01/09/2012
7 recensioni
.:°Il dolore nascosto°:.
Capitolo 2: Le onde che portano via il dolore.
Ero stesa sulla sabbia e osservavo le onde che mano a mano diventavano più grandi, sempre di più, come se fossero pronte ad inghiottire il mondo.
Facevano avanti e indietro, trascinando con loro tutto quello che col tempo le persone avevano depositato sulla spiaggia.
A scuola ci dicevano sempre che l'inquinamento è qualcosa di molto grave, che ci vogliono centinaia o migliaia di anni prima che l'ambiente riesca a smaltire i rifiuti abbandonati dall'uomo sulla spiaggia e che il mare trascina alla deriva.
Ci dicevano anche che un sacchetto di plastica può significare la morte di una tartaruga marina o di un branco di pesci.
Io ero sempre stata attenta durante questo tipo di spiegazioni: ho sempre amato la natura e qualche anno fa mi sono persino associata a Greenpeace e a WWF.
Per un attimo desiderai che le onde inghiottissero anche a me.
Avrei fatto di tutto pur di scacciare dal mio corpo quel dolore sordo che mi perforava l'anima.
Il mare era sempre stato un luogo dove isolarmi dal resto del mondo per me.
Da piccola supplicavo i miei genitori pur di portarmici almeno una volta a settimana, durante l'Estate.
Loro non capivano come facessi a non stancarmi mai di guardare i gabbiani, le stelle marine, le barche in lontananza... trovavo interessante persino la sabbia!
Quando ero bambina avevo anche una collezione di sassi con forme particolari, che io consideravo rarissimi.
In realtà non avevano nemmeno un profilo ben definito, ma io avevo sempre avuto una preferenza per le cose strane.
All'età di dodici anni papà mi comprò una bicicletta e mi lasciò libera di usarla per andare nel mio luogo magico da sola.
Restavo per ora a fissare le onde, come se le vedessi ogni volta per la prima volta.
Insomma, il mare è sempre stato il mio posto felice.
Quando compii tredici anni, il posto felice diventò anche il posto dove rifugiarmi quando litigavo con i miei genitori.
Litigavamo spesso per cose stupide, ma a me sembravano sempre di vitale importanza.
Loro sapevano che andavo sempre là quando volevo evitarli.
Mi lasciavano sola per qualche ora, il tempo necessario per farmi sbollire la rabbia, e poi venivano a prendermi.
Mi sorridevano, io mi mettevo a piangere, e facevamo pace.
Adesso non so che darei per poter rivedere il sorriso splendente di papà, o il grembiule da cucina sempre sporco di farina della mamma.
Anche solo per un momento...
Ma è inutile sperare.
Loro non ci sono più.
Loro sono morti.
Quella parola faceva ancora male, anche se erano passati mesi.
Mi mancavano i sorrisi, i loro abbracci, i loro baci, anche i loro rimproveri.
Mi mancavano come ad un aereo può mancare l'aria, come ad un pesce la sua boccia, come ad un cane in catene la sua libertà.
Mi mancavano e molte volte gli avrei voluti raggiungere.
In cielo passò un aereo.
Avrei voluto sedermi sopra una sua ala per toccare il cielo e rivederli, magari sdraiati su una nuvola.
Ma non era il momento di pensare a loro.
In quel momento ero nel mio posto felice: il mare.
Angolo Autrice:
Grazie mille a Clery, che è stata gentilissima a recensire.
Baci alla prossima.
Noemi.
Facevano avanti e indietro, trascinando con loro tutto quello che col tempo le persone avevano depositato sulla spiaggia.
A scuola ci dicevano sempre che l'inquinamento è qualcosa di molto grave, che ci vogliono centinaia o migliaia di anni prima che l'ambiente riesca a smaltire i rifiuti abbandonati dall'uomo sulla spiaggia e che il mare trascina alla deriva.
Ci dicevano anche che un sacchetto di plastica può significare la morte di una tartaruga marina o di un branco di pesci.
Io ero sempre stata attenta durante questo tipo di spiegazioni: ho sempre amato la natura e qualche anno fa mi sono persino associata a Greenpeace e a WWF.
Per un attimo desiderai che le onde inghiottissero anche a me.
Avrei fatto di tutto pur di scacciare dal mio corpo quel dolore sordo che mi perforava l'anima.
Il mare era sempre stato un luogo dove isolarmi dal resto del mondo per me.
Da piccola supplicavo i miei genitori pur di portarmici almeno una volta a settimana, durante l'Estate.
Loro non capivano come facessi a non stancarmi mai di guardare i gabbiani, le stelle marine, le barche in lontananza... trovavo interessante persino la sabbia!
Quando ero bambina avevo anche una collezione di sassi con forme particolari, che io consideravo rarissimi.
In realtà non avevano nemmeno un profilo ben definito, ma io avevo sempre avuto una preferenza per le cose strane.
All'età di dodici anni papà mi comprò una bicicletta e mi lasciò libera di usarla per andare nel mio luogo magico da sola.
Restavo per ora a fissare le onde, come se le vedessi ogni volta per la prima volta.
Insomma, il mare è sempre stato il mio posto felice.
Quando compii tredici anni, il posto felice diventò anche il posto dove rifugiarmi quando litigavo con i miei genitori.
Litigavamo spesso per cose stupide, ma a me sembravano sempre di vitale importanza.
Loro sapevano che andavo sempre là quando volevo evitarli.
Mi lasciavano sola per qualche ora, il tempo necessario per farmi sbollire la rabbia, e poi venivano a prendermi.
Mi sorridevano, io mi mettevo a piangere, e facevamo pace.
Adesso non so che darei per poter rivedere il sorriso splendente di papà, o il grembiule da cucina sempre sporco di farina della mamma.
Anche solo per un momento...
Ma è inutile sperare.
Loro non ci sono più.
Loro sono morti.
Quella parola faceva ancora male, anche se erano passati mesi.
Mi mancavano i sorrisi, i loro abbracci, i loro baci, anche i loro rimproveri.
Mi mancavano come ad un aereo può mancare l'aria, come ad un pesce la sua boccia, come ad un cane in catene la sua libertà.
Mi mancavano e molte volte gli avrei voluti raggiungere.
In cielo passò un aereo.
Avrei voluto sedermi sopra una sua ala per toccare il cielo e rivederli, magari sdraiati su una nuvola.
Ma non era il momento di pensare a loro.
In quel momento ero nel mio posto felice: il mare.
Angolo Autrice:
Grazie mille a Clery, che è stata gentilissima a recensire.
Baci alla prossima.
Noemi.