro che denotava esasperazione.                                                                                                                                                        
–Prendetevi questo tempo per riflettere su ciò che avete fatto- furono le ultime parole di Watari prima di sparire dietro la porta e tornare in classe.
Roger era di fronte a noi con le mani incrociate davanti al viso e ci guardava sottecchi dalle piccole lenti rotonde.                          
Io fissavo un punto non definito della scrivania in noce, sempre con il dito alla bocca. Shiro era seduta di fianco a me, con numerosi centimetri che ci distaccavano l’uno dall’altro. L’espressione corrucciata, gli occhi puntati sullo scaffale dei libri a sinistra, il gomito sulla scrivania e la mano che sosteneva il viso: assolutamente indisposta a una qualsiasi collaborazione. Gli occhi Roger oscillavano da una parte all’altra. Non un fiato da entrambi, per lo meno non dal sottoscritto che era intento a torturare l’unghia dell’indice destro. In quella stanza l’aria aveva uno spessore innaturale, si udiva persino il ticchettio ritmico dell’orologio da polso di Roger.                                                                                                                                   
–Ahh … Allora qual è il vostro problema? Perché vi siete picchiati? – domandò il preside nel tentativo di farci aprire bocca.                                                                                                                       
–Tsk! Lo chieda lui.- riferì acida scoccandomi un’occhiata ostile, per poi volgere lo sguardo altrove. Io ero impassibile, nessuna replica, solo apatia.
In realtà mi trovavo in un contesto completamente nuovo, e non mi riferisco alla punizione. Per la prima volta da quando ero lì, qualcuno ha aveva saputo tenermi testa, sia mentalmente che sul piano fisico. Una bambina di nove anni dall’aspetto così gracile ed indifeso capace di sferrare un colpo, per quanto impacciato, andato pienamente a segno. Mi aveva colpito la base del viso avvicinandosi pericolosamente all’estremità del labbro inferiore. Che avesse calcolato che la mia posizione fetale, non mi avrebbe permesso di mantenere un equilibrio stabile a livello del volto? Il punto era : l’aveva fatto di proposito o inconsciamente? Una precisione inesperta quanto impeccabile, eppure visto come era andato a fondo il suo pugno non mi sentii di escludere che non fosse la prima volta che faceva a botte o che ricorreva alla violenza fisica.                                                                                                                                                                   
“ Non puoi giudicare gli altri sulla base di fatti che tu stesso ritieni rilevanti o meno!!  Le persone non sono degli oggetti che puoi manovrare a tuo piacere!! “  così aveva detto. Io non potevo giudicare, ma fino ad allora avevo sempre analizzato tutto in ogni particolare, perché non avrei avuto il diritto di reputare se i pezzi di un puzzle fossero utili a completarlo o meno? Che fosse davvero attendibile la sua teoria? Tutto ciò andava contro ogni cosa in cui avevo fermamente creduto sin dalla tenera età, sin da quando appresi di essere capace di pensare. Rimanemmo lì a fissare il nulla, e data la nostra persistenza a tacere Roger ci congedò nelle nostre rispettive stanze. Dopo un’ultima occhiata bieca da parte della ragazzina, ci dividemmo ed imboccammo corridoi opposti. Quel giorno saltammo completamente le lezioni mattutine. Ormai mi ero rintanato nella mia stanza e il riflesso dello schermo del pc già si proiettava nei miei onici vitrei. Il sole stava scomparendo all’orizzonte ed il cielo si faceva violaceo. Nessuna luce accesa, solo la luce dello schermo illuminava quell’angolo della mia stanza in penombra. Ad un tratto sentii bussare e convinto che fosse Watari non risposi, ma poi il tamburellare del legno si fece sentire un’altra volta. Voltai il capo verso la porta, e dopo qualche secondo parlai:                                                                                                                                                                 
-Avanti – proruppi atono, ma con una punta di curiosità. La porta si aprì di colpo, per non dire che si spalancò. Shiro troneggiava sulla soglia: le mani ai fianchi e  sguardo di sfida. Io come reazione abbassai le palpebre sospettoso. Che voleva adesso? Sarà sicuramente una di quelle persone infantili che vogliono sfogare le sconfitte in stupide vendette.                                                
–Ciao L – disse senza muoversi di lì, squadrandomi scettica. Non fiatai e lei sospirò seccata, poi si avvicinò a passo svelto verso di me, e si inginocchiò per arrivare alla’altezza del mio viso. Io la fissavo interdetto: non comprendevo che cosa volesse da me, e che motivo avesse per fissarmi così insistentemente.                                                                                                                                                    
–Lo sapevo – disse infine, alquanto seria.                                                                                              
–Eh ? –fu l’unico suono che le corde vocali mi permisero di emettere.                                                                                             
–Pensavo che fosse solo una mia impressione, ma a quanto pare hai un livido proprio all’estremità del labbro. Non te ne sei accorto? – domandò poi.
La sua espressione e la luce nei suoi occhi erano completamente cambiati. Ora invece che astio e scetticismo esprimevano soltanto premurosità  mista a un che di affettuoso,  pur mantenendo un certo distacco il quale non pareva così freddo e spinoso. Portai un dito sulla parte lesa e tastandola: doleva in modo pungente. Delicata scostò la mia mano e tamponò il livido con una pezzo di carne. Proprio così, poteva trattarsi di un pezzo di bistecca preso dal frigorifero delle cucine. Io ero inerme alle sue cure: tamponava delicatamente senza provocare alcun sintomo di dolore. Non capivo per quale assurda ragione facesse una cosa simile.                                                                     
–Lo so che fa un po’ schifo, ma è sicuramente il miglior modo per far sparire il gonfiore. Ecco fatto – disse dopo un po’ – così è sufficiente.Sicuramente Wammy arriverà con qualche tampone imbevuto dall'infermeria. Quindi sparirà anche qualche traccia viscosa di sangue.
Concluse alzandosi e girando i tacchi. Seguivo la figura minuta allontanarsi da me, stava per aprire la porta ma un mio intervento la bloccò:                                                                      
- Perché l’hai fatto? – domandai apatico, con tono che poteva definirsi un sussurro.                                               
Lei voltò il capo: i suoi occhi acquamarina rimasero un po’ perplessi alla mia domanda, ma poi assottigliò lo sguardo indispettita e quasi sardonica.                                                                                                       
–Perché l’ho fatto? – ripeté girandosi completamente verso di me. Abbassò un attimo il capo guardandosi le dita delle mani, le quali giocherellavano pensierose, infine puntò nuovamente gli occhi su di me e disse:                                                                                                                                                      
-Ho promesso che non mi sarei più cacciata in simili guai, e forse picchiarti non è stata una scelta molto saggia per esprimere la mia opinione.Ma non farti illusioni!- continuò canzonatoria- Non mi pento affatto di averti mollato quel pugno, te la meritavi una lezione!! E poi non mi comporto come certe persone di mia conoscenza! – concluse dispettosa dileguandosi dietro la porta. Poi fu silenzio. Solo il ronzio metallico del computer ancora acceso, ed un sorrisetto compiaciuto si fece strada sul mio volto.                                                                                     
–Questo giocattolo è davvero divertente … - sogghignai con l’indice incastrato fra i canini, e per la prima volta mi brillarono gli occhi dalla felicità. 










 





Finalmente riesco a postare!! Scusate il ritardo ma ci tenevo troppo a questo capitolo e dovevo renderlo il meglio possibile. Spero di esserci riuscita!! Grazie a tuttio quelli che mi seguono e che recensiscono: ora tocca voi, che ne pensate? 







  
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