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Autore: coco1994    02/09/2012    1 recensioni
La bella ragazza camminava, ammirata da tutto e tutti. Splendeva nel suo abito color acquamarina, perfettamente abbinato all'intensità di rosa dell'incarnato e alla sfumatura bronzea dei capelli sciolti e fluenti.
Con grazia salì le scale, circondata da sguardi adoranti di ragazzi e ragazze che si facevano da parte per meglio ammirare cotanta bellezza, impegnandosi a non arrecarle disturbo.
La leggiadra creatura sorrise, fece un passo… e non trovò l'ultimo gradino. Invani furono i tentativi dei membri della plebe di salvarla, troppi metri li staccavano dalla principessa.
Ella cadde elegantemente, attorniata da sguardi spaventati, pregando nell'aiuto di un principe misericordioso.
E quando stava per perdere la speranza, due forti braccia la raggiunsero, frenando la caduta a pochi centimetri da terra, e la sollevarono.
La principessa si voltò, desiderosa di conoscere il volto del suo salvatore… ma la prima cosa che vide fu che il suo principe era in spaccata sui gradini. E portava la gonna.
Good morning, princess.

No, non è una favola, ma un incontro. E ricordate: non sempre tutto è come appare.
I hope you will enjoy.
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mimi Tachikawa, Sora Takenouchi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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La bella ragazza camminava, ammirata da tutto e tutti. Splendeva nel suo abito color acquamarina, perfettamente abbinato all'intensità di rosa dell'incarnato e alla sfumatura bronzea dei capelli sciolti e fluenti.

Con grazia salì le scale, circondata da sguardi adoranti di ragazzi e ragazze che si facevano da parte per meglio ammirare cotanta bellezza, impegnandosi a non arrecarle disturbo.

La leggiadra creatura sorrise, fece un passo… e non trovò l'ultimo gradino. Invani furono i tentativi dei membri della plebe di salvarla, troppi metri li staccavano dalla principessa.

Ella cadde elegantemente, attorniata da sguardi spaventati, pregando nell'aiuto di un principe misericordioso.

E quando stava per perdere la speranza, due forti braccia la raggiunsero, frenando la caduta a pochi centimetri da terra, e la sollevarono.

La principessa si voltò, desiderosa di conoscere il volto del suo salvatore… ma la prima cosa che vide fu che il suo principe era in spaccata sui gradini. E portava la gonna.

Good morning, princess.

Welcome to reality, Mimi-chan.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

M  y     r  e  p  l  a   e  m   t     i   e

 



 

 

 


 

The princess


Entro nel locale intorno alle 23, avanzando col mio solito passo; insomma, quello che la gente si diverte spesso a definire regale anche se in realtà è semplicemente disinvolto, perché io, con i tacchi, so camminare. La gente che definisce il mio passo regale, no. Qui sta tutta la differenza.

Per abitudine mi osservo intorno. C'è una biondina carina, nell'angolo, che rovina se stessa con un gusto nel vestire che sfiora l'orrido - sul serio, non ha amici che le impediscono di vestirsi come uno spaventapasseri?

Poco più in là scorgo un gruppetto di ragazze tutte - tutte - vestite di nero dalla testa ai piedi. Santo cielo è Marzo! M a r z o ! Primavera, una stagione allegra! Non pretendo il rosso, ma le calze nere potevate evitarle.

Il fatto che, dopo essere entrata nella stanza da nemmeno due minuti, abbia già metà degli sguardi puntati addosso mi suggerisce di smettere di osservare le altre ragazze. Non ci vuole un genio per capire che la più carina sono io. Anzi, visto che non ho più dieci anni da un pezzo, diciamo le cose come stanno.

Io, Tachikawa Mimi, sono la più bella ragazza presente nella stanza. Novità? Oh, no. Assolutamente no.

Trattengo un sospiro. Non che mi disturbi il mio aspetto; ma dopo diciotto anni in cui questa storia si ripete ogni giorno, mi sento un po' depressa. Possibile che non ci sia nessuno che abbagli più di me?

