CAPITOLO 23
“IO TI AMO… E IO TI PREGO”
In quella
stanza c’era uno strano odore, come se la cera fosse stata passata di fresco
sul pavimento. Improbabile. Le luci artificiali rendevano lo spazio più stretto
ed Eden dovette sforzarsi di non guardare quelle solide pareti prive di
finestre o avrebbe avuto timore di soffocare.
Incredibile
che qualche metro sopra di loro la vita della grande mela continuasse a
scorrere come nulla fosse… Chissà se un giorno avrebbe potuto godersela di
nuovo..
André
sembrava senza dubbio quello più agitato, le sue dita battevano sulla tastiera
così veloce che quasi non si riusciva a seguirle… I suoi occhi ormai arrossati
riflettevano la continua alternanza di pagine sullo schermo.
Davis era
attaccato al telefono, uno strano grosso telefono in grado di mantenere il segnale
anche sotto terra.
Eden
continuava a pensare alla sua bambina.
Ovviamente era preoccupata anche per gli altri, ma l’unico pensiero era
Sophia, Sophia e la sua angoscia per essere stata di nuovo abbandonata dalla
mamma.. Lei che le aveva promesso di riportarla a casa…
Decise di
raggiungere Davis ed aspettò che la sua conversazione fosse finita
“Posso
usarlo?”
A lui non
servivano dettagli
“Vuoi
chiamare il poliziotto vero?”
“Voglio
sapere come sta Sophia.”
Davis
arricciò le labbra guardando quel telefono che gli ciondolava tra le dita. Non
era una buona idea, sicuramente Dair stava collaborando con la polizia.
D’altra parte
era forse l’unico modo per avere notizie della sua bambina. Aveva già provato a
rintracciarla in altri modi, ma nessuno dei suoi appoggi aveva voluto rischiare
di dare troppo nell’occhio.
E nessun
dubbio che Dair fosse con sua figlia. O che almeno l’avesse riportata al sicuro
prima di affrontare le sue colpe.
Allungò la
mano
“Trenta
secondi. E se non risponde lascia stare.”
Eden annuì e
compose il numero a memoria mentre lui la fissava.
Un insolito
stridio precedette il primo squillo.
Ed il
secondo.
Eden strinse
il labbro tra i denti.
Ti prego rispondi.
Il cuore in
gola con le pulsazioni a mille.
“Si?”
Era lui,
senza dubbio, per fortuna, per grazia divina, era lui.
“Sophia sta
bene?”
“Eden?”
“Sophia sta
bene?”
Anche Davis
accanto a lei si irrigidì.
“Sta bene??”
Una piccola
interferenza e poi finalmente Dair rispose
“Sì. E’ a
casa.”
I polmoni di
Eden sembrarono liquefarsi e finalmente riuscì a riempirli fino in fondo.
“E tu?”
Aggiunse, ma
Davis le fu improvvisamente addosso sfilando l’apparecchio dalla sua mano.
Spinse il grosso bottone rosso.
“Troppo
rischioso.”
Eden trattenne
l’istinto di ribellarsi. Era davvero troppo rischioso o semplicemente Davis
aveva voluto interrompere la sua conversazione? Era un nuovo modo per tenerla
lontana da Dair?
Abbassò lo
sguardo. Non era il momento per frivoli pensieri e vanità.
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“E tu?”
Dair si
guardò intorno leccandosi le labbra. Aveva la gola secca, ma era sollevato di
sentirla.
Mentre
prendeva fiato la specie di fischio che faceva da sottofondo alla loro
conversazione si interruppe, sostituito da un bip ed un lungo silenzio.
Sospirò
mentre poggiava il cellulare sulla scrivania.
La confusione
intorno a lui tornò attiva.
“Dove sono?”
Il sostituto
capo dell’FBI si rivolse in tutta fretta agli esperti di fronte ai pc. Una
serie di bande verdi si muoveva sullo sfondo nero degli schermi. Uno di loro si
voltò sollevando le spalle
“Niente
signore. Non abbiamo rintracciato nessun segnale.”
“Maledizione!”
Dair si sentì
sollevato. Era stanco di quella situazione, odiava Davis Miller più di quanto
non avesse mai fatto prima, ma non voleva comunque essere l’autore della
disfatta di Eden. Non dopo quello che era successo tra loro.
