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Autore: The Cactus Incident    02/09/2012    5 recensioni
Stavo suonando con tutta me stessa per scaricarmi e non pensare a per quale cazzo di motivo non mi parlava se era stato lui a cominciare, quando la mano bianca e ossuta di Jimmy si posò sul mio polso che si muoveva freneticamente.
Alzai di scatto la testa, nervosa e lo trovai a mostrarmi un sorriso tranquillo che contagiava anche quelle iridi così azzurre nascoste dietro gli occhiali.
“Faccio troppo rumore?” “Non abbastanza da coprire quello del tuo cuore che si spezza e sanguina”
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Matthew Shadows, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zacky Vengeance
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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chapter 16


Inizio giugno, 1999


Stacey P.O.V.
Avete presente il termine “americanata”?
Sono di quelle cose che si vedono solo nei film per adolescenti made in U.S.A. e che non vedrete mai in nessun altra nazione o continente. Sapete, no, il ballo di primavera, quello di fine anno, la squadra di football, quella di baseball, le cheerleader e tutte queste cose qua…….
Fra le varie americanate contemplate nella nostra scuola, spiccava anche l’autolavaggio, uno dei metodi più rapidi di incassare soldi.
Fare l’autolavaggio era competenza del comitato studentesco e chiunque vi rientrasse, avrebbe avuto dei bei crediti scolastici.
Era per questo che io e Matt ci stavamo dirigendo al posto che avevano scelto per la loro attività.
Volevamo goderci lo spettacolo, perché vi chiederete voi, beh forse perchè quelle due menti brillanti di Meg e Jim erano entrati nei comitato studentesco per ottenere dei crediti e adesso avrebbero lavato automobili in mise…. Succinte, ecco.
Le ragazze con shorts e bikini, i maschi con i bermuda.
Matt passò per casa mia e col suo furgone ci dirigemmo fin lì.
“Ti farai lavare la macchina?” chiesi distrattamente e lui annuì
“Mi pare ovvio, voglio vedere quella bomba sexy di Jim che si spiaccica sul mio cofano”
All’immagine di Jim che faceva il sexy con schiuma e spugna, sul cofano del furgone di Matt scoppiai a ridere e il mio ragazzo mi fu dietro.
“Mio Dio è raccapricciante!”
“E lo hai solo immaginato, pensa a vederlo dal vivo”
Arrivammo in poco tempo e Matt consegnò le chiavi al ragazzo che “smistava” le macchine. Dopo di ché, granita gelida alla mano e occhiali da sole sul naso, ci piazzammo su una panchina (una delle poche libere) per goderci lo spettacolo.
Jim a torso nudo faceva il suo lavoro, fischiettando allegro con i capelli sparati in tutte le direzioni come al solito e la schiena pallida leggermente scottata. Col fisico asciutto e leggermente muscoloso che si ritrovava non faceva di certo brutta figura e a dispetto della mia “fantasia” non si spiaccicava su i cofani insaponandosi.
Quando si trovò davanti al naso il furgone dell’amico, lo riconobbe e cominciò a guardarsi attorno per trovarci e quando ci scovò sulla panchina si aprì in un grosso sorriso e sventolò la grossa spugna gialla.
“Ehi ragazzi! Da quanto siete qui?!” urlò sbracciandosi e noi ci avvicinammo.
Gli offrii la mia granita e ne prese una grossa sorsata.
“Oh grazie JD. Vi godete lo show?” disse divertito e noi annuimmo ridendo.
“Sei il più gracilino qua in mezzo, Sullivan” lo prese in giro Matt e il batterista scrollò le spalle.
“Che ci vuoi fare, mi ci vedi grosso e palestrato? Sarei ridicolo” disse convinto. Come se non fosse quello con i capelli biondo stupido più assurdi di tutta Huntington Beach, certo.
“Sullivan, non sei qui per parlare!” Una tipa bionda tutta cotonata, che se non ricordo male faceva parte della combriccola di Michelle, richiamò il mio amico che annuì e si rimise a lavorare.
“Ragazzi, non credevo che sarei caduto così in basso, ma vorrei essere promosso e lasciare quella scuola di merda, quindi mi tocca sgobbare. Ci vediamo dopo, uhm?”
“Ok, ma Meg?” chiesi curiosa.
“Oh, è lì” disse indicandoci un gruppetto che lavava un’auto a tre di distanza da dove ci trovavamo noi. Si erano divisi in cinque gruppi per smaltire meglio la gente.