« Princiiiii! » urla dall'alto una voce acuta e come la sento io, la sentono tutti. Mi volto perché è destinata a me e vedo Sora che mi saluta dal piano di sopra e mi fa cenno di salire, con la sua solita espressione allegramente frivola. Dietro di lei scorgo Rido e Lucas, il ragazzo francese che si è trasferito pochi mesi fa e su cui Sora ha messo gli occhi da primo istante. Sono sicura che non ci metterà molto ad averlo, soprattutto se considero che ha sparso la voce che io sia interessata a lui e che conseguentemente nessuna si sia più azzardata a girargli attorno. Crede che io non lo sappia, ma lo so. Lascio correre comunque perché, a parte piccoli episodi come questo in cui sfrutta palesemente la mia popolarità, Sora è una buona amica. Certamente l'unica che mi parli apertamente in faccia se qualcosa in me le dà fastidio.

Ho un attimo di panico quando non riesco a vedere le scale per salire. È la prima volta che entro in quel locale. È la prima volta che vado in quella città. Credevo di essere in salvo dopo quella mezz'ora passata a cercare il posto giusto, ma a quanto pare mi sbagliavo. Mamma polenta, per quale assurdo motivo uno stupido ingegnere dovrebbe nascondere delle scale? Potrei chiedere, ovviamente, ma preferisco non provocare sommosse. Quindi mi arrangio e vago qua e là, cercando di non dare l'impressione di una che si è persa all'interno di una stanza chiusa. Anche se è quello che è successo e sono pronta a settimane di prese per il culo per questo motivo.

Scovo le scale in una camera accanto - l'architetto aveva qualche serio problema organizzativo - e scopro con orrore che sono trasparenti.

Ho sedici centimetri di tacchi e quattro di plateau e devo salire delle scale di vetro?

Sora me li aveva caldamente consigliati perché secondo lei erano perfetti per quell'evento, con i loro teschietti verdi ai lati e non potevo darle torto, perché per ora la scelta era più che azzeccata.; però i miei tre carissimi amici potevano anche mettersi seduti a uno dei tavolini all'aperto, invece che appollaiarsi nel punto più scomodo da raggiungere!

Mi fermo un secondo davanti alle scale e noto che la coppia avanti a me si scosta per farmi passare. D'un tratto, dalle scale spariscono tutti. Ma sì, bravi, lasciatemi più spazio possibile per rompermi il collo.

Salgo il primo gradino con molta cautela. Sembra reggere. Metto un passo avanti all'altro cercando in tutti i modi di guardare a terra il meno possibile, ma rinuncio quando, a metà, provo ad appoggiare il piede sinistro nel vuoto.

È stata una brutta idea andare in quella città, andare in quel locale, salire quelle stramaledettissime scale. E sono io che ho proposto “una serata diversa”. Perché non mi sono morsa la lingua invece di dare impunemente aria alla bocca?

Al passo successivo iniziano a farmi male le caviglie, dalla tensione che metto a ogni gradino.

È stata una pessima idea ascoltare Sora e mettersi quei tacchi. Riflettendo, probabilmente è stata l'idea peggiore della serata.

Soffro come non mai mentre percorro gli ultimi gradini e con un sospiro faccio l'ultimo passo.

Con troppa disinvoltura.

Mi cede la caviglia destra e la raddrizzo subito come se fosse una molla - quattordici anni di danza classica sono serviti a qualcosa - e faccio forza sulla pianta per riprendere l'equilibrio. Forse ne metto troppa sul tallone, non saprei, comunque il tacco scivola in avanti. E non trova appigli, perché non ce ne sono, sul liscio gradino di vetro. Forse venti centimetri di tacchi sono troppi anche per me.

Un attimo dopo, sto guardando il soffitto e l'aria mi fischia nelle orecchie, mentre cado.

Sento qualche grido soffocato, qualcuno che si muove, ma troppo, troppo piano. Mi stanno osservando tutti e, come sempre, sono lontani. E adesso sono anche inutili.

« E che cazz- » mormorò mentre il cervello mi parte in quarta per luoghi ignoti.