Davis l’aveva
trascinata via di peso, non erano fuggiti mano nella mano.. Questo gli bastava
per credere che Eden non se ne sarebbe andata, non di sua spontanea volontà… Se
solo quello stronzo bastardo avesse avuto il fegato e la dignità di lasciarla
libera..
No.
Il maledetto codardo l’ha
portata con sé, rendendola una fuggitiva.
Dair si schiarì la voce
“E’ stato lui, ha interrotto la conversazione.”
L’altro agente lo guardò con sufficienza
“Credi ancora
che la trattenga contro la sua volontà?”
“Ne sono
sicuro.”
In realtà non
lo era, non lo era affatto.
Anzi, lo
stomaco bruciava al pensiero che Eden stesse più che bene con lui.
Forse l’unica
cosa che ancora la teneva legata alla realtà era Sophia.
Forse, se
avessero portato con loro anche la bambina, sarebbe già tutto finito.
Scosse la
testa litigando con i propri pensieri.
Si schiarì la
gola
“Ero lì. L’ha
portata via con la forza.”
“Questo non
cambia le cose…”
Grant, il
sostituto capo, sorseggiò del caffè nero senza zucchero
“…La donna
non ha rispettato le regole. E’ colpa sua se non abbiamo ancora arrestato
Miller…”
Un altro
sorso
“…E’ colpa
sua se hai perso il posto...”
Dair sospirò.
Se non altro non era in arresto.
“…Ed anche tu
hai fatto i tuoi errori agente.”
Riprese
l’altro… Dair non poté che annuire.
“Credevo di
riuscire a sistemare la faccenda.”
Rispose
E la sistemerò.
“Fossi in te
inizierei davvero a pregare che la faccenda si sistemi.”
Stavolta Dair
non rispose, in attesa che Grant concludesse l’ipotesi
“Altrimenti
dovrai cercarti un nuovo lavoro… E noi dovremo cercare una nuova famiglia per
quella bambina… Di certo migliore della prima.”
Dair serrò i
pugni.
Non sarebbe
successo. Eden non avrebbe mai abbandonato sua figlia per stare con quel vile.
“Non
succederà. Troveremo Miller.”
“Bene. Allora
spera che quella donna ti richiami presto e stavolta vedi di tenerla al
telefono abbastanza.”
Dair tentò di
tenere a bada le contrazioni dello stomaco.
“Posso andare
adesso?”
“Vai
all’appartamento?”
“Si signore.”
Grant si
sistemò il nodo alla cravatta
“Bene. Facci
parlare la bambina, sarà un buon modo per tenerla in linea.”
Che cosa
spregevole.
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Eden entrò
nell’altra camera visibilmente provata, un po’ per la stanchezza, un po’ per la
crescente preoccupazione. Anche da lì riusciva a sentire Davis e André che
macchinavano cercando di costruire il miglior piano di fuga possibile.
Il programma
prevedeva di recuperare Blake, Payne e Tyler prima di sparire. Stavolta per
sempre.
Ciò che non
era ancora chiaro era il suo ruolo in tutto questo. Davis non le aveva ancora
parlato.
L’avrebbe
trascinata con loro anche stavolta? Così come l’aveva portata via dalla
polizia?
E Sophia?
Avrebbe preso
anche lei?
Decise di accendere
il condizionatore per recuperare un po’ di ossigeno. Starsene chiusi in un
sotterraneo non era certo piacevole, ma era sicuro.
I vestiti le
stavano appiccicati addosso, la tensione stava facendo evaporare tutti i
liquidi del suo corpo.
La sua mente
pensava senza sosta.
Ovviamente
voleva anche lei liberare i suoi amici, ma non era tanto certa di volerli
seguire.
Quel pensiero
in qualche modo la faceva sentire in colpa, come se alla fine di tutto quanto
seguirli potesse essere un dovere.
Scansò l’imbarazzo
di un’ulteriore consapevolezza e si costrinse ad ammettere che non era affatto
sicura di voler seguire Davis.
Lo amava
ancora, forse troppo… Se avesse lasciato fare a lui di certo non avrebbe avuto
la forza di fermarsi a pensare come doveva, come una donna matura e soprattutto
come una madre.
