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Autore: Tyra Sunlow    01/09/2012    1 recensioni
Questa fan fiction è ambientato nel fantastico mondo creato da Licia Troisi, ho voluto scrivere l'avventura di una ragazza (Sahita) nell'era di Leven, padre di Nammen. Si ritroverà a dover vagare per il Mondo Emerso, sempre alla disperata ricerca di un modo per vendicarsi. Sarà un incontro particolare a cambiare la sua vita. Spero che vi piaccia!
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sobbalzai e un secondo boato precedette lo scompiglio generale. Taimel mi prese per il polso e iniziò a correre verso l'uscita. Da fuori si sentivano urla e pianti. Quando uscimmo non potevo credere ai miei occhi. Due draghi enormi volavano alti nel cielo e sputavano fuoco addosso a tutto quello che c'era sul loro cammino. Mi sentii paralizzata e le mie gambe sembravano addormentate. Provai a fare un passo, ma riuscivo soltanto a guardare quel grande drago rosso che si avvicinava verso di me con la furia negli occhi e con le fauci spalancate. Qualcuno mi diceva di scappare, ma non ci riuscivo, ero letteralmente pietrificata. Poi riuscii a scuotermi e mi ricordai della presenza di Taimel che affianco a me mi implorava di scappare. Troppo tardi. Il drago rosso era ormai a pochi metri da noi e aprì le fauci. Taimel si mise davanti a me e mi spinse per terra. Solo allora mi accorsi veramente di quello che stava succedendo intorno a me. Le guardie di Leven avevano invaso il nostro villaggio e stavano ammazzando chiunque trovassero ancora vivo. Un urlo soffocato davanti a me mi fece sussultare. Mi girai e vidi Taimel con il torace sanguinante e tre grossi tagli che lo sovrastavano, tagli che soltanto la zampa di un drago poteva fare. Mi buttai verso di lui e gli accarezzai il volto mentre le lacrime mi appannavano la visuale e mi bruciavano le guance ferite. Taimel cercò di parlare ma dalla bocca gli uscì solamente un rantolo seguito da un rivolo di sangue. Mi guardò negli occhi e io gli diedi un bacio. Esaminai la ferita a mi arresi al fatto che non c'era modo di guarirlo. Lui cercò le mie dita e me le strinse, dopodiché chiuse gli occhi. Per sempre. Cercai di non singhiozzare e di smettere di piangere, ma un dolore indescrivibile mi pervase. Mi alzai e barcollai, solo allora mi accorsi che qualcosa mi aveva ferito alla guancia destra facendomi perdere molto sangue. Mi sfiorai il taglio e vidi che sulla mia mano c'era sangue metà rosso e metà trasparente e gelatinoso, tipico delle ninfe. Mi guardai attorno e vidi che molte persone giacevano a terra, ma ce n'erano altrettante che urlavano e scappavano in cerca di salvezza. Mi diressi verso casa col cuore in gola e quando entrai vidi con disgusto che i miei genitori giacevano per terra in una pozza di sangue. Caddi in ginocchio e urlai di dolore. Dopodiché mi alzai e preda di una rabbia ceca presi un coltello e uscii di casa alla ricerca di qualche guardia. Ne trovai ben presto, erano ovunque. Iniziai ad agitare il coltello, ma ero nulla in confronto agli spadoni che mi trovavo di fronte. Allora iniziai ad agire d'istinto cercando di schivare qualche colpo. Più volte il nemico mi colpì ferendomi alle braccia e alle gambe, ma non mi fermai fino a quando qualcuno dietro di me mi colpì alla testa e io caddi a terra, svenuta. Aprii gli occhi e mi guardai attorno. La mia casa, il mio villaggio, il luogo dove avevo passato l'infanzia non c'era più. C'erano solo case bruciate e detriti, sopra una distesa di cadaveri. Mi alzai in piedi, ma la testa mi dolse e fui costretta a sedermi. Mi toccai la nuca e vidi che sulla mia mano erano rimasti pezzi di sangue secco. Con più cautela mi eressi e feci qualche passo. Volevo andare via, scappare e lasciarmi tutto alle spalle. Le guardie non c'erano più, non c'era vita in quel posto e io ero un un'intrusa. Varcai le porte del villaggio e mi inoltrai nella prateria alla ricerca di una fonte d'acqua. Non avevo la minima idea di cosa potevo o dovevo fare. Sapevo solo che le guardie mi avevano dovuto scambiare per un cadavere e a buon ragione. La mia pelle aveva perso tutta la luminosità che aveva avuto appena qualche minuto o forse ora prima. I miei capelli erano annodati e incrostati di sangue, come tutto il resto del corpo d'altronde. Sfinita mi sedetti per terra e chiusi gli occhi aspettando qualcosa o qualcuno. E in effetti un aiuto dal cielo arrivò. Dopo un tuono che scosse il terreno, gocce di pioggia fredde mi investirono pulendomi dalle barbarie che l'uomo riesce a compiere. Mi sentii subito meglio e trovai la forza per girarmi e dare l'addio alla mia casa. La pioggia scendeva fitta e nascondeva le atrocità che c'erano aldilà di quelle mura. Puliva le strade di una città che poteva essere abitata di nuovo. Che sarebbe potuta essere casa di una ragazza come me, una sedicenne libera di amare e vivere una vita in pace. Libera.
  
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