E poi mi fermo. Non inizio nemmeno a rotolare, il che è assurdo visto che ho sotto di me almeno venti gradini. Sento qualcosa che mi preme lungo la schiena e arguiscono che devono essere mani, con i pollici conficcati ai lati della mia spina dorsale che mi lasceranno di sicuro dei lividi grossi come palline da tennis. Mi rendo conto di essere del tutto paralizzata in una posizione che sta mettendo a dura prova i miei addominali e il mio collo e mi sto chiedendo come accidenti fare a muovermi, quando noto un piede accanto a me.

Solo un piede. Questo è inquietante.

Mi rilasso solo quando vedo che a quel piede è attaccato un polpaccio - nudo - ma mi agito ancora quando vedo che tutto il resto della figura, compresa l'altra gamba, deve essere dietro di me. Scalcio i tacchi dai piedi - che liberazione - e avvicino le ginocchia per tenermi in equilibrio anche da sola, mentre appoggio una mano per terra e seguo con gli occhi il profilo della gamba.

E mi pare di capire che non è un principe azzurro quello che si è magicamente materializzato per salvarmi.

Il mio principe è in spaccata sui gradini - solo il cielo sa come sia arrivato in tempo - non ha gambe nude, ma coperte da calze color carne, una minigonna blu e una camicetta grigia che copre una terza abbondante di reggiseno.

Il mio principe ha lasciato in fondo alle scale un paio di tacchi da dieci centimetri.

Il mio principe, quando vede che sono in una posizione sicura, scuote le mani, si massaggia i pollici e borbotta un seccato « Era ora. » salvo poi ricordarsi che avevo appena rischiato di uccidermi e mi chiede « Come stai? »

Ma, cosa più importante di tutte, il mio principe è - ormai credo che sia chiaro - una ragazza.

E pensare che solo dieci secondi prima stavo ancora salendo le scale...

 

 


The prince


Il pub “Luna di vetro”, oltre ad avere il nome meno adatto a un pub che mi possa venire in mente, vanta anche il maggior numero di clienti tra i pub della città. Onestamente non è una grande lotta. Gli altri due locali sono piccoli e piuttosto vecchiotti; in uno si sono incontrati i miei genitori, venticinque anni fa, e già allora era aperto da un bel po'. L'altro aveva fatto faville, all'inizio. Poi, però, vuoi il proprietario tirchio, vuoi le bevute non proprio ottime, vuoi le scazzottate che ci capitano davanti una volta a settimana, aveva perso un po' di fama.

Il posto dove sono ora, invece, è stato snobbato per generazioni finché un tizio sconosciuto l'ha comprato e ha deciso - a quanto pare - di investirci tutti i suoi averi. Dopo aver ristrutturato l'esterno, ha chiamato un architetto e un ingegnere piuttosto famosi con il compito di rimettere a nuovo tutto. Ci sono voluti un bel po' di lavori, ma dalla riapertura di un anno e mezzo fa ha dominato incontrastato come locale migliore della zona, attirando clienti anche dalla grande città.

Effettivamente non è male. La musica è buona, i baristi - o barman, o bartender - non sono degli incompetenti e ce n'è uno veramente abile e il posto in sé è carino - anche se le scale sono in un posto assurdo che la prima volta non trovi mai. Insomma, è curato.

Il punto è che c'è tanta, tanta gente. Sempre. Comunque. In qualsiasi giorno della settimana. Perciò oggi, il primo giorno della Golden Week, venire qui è da stupidi, perché più che scorre il tempo più si fa fatica a sentirsi parlare. Di solito questa cosa mi dà fastidio. Ma non oggi. Oggi mi serve.

Tanta gente significa caos e rumore, ma significa anche possibilità di parlare con qualcuno senza che nessuno ti noti o ti senta e possibilità di trovare qualcuno che cerchi da tanto e non hai più idee su come trovare.

Come sto facendo io.