Dopo il coma,
dopo gli sforzi fatti per riprendersi, dopo il miracolo di aver avuto Sophia…
Dopo tutto questo era suo preciso dovere pensare al modo più tranquillo ed
onesto di vivere.
Era questo
che doveva fare, non fantasticare sulla
famiglia e la vita che non avrebbe mai avuto… Non come una fuggitiva…
Respirò
l’aria fredda che le soffiava in viso.
Respirò tanto
forte da non sentire la porta che si apriva.
“Stai bene?”
La voce di
Davis suonava dolce, come non la sentiva da parecchio.
Si voltò
tenendo il viso basso.
“Sì.”
Lui si
avvicinò
“Sicura?”
Stavolta Eden
alzò gli occhi cercando i suoi e si strinse nelle braccia
“Dovresti
lasciarmi andare. Le cose sarebbero più semplici per voi.”
Lui aggrottò
le sopracciglia per un istante poi riprese un’espressione impassibile.
Non era la
prima volta che glielo sentiva dire
“Tu vorresti
andare?”
Eden strinse
i denti. Perché stava rispondendo con una domanda? Non era il momento di
aggiungere nuovi interrogativi.
“Non rispondermi
con un’altra domanda Davis.”
Lui inspirò
avvicinandosi ancora
“Ho bisogno
di sapere se vuoi andare o restare.”
Eden di nuovo
abbassò il volto
“In realtà vorrei
solo dormire.”
Davis allungò
la mano toccandola con dolcezza, spostandole una ciocca di capelli dietro
l’orecchio.
Si prese una
pausa passando quel boccolo color caramello lentamente tra le dita.
“Non ci
riesco...”
Mormorò.
“…Non riesco
a lasciarti andare.”
Eden prese
una grossa boccata d’aria mentre un fuoco le si accendeva dentro. Poggiò la
mano su quella di Davis, immobile accanto al suo zigomo.
Mosse appena
i polpastrelli contro quella pelle ruvida senza dire nulla, ad occhi chiusi.
Lui affondò
la mano tra i suoi capelli.
“Se solo
potessi tornare indietro…”
Le accarezzò
la nuca
“…Non ti
chiederei più quella sigaretta…”
L’accenno di
un sorriso comparve sul viso di Eden mentre riviveva il loro primo momento.
“…Dal momento
in cui ti sei voltata sono perso.”
Eden sollevò
le palpebre incrociando i suoi occhi scuri, senza voler dire ancora nulla.
Lasciò
scorrere la punta delle dita sul suo avambraccio.
Lo sentì
fremere per un secondo.
“Non riuscirò
mai a lasciarti andare.”
Ma dovrai farlo comunque.
La vocina
nella testa di Eden rispose senza essere interpellata, come se la sua psiche
avesse già deciso e fosse fermamente convinta di cosa fare.
Eden se ne
sorprese, cercando di scacciarla via per godersi quel piccolo momento di
intimità.
Strinse la
presa intorno al braccio di Davis
“Mi
dispiace.”
Lui scosse la
testa
“Ne usciremo…
Anche stavolta.”
Da quanto
tempo Davis non era così dolce ed amorevole con lei? Tanto. Troppo. Come se in
cuor suo sapesse che erano vicini alla fine di quell’avventura e avesse deciso
di mettere da parte orgoglio e rancore.
Ma stava
davvero tutto per finire?
“Faremo
uscire gli altri, prenderemo Sophia e ce ne andremo per sempre.”
Quell’immagine
la costrinse a sussultare.
Dolce e amara
allo stesso tempo.
Cercò gli
occhi di Davis per guardare quanto fossero sicuri.
Le sue
pupille vibravano impercettibilmente, era spaventato da quell’idea quasi quanto
lei.
Lui
terrorizzato dall’eventualità di non riuscire a scappare, lei paralizzata dal
sospetto che non fosse la cosa giusta da fare..
Prese a fare
calcoli assurdi a mente. Quanti anni gli avrebbero dato se si fosse costituito?
Avrebbe potuto chiedere qualche sconto della pena? E la condizionale?
Erano
pensieri inutili.
Davis aveva
ucciso delle persone.
Eden si
strinse nelle braccia, consapevole ed amareggiata.
