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Autore: Clelia Artemisia    01/09/2012    0 recensioni
"Un urlo squarciò l’aria, prolungato, ferino, inumano.
Ella si svegliò aprendo di scatto le palpebre, intontita com’era, provò a muovere le membra dolenti mentre lo sguardo annebbiato cercava qualcosa.
Risposte."
La protagonista, cerca delle risposte, non immagina cosa e chi scoprirà. Il finale non è affatto come sembra
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
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~~Un urlo squarciò l’aria, prolungato, ferino, inumano. 
Ella si svegliò aprendo di scatto le palpebre, intontita com’era, provò a muovere le membra dolenti mentre lo sguardo annebbiato cercava qualcosa.
Risposte.
Si scoprì incatenata così strettamente da non riuscire a distendere le lunghe gambe, ripiegate sotto di lei come un arco. L’addome incurvato premeva contro le mani e i polsi saldamente uniti.
La gola le bruciava, ardeva dalla sete, muovendo la lingua avvertì sulla punta il sapore metallico del sangue.
Riprese i sensi, allarmata dalla scoperta.
Abbagliata da un riverbero di luce abbassò la testa e notò una pozza liquida nella quale colse la sua immagine: come pensava, era legata, indossava solo l’ormai lacera e sottile camicia da notte, aveva perso sangue dal naso e aveva una terribile sete, ma, a parte qualche livido, era intatta.
Si guardò intorno, era in un’enorme stanza di pietra, spoglia e rischiarata soltanto da una piccola finestrella aperta, con un grande talamo al centro coperto da coltri ormai logore, una porticina lignea, alcuni barattoli, vasetti e scatolette per alimenti accumulati ed impilati in un angolo, rasente ad una parete v’era un piccolo scranno anch’esso ligneo, d’antica fattura come il parco mobilio.
Non era sporco, v’era un ordine rigoroso e asettico, quasi un arredamento minimalista se fosse stato voluto.
La pozza era dovuta alla caduta d’una brocca di ceramica ormai infranta, che era rotolata in là rovesciandone il contenuto.
Ma non era sola.
Assisa sullo scranno vi era una creatura, che la osservava intensamente, un demone stranamente calmo.
Imponente ma non un Polifemo, slanciato, una melanica elaborata corazza lo ricopriva interamente a guisa di pelle, le mani erano adunche, dotate d’artigli, una appoggiata al petto, i piedi stretti nelle terminazioni della corazza, due ali membranose e sanguigne semiaperte ricadevano dietro lo scranno, sfiorandogli quasi la testa, affusolata e armonica, terminante in tre corni fittamente ramificati tra loro, fiamme robuste v’ardevano alte.
I suoi occhi, due grandi pozzi di rame liquido con pagliuzze argentee al centro, la fissavano in un modo sconcertante.
Non erano minacciosi né rivoltanti, ma per contrasto d’una mefistofelica bellezza e pacatezza e sembravano rimirarla in una discreta e celata adorazione.
Come lo vide, si ritrasse, il viso rasente al muro, impietrita, incapace d’urlare.
Avvertì che l’essere si avvicinava e delicatamente s’accingeva a toglierle le pesanti catene, con una gelida mano le sfiorò la guancia, lei si voltò, incontrò i suoi occhi di rame e svenne, non prima d’avvertire un tocco, ardente come bragia, un bacio che le infiammò la fronte.
E ricordò.
Frammenti, molteplici come le facce d’un prisma.
Scene della sua routine scorrevano veloci, un groviglio di volti, un’accozzaglia di parole e pensieri, un vorticoso caos.
Il giorno seguiva alla notte, tutto normale.
Un raggio di sole annunciava l’alba, svegliandola.
All’improvviso… lui.
Attimi di cieca frenesia, la ghermisce e strettala a sé sprofondano nel vuoto, insieme.
Poi… i suoi occhi, nient’altro.
Precipitano. Sempre più in fretta, il vento le sferza il viso.
Tutto si ferma, sono nella stanza. I suoi occhi la fissano.
Movimenti convulsi e dolorosi, zampilla sangue e rifulgono bagliori di catene.
E l’urlo.
A fatica lei si riprese, sentì un liquido attraversarle la gola. L’acqua tanto agognata.
Avvertì poi del morbido sotto di sé, non più la fredda pietra del suolo.
Aprì lentamente gli occhi mentre deglutiva, il demone le porse nuovamente una coppa, tenendo una mano dietro la sua testa appena reclinata e la guardò, lasciandola appena lei ebbe bevuto, posando la coppa accanto ai barattoli.
Si allontanò, risedendosi discreto sullo scranno con un fruscio d’ali, sempre ponendosi una mano sul petto.
I suoi occhi sembrarono chiederle perdono, un muto perdono che lei concesse chinando leggermente la testa.
Pienamente cosciente, notò d’essere seduta sul grande letto, libera dalle catene, così, con calma distese le gambe e mosse un poco le braccia, sistemandosi pudicamente la fine camicia di raso e scostandosi dalla fronte i madidi ricci corvini, sfuggiti al fermaglio, girò il viso e guardò a sua volta il demone, immobile, sussurrandogli un “grazie” flebilmente, a cui lui rispose con un profondo cenno del capo.
Tuttavia non era affatto tranquilla, aveva un tremendo bisogno di sapere, d’avere risposte e i frammentari ricordi le erano di ben poco aiuto.
Infrangendo lo strano silenzio che incombeva, i suoi numerosi “perché” fuoriuscirono impetuosi, simili a torrenti in piena, lei voleva, doveva, sapere.
Il demone rimase impassibile, senza smettere di guardarla, fatto che alimentò la sua inquietudine ed ella rizzatasi in piedi iniziò convulsamente a vagolare per la stanza, imporporando e inveendo contro il demone, che si voltò, cessando di guardarla.
Lei furiosa e non appagata, come le Erinni di euripidea memoria, brancicava e strepitava, inciampando nei pochi oggetti, finché lui fulmineo s’alzò bloccandola.
Lei alzò la testa e incontrò i suoi occhi, quel rame la galvanizzò, penetrando in ogni sua fibra, calmandola all’istante, ma fu un ardente bacio, impressole sulla fronte, a vincere la sua momentanea 
Con un sospiro si lasciò cadere tra le braccia protese del demone, che delicatamente la posò sul letto, ritraendosi per tornare allo scranno.
Nel sedersi, il braccio lasciò il petto scoperto per un battito di ciglia, rivelando a lei che con orrore la notò, un’ampia voragine squarciata a sinistra, i cui brandelli erano fusi con la corazza.
Il demone se ne accorse e la celò con il braccio, il suo sguardo, perennemente a lei rivolto, ora era offuscato da due sinuosi rivoli di sangue, che lui con sprezzo ripulì, quasi se ne vergognasse.
Il demone distolse subitamente lo sguardo, si diresse verso il cumulo di barattoli, con un artiglio ne aprì un paio che posò accanto alle coppa e alla brocca d’acqua, illuminata dalla luce d’una diafana luna, ripiegò le ali attorno a sé -come un pipistrello dormiente- e rasente al muro sparì nella notte.
Quando ritornò, la trovò addormentata, fresche lacrime le irrigavano il viso, i due barattoli vuoti erano accanto alla coppa.
Al suo risvegliò lei scoprì il demone nella sua consueta posa, che la fissava tranquillo, quasi volesse augurarle un buon risveglio.
Meccanicamente si riassestò la camicia, cercando poi con gli occhi un posto dove potesse quantomeno lavarsi e come se avesse espresso cum voce il suo bisogno, lui con gli occhi le indicò la porticina, dietro la quale trovò un piccolo bagno ove, accertata la sua intima integrità e la mancanza di lividi rivelatori, rimase per qualche tempo distesa in balia del tepore offertole dall’acqua della vasca.
Indossò anche la vestaglia che trovò accanto alla vasca , non perché sentisse granché freddo, ma si sentiva nuda agli occhi del demone.
Ricomparsa nella stanza, trovò ad attenderla del cibo e un paio di semplici pantofole di spugna, per i quali si sentì grata, ma ancora diffidente verso il demone.
Tentò nuovamente di dar sfogo alle sue domande, ma il demone non rispondeva, i suoi occhi nondimeno la seguivano ed erano sempre più attraenti, ogni volta che lei vi si soffermava.
Durante l’intera giornata, girò per la stanza, toccando, sfiorando, guardando tutti gli oggetti ivi contenuti e soffermandosi sul panorama dalla finestrella, cercando d’indovinare dove fosse, controllando ogni tanto con la coda dell’occhio il demone, avvertendo il suo sguardo su di sè. Tuttavia non cercò di scappare, si sentiva come sospesa in un’alta dimensione.
Avutane abbastanza dell’indagine, verso il crepuscolo si accoccolò sul letto, concentrandosi sulla scatoletta di cibo che le era davanti, aperta.
Finito che ebbe di desinare, ammirò il tramonto alla finestra, così rapita che trasalì non appena avvertì una mano gelida del demone posarsi sulla sua spalla.
Lui la fece voltare e le accarezzò le guancie e il collo, s’avvicinò, dapprima sfiorandole la fronte, poi la guardò, le fiamme sulla sua testa sparirono e prima che lei potesse anche solo respirare, l’attirò a sé e la baciò con ardore appassionato.
Poi in un lampo sparì, un frusciar d’ali di tenebra.
Non fu un bacio casto, ma rovente come ferro fuso, ardente come fiamma, urgente e disperato come un addio.
Poi la visione… era successo di nuovo… a causa del suo rovente bacio, nella mente di lei erano affiorate le accozzaglie di frammenti vorticanti, questa volta un turbinio di persone con abiti diversi d’antica fattura, raccolti in preghiera attorno a dolmen, ziqqurath, piramidi egizie e a gradoni,  mandir, gompa, pagode, masjid e sinagoghe, percependo una babele indistinta di lingue.
Come era affiorata, la visione si dileguò, in un palpito.
Lei rimase attonita, toccandosi le labbra, il collo e la fronte, che pulsavano in modo dolorosamente piacevole, mentre il respiro riprendeva il suo armonico movimento.
Si sedette sul letto e cadde in un delizioso deliquo, addormentandosi, mentre la luce della luna lambiva le coltri.
Era trascorso un altro giorno.
Poco a poco smise di pensare al mondo esterno.
Molti altri ne passarono in questo modo, ad un certo punto, dopo i lavacri mattutini, trovò oltre al cibo, un libro e lunghe candele accese inserite in un aureo candelabro, nuovo arrivato.
Il fatto si ripeté ogni giorno.
Quale celestiale gioia! Poteva dopo così tanto tempo sfiorare, annusare, adorare e sfogliare le pagine d’un libro.
Non le importava il genere, aveva un’assoluta fame di lettura.
Iniziò subito a divorare il tomo, senza curarsi del cibo.
Il demone ora la osservava con uno sguardo compiaciuto -somigliava invero ad un Mefistofele davanti ad un incredulo Faust-, quasi divertito dalle reazioni di lei, che interrompeva la lettura solo per trangugiare un barattolo, fino a quando le candele si erano consumate e lei non mi addormentava sfinita con le dita inserite nel libro, un sorriso abbozzato sulle sue labbra.
L’incredibile e varietà e afflusso di libri, attenuò in toto il suo sentimento di diffidenza verso il demone, al quale ora sorrideva, non più turbata dalle sue intense e imperiture occhiate.
Le sembrava per lo meno strano, come, senza pronunciare verbo, lui sembrasse capire ciò che lei voleva o chiedeva, avvertendo una sorta di risposta nel suo sguardo.
Avendo capito l’antifona, lei pur d’avere risposte alle sue ben note e sedimentate domande, provò sovente a formularle mentalmente al demone, ma abbandonava l’intento sentendosi sciocca e notando una traccia di mestizia negli occhi di lui, che sembrava soffrire per non poterle rispondere.
Si dedicò perciò ancora più alla lettura, anche se era sempre più attratta dallo sguardo del demone, cui rispondeva con maggior frequenza, rendendo i due simili a Francesca e Paolo di dantesca memoria, fino a che una sera, mentre lei rifletteva dando la parola nella sua mente alle sue compagne domande, lui celere le si avvicinò e inginocchiatosi ai piedi del letto con uno slancio la baciò febbrilmente.
Una nuova visione emerse di frammenti foriera: anime, in branco che grugnendo, ululando, latrando e mugolando s’ingozzavano fino alla crapula, percuotevano altri, copulavano selvaggiamente, litigavano furiosamente, ridevano smodatamente assieme a demoni privi di cuore e dalle multiformi apparenze, istinto puro… altre anime, un armonico candido gruppo, che passeggiavano, sorridevano tenendosi per mano o baciandosi, sembravano non distogliere mai gli sguardi l’uno dall’altra, un flusso maestoso di puro incontaminato pensiero.
Scomparve tutto in un bagliore latteo.
Lei si riebbe e guardò il demone, che le porse del cibo, lanciandole uno sguardo, come a volerla rassicurare, lei fece un cenno sorridendo e poi si coricò sul letto, leggendo fino a cedere al dolce Morfeo.
Sorse l’alba su giorni in simile processione, nulla mutava.
Tuttavia con l’arrivo di uno dei tanti meriggi i due non fecero altro che guardarsi, lasciando perdere ogni altra cosa; ad un tratto lei si levò di scatto, lui come d’intesa la raggiunse, si baciarono avidamente ma in un momento lui si staccò e melanconico si fermò alla finestra, sospirando pesantemente, fissando irato la voragine al petto.
Lei silenziosamente gli si avvicinò parandoglisi dinanzi, posò una mano su quella che lui teneva ferma al petto e l’altra sul suo viso, lui chiuse gli occhi, l’allontanò  gentilmente e arretrato d’un passo, avvenne in lui una rapida metamorfosi: le fiamme si spensero, scomparvero i corni, si ritirarono gli artigli, la corazza divenne più luminosa e perse spessore, più simile ad una membrana, poi riaprì gli occhi immutati e le sorrise, suggerendole con essi che le avrebbe finalmente risposto.
Lei lo attirò a sé e con ardore si baciarono. Lui la prese tra le braccia, l’adagiò sul talamo e strappatale la camicia, adorò con baci ardenti e carezze fameliche il suo corpo squisitamente morbido e le sue dolci curve, più fulgide di qualsiasi gioiello mai forgiato, più sublimi d’una statua classica; lei rispondeva madida e arrossata modulando vellutati e dolci sospiri, sciolta come cera liquida al suo tocco, i loro corpi, illuminati dalla luce della luna, fusi in un armonico movimento, scorrevano come seta fra le mani d’un sarto, diedero infine sfogo al loro desiderio, con urgenza disperata, fremente ed intensa, continuando a guardarsi, beandosi per ogni occhiata, perdendosi l’una negli occhi dell’altro. 
Si addormentarono abbracciati, stretti nelle ali del demone, in una stanza che il loro amplesso aveva reso pieno di vapore, sul pavimento giacevano i brandelli della camicia, la vestaglia lacera e i pezzi del fermaglio.
L’alba li colse ancora così, poi lui carezzandola dolcemente la svegliò e lei capì dal suo sguardo che ora le avrebbe fornito le risposte che tanto agognava.
Fu così che ruppe il silenzio e con una voce profonda e dannatamente sensuale dicendole: “ Mia amata mortale ì il mio nome è è (4)  ti rivelerò tutto, non sono stato sordo alle tue domande, la tua insaziabile fame di sapere mi è chiara fin dal principio, è la tua curiosità assieme a molti altri evidenti fattori, il motivo per cui ti ho scelta, hai un cuore davvero sincero ed incorrotto, associato ad una così semplice e virtuosa bellezza.
Ti spiegherò che cosa sono, tutto avrà un senso, partirò dall’origine, la Storia Proibita, non m’importa anche se correrò rischi a rivelartela.
Gli Angeli primigeni hanno avuto origine dal  divino, i più vicini al puro pensiero e perfetti, non avevano alcun bisogno di parole, i Demoni, come me, rappresentano la loro corruzione (voluta o naturale avvenuta col passare dei millenni), quando ogni traccia di purezza di pensiero, ragione e controllo sparì dal loro essere, li rese istinto slegato dal logos, anche se ne conservano un retaggio, una forma particolare, impresso nella loro materia.
Entrambi sono chiamati 
Dopo millenni, vennero creati gli Esseri Umani, dalla trasposizione dei più semplici pensieri di Dio-, rozzi e spontanei, che però potevano perfezionarsi, elevarsi, purificare il pensiero fino a divenire loro stessi Angeli, ecco come si spiegano le meraviglie dell’antichità quali templi, arti, idee, teorie e tecniche, macchine e meccanismi, non aliene, frutti sì di menti elevate, ma totalmente umane.
L’uomo con passare delle epoche s’impigrì, crogiolandosi nei risultati e nei progressi raggiunti, non cercando più quella purezza di pensiero, così non nacquero più Angeli, s’annichilì quella sapienza, fino a divenire un mito, infine l’uomo si ritrovò a ricreare le medesime cose, a riscoprirle, solo grazie al mero accumulo di arti e  alla rinfusa, senza mai capirle fino in fondo.
Alla loro morte credono di raggiungere il Paradiso o l’Inferno, ma quelli sono solo illusioni per le loro aride menti, non giungeranno mai in quei luoghi. L’intera loro vita è un illusione.
Perfino i Demoni, con il retaggio del logos che possedevano erano in un certo modo migliori degli uomini, anche se pagano un prezzo molto alto, gli viene strappato il cuore, così non possono perdere sé stessi come umani e ritrovarsi come Angeli grazie al pensiero purificato.
Gli Angeli nei secoli persero le speranze e lasciarono perdere ogni contatto con gli uomini, ma noi Demoni continuammo a influenzarvi per indurre un mutamento, anche se con orribili risultati come la caccia alle streghe e la sconfitta della magia, l’unico modo per parlare con gli uomini.
In fondo gli dei e le dee del mondo antico non erano altro che Angeli o Demoni vanagloriosi, una volta esseri umani.
Tuttavia la mente pur annichilita, può, se allenata e guidata, tornare a quella purezza di logos, alcuni esseri umani possiedono menti più adatte, i bambini, gli artisti, i folli, i cosiddetti “malati di mente”, i sensitivi, gli eremiti e i mistici e moltissimi altri, giudicati male e talvolta rinchiusi.
Io voglio riuscire a creare una Mente Pura, ecco perché ti ho rapita, voglio dividere per sempre con te l’antica sapienza, unirci assieme nel logos, fonderci eternamente,  ein esso, ti amo troppo per lasciarti vita e mors aeterna in quelle dimensioni illusorie.
Ciò che vedevi dopo il mio bacio, le visioni, ti mostrarono in ordo: il tuo ratto, le meraviglie create dalle Menti Pure, i grandi uomini dell’antichità, infine le anime del   (8) e del purtroppo non avevo altro modo per farle tue, anche se ho sconvolto la tua mente innocente, questo è un mero assaggio di ciò che condivideremo, quando ti avrò elevata”.
Lei entusiasta sentì come se le si fossero aperti dinanzi i cancelli celesti, aveva avuto le sue risposte, si sentiva in vero soddisfatta, ma presa dall’emozione riuscì a sussurrare un “Sì ”, lui intuì dal brillare degli occhi la sua gioia e la sua totale adesione, sentiva che lei aveva compreso e che paga delle risposte era pronta.
Ma non fecero in tempo a godersi quella gioia, perché un turbinoso vortice di fiamme circondò entrambi, al che lui urlò: “No, non fatelo, so che era proibito, ma lei era pronta, pura e innocente, io la amo, apparteniamo l’uno all’altra, non commetterò errori, non io, abbiamo bisogno che esistano ancora Menti Pure, lasciatela o scatenerò forze che solo i Demoni Primari hanno conosciuto”. Lei venne catturata dal vortice, lui riuscì a mormorarle: “Mi dispiace tantissimo, perdonami ho fallito” e a baciarla fugacemente; il vortice la risucchiò disperdendo nell’aria le sue ultime parole “Non importa, io ti amo”, riducendo lui in una statua di ghiaccio adamantino prima che si ritrasformasse, sigillato, cosciente ma impotente in una prigione che annullava il .
Lei morì perché lui le aveva rivelato la verità, era sprofondata nel  anche se era innocente, ma così decretava il foedus… almeno era morta con il bacio del suo demone sulle labbra e lo avrebbe ricordato in eterno, anche tra il soverchiante istinto, il pensiero di lui era ormai fuso in lei.
Unica tra i dannati ad avere ancora un cuore.
In forma di statua egli venne confinato in una dimensione parallela, l’Eterno Oblio, inaccessibile a chiunque eccetto che ai , destinata a rinchiudere chi, come il demone, aveva infranto il foedus (10)  (l’essere umano cui sarebbe stata rivelata la Storia Proibita senza essere già una Mente Pura, era destinato irrimediabilmente al l’Angelo, Demone o Mente Pura rivelatore invece relegato nella dimensione dell’Eterno Oblio), il perdono non è per quella colpa.
Le leggi prevedono delle attenuanti, ma non il foedus.

In una placida ma gelata notte la giovane si svegliò improvvisamente.
Toccandosi il capo dolorante si pentì di aver bivaccato troppo la serata precedente, era ancora semivestita.
Accanto a lei si mosse l’uomo, provato pure lui dalla nottataccia e come la compagna, quasi vestito.
Si sedettero entrambi sul letto e guardandosi scoppiarono a ridere, per com’erano ridotti. Decisero di bere un caffè, mentre lei raccontava di quell’assurdo sogno fatto tutta la notte. Incredibile ma totalmente senza senso.
L’avrebbe scritto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N.d.A.:
1) Mania = follia.
2) Oika = tempio
3) Metis + Sofia = saggezza e sapienza, la prima è una dea greca.
4) Bromos + Endrov = appellativi del dio Dioniso, significano “Tuonante” e “Arboreo”
5) Logoforoi = portatori della parola
6) psiche=anima
7) soma=corpo
8) Tartaros = sorta di Inferno, l’Al di là in negativo
9) Kefas = sorta di Paradiso, propriamente vuol dire “giardino”
10) foedus = patto

  
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