Sto ficcando il naso dappertutto, da sola. Mei, una ragazza del mio stesso corso, ha accettato di accompagnarmi solo se in cambio avessi coperto lei e il suo ragazzo - che non voglio assolutamente sapere chi sia, perché se a vent'anni una deve nascondersi per uscire col proprio fidanzato, allora il proprio fidanzato deve aver come minimo fatto qualche anno di riformatorio - e personalmente mi va bene: portare chiunque altro con cui sono un po' più amica sarebbe rischioso. Sempre per la persona che devo trovare. Che devo assolutamente trovare.

Sto girovagando da almeno una mezz'ora - una lunga, inutile mezz'ora - quando arrivo vicino alla scala di vetro. Questa scala, a parte l'insegna e il logo che c'è sopra, è l'unico riferimento al nome del pub che si può trovare. Si vocifera che il proprietario l'abbia fatta costruire trasparente per evitare che sotto si rintanassero coppiette o altro per portare avanti qualcosa di sconveniente. Solitamente, a questo punto, chiunque stia raccontando l'aneddoto si mette a ridacchiare in stile oca e io, se presente, alzo gli occhi al cielo. Mi sembra un'idea assurda, visto che i bagni sono così grandi da poterci compicciare tutto quello che vuoi senza che nessuno ti senta o quasi.

Salgo di sopra quelle scale che sono, in realtà, una trappola mortale per qualsiasi ragazza con troppi tacchi e controllo se lui per caso sia lì. Ovviamente no. Scendo subito, con molta cautela.

Passo davanti a un gruppo seminascosto nell'ombra, che non noto perché non conosco nessuno né mi interessa conoscerli. Quando, però, sento che qualcuno di loro fischia nella mia direzione e gli altri ridono sguaiatamente, aumento il passo. Sono certa di poterli stendere tutti con un calcio, un solo calcio, non ne sprecherei di più per tutti loro, ma preferirei evitare. Soprattutto perché mi torna in mente il forte odore di alcool che li circondava.

Un mormorio serpeggia tra la folla e qualcuno dice qualcosa a proposito di una ragazza carina che è appena arrivata e nessuno sa chi sia. Cercando di contenere l'enorme curiosità che questa notizia mi ha procurato - notando con la coda dell'occhio che i tizi che mi hanno fischiato dietro non si sono mossi dal loro angolo alla notizia e intuisco che devono davvero essere belli sbronzi ad appena le undici - cerco di pensare ad un angolo in cui non ho guardato e in cui lui possa trovarsi. Ma so che non c'è.

Sono solo le undici. Devo rilassarmi. Può arrivare più tardi, anzi, è molto probabile che lo faccia. Se verrà qui.

Sento una ragazza urlare un soprannome assurdo sopra il chiacchiericcio continuo e non posso che complimentarmi per la capienza polmonare. Davvero. Le suggerisco la carriera di cantante rock. La cerco tra la folla, tanto per capire chi è, e la riconosco. È venuta qua un paio di volte con un ragazzo biondo che non sembra molto giapponese.

Mi siedo al banco del bar e ordinò qualcosa di non molto alcolico - devo essere ancora in grado di riconoscere le persone - al barista bravo, che non mi delude tirando fuori con tre bottiglie e due foglioline una cosa fantastica che gli faccio promettere di non dimenticare, perché gliel'avrei richiesta di sicuro. L'alcool mi brucia la gola e mi sveglia il cervello. La cosa migliore è aspettare all'ingresso, mi dico girando il ghiaccio rimanente con la cannuccia. Lì lo vedrei di sicuro arrivare e posso passare il tempo osservandomi intorno, che è una cosa che mi piace un sacco. È divertente vedere quanta gente assurda c'è in questo mondo e di qui passa una bella fetta di gente assurda della mia età.

Pago, ringrazio e saluto, poi mi dirigo all'ingresso. Sono un po' più felice con questa idea in testa, tanto da accorgermi con un po' di ritardo che intorno a me c'è molto, molto più silenzio del solito e tutti rivolgono l'attenzione verso qualcuno alle scale. Decido che è il momento buono e mi tolgo abilmente i tacchi con una mossa collaudata - non li ho mai sopportati, perché soffrire così?, e li porto solo perché devo farlo - e nessuno mi nota, come programmato. Perfetto! Faccio per andare via, ma mi fermo.

Sono curiosa. Cosa ci sarà di tanto interessante alle scale? Cerco di avvicinarmi - devo, sono coperta da stangoni alti un metro e ottantacinque - e un po' sgomitando, un po' scivolando, mi porto in prima fila, proprio in fondo alle scale. Vuote. Le scale sono proprio vuote, tranne che per un'unica ragazza vestita di verdeacqua che sta avanzando lentamente verso il piano superiore. Molto lentamente, e abbassa continuamente la testa in basso, per controllare se i gradini ci sono ancora - e soprattutto dove sono - per poi appoggiarci sopra due piccoli piedi con indosso quelli che potrebbero essere scambiati per tacchi a uno sguardo disattento, ma che sono in realtà trampoli abilmente mascherati.

Che la ragazza sia masochista mi sembra palese. Nessuno sano di mente farebbe una cosa simile. Per quale motivo? Aumentare le probabilità di frantumarsi tutte le ossa in una caduta che nessuno bloccherà perché sono tutti intorno a guardarti?

Mi dico che probabilmente è la prima volta che viene qua ed era del tutto all'oscuro dell'esistenza delle scale maledette. Solo così mi convinco che non sia una pazza scappata dal manicomio.

Dalla situazione grottesca che si è creata arguisco che deve essere la ragazza carina di cui parlavano prima. Be', le vedo solo la schiena, però carina sembra carina comunque. Sono davvero sconcertata dal vuoto intorno, però. Com'è possibile che non ci sia nessuno ad aiutarla? Dove è andato a finire il Galateo? C'è una povera donzella che sta rischiando la sua vita e la gente intorno si limita a contemplarla. Dal piano di sopra la ragazza che prima ha urlato, che potrebbe essere sua amica da come la guarda, ridacchia apertamente. Mi chiedo se riderà ancora, quando la ragazza vestita di verde rotolerà lungo tutte le scale fino a qua.

La donzella, nel frattempo, è quasi arrivata in cima. Due o tre gradini e sarà salva, quindi mi riservo la possibilità di stare qui e non andare ad aiutarla. Non cadrà mica all'ultimo gradino…

E invece sì. Ho tirato una gufata storica.

Ancora non è caduta, ma so che lo farà, perché ha messo un piede storto e non c'è verso di riprendere l'equilibrio quando cammini sul vetro. Lo so perché l'ho fatto anch'io, e se allora fossi stata da sola ora sarei al cimitero.

La ragazza scivola indietro. Io scatto in avanti. Volo sui gradini e finisco troppo in su, quindi metto un piede indietro, ma ho le calze, quindi ovviamente mi scivola. Però la prendo, proprio mentre si lascia sfuggire sottovoce un'imprecazione colorita.

Proprio ciò che ho sempre sognato: sono in spaccata su una scala di vetro. Con una gonna. Però sto salvando la ragazza sui trampoli. Mi sentirei anche fiera di me stessa, se non fosse che la suddetta ragazza purtroppo pensa bene di irrigidirsi lì dov'è.

Fantastico, penso trattenendo il fiato per lo sforzo.

Dopo un attimo si rende conto della situazione - grazie al cielo - e scalcia i trampoli dai piedi - adesso è inutile, idiota! - poi si accuccia, consentendomi di lasciarla andare.

« Era ora. » mi scappa da dire, ma lei pare non aver sentito.

Scuoto forte le mie povere mani e mi soffio sui pollici. Devo averglieli conficcati nella schiena, ma spero abbia l'ardire di non lamentarsi o la prossima volta la lascio a rotolare per le scale.

Nel frattempo, lei mi scruta, sorpresa. Sembra particolarmente incredula della mia gonna blu. In realtà sembra nera, per questo la metto con quello che mi capita, ma sono assolutamente sicura che si sia accorta che è blu e che l'ho abbinata a una camicia grigia che non c'azzecca un accidenti di niente. La guardo anch'io e mi sembra il tipo di ragazza che anche in un momento come questo potrebbe uscirsene con un commento acido. Mi metto in posizione più decente e le chiedo un cortese « Come stai? »

Lei non mi risponde e la cosa mi dà fastidio. Mi tirò su in ginocchio e rimettendomi a posto la gonna le sibilo « Se non sai camminare con i tacchi, non metterteli. »

La mia frecciatina la smuove di lì; la sua espressione passa dallo stupito, all'infastidito, all'offeso in meno di un secondo e a me scappa malignamente da ridere. Si alza in piedi con rabbia, profondamente offesa, e io la seguo. Solo che, all'indietro come sono, calcolo male lo spazio e non trovo più il gradino sotto di me. Stavolta è lei a prendermi al volo. La sua mano scatta subito e afferra la mia. Con la stessa espressione che avevo in volto mezzo secondo primo, la ragazza in verde mi guarda e, senza che uscissimo da quella posizione precaria sul ciglio di un'invisibile scala di vetro, mi sussurra « E tu non camminare, se non sai camminare. » senza curarsi di nascondere una notevole gioia vendicativa.

La gente attorno si riscuote da quello stato di beata incredulità quando finalmente tutte e due acquisiamo una posizione stabile sui gradini e ci stiamo guardando in cagnesco. Qualcuno si avvicina - con circospezione e cautela, perché le scale sembrano d'un tratto, chissà perché, una minaccia - e ci chiede come stiamo, poi un urlo dell'amichetta della ragazza verde ci fa quasi rotolare, ancora, dalle scale e il mio desiderio di scaraventarla di sotto torna più forte che mai. Niente da fare, quella lì non la reggo proprio.

Si getta al collo della sua amica - pericolosissimo! - e comincia a farfugliare, gridando ovviamente, di quanto si sia spaventata e di come si sia esattamente comportato il suo cuore nel momento in cui la sua cara Mimi - così si chiamava Mimi. Appropriato. - stava cadendo. Alzo gli occhi al cielo e noto che anche la ragazza che ho salvato e che poi ha salvato me non sembra gradire, perché sta cercando di staccarsi di dosso quella specie di scimmia ripetendo con decisione « Sto bene, Sora. Calmati, Sora. Staccati, Sora. Togliti di torno, Sora. »

Ecco, questo mi dà molto fastidio, anche se so che solo un nome non significa nulla. Però anch'io mi chiamo Sora e non sono assolutamente come quella lì. Né mai lo sarò, lo prometto su quanto ho più caro a questo mondo.

Mi sposto dalla fronte un ciuffo di capelli rossi, poi giro la schiena e, rassicurando le persone gentili che mi chiedono ancora come sto, mi tolgo di torno alzando i tacchi. Be', si fa per dire.

 


 

The princess, encore


Prima che Sora mi si stacchi dal collo, la ragazza grigia e blu - un accostamento meno peggio del previsto, forse per via dei toni? - che mi aveva impedito di rotolare pietosamente e mortalmente e a cui avevo poi impedito di fare la stessa cosa è arrivata in fondo alle scale e sta ricevendo un bevuta gratis da un barman giovane e carino che sembra conoscerla piuttosto bene. Da dove sono è difficile capire di che si tratti, ma sembra molto buono. All'improvviso ho sete anch'io.

Calo di zuccheri? Sto per svenire? Sono sotto shock? O voglio solo riprendere la conversazione con la ragazza? Si fa per dire: ci stavamo solo osservando di sottecchi. Mi sento ancora un po' irritata con lei per le cose che mi ha detto, ma inizio a rifletterci e concludo che probabilmente eravamo tutte e due un po' in tensione. Anzi, senza probabilmente.

Mi rendo conto che Sora sta ancora parlando. Credo non abbia ancora ripreso fiato. Le ho già suggerito le gare di apnea, ma lei non mi ascolta. E continua a parlare.

Arrivano anche Rido e Lucas, grazie al cielo. Lucas zittisce Sora, mentre Rido mi prende le scarpe da terra e me le porge. Mi basta un'occhiata per farmi intendere e lui, saggiamente, le rimette a terra dove stavano. Quando raggiungiamo il tavolino mi stendo sulla sedia come farei solo a casa mia, ma non me ne importa un accidente. Non mi sembra possibile che sia passata solo mezz'ora da quando sono entrata in questo posto. Ricapitolando: ho attirato l'attenzione di mezzo locale - che mi sta ancora guardando, seppure con interesse diverso - mi sono persa e ho rischiato la morte. Oh, e ho litigato furiosamente col principe blu e grigio che mi ha salvato. Che serata.

« Sei sicura di stare bene? » pigola ancora Sora.

« Sì. » mormoro con la testa indietro e la mia mano gelida sulla fronte.

« Vado a prenderti qualcosa da bere! E tu accompagnami! » stabilisce alzandosi di scatto e tirando la maglietta di Lucas che la segue docile. Cavolo, i suoi schemi stanno procedendo a tutta velocità.

Ma forse una bevuta è proprio quello che ci vuole.

Mi sto quasi addormentando quando la mano di Rido mi accarezza il braccio e io salto sulla sedia, voltandomi di scatto per guardarlo allucinata « Che fai? » mi scappa da strillare alla maniera di Sora. Non riesco ad associare un gesto con quel tipo di dolcezza a Rido. Non lui. Non dopo che da bambini ci rotolavamo insieme nel prato di casa di mia e salivamo sugli alberi a casa sua a cercare scoiattoli - non ne abbiamo mai trovato uno, ovviamente - e siamo stati sempre a scuola insieme e considero i suoi come l'altra mia mamma e l'altro mio papà…

Lui ritrae la mano, spaventato dalla mia reazione isterica, poi cerca di sorridere « Sentivo se eri fredda. »

« Io sono sempre fredda, ricordi? » scherzo io, ancora inquieta.

« Ora lo sei più del solito. » ribatte lui con sicurezza.

Non voglio sapere come lo sa. Davvero, non voglio assolutamente sapere come lo sa.

Mi porge il suo giubbotto e mi invita a metterlo con un'occhiata, come avevo fatto io prima con le scarpe. Ci capiamo anche così, lo sappiamo entrambi. Lo indosso, anche se non ho freddo, solo perché così starà zitto e mi lascerà in pace. Temo che sappia anche questo.

Un pensiero orrendo mi si fa strada nel cervello, ma lo scaccio con decisione. Restiamo così per qualche minuto quando finalmente arriva la mia bevuta. È Lucas, da solo. Sembra accaldato. « Scusate. »

« Siete via da venti minuti. » fa notare Rido e, con estremo imbarazzo, mi rendo conto di aver dormito sul serio. Meno male c'era solo Rido. E Rido è Rido. Giusto?

Lucas è ancora rosso, quando si rivolge a me « La ragazza che ti ha aiutato alle scale… Era al bar. Crediamo si chiami Sora pure lei. »

Alzo un sopracciglio un po' stupita. Due persone con lo stesso nome che danno sensazioni così diverse non le avevo mai incontrate.

« A proposito… Dov'è la tu- la nostra Sora? » chiedo indagatrice, immaginandomi già la risposta.

 Mi rendo conto che Lucas non è accaldato. È imbarazzato. Balbetta un « Sora è giù, nei bagni. Non sta granché bene… » e almeno ha la decenza di non concludere “per lo shock” perché gli avrei di sicuro tirato un cazzotto.

Vedendo le occhiate che gli lanciamo si dilegua dicendo che sarebbe andato a vedere come stava. Io sospiro, a Rido scappa da ridere e mi sento immensamente meglio. Sorseggio qualsiasi cosa ci sia nel bicchiere ed è buonissimo. Una vampata di calore mi arriva allo stomaco.

« Sora ce l'ha fatta a quanto pare. » commenta il ragazzo accanto a me.

Grugnisco il mio assenso, mentre mi convinco di non strapparmi il giubbