Dolore
Quando arrivarono a casa Key, entrambi erano ancora
molto scossi da quello che aveva detto Saix e non
riuscivano ad aprire bocca. Roxas era stanco,
affamato, triste, depresso e tutte le altre emozioni negative che potevano
esistere. Non si era nemmeno reso conto che era rientrato, almeno finché Axel non lo abbracciò e gli accarezzò la
testa.
“Ehi, tutto bene?”
gli chiese. A quel punto gli occhi del biondo si infiammarono e lui lasciò
uscire tutta frustrazione che aveva ingoiato fino ad
allora, iniziando a dare pugni sul petto al rosso.
“No, non va bene, non va
bene niente!
Mio nonno è in ospedale e sta morendo, i miei non reagiscono e hanno spedito me
a casa a fare da brava massaia mentre loro rimangono tutti
insieme lì, a controllare che lui non muoia da solo! Se non bastasse
tutto ciò, il tuo ex pazzoide e schizofrenico sta cercando non so cosa e ce l’ha
con me e, fattelo dire, incute paura. E io non so che devo fare! Non so come
cazzo comportarmi con nessuno perché non mi sono mai trovato in una situazione
simile, perché sono stanco, perché non voglio affrontare un lutto! Non sono
pronto, non adesso! È troppo presto, mio nonno è troppo giovane e non deve
andarsene! Non deve…” si
sfogò, continuando a picchiare Axel, che non emise un
gemito.
Alla fine si aggrappò alla sua camicia come se fosse
l’ultima ancora di salvezza nell’universo e scosse la
testa.
“Non ce la faccio da
solo! Mio
fratello è più maturo di me in questo senso, perché tutti gli vogliono bene e ha
qualcuno su cui contare, mentre io sono… io sono solo un’ombra dietro di lui!
Non ho amici, non riesco ad essere allegro e simpatico come lui, e devo essere
forte e maturo perché lui non lo è. È così infantile
che mi chiedo spesso come faccia per andare avanti, mentre io mi sforzo per
piacere agli altri, per non essere lasciato da parte! E ora, invece, sono qui e,
per quanto tu possa essere con me, mi sento infinitamente solo. Axel non ce la
faccio” ammise. Nonostante tutti colpi che gli aveva dato nello
stomaco, lui lo abbracciò ignorando il dolore.
“Lo so che è difficile,
tesoro. So che
vorresti essere con loro, ma Sora ha ragione a dire che tu sei l’unico che può
fare qualcosa qui. Se fai vedere loro che esiste un po’ di normalità nonostante
ciò che vi sta succedendo, magari sorrideranno. Guardami” gli ordinò gentilmente, alzandogli il
viso. Gli occhi celesti e
lucidi di Roxas incrociarono quelli verdi dell’uomo,
in un momento di infinita tranquillità.
“Non devi dire che ti senti
lasciato indietro. Non devi dirlo mai. Tu e Sora siete due
fratelli, ognuno col proprio carattere speciale, e non sei solo. Mai lo sei e
mai lo sarai, capito? Io ci sono, sono proprio accanto a te,
memorizzato?” disse. Il ragazzino annuì e poi si staccò da
lui.
“Forse è meglio se preparo
qualcosa da mangiare” decise, andando verso la
cucina.
Mentre camminava le poche ore di sonno, il digiuno e
tutto il pianto si fecero sentire e lui cadde a terra inginocchiato, sentendo la
testa girare.
“Non… non mi sento
bene…” sussurrò.
Un paio d’ore dopo si risvegliò nel suo letto, in
camera, e si chiese che cosa diavolo fosse successo. Si mise a sedere e si
guardò intorno: aveva solo sognato? Suo nonno non era davvero in ospedale in fin
di vita? E Saix non aveva davvero mostrato intenzioni
poco buone nei suoi confronti?
“Ehi,
buongiorno.
Finalmente ti sei svegliato”
gli disse Axel. Quella scena gli sapeva di dèjà
vu.
“Sì, credo di sì”
rispose lui, confuso. Si mise in piedi e raggiunse il rosso, che gli mise una
mano sulla fronte per sentire se era caldo.
“Devi aver avuto un semplice
mancamento causato dallo stress” decise, sorridendo
preoccupato.
“Quanto tempo è passato da
quando sono svenuto?” s’informò lui.
“Credo non più di due
ore”
“Che
cosa? Quindi
sono quasi le cinque del pomeriggio?! Dovevo far trovare qualcosa da mangiare ai miei, sono già
tornati?” si agitò.
“No,
tranquillo.
Non c’è ancora nessuno. E poi tu non ti fidi di me” lo prese
in giro Axel.
“Come? Perché?” si stupì lui, calmandosi
all’improvviso.