A meno che
non avesse voluto far visita a suo marito una volta a settimana per tutta la
vita, consumando un veloce diritto coniugale nelle stanze gelide della galera,
mandando foto di tutti gli eventi a cui lui non avrebbe partecipato, la fuga
era l’unica soluzione.
La sua
almeno.
Davis la
sentì farsi gelida e si tirò indietro
“Non è quello
che vuoi?”
Nervosismo e
diffidenza riapparvero tra le note della sua voce.
Eden scosse
la testa
“Vorrei che
ci fosse un altro modo.”
“Non c’è.”
Rispose
netto.
“Ma vorrei
che ci fosse.”
“Ma non c’è.”
La fermezza
del suo tono la spaventò per un istante.
Sta forse dicendo che non ho altra scelta?
Che non mi lascerebbe andare?
Che non lascerebbe Sophia?
Davis le
tornò vicino con due passi, prendendole il viso tra i palmi
“Io ti amo.”
Era agitato
di colpo.
Eden inspirò
“Anch’io ti
amo…”
E caricò il
colpo
“…ma non so
se possiamo farlo.”
Lui si bagnò
le labbra nervosamente, la guardò dritta avvicinando la fronte alla sua
“Io ti amo.”
Ribadì
“Io. Ti.
Amo.”
Scandì ogni
parola senza mollare minimamente la presa
“Ti amo.”
Farfugliò
ancora una volta mentre poggiava le labbra su quelle di lei, con decisione. Non
approfondì il bacio, ma spinse contro la sua bocca cercando quasi di lasciarci
un’impronta.
Eden barcollò
per un attimo poi chiuse gli occhi.
Che strano,
incomprensibile, dolce momento.
La morsa di
Davis si ammorbidì ed Eden mosse le labbra ridando forma a quel bacio. Gli
accarezzò piano il viso
“Lo so.”
Concluse,
senza davvero aver restituito un filo logico a quella conversazione.
Poco male,
non era pronta per decidere.
Si schiarì la
voce tentando di interrompere l’atmosfera
“Avete deciso
cosa fare?”
Lui sembrò
ferito per un attimo, colpito dal repentino cambio di tono di Eden.
“Quasi… Il
trasferimento degli altri è previsto per domani sera, dovremo agire lungo il
tragitto.”
Eden annuì.
“Abbiamo gli
appoggi necessari?”
“Sì… Ma
avremo bisogno anche del tuo.”
Eden sollevò
le sopracciglia sentendo un brivido improvviso
“Che dovrei
fare?”
Lui inspirò
profondamente
“Ancora non
lo so.”
Eden si morse
il labbro.
Qualsiasi
cosa le avesse chiesto lei l’avrebbe fatta.
Avrebbe fatto
tutto il possibile per tirarlo fuori da quel casino… Da quel turbinio di fughe,
rischi e ripensamenti in cui proprio lei l’aveva trascinato… Troppo debole per
prendere una decisione…
Come in
quello stesso momento…
Avrebbe fatto
qualsiasi cosa per lui, per la sua sicurezza e per la libertà degli altri.
Si sarebbe
esposta un’ultima volta senza preoccuparsi delle conseguenze e poi..
E poi..
Non sapeva
cosa avrebbe fatto poi.
“Ok.”
Rispose
semplicemente, scivolando di nuovo in una morbida atmosfera. Le braccia
lasciate cadere lungo il corpo e le palpebre pesanti.
Davis inspirò
profondamente tornando a toccarla, passando piano i pollici sui suoi zigomi,
fino a toccare l’alone scuro che le circondava gli occhi.
“Dovresti
dormire un po’.”
Eden annuì
“Sono così
stanca.”
Confessò
“Anch’io.”
Davis aveva
qualcosa di diverso e solo in quel momento Eden riuscì a notarlo sul serio. Una
luce insolita illuminava le sue iridi scure e sembrava avesse lasciato cadere
l’armatura, le spalle più rilassate ed il respiro regolare sotto la maglietta.
Lei gli
poggiò i palmi contro il petto, avvertendo i battiti del suo cuore sulla pelle.
Per la prima
volta sembravano comportarsi come marito e moglie. Senza alcun ombra di
sospetto o di sfiducia.
Davis sorrise
appena passando le dita tra i suoi capelli.
Si stava
fidando di lei.
Possibile?
Lasciò
correre la mano lungo la curva del collo, sulla spalla e giù, fino ad
intrecciare le dita con quelle di Eden.
“Vieni.”
Sussurrò
spingendola verso il divano di pelle nera.
Il tessuto
gelido fu di immediato sollievo non appena vi poggiò la schiena. Le sue gambe
si allungarono lasciando che ogni fibra dei muscoli si rilassasse ed il calore
di Davis sopraggiunse prendendo il posto del freddo.
Sentire il
suo corpo che le prendeva posto accanto, plasmandosi perfettamente contro il
suo, la costrinse a tornare indietro nel tempo ancora una volta.
“E’ stata una lunga, lunga giornata…
E’ andato tutto bene con la consegna?
Fortunatamente sì.
…
Vuoi un caffè?
Voglio solo che tu venga qui vicino a me.”
Eden affondò
la testa nell’incavo del collo di Davis e provò a chiudere gli occhi. Il suo
profumo le accarezzava le narici mentre lui le teneva un braccio stretto
intorno alle spalle, quasi avesse paura che fuggisse.
Davis la
conosceva meglio di chiunque altro ed ogni singolo movimento ne era la
conferma.
Quel braccio
ancora teso che la cingeva con la più decisa delicatezza non era un caso…
Mentre le loro teste se ne stavano vicine, finalmente a riposo su qualcosa di
morbido, Davis scavava i suoi pensieri… contava le vibrazioni del suo corpo…
cercava conferme nei suoi sospiri.
Davis sapeva
fin troppo bene che sua moglie non era davvero lì con lui, non del tutto
almeno…
“Non ti avrei
mai lasciata morire…”
Esordì con la
voce bassa, accarezzandole l’orecchio col respiro.
“…Avrei tanto
voluto essere morto al posto tuo… O con te… Non sai quante volte ho desiderato
che qualcuno mi uccidesse…”
Eden si tirò
su appena un po’ cercando un contatto visivo, inspirò profondamente
“Avrei dovuto
dirti che aspettavo un bambino.”
I loro occhi
si incrociarono più intensamente per una manciata di secondi
“Sarei stato
l’uomo più felice del mondo.”
Eden distolse
lo sguardo per prima, tornando a poggiare il viso sulla spalla di lui. Chiuse
gli occhi lasciando la stanchezza prendere il sopravvento.
Davis rimase
sveglio a fissarla, scacciando a pugni il sonno ancora per un po’.
Era così
vicino alla sua meta… A pochi passi dal suo desiderio… Ad un’ultima missione
dalla pagina che avrebbe concluso quel capitolo della sua vita…
Stringeva tra
le braccia sua moglie. L’unica donna che avesse mai amato sul serio e che
credeva di aver perso. Stretta a lui perché non si smarrisse di nuovo. Così
vicina eppure così tremendamente lontana…
Davis Miller
è un ladro, un delinquente, un assassino.
Davis Miller
è uno che non ha paura di niente.
Un uomo forte
e deciso, senza compromessi.
Mentre
guardava gli occhi chiusi di Eden e stringeva il suo braccio inerme tra le
dita, una lunga immagine iniziò a farsi nitida, scorrendogli davanti quasi
fosse un film…
Davis Miller
è un idiota innamorato.
-----
Quella sera si sentiva nervoso, come se non sapesse
più come muovere le mani… Come se gli tremassero ancora dopo averle usate per
svuotare la cassa di quella stazione di servizio… Se ne stava sdraiato sul
letto con l’ennesima sigaretta in bocca senza che la nicotina riuscisse a
fermare il suo batticuore.
Eden comparve dal nulla alla sua finestra, come in
una specie di allucinazione. Aggrottò le sopracciglia e strabuzzò gli occhi
cercando di capire se fosse reale.
Lei scavalcò il davanzale attraverso il vetro
aperto, il suo vestito si tirò su lasciandogli intravedere il rosa della biancheria.
Dopo il loro litigio non pensava certo di vederla,
sicuramente non in quel modo, nella sua stanza ed in piena notte. Tuttavia
quell’immagine aveva portato la sua tachicardia ad un livello ancora maggiore,
svegliando i pensieri corporali che cercava di frenare da settimane.
“Che ci fai qui?”
Le aveva chiesto, sinceramente sorpreso.
Lei era arrossita di colpo
“Mi dispiace per prima.”
Nulla di nuovo. Ogni rapina equivaleva ad una
litigata ed ormai lui si era abituato… Due giorni o tre di silenzio e poi le
avrebbe fatto cambiare idea… Come al solito…
Strano invece che stavolta fosse stata lei a venire
per prima… Nella sua stanza oltretutto.
“Sono un’idiota, lo so.”
Lui sorrise rilassandosi un po’
“No che non lo sei.”
Eden si era stretta nelle braccia ed in quel
momento Davis aveva capito perché fosse lì. Forse prima ancora che lo avesse
capito lei.
“Mi ci dovrò abituare ad un certo punto, giusto?”
Lui aveva già smesso di ascoltarla, le sue mani
fremevano di nuovo e d’improvviso il silenzio della sua casa sembrava il
sottofondo più invitante.
“Dovrò abituarmi se voglio stare con te…”
Le sue guance si erano infiammate
“…Perché io… Io… voglio stare con te.”
Lui aveva sorriso a metà, coprendo la breve
distanza tra loro per poterla baciare. Finalmente le sue mani avevano trovato
qualcosa da toccare… I suoi capelli che profumavano di pesca e mimosa… La pelle
liscia inumidita dal caldo… Le sue forme, ancora nascoste dal tessuto leggero
dell’abito a fiori.
Dopo poche settimane dal loro primo bacio quel
corpo era una novità, pieno di confini che non aveva ancora varcato.
Eden rispondeva ai suoi baci tenendo i muscoli
tesi. Le gambe le tremavano appena, ma non si fermarono mai lungo il percorso
tra finestra e letto.
Vederla distesa sulle sue lenzuola, con i capelli
sparsi sul cuscino e quel velo d’imbarazzo sulle guance, gli tolse il fiato…
Non era certo la prima ragazza che portava a casa, e nemmeno la prima vergine
che si fidava di lui, ma stavolta tutto sembrava diverso… Qualcosa in lui si
stava muovendo e non solo nei jeans… Il cuore continuava a battergli forte e
nel suo stomaco sembrava ci fosse una tempesta.
Tirando su il vestito le aveva sfilato le mutandine
rosa, senza dire una parola, per poi togliersi i pantaloni... Si era sdraiato
su di lei con dolcezza, restando a guardarla ancora per un po’.
Avrebbe dovuto chiederle se era sicura, ma sapeva
che non ce n’era bisogno… Il suo corpo era pronto per lui, completamente
abbandonato ai suoi movimenti.
Aveva iniziato a spingere piano, senza distogliere
lo sguardo… Eden si era morsa il labbro tenendo gli occhi chiusi, le sue mani
si erano mosse piano cercando appiglio sulla sua schiena… E lui aveva sentito
il bisogno di fermarsi un secondo, consapevole di quel che stava succedendo…
Adesso sarebbe stata sua,
d’ora in poi sarebbe stata solo sua..
E anche se un giorno avesse deciso di fuggire da
lui, comunque non avrebbe mai più potuto dimenticarlo.
Un misto di orgoglio ed eccitazione lo aveva
riempito e con una spinta decisa fu dentro di lei, pronto a coprirle la bocca
con un bacio perché nessuno sentisse il suo lamento. Il dolore acuto e pungente
di un secondo e poi si era fermato di nuovo, aspettando che il corpo di lei si
adattasse alla sua nuova presenza.
Un bacio ancora mentre notava come il suo viso
fosse mutato in un solo attimo, senza timori o ombre di pentimento, solo uno
sguardo intenso che lo pregava di non abbandonarla proprio adesso… E lui non
l’avrebbe fatto…
Muovendosi piano aveva fatto l’amore con lei,
prendendo possesso di ogni centimetro della sua pelle…
Adesso era solo sua…
-----
Quando Eden
riaprì gli occhi aveva la gola secca, Davis si era addormentato dopo di lei ed
il suo corpo le era scivolato addosso. Era piacevole, ma iniziava a toglierle
il respiro. Si mosse il più lentamente possibile cercando di non svegliarlo,
non aveva idea di che ora fosse, ma era chiaro che il suo organismo aveva
bisogno d’acqua.
Lasciò Davis
spalmato sul divano e girò pianissimo la maniglia, era abbastanza abile in
quelle manovre da riuscire a farlo senza il minimo rumore.
L’assenza di
André nell’altra stanza rese chiaro che doveva essere notte fonda. Eden
raggiunse il frigo e ne tirò fuori una bottiglietta d’acqua fresca. Il primo
sorso le ferì i denti, il secondo lo trattenne in bocca abbastanza a lungo da
portarlo ad una temperatura accettabile.
Mentre si
passava la bottiglietta sulla fronte, cercando sollievo anche per la sua
leggera emicrania, i suoi occhi notarono l’apparecchio poggiato sul tavolo di
legno. Una lucina verde intermittente colpì la sua attenzione.. Era il
telefono, quel grosso telefono che Davis aveva sfilato dalle sue mani poco
prima che riuscisse a parlare con Dair…
Dair…
Sophia…
Le fu
impossibile resistere. Corse fino al tavolo e lo prese tra le mani sperando che
non avrebbe emesso qualche sorta di fischio o suono stridente. Provò a premere
piano un tasto per esserne sicura… Nessun rumore tranne il “cric” minimale
della plastica sotto il peso del suo polpastrello.
Compose il
numero alla velocità della luce e rimase in allerta sperando che Davis non si
svegliasse. Non avrebbe capito.
-----
La suoneria
del cellulare fece sobbalzare Dair, lasciandolo completamente spiazzato per un
paio di secondi. Anche quella sera aveva finito per addormentarsi con la testa
sul tavolo.
Si passò la
mano sugli occhi e sul mento mentre il volume degli squilli aumentava
lentamente. Afferrò il telefono premendo velocemente il tasto “mute” poi
strinse le palpebre per mettere a fuoco la scritta sullo schermo. Sconosciuto.
Guardando
l’orologio si rese conto che era tardissimo ed il suo pensiero arrivò subito ad
Eden. A lei e al computer acceso sulla scrivania. Secondo patti avrebbe dovuto
immediatamente collegare il cellulare all’apparecchio così che potesse
registrare la conversazione ed eventualmente individuare la fonte della
chiamata.
Si avvicinò a
passi veloci pronto ad infilare il jack nell’apposita fessura, la scritta sullo
schermo continuava a lampeggiare insistente.. Doveva essere lei..
Imprecando
tra i denti gettò via il filo e spinse il tasto verde.
“Eden?”
Era sicuro
che fosse lei.
“Sì, sono
io.”
Rispose lei a
voce bassa.
“Stai bene?”
Dall’altra
parte lei indugiò per un paio di secondi
“Il tuo
telefono è sotto controllo?”
“No. Non
preoccuparti, sto infrangendo l’ennesima regola.”
Eden si sentì
sollevata e “coccolata” da quel tono quasi ironico. Era meraviglioso scoprire
ancora una volta che non ce l’aveva con lei.
“Tu come
stai? Che ti hanno fatto?”
“Sto bene. E
tu?”
“Anch’io ma…
Come sta Sophia?”
“Bene.. E’ di
là che dorme.”
“Sei con
lei?”
“Certo.”
Eden rimase a
corto di parole per un po’… La naturalezza della sua risposta le aveva acceso
un sorriso involontario in viso. Se Dair era con sua figlia non doveva temere
nulla.. Lui amava davvero quella bambina e Sophia ricambiava quell’amore
incondizionato.
Nella sua
testolina Dair era il fidanzato della mamma, senza nemmeno sapere cosa volesse
dire davvero… Come nelle sue favole preferite dove tutto è facile e spontaneo,
cavaliere e principessa avrebbero finito per sposarsi e vivere per sempre
felici e contenti…
“Dove siete?”
“A New York.”
“New York?! Ma
che volete fare?”
Eden inspirò
incerta sulla risposta, tamburellò nervosamente con l’indice sul tavolo
“Davis vuole
tirare fuori gli altri.”
Rispose infine
mordendosi il labbro. Non era un vero tradimento, Dair non sarebbe corso dal
suo capo per farli arrestare… O almeno è quello che doveva sperare… Che lui non
fosse troppo esasperato.
“Lo sapevo.”
Dair parlò a
denti stretti, quasi si stesse rivolgendo esclusivamente a sé stesso. Ne seguì
un lungo silenzio durante il quale Eden iniziò a fremere… Forse era davvero
troppo stanco di tutta quella storia..
Altri trenta
secondi almeno e finalmente lui parlò di nuovo
“Lo aiuterò.”
Eden scosse
la testa credendo di non aver capito
“Come?”
“Lo aiuterò.”
Ribadì
deciso.
“Dici
davvero?”
Stavolta Dair
non le rispose, rimase ad ascoltarlo mentre respirava a fondo
“Ascoltami
bene adesso Eden…”
Iniziò
solenne. Il tono da conversazione di cortesia del tutto sparito. Lei non osò
nemmeno fiatare.
“…La
situazione è davvero arrivata al limite qui… Ancora uno sgarro e non riuscirò
più a salvarti.”
“Che vuoi
dire?”
La voce
tremante e tutte e due le mani strette al telefono
“Voglio dire
che ti arresteranno… E ti toglieranno Sophia.”
Il cuore di
Eden le balzò dritto in gola
“No.”
“Lo faranno…
Lo faranno se questa faccenda non si conclude il più presto possibile.”
Eden iniziò a
tremare d’ansia e paura
“Che dovrei
fare? Devo dirti dove siamo e farvi prendere anche Davis e André?”
Dair strinse
forte i denti e strizzò gli occhi, profondamente colpito da ciò che stava per
dire
“No Eden… So
che non lo faresti mai e devo smettere di chiederti di farlo…”
Un profondo
respiro
“…Li aiuterò
a far uscire gli altri e farò in modo che possano sparire senza essere fermati
dalla polizia.”
Eden aggrottò
le sopracciglia
“Perché?”
“Perché so
che non avresti pace senza sapere che Davis è al sicuro.”
Lei schiuse
le labbra, a metà tra lo stupore e l’ammirazione per quell’uomo pronto a tutto
“E… E io?”
“Dovrai
lasciarlo andare… Se vuoi restare con tua figlia dovrai lasciarlo andare… Per
sempre Eden.”
Quelle ultime
parole le attraversarono il petto come una coltellata
“Non seguirlo…”
Riprese lui
“…Ti prego
non andare con lui. Non gettare tutto quello che hai costruito per quell’uomo…
Ti prego ascoltami Eden… Farò in modo che se ne vada il più lontano possibile,
ma tu… Tu devi promettermi che non lo seguirai… Devi giurarmi che stavolta lo
lascerai andare.”
Eden tentò di
elaborare tutti quei pensieri in pochi secondi… Quante volte aveva già provato
a rinunciare a Davis? Non c’era mai riuscita… Nemmeno dopo averlo incolpato
della sua morte… Nemmeno dopo averlo saputo un assassino…
Stavolta però
era in ballo sua figlia… Sophia e tutto il suo futuro.
“Eden ti
prego… Ti prego. Devi promettermelo adesso, prima che sia troppo tardi.”
“Troppo
tardi?”
“Manderanno
via Sophia. La affideranno ad un’altra famiglia.”
I suoi occhi
si spalancarono mentre ogni cellula del suo corpo urlava “NO! NO! NO!”.. Non
sarebbe mai successo.
“Eden ti
prego!”
Alla fine il
suo cuore si arrese… Se doveva davvero scegliere tra le due persone che più
amava al mondo, non poteva che sacrificarsi e rinunciare a suo marito… Davis
sarebbe riuscito a sopravvivere anche senza di lei… E lei avrebbe fatto l’abitudine
al vuoto che avrebbe lasciato…
“Va bene!”
Dovette
riprendere fiato per non crollare
“Va bene. Lo
lascerò andare. Stavolta per sempre.”
Dair emise un
lungo sospiro
“Mi dispiace.
Davvero.”
Eden sentì la
prima lacrima rigarle lo zigomo
“Lo so.”
Ne seguì un
altro lungo silenzio. Dair sapeva che stava piangendo… Avrebbe voluto essere lì
con lei, ma il pensiero che stesse piangendo per un altro lo rendeva felice di
essere a chilometri di distanza e non doverla guardare.
Sospirò un’ultima
volta
“Adesso dimmi
esattamente dove siete e cosa pensate di fare. Al resto provvederò io.”