Dopo una pacca sulla spalla rossa di Jim per cui bestemmiò tutti i santi, ci allontanammo da lì per andare a rompere i coglioni a Meg.
Beh, col fisico asciutto che si ritrovava nemmeno lei aveva granché da invidiare a quelle patinate vip della scuola, anche se a differenza di quest’ultime, lei lavorava, quelle no.
Aveva un bikini nero con una miriade di teschietti verde acido e un paio di shorts di jeans che non arrivavano a metà coscia, tutti sfilacciati. I capelli corti tirati in una corta coda disordinata e una linea di eyeliner resistente all’acqua più sottile delle sue solite.
“Allora Window! Si lavora, eh?” dissi avvicinandomi a lei che mi lanciò un’occhiata terribile.
“Mi sto scuocendo il culo, giuro, e ho una sete che non v’immaginate” Le passai la mia granita e anche lei ne prese una grossa sorsata.
“Uh, anguria” disse dopo un po’.
Poi mi restituì il bicchiere. Stava per parlare quando qualcuno la chiamò.
“Ehi Nessie!” SPLASH.
“Figlio di puttana!”
Haner era arrivato con un secchio blu di plastica che aveva svuotato su Meg e adesso sghignazzava come una iena mentre la mia amica provava a riprendersi.
Dopo essersi passata le mani sul viso rimuovendo un po’ d’acqua in eccesso e essersi tirata indietro i capelli corti e apparentemente neri perchè bagnati, afferrò il suo secchio di acqua (saponata e sporca, nel suo caso) e lo svuotò su Haner.
Io e Matt scoppiammo a ridere vista la faccia di Brian che si tolse gli occhiali da sole e stava per rispondere, quando Michelle lo chiamò.
“Sfortunatamente devo andare, ma aspetta un po’ e vedrai che vendetta” la minacciò prima di andarsene.
Dopo poco arrivò Zack a tenerle compagnia e io e Matt ce ne andammo.
“L’anno prossimo lo fai pure tu?” mi propose Matt.
“Vuoi vedermi in bikini che lavo macchine o cosa?”
“L’idea sarebbe quella” alzai gli occhi al cielo e lui mi schioccò un bacio sulla guancia, prima di mettermi un braccio attorno alle spalle e farci un giro per Huntington.


Meg P.O.V.
Con le ultime forze arrivai a quello stramaledetto terzo piano, facendomi forza e facendo forza a Jim, più o meno nelle mie stesse condizioni.
“Cristo Jim…. io esco da quella squadra di pazzi….”
“A chi lo dici…. che si fottano i crediti scolastici: non ci voglio crepare mica in quella scuola”
Avevamo provato a sperare in una media di fine anno migliore e quello che la alzava meglio di tutti era far parte del comitato studentesco. Peccato che fossero in magra e il ballo di fine anno incombesse minacciosamente quindi, grande genialata, avevano messo in atto la classica stronzate del lavaggio auto.
Vi dico solo che la vendetta di Haner consistette in un set fotografico per cui gli avrei volentieri ficcato la macchinetta su per il culo.
Tutto sommato ci eravamo divertiti e quando era passato Zack non era stata così male, ma era davvero troppo distruttivo.
Avevo le mani distrutte ed ero a pezzi, per di più avevo anche cominciato a cuocermi la schiena, troppo bianca per poter sopportare il sole cocente di Huntington Beach.
“Fanculo…. non m’interessa… adesso vado a dormire. Stasera non credo proprio di farcela ad uscire” dissi io raggiungendo l’ultimo scalino aggrappandomi al corrimano.
“Bah, direi che anche io rimango a casa…. o forse no” sorrise stancamente Jim e poi ci separammo, spostandoci ognuno sul proprio lato del pianerottolo.
Mi sciolsi il codino per evitare che mia madre non mi sgamasse il piercing fatto da JD (ancora non mi aveva beccato!) e presi un sospiro.
Infilai le chiavi nella porta e mi bastò mezzo giro per aprirla, quindi mia madre era a casa.
“Maaamma!” urlai appena passata la porta.
“Meg! Vieni in cucina! C’è una…. sorpresa” mi chiamò lei dalla cucina, quasi un tutt’uno con l’ingresso.
“Se per sorpresa intendi una dose di adrenalina o di valium ti faccio una stat…..” Rimasi gelata appena entrata nella cucina.
Al bancone, seduto su uno sgabello e con una tazza di caffè fra le mani, c’era lui.
Parecchi piercing sulle orecchie e tatuaggi, i soliti occhi azzurro ghiaccio e il solito mezzo sorriso in cerca di compassione.  I capelli scuri lunghi fino a metà collo erano pettinati con la riga nel mezzo e scompigliati in leggere curve castane.