“Pensavi che sarei rimasto
due ore senza fare nulla? Mi offendi!” disse teatralmente.
“E cosa avresti
fatto?”
“Ho preparato un po’ di
insalata di riso per tutti. Non si rovinerà se rimarrà nel frigo
per un po’, così avete la cena pronta e, nel caso, anche il pranzo di domani.
Per lo meno questo problema è superato” spiegò. A Roxas si riempirono gli
occhi di lacrime e si gettò tra le sue braccia.
“Grazie” sussurrò,
riconoscente.
“E, naturalmente, io rimarrò
qui con te.
Almeno fino a quando mi ci vorrai” concluse sorridendo. Attese pazientemente che smettesse di piangere e
poi gli passò un fazzoletto che aveva in tasca.
“Forza, andiamo giù, mi è
sembrato di sentire una macchina. Probabilmente i tuoi
sono arrivati” gli ordinò, spingendolo verso il
piano inferiore.
In effetti, nel momento in cui entravano nel
corridoio, videro Sora e la nonna aprire la porta, ma dei suoi genitori nemmeno
l’ombra.
“Mamma e papà?”
chiese il biondo, prendendo premurosamente il giacchetto della
donna.
“Sono rimasti con
nonno. I
medici hanno detto che il tumore è più esteso di quello che dovrebbe e che non
ha molto tempo. Se siamo fortunati sopravvivrà una decina di
giorni, ma non di più” spiegò il fratello,
spento. Quelle parole gli
fecero male, molto male. Così poco tempo?
“Noi abbiamo fatto un po’
di riso freddo… cioè, Axel ha fatto il riso, io non ho
potuto” annunciò, facendoli mettere a sedere in
cucina.
“Grazie, tesoro, ma io
non ho fame” rispose la nonna con un sorriso stanco.
In realtà nemmeno lui ce l’aveva, ma doveva farsi
vedere forte. Aveva ragione il suo compagno nel dire che doveva riuscire a farli
stare meglio. Era quello più maturo e poteva farcela. Per il loro
bene.
I
sette giorni successivi furono un susseguirsi di turni per rimanere sempre
accanto al nonno, per riuscire a stargli accanto nel caso fortuito in cui,
almeno per un’ultima volta, avesse aperto gli occhi.
Roxas
si stupiva di sé stesso: riusciva a piangere silenziosamente e a sfogarsi quando
era lontano dalla famiglia, così che loro, quando rientravano a casa, trovavano
un sorriso gentile ad accoglierli. Aveva deciso di non andare quasi mai in
ospedale, se possibile, perché in questo modo qualcuno che preparava il pranzo e
si occupava delle faccende domestiche c’era. Era il suo unico modo per rendersi
utile.
Axel,
dal canto suo, non lo lasciò un attimo nemmeno per dormire. Dato che tanto ormai
tutti sapevano della loro relazione (anche se il padre non l’aveva presa
benissimo), la nonna decise che il nipote avesse bisogno del compagno vicino,
così gli aveva chiesto di rimanere da loro almeno fino a che non fosse tutto
passato. Felice di poterli aiutare, il chimico si era stabilito temporaneamente
in casa Key, e si era messo a dare una mano a Roxas
per quanto riguardava l’accudire i suoi
parenti.
Una mattina, mentre il biondo stava riposando,
telefonò a casa per sentire come stava Larxene. Era
sempre così occupato con il ragazzino e con tutta quella storia che si era
dimenticato di chiamarla.
“Pronto?” rispose lei,
assonnata.
“Buongiorno, qui parla Axel, il bellissimo farmacista che hai l’onore di avere come
coinquilino. Come va?”
“Guarda, ascoltare i tuoi deliri egocentrici appena sveglia
mi mancava. Tutto bene, qui è tutto tranquillo. Almeno
fino a quando non torno Demyx si è trasferito da noi,
così non sono sola”
“Bene, sono felice per voi
che tutto sia tornato normale”
“Ti sento stanco, Axel. Come
procede da te?”
“Non bene, purtroppo. Roxas fa del suo meglio per dare coraggio agli altri, ma
sono tutti distrutti. Nonno Key doveva essere una bellissima persona e il fatto
che se ne stia andando sta facendo crollare chiunque”
“E tu come stai? Immagino sia difficile sopportare una
situazione simile”
“Lo è, non lo nascondo, ma
devo aiutarlo. Tu non immagini cosa significhi vedere il dolore della persona
che ami e sapere che non puoi fare niente per alleviarlo anche solo quel tanto
che basta per farlo smettere di piangere”
“Ti sento stanco”
“Non troppo, ho faticato
molto di più nel periodo che lavoravamo per la formula”
“Emotivamente? Non ci
credo”
“Lasciamo perdere. Sapevo
che sarebbe stato difficile, quindi non voglio lamentarmi. Anche perché io ho
deciso di rimanere qui con Roxas, e non me ne pento.
Sarei un vile se non lo facessi”
“Cavaliere senza macchia e senza paura, per
intenderci”
“Simpatica. No, sul serio,
mi fai morire dal ridere”
“Cercavo solo un modo per
sdrammatizzare”
“Non ti scervellare, o i
tuoi bellissimi neuroni si suicideranno. Piuttosto, non
abbiamo quasi più parlato da quando tu e Demyx avete
fatto pace. Che mi dici? Si parla ancora di matrimonio oppure l’idea è stata
abolita?”
“In realtà volevo parlartene una volta che tutto questo
fosse finito. Avrei una richiesta per te”
“Oh,
sentiamo”
“Ecco, mi… insomma, hai impegni per
il ventuno marzo?”
“E mi fai una domanda simile
il trentuno agosto? Che vuoi che ne sappia io che impegni ho tra sette
mesi”
“Bene, se non ne hai non ne
prendere”
“Significa che vi
sposate?”
“Sì!”
“Ma è fantastico! Finalmente
ti sei decisa a dire di sì a quel povero ragazzo! Raccontami
tutto!”
“Beh, dopo aver… uhm… diciamo fatto pace…”
“Non scendere nei dettagli,
grazie”
“Sì, infatti. Comunque, dicevo, dopo che ci siamo
riappacificati ci siamo messi a parlare e io gli ho chiesto se era serio, quando
aveva detto di volermi sposare. Demyx è arrossito, poi
si è girato verso il comodino e ha tirato fuori l’astuccio dell’anello e mi ha
detto no, non
ERO serio, SONO serio, guardandomi con
quegli occhi a cucciolo che solo lui sa fare”
“Non mi ricordavo che tu
fossi così melensa”
“Sei tu che sei una zitella acida. Comunque il resto
immaginatelo”
“Sai una cosa? Sono proprio
felice per voi!”
“E, a proposito del matrimonio, volevo anche farti un’altra
richiesta”
“Ah, sul
serio?”
“Già. Io vorrei che tu fossi il mio
testimone”
“………..”
“Axel?”
“Davvero vuoi che lo faccia
io?!”
“Certo, sennò non te lo
chiedevo!”
“Larxene, io… sì!
Cavolo, certo che ti faccio da testimone!”
“Meno male, temevo che avresti
rifiutato l’idea!”
“Scherzi? È un onore! Sei la
mia migliore amica ed è il modo migliore che ho di rimanerti vicino nel tuo
giorno più felice!”
“Grazie”
“Ehi, non ti sarai mica
commossa?”
“Io? figurati!”
“Non lo devi nascondere a
me, non ti giudico mica”
“Non ti nascondo proprio niente! un’ultima cosa, poi ti lascio andare. Senti se vuole venire
anche Roxas, mi farebbe piacere”
“Sei lungimirante! Hai così
fiducia in noi?!”
“Spiegati perché non ho
capito”
“Sei sicura che tra sette
mesi saremo ancora insieme?”
“Allora no, non ho fiducia in voi. Ho fiducia nel modo in
cui vi guardate, come se esisteste solo voi due, ho fiducia nel rapporto che
avete creato e nel fatto che ci siete per sostenervi. Perché sono convinta che,
anche se ora sei tu ad aiutare lui, quando ci sarà bisogno lui aiuterà te. Siete due parti di una mela, ecco”
“Larxene?”
“Sì?”
“La felicità ti rende
melensa!”
“Come sei cattivo! E io che mi ero sforzata per fare un
discorso serio una volta ogni tanto!”
“Sto scherzando. Anche io la
penso come te, quindi gli riferirò il messaggio. Salutami Demyx”
“Va bene. Ciao, a presto”
Mancavano ormai solo quattro giorni al compleanno dei
gemelli. Nessuno aveva molta voglia di festeggiare, ma la nonna, pur di trovare
un po’ di normalità in quel periodo così terribile, pose comunque la
questione.
“Facciamo almeno una
piccola cena tra di noi. Solo noi sei”
“Sette” la
corresse Sora. Lei lo fissò senza capire.
“Ho contato
male?”
“No, ma inviterei anche
Kairi. È la mia ragazza, in fondo, e mi piacerebbe che
ci fosse”
“Ok, allora solo noi
sette.
Avanti!” li
spronò. Roxas non se la sentiva di negarle quel piccolo piacere,
così annuì sorridendo.
“Certo, a me sta
bene” rispose.
In quel momento i genitori dei due ragazzi
rientrarono: la madre aveva gli occhi gonfi e stanchi, mentre il padre la
sorreggeva. E fu un istante: tutti i presenti in casa
compresero.
“No”
sussurrarono.
“Il signor Key… è morto”