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Autore: Kelley    01/09/2012    1 recensioni
Eve è una ragazza come tante altre, fino a quando non incontra Irial ex Re del Buio, che le aprirà le porte di un nuovo mondo.
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eve era seduta sul davanzale della finestra guardando fuori, pioveva ancora. Sospirò e guardò l’orologio. Guardare la pioggia cadere la rilassava. Intorno a lei c’era silenzio, l’unico rumore che udiva era lo scrosciare della pioggia contro la finestra. Vedeva le chiome degli alberi agitarsi al vento. Sospirò. Non riusciva a capire cosa le stava succedendo. Le sembrava di impazzire. Toccò la collana, lo faceva spesso negli ultimi tempi, e sentì una vibrazione sotto le sue dita. Quel gesto le serviva per calmarla. Non capiva il perché quando si era tolta la collana non era successo niente. Forse era semplicemente l’effetto della bevanda che Keenan le aveva offerto. Sbadigliò e si stropicciò gli occhi. Si sentiva stanca, ma non voleva andare a dormire. Ultimamente non riusciva a dormire bene. Non riusciva a sognare e si svegliava nel cuore della notte senza riuscire a riaddormentarsi. La sua mente vagava senza che lei potesse avere controllo sui propri pensieri per poter ragionare sulle cose accadute in quel periodo. Le sembrava di impazzire. Più provava a dare senso a quella situazione e più l’emicrania aumentava fino a diventare insopportabile. Le cose a casa erano insopportabili. Si sentiva rinchiusa in una gabbia dorata. Voleva urlare e spaccare tutto ma non poteva rischiare di perdere anche la poca libertà che gli rimaneva. Si sentiva soffocare. Passava la maggior parte del suo tempo libero rinchiusa in camera. Sua madre aveva cercato di parlarle senza successo. Non voleva vedere nessuno. Lasciava entrare solo suo fratello che le parlava e cercava di farla uscire ma lei non ascoltava neanche lui. Le vacanze di natale erano iniziate da cinque giorni e ormai lei usciva solo per fare le prove per il saggio che ci sarebbe stato il giorno dopo. Era gia l’una di notte. Eve si alzò e andò verso il letto per riposare almeno qualche ora. Quel giorno sarebbe stato molto impegnativo e ricco di sorprese.

Si svegliò con il sole sul viso. Stropicciò gli occhi e guardò la sveglia. Vide che erano le quindici. Si alzò di scatto. Si fece una doccia veloce e si preparò frettolosamente. Quello era il grande giorno, la mattina era impegnata con le prove per il saggio e lei si era svegliata tardi. Si chiese il perché sua nonna non l’avesse fatta svegliare. Scese le scale e si diresse verso il portone di casa con il borsone in mano.

Giù per le scale incontrò sua nonna che controllava dei documenti, vedendola disse

“Dove stai andando di corsa?”

“Alle prove del saggio. Sono già in ritardo.”

“No, le prove le hanno spostate per le sedici, quindi hai ancora un‘ora. È ancora presto. Dovresti pranzare. Andremo insieme. Puoi chiedere alla domestica di preparare qualcosa.”

Eve non rispose a sua nonna. Posò a terra il borsone e si diresse verso la cucina.

Appoggiò le mani sul tavolo e sospirò, poi si diresse verso il frigorifero.

Frugò all’interno senza che si rendesse conto di ciò che prendeva e si sedette.

Mangio distrattamente fissando la finestra della cucina. Il cielo era latteo e aveva iniziato a nevicare e andava a ricoprire il giardino dando un’aria magica.

Eve guardava incantata quello spettacolo. Era da qualche anno che non nevicava più in quel modo.

Quando era piccola amava giocare lì. A volte immaginava di perdersi in un bosco e di incontrare il popolo fatato e di parlare e danzare con loro, altre invece sognava di essere una di loro. Danzava e giocava con loro.

Un giorno le capitò di parlarne con sua madre mentre faceva un disegno con le fate. Lei non le disse che aveva un fervida immaginazione o di limitarsi ad assecondare le parole di una bambina perché lei non poteva essere una mamma come le altre. Lei la portò da una psicanalista per farle capire che ormai era grande per infantili immaginazioni. Aveva solo otto anni quando smise di crederci e per ironia della sorte quella sera avrebbe interpretato la fatina della neve nello Schiaccianoci.

Chiuse gli occhi scacciando via i ricordi. Si alzò e andò uscì dalla cucina. Il corridoio era deserto. Sua madre e suo fratello erano usciti. I suoi passi facevano eco. Si diresse in camera, aprì il primo cassetto della scrivania e prese un quaderno dalla copertina viola. L’aveva comprato qualche giorno prima senza un motivo preciso, ma quel giorno sentiva il bisogno di averlo con se.

Guardò l’orologio, era l’ora di andare. Scese le scale, mise il quaderno nella borsa e si avviò verso lo studio di sua nonna. Trovò la porta socchiusa e sentì sua nonna che parlava con qualcuno a bassa voce, ma non riusciva a capire bene di cosa stesse parlando e con chi. Si avvicinò alla porta per sentire meglio, ma riuscì a capire solo una frase.

“Mia sorella presto lo verrà a sapere e allora non potrai fare più nulla. Ricorda le mie parole.” poi non sentì più nulla.

Eve prese fiato e bussò.

“Avanti” rispose sua nonna

“Nonna sono io. È ora di andare.”

“Scusami, c’era una cosa che mi ha distratto. Tu vai all’ingresso, io mi preparo e vengo” disse.

“Va bene” Eve non chiese nulla, sapeva che era inutile, non le avrebbe mai risposto. Uscì dalla stanza e andò verso l’ingresso.

Sua nonna le era sembrata sconvolta e turbata, non le era mai capitato di vederla in quella condizione, era sempre stata sicura e forte.

La nonna arrivò poco dopo e si avviarono verso la macchina.

Più tardi al teatro Eve era seduta in un angolo rannicchiata scrivendo sul quaderno che teneva sulle ginocchia. Scriveva dei avvenimenti che erano accaduti in quei mesi, cercava di fare chiarezza nelle ombre della sua mente, ma non ci riusciva. Era come se avesse un velo davanti e le impediva di vedere la realtà.

Le prove erano state faticose e pesanti. Erano le 19.30 molte erano uscite per cenare e altre, come lei, erano andate al bar del teatro per prendere qualcosa.

Lei ora si trovava seduta dietro le quinte. Lo spettacolo sarebbe iniziato tra due ore e le persone intorno a lei erano in fermento, ma non si preoccupava di loro.

Morgan, una ragazza che frequentava il suo corso di danza, si avvicinò e le disse.

“Eve, in camerino c’era un telefono che squillava e penso che sia il tuo. Dovresti andare a controllare, forse è tua madre.”

“Grazie, Morgan. Ora vado.”

Eve si alzò e attraversò il palcoscenico per raggiungere il camerino.

Il corridoio deserto sembrava più stretto e buio del solito. I suoi passi riecheggiavano e la luce fievole delle lampade a parete le faceva venire la sonnolenza, ma forse era semplicemente stanca.

Si fermo per un attimo chiudendo gli occhi. Sentì improvvisamente a disagio e la sensazione di essere osservata. Si girò lentamente e vide solo il corridoio deserto.

Era quasi arrivata allo spogliatoio quando sentì dei passi dietro di lei. Affrettò il passo e l’altro fece lo stesso.

All’improvviso la luce si spense e Eve sentì i passi alle sue spalle farsi sempre più vicini e sempre più veloci. Lei spaventata iniziò a correre alla ceca.

Si sentiva angosciata e spaventata. Inciampò in qualcosa che sembrava tessuto, ma riuscì a rialzarsi subito.

Correva senza capire dove andare. Ora il buio le sembrava quasi tastabile e la sua angoscia cresceva ogni minuto di più. I passi l’avevano quasi raggiunta.

Una risata di scherno e agghiacciante risuonò nell’oscurità e le fece accapponare la pelle. Si senti mancare il fiato e non riuscì più a muoversi.

Qualcosa da dietro l’afferrò. Lei si divincolò per liberarsi e la mano che l’aveva afferrata la lasciò graffiandole il braccio con unghie che le sembravano artigli.

Eve cadde in avanti sbattendo contro il pavimento. Riuscì a girarsi, ma senza alzarsi, per vedere in faccia il suo aggressore, ma tutto ciò che vide fu una sagoma che sembrava più oscura del buio che la circondava.

Riuscì ad alzarsi a fatica e ricominciò a correre mentre la risata di prima risuonò divertita. Era come giocare al gatto e al topo, dove lei interpretava la parte del topo e sperava di non sapere come finisse quel gioco.

Andando avanti riuscì a vedere uno raggio di luce proveniente da uno spiraglio e lei affrettò il passo.

Lo aveva quasi raggiunto quanto si sentì afferrare dai capelli e una voce gracchiante dire: “Mi eri quasi fuggita, ma ora basta giocare.”

Eve stava aspettando il peggio quando sentì la presa dei capelli allentarsi e qualcuno spingerla a terra.

Sentì dei rumori di lotta e non riuscì a capire quando durasse, non osava alzarsi per guardare.

Sentì urlare e poi qualcuno la prese in braccio.

Lei aprì gli occhi per vedere il volto del suo salvatore.

Le lacrime le oscuravano la vista e riuscì a distinguere solo dei capelli neri e un volto famigliare.

“Irial” disse Eve con un sussurro prima di svenire.

  
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