Un jeans strappato, una maglietta scambiata dell’Hard Rock, gli occhiali da sole piantati sulla testa.
Sciolsi la mia posa sorpresa e feci una faccia scocciata. Mi passai una mano fra i capelli e piantai i miei occhi meravigliosamente opposti a quelli di lui, nei suoi.
“Ah…. sei tu” dissi schifata. Incrociai lo sguardo di mia madre e fui ben felice di notare che nemmeno lei era tanto entusiasta di averlo di nuovo a casa.
“Tanti auguri tesoro” Sgranai gli occhi fino all’inverosimile. Mi voltai verso mia madre.
“Che diamine ha detto?” e lei fece una faccia come a dire ‘Ormai non ci sono più speranze’ per niente divertita o sarcastica.
“Non vieni a salutarmi?” insistette.
“Perché dovrei?” dissi tranquilla e lapidaria. Mollai la mia borsa sul divano e passai nella cucina per vedere se c’era qualcosa da mangiare.
“Sei diventata davvero una bella ragazza” continuò a parlare.
“Grazie. Sei venuto a riprenderti il basso o cosa? Mamma dove sono i biscotti?” dissi io ignorandolo.
“Qui sul tavolo, Meg” Disse lei tranquilla e sorridendomi complice.
Per quanto potesse essere impegnata col lavoro e poco presente, mi aveva cresciuto bene e sopratutto mi aveva fatto capire una cosa: mio padre non meritava compassione.
Si, quella rock star di poco meno di quarant’anni era mio padre.
James Window, bassista dei mitici/storici Trapnest [Nda Cactus: ho preso il nome dall’anime NANA, non avevo idee .__.” perdonatemi], e padre peggiore dell’anno da sedici anni e tre quarti a questa parte.
Infilai la mano nel barattolo e ne estrassi qualcuno.
“Allora? Che vuoi?” chiesi scocciata, guardandolo distrattamente.
Possibile che invecchiasse così bene? Per essere così spregevole da abbandonare una donna di appena vent’anni e una figlia di due, si portava bene tutto lo schifo che faceva.
“Volevo solo salutarti”
“Uhm ok, ciao” dissi distrattamente addentando un biscotto con le gocce di cioccolato.
“Perché mi tratti così?” Si permetteva pure di fare il cane bastonato, lo stronzo.
“Sai com’è, ho imparato da te, papà” l’ultima parola uscì dalle mie labbra come un insulto.
“Ti avevo portato un regalo…”
“Tienitelo” dissi secca.
“Ma almeno aprilo…..” Seguii il suo sguardo e notai un grosso intruso nel salotto, poggiato contro il divano. Possibile che prima non l’avessi notato?
Era una custodia nera, di quelle rigide, che solo la custodia comincia a costare intorno ai 200 dollari, con un grosso fiocco rosso in cima.
“Uhm”
Mi affacciai e la adagiai sul divano. Feci scattare le due aperture e rimasi a contemplare quello strumento, quello spettacolare strumento. Percepii che mio padre si era accovacciato vicino a me, davanti al divano, ma che osservava me e non quell’opera d’arte.
Era una Schecter. Una stupenda, graffiante e spettacolare Schecter, nuova di zecca.
Floyd Rose, Symour Duncan Pickups, tastiera d’ebano con intarsi in madre perla, corpo laccato di un verde lime trasparente che lasciava vedere le venature del legno utilizzato.
Ci sarei morta per una chitarra del genere (colore a parte).
I miei occhi brillavano, mentre con lo sguardo carezzavo le sue forme sinuose e perfette. Sentivo le mie mani fremere al pensiero di sfiorare quelle corde nuove e perfette. Già vedevo Haner che sbavava. Una cosa del genere poteva vederla solo nell’intoccabile arsenale di suo padre. Chissà che suono eccez…..
No. Non avrei mai accettato un regalo da mio padre.
Ehi, un momento. C’era stato un piccolo particolare che per assurdo non avevo notato fin da subito.
Beh, papy, hai fatto una toppata più grossa dell’ Empire State Bulding.
“Sedici anni sono un traguardo importate e bisogna ricordarlo in modo speciale” Vai, continua a sparare cagate, vai.
Verde. Una spettacolare chitarra di un verde che sarebbe stato un cazzotto in un occhio anche per un daltonico.
Chiusi di scatto la custodia e ancora più repentinamente voltai il viso verso mio padre.
“Uhm. Bella. Riportatela” dissi fredda.
“No, è per te” isistette.
“Peccato che se avessi fatto attenzione almeno ai miei primi due anni di vita ti saresti reso conto che sono mancina proprio come te. O forse te lo ricordi, solo che l’hai fatta comprare a qualcun altro che logicamente non lo sapeva”
“Scusa…. posso farla cambiare… io…”
Mi tirai diritta in piedi, porgendogli la custodia ormai chiusa.
“Hai già fatto abbastanza. Riportatela e la prossima volta almeno accertati che sia mancina, così quando te la restituisco la conservi per te. Ah, per tua informazione il mio compleanno è il due settembre, non il due giugno e quest’anno dovrei farne diciassette, non sedici” scoccai un’occhiata a mia madre che annuì e andai in camera mia.
Afferrai lo zaino, ci buttai un cambio, lo spazzolino, lo shampoo e il pigiama. Rimasi un secondo a osservare la custodia poggiata contro il muro e dopo un “Fanculo” sussurrato, l’afferrai e me la portai dietro.
“Mamma io esco va bene? Ci vediamo domani mattina” le lasciai un bacio sulla guancia, mentre lui mi guardava.
”Dove vai?” chiese e io lo fulminai con lo sguardo.
“Da qualcuno che ha fatto il padre meglio di te. Ciao James”
“C-ciao Meg” mentre mi chiudevo la porta alle spalle sentii un chiaro “Sta parlando di Brian, vero?”, ma feci finta di niente, perché aveva ragione.
Piazzai il sedere sul corrimano e scivolai giù così, volevo darmi una mossa.
Tutta la stanchezza era sparita, c’era solo rabbia e risentimento e non era per niente bello.
Uscii in fretta e furia dal palazzo e cominciai a correre in direzione del mio porto sicuro, mentre le lacrime cominciavano ad inondarmi gli occhi.
Era ormai il tramonto quando arrivai davanti la villetta, il fiato corto, i muscoli talmente doloranti da impedirmi una corretta azione motoria, il collo completamente bagnato di lacrime e il respiro sul punto di collassate per lo sforzo.
Suonai il campanello e Susan venne ad aprirmi. Appena mi guardò mi strinse forte fra le braccia, mentre il respiro si spezzava ancora una volta.
“Tesoro…. è tornato, vero?” annuii, mentre mi carezzava la schiena semi ustionata da sopra la maglietta leggera di cotone che avevo sopra al bikini, ma senza farmi alcun male.
Non avevo nemmeno fatto in tempo a cambiarmi. Avevo ancora bikini, shorts e maglietta.
“Mamma dove sono le mutand…. Meg!” Brian attraversò a grosse falcate il soggiorno e Suzy lasciò spazio al figlio con addosso solo l’accappatoio e mi feci abbracciare, mentre continuavo a piangere.
“Ssssh Meg, tranquilla, ora sei qui….. non devi preoccuparti” tirai un pungo senza forza sul suo petto bagnato.
“E’ mio padre, Bri! E’ mio padre e mi ha portato una chitarra per destri, convinto che oggi fosse il mio compleanno!” sbraitai nervosa.
Mi carezzò piano la testa senza toccarmi la schiena che sapeva bene essere in condizioni non accettabili.
“Tranquilla, adesso se ne andrà e quando tornerà fra dieci anni lo spedirai fuori dalla porta a calci in culo” Fui spezzata da un altro dannatissimo singhiozzo.
“Appena diventerò famoso, sarò io a comprarti una chitarra. Sarà una Schecter stupenda, viola e mancina, col Floyd Rose originale. Magari una sette o otto corde, così vediamo se riesci a farmi il culo, uhm?” sussurrò sulla mia testa, provando a calmarmi. Sorrisi contro il tessuto spugnoso e morbido in cui era avvolto e lo abbracciai.
“Solo per curiosità… che chitarra era?” chiese dopo un po’.
“Una Schecter con Floyd Rose originale, tre paia Symour Duncan e di un verde lime talmente brutto che avrebbe fatto schifo pure al chitarrista dei Poison” Scoppiò a ridere di gusto.
“Verde? Che cazzo di colore è per una chitarra?”
“Non lo so, ma solo il grande James Window poteva fare una cagata del genere” Mi diede un bacio sulla testa.
“In più era convinto che oggi fosse il mio compleanno…” sentii il labbro tremare pericolosamente e scoppiai ancora.
“Non può esistere davvero un padre del genere! Non è possibile! Non puoi presentarti dopo sei anni che non ti fai vedere, ai primi di giugno convinto che sia il mio compleanno con una chitarra di 1300 dollari che sogno da una vita, di un colore orribile e per destri, maledizione! Non puoi!” tirai un mezzo pugno sul petto di Haner, mentre ci piantavo la fronte contro.
“Ssh, Meg…. Dai, che ne dici di una bella doccia? Mamma ha fatto dei biscotti che sono la fine del mondo” abbassò un po’ il volume “Li ha un po’ bruciati sotto, ma non si sente nemmeno” sorrisi e mi asciugai gli occhi.
“Dai Meg, il bagno sai bene dov’è. Occhio a non cadere che mi sono appena lavato io, eh? Vorrei evitare una bella corsa all’ospedale…. ancora” Scoppiai a ridere mentre entrambi salivamo al piano di sopra, quando Haner si ricordò che non aveva più chiesto alla madre dove fossero le sue mutande.
Io proseguii per il bagno e dopo due secondi che avevo poggiato lo zaino sul mobiletto bianco di legno, arrivò Suzy con un paio di asciugamani per me e con il mio accappatoio (si, avevo un mio accappatoio a casa Haner. Credo l’abbiate capito che eravamo una sorta di grande famiglia allargata).
La abbracciai e lei ricambiò con un solo braccio.
“Sono sempre un disturbo, ma non so come faremmo senza di voi. Grazie tante, Suz”
“Oh tesoro, non preoccuparti. Tu sei come una figlia e tua madre come una sorella, non sarai mai di disturbo. Né tu né tua madre. E poi lei cucina troppo bene per essere d’impiccio!” disse sorridendomi e facendo sorridere anche me.
Susan non era proprio una cuoca eccezionale, se la cavava, a differenza di mia madre che sembrava una sorta di chef. Peccato che io non avessi preso da lei….
“Dai, adesso ti lascio alla tua doccia. Vado a prepararti la camera. Rimani a casa stasera o esci?”
“No, credo di restare a dormire… sono troppo distrutta”
“Ok, allora restiamo anche noi”
Ecco, gli avevo rovinato al serata.
“No assolutamente! Qualsiasi cosa dobbiate fare, andate. Io resto qua a dormire, potete tranquillamente chiudere con me dentro”
 “Non ti chiuderei mai in casa da sola! Costringo Brian a restare a casa”
“Suzy davvero, se vuole uscire io rimango qui nel mio angolino. Voglio solo un posto tranquillo dove non ci sia James che continua a fare domande e dire cose stupide. Grazie per tutto quello che fate tu, Brian…. e Brian, ma non c’è bisogno di tutto questo disturbo, davvero” Sbruffò divertita e uscì dal bagno.
“Vi preparo la cena e poi usciamo, va bene?” disse poi, infilando solo la testa.
 “Grazie tante Susan”
“Oh, figurati tesoro”

Dopo una bella doccia scivolai nel mio pigiama (pantalone della tuta grigio con i bordi rosa e una maglietta nera a maniche corte con degli avanzi di borchiette tondeggianti ancora attaccate: una volta era una bella maglietta), inforcai gli occhiali da riposo e infilai le converse senza i calzini. Portai le mie cose nella stanza degli ospiti che Susan preparava sempre per me, quella fra il bagno e la stanza di Brian, e poi scesi al piano terra.
Erano le dieci, quindi credevo che Brian fosse già uscito e che fossi da sola a casa, ma quando scesi lo trovai in una tenuta simile alla mia (pantalone della tuta verde con i bordi grigi, maglietta nera reduce di un lavaggio con candeggina che l’aveva resa tendente al marrone con punti più chiari e ciabatte) mentre guardava distrattamente il televisore e mangiava.
“Uh, credevo ci fossi morta in quel bagno” disse divertito mentre mangiava patate fritte.
“E tu? Che ci fai qua?” chiesi tranquilla e lui scrollò le spalle.
“Non avevo voglia di uscire. E’ un reato?”
“Per te si. E’ venerdì sera e sei a casa. Non ricordo una cosa del genere da quando ti rompesti una gamba”
“Ti ricordo che uscii lo stesso e Jimmy fece ribaltare la sedia a rotelle”  risi distrattamente.
“Ah, vero” bofonchiai rubando una patatina dal suo piatto.
“Hamburger?” chiese mostrando il suo piatto e alzandosi quando annuii. Schiacciò un paio di tasti sul microonde e poi tornò a sedersi.
“Come va la schiena?”
“Uhm… ha visto tempi migliori, ma anche nettamente peggiori, quindi non posso lamentarmi. E tu? Hai già portato i rullini a sviluppare?”
“Si, vado a ritirarle domani mattina, tesoro”
Il microonde suonò informandoci che aveva finito di riscaldare il mio hamburger con patatine e Brian mi mise il piatto davanti, su una tovaglietta di vimini con una birra fresca appena stappata.
“Ma come sei romantico” cincischiai ridendo.
“Aspetta eh” Si alzò e andò a recuperare una candela vagamente somigliante a quei ceri per i morti. La tirò fuori dal tubo di plastica rosso, lo accese e lo piazzò in un piatto, andò a spegnere la luce, accese un paio di lampade e poi piazzò la candela al centro della tavola.
“Ahahahahahah! tu sei fuori di testa!” Mi lanciò un paio di finte occhiate languide, prima di  scoppiare a ridere anch’egli.
“Dai, è una seratina speciale tutta per noi”
“Poco ma sicuro, guarda” Cominciai a mangiare e guardai distrattamente la partita dei Lakers che stava guardando.
Piombò il silenzio fra noi due, mentre continuavamo a cenare, ad un certo punto mi voltai verso di lui e gli sorrisi, sinceramente grata.
“Grazie tante, Bri. Sei davvero un fratello” Lui mi sorrise e m’incasinò i capelli, prendendo un sorso dalla mia birra.
“Ehi!” Mi lamentai io, provando a recuperarla, con scarsi risultati.
“Sssh! Non è per i bambini questa”
“Ma fottiti!” Mi stampò un bacio quasi in un occhio (o meglio, su una lente degli occhiali) e mi restituì la birra.
Finimmo di mangiare e lavammo i piatti. Stavo per andare a buttarmi sul divano, quando Brian mi prese per un polso.
“Ehi, ho visto che hai portato Beast: che ne dici di tirarla fuori e farci una jam? E’ un po’ che non suoniamo solo noi due….”
“Non è Beast, Bri. E’…. l’altro, Junior” rimase un attimo di sasso e il suo sorriso si congelò, con una certa compostezza.
“Oh… e perché l’hai portato?”
“Sinceramente non lo so. Ti va di suonare lo stesso?” Chiesi speranzosa, mordendomi un labbro e lui mi sorrise, da fratello maggiore. Mi piaceva quando si comportava così, non lo faceva con nessun altro, mi sentivo un po’ speciale.
“Certo” Ce ne andammo in camera sua e facemmo una jam session con strumenti elettrici senza amplificatori.
Mi piaceva suonare con Brian, che fosse la mia Beast o il basso che mio padre aveva abbandonato a casa nostra quindici anni fa, quando se n’era andato.
Avevo sviluppato uno strano affetto per quel basso, non so perché. Forse perchè inizialmente cominciai ad approcciarmi alle corde proprio con quello, di nascosto da mia madre che voleva buttarlo.
Non lo facevo per mio padre, ma proprio per il basso. Non ricordo come lo chiamasse James, ma per me era Junior. Lo chiamai così quando avevo otto anni, non ricordo nemmeno il perché.
Junior era uno spettacolare Cort quattro corde, rosso brillante col batti penna nero e con aerografato sul retro a lettere cubitali “FUCK THE SYSTEM” in bianco e sul davanti, vicino al battipenna c’era una “X” bianca che a primo occhio sembrava fatta con lo scotch, ma che in verità era sempre aerografata.
Una volta che lo avevo portato a casa di Matt e, collegato ad un vero amplificatore per basso, si era scoperto avere un suono semplicemente eccezionale e me ne ero innamorata ancora di più.
Era un modello unico, personalizzato proprio per quello stronzo.
Il corpo aveva due punte, coma un basso Les Paul Gibson, ma con “le corna” come la SG.
Amavo quel basso, era parte della mia infanzia, del mio odio e del mio amore. Era un pezzo di me che avrei conservato fino alla fine dei miei giorni come il più grande cimelio.
Era grazie a quello che il mio stile da chitarrista era così cupo e con questi riff molto ritmati che spesso spezzavo con dei repentini cambi che facevano tanto impazzire Jim (Mezmer dei Pinkly Smooth l’avevamo scritta io e lui e solo in un secondo tempo si era inserito Haner con quella parte di chitarra che faceva semplicemente accapponare la pelle. In senso buono, naturalmente).
Jim diceva sempre “Riconoscerei te e il tuo stile anche fra trecento registrazioni, tutte della stessa canzone e fatte con lo stesso strumento” e io potevo dire la stessa cosa di lui e della sua batteria.
Era stato Brian sr. a iniziarmi alla chitarra e poco dopo di me, cominciò anche Brian jr., rivelandosi una sorta di virtuoso che smontò la mia autostima con l’introduzione di Stearway to Heaven dopo il primo pomeriggio di lezioni.
Certo, anche io ero decisamente portata e facevo passi da gigante in pochissimo tempo, ma lui era a dir poco mostruoso.
E continuavo a pensarlo, anche a qualche anno di distanza, con le sue braccia che cominciavano ad inchiostrarsi, seduti su un letto, spalla a spalla a suonare e cantare quelle stesse canzoni che facevamo anche da piccoli.
“Uhm Bri…. sai che non riesco a scegliere cosa fra chitarra e basso mi piaccia di più? Li amo entrambi” mi sistemai distrattamente gli occhiali sul naso e poggiai la chitarra al comodino. Non li mettevo quasi mai, ma mi stavano simpatici. Forse li avevo portati in una vita precedente.
“E allora amali entrambi, che ti frega” disse lui tranquillo, mentre posava la chitarra e si rollava il drum.
“Ma i tuoi lo sanno che fumi così tanto?”
“In un certo senso…. Beh, mamma lo sa, ma non dice niente perchè fuma anche lei ogni tanto, di nascosto da papà. Papà lo sa ma non dice niente perchè fuma anche lui di nascosto da mamma e viviamo felici e tranquilli. La palla arriva quando entrambi vengono a scroccare da me” scoppiai a ridere.
“Oh dio… ma sul serio?”
“Eh si…. mamma ha ripreso da poco, sai com’è, Mckenna, ma papà non ha mai smesso” Si accese la sigaretta artigianale e rimase a guardarmi, mentre stesa sul suo letto osservavo il soffitto viola.
“E tu? Quant’è che non fumi?”
“Uhm….. ufficialmente da inizio febbraio, ma se non sbaglio due mesi fa c’è scappato un tiro”
Eh si, avevo smesso di fumare. Non chiedetemi perché, non ho voglia di mettermi a spiegarvi tutti i miei problemi di salute.
“Il tutto se non contiamo le canne” aggiunse lui divertito.
“Con Jim nei paraggi almeno una a settimana ci scappa” dissi scrollando le spalle.
“Quel ragazzo riuscirebbe a far fumare anche la Madonna”  
“Devi vedere se non c’è già riuscito” sorrise e si stese anche lui, la testa vicino alla mia, con il corpo orientato nella direzione opposta del mio.
Si metteva sempre così, anche se non ho mai capito il perché. Strusciava la parte superiore della testa contro la mia spalla e accartocciava le gambe per non puntarle contro il muro e rischiare così di rovinare uno dei numerosi poster.
“Come sta il piercing?” chiese dopo un po’.
“Alla grande, il tuo?”
“Bene.. è vero che è JD che sta aiutando Matt a dilatare i buchi?”
“Si, anche me e Zack”
“Hai i buchi dilatati?” chiese sorpreso.
“Solo uno, Bri” alzò la testa e si girò per guardarmi, spostandomi una ciocca di capelli e scoprendo il mio lobo destro.
“Non si nota per niente” disse tranquillo.
“Perchè è ancora 3 mm e uso i plug, i dilatatori chiusi. Se mi becca mia madre mi uccide”
“Non me l’avevi detto” disse stendendosi di nuovo, forse un tantino offeso.
“Ok che siamo migliori amici Bri, ma mica mi ricordo di dirti proprio tutto”
“D’insultarmi però non ti passa di mente, eh?” disse velenoso.
“Quello neanche a te” ribattei io e sospirò, segno che non aveva voglia di litigare e sinceramente nemmeno io.
“Touché” bofonchiò convinto, facendo l’ennesimo tiro.
“Piuttosto, passa il drum” dissi stizzita.
“E i due mesi di astinenza?” mi provocò.
“Li mando a puttane e poi è una brutta giornata, mi è concesso”
Bofonchiò qualcosa d’incomprensibile, ma allungando un braccio mi piazzò il drum fra le labbra e poi tornò a starsene buono e tranquillo, mentre io fumavo.
“Ah… un po’ mi mancava, sai?”
“Un po’?” fece sarcastico.
“Si, non sono mai stata troppo attaccata alle sigarette. Mi piace il fatto del fumo che esce leggero, parlottare come se ci si fosse morsa la lingua e il fumo caldo che scende per la gola, ma niente di più”
“Niente effetto benefico della nicotina?” chiese quasi sconcertato.
“Non più di tanto”
“Wow” fece sorpreso.
“Uhm.. tieni, finiscitela tu” Mi alzai e gliela piazzai fra le labbra.
Mi ridistesi e feci un grosso sbadiglio. Doveva essere abbastanza tardi e la stanchezza di quel maledetto autolavaggio cominciava a ripiombarmi addosso come un macigno.
Le parole di Brian si fecero sempre più strascinate e sconnesse, almeno per le mie orecchie e le palpebre erano diventate dannatamente pesanti.
Sentii qualcosa di morbido e caldo scontrarsi delicatamente col mio zigomo e qualcosa carezzarmi delicatamente la testa. Un paio di braccia calde e forti che mi sollevavano per poi poggiarmi da qualche altra parte che odorava di pulito. Sentii sfilarmi anche gli occhiali e le scarpe.
“Su, che è stata una giornata lunga. Notte, Nessie” bisbigliò nel mio orecchio (o almeno credo) e se ne andò.

***
Brian tornò nel salotto e si buttò sul divano alla ricerca di qualcosa di decente da guardare, visto che non aveva sonno, quando suonarono alla porta. Chi è lo stronzo che caga il cazzo a quest’ora?
Beh, le opzioni erano poche: Jim ubriaco, Michelle ubriaca o un tipo qualunque ubriaco.
Scazzato si alzò e andò ad aprire. Rimase parecchio perplesso quando riconobbe la figura sulla porta.
“Zack” disse secco e il mancino fece un sorriso sarcastico.
“Ah quindi mi chiamo così? Grazie per avermelo detto. Dov’è Meg?” sputò fuori, preoccupato sul finale.
“Sta dormendo, che vuoi?” No solo gli veniva a cagare il cazzo a quell’ora, adesso si permetteva pure di fare l’incazzato. Ma vedi che gente….. Solo Meg poteva mettersi con uno stronzo del genere, eh.
“E’ tutta la serata che la cerco, dovevamo uscire e nessuno sapeva dove fosse, poi sono passato al locale dove lavora la mamma e mi ha detto che l’avrei trovata qui. Mi spieghi che cazzo ci fa la mia ragazza a casa tua?” Brian alzò gli occhi al cielo. Bene, adesso ci mancava solo la scenata di gelosia a mezzanotte e tre.
“Niente di quello che credi tu, intesi? Meggie viene spesso a dormire qua, siamo una sorta di…. famiglia allargata, ok? Non farti strane idee, ha la sua stanza, per i cazzi suoi. Io non te la tocco di certo”
Zack fece una smorfia.
“Meg avrà pure la testa fra le nuvole, ma io non sono un cretino, Haner, provaci con la mia ragazza e sei un uomo morto” Detto da uno di una spanna più basso di lui e con la faccia da Bambi era divertente, ve l’assicuro. Brian inarcò un sopracciglio, stranito.
“Vengeance, Meg è come mia sorella, ok? Piuttosto vedi TU di non farla soffrire come a quel cazzo di concerto di primavera, altrimenti se tu quello morto, e adesso buonanotte” rispose lapidario e gli chiuse la porta in faccia mentre provava a ribattere. Dopo aver chiuso a chiave, staccò il campanello a cui ti ragazzo chiuso fuori s’era attaccato e se ne andò a dormire.
Ma vaffanculo, va, non solo cominciava ad avere dubbi per i cazzi suoi, ci volevano pure le minacce dell’esaurito mancino, tzè.





Ehm…. buon salve! :D
Come ve la passate?
Io bene, è il mio compleanno *pretende auguri* (no, vabbè, sto a scherzà)
Mi sento vecchia e.e che cosa orribile v.v
Tornano al capitolo…..
Mi piace un sacco! Personalmente ADORO i momenti fra Brian e Meg :’)
Son bellini, dai :’)
E poi Zack geloso sul finale….. oh, forza!
Il padre di Meg, lo vedo come il cantante dei Buckcherry, ma facciamo finta che sia un bassista e di una band che abbia un ché di mitico/mistico…. Uhm? Tanto è tutto inventato v.v
Beh, non ho nient’altro da dire, tranne che ucciderei per una foto di Jim al liceo che fa il sexy su una macchina insaponata *pensa a chissà quale video di Pink che ha visto di striscio una volta*
Ok, la smetto di dire stornzate
Ringrazio quelle quattro fighe che mi hanno recensito! Destroyer Cactus, AlisGee, Saretta95 e, udite udite, JD Shadow! Si, proprio lei gente v.v Potrei piangere per questo (‘nné vero)
Alla prossima! :D
The Cactus Incident (stasera non riesco a scrivere Incident)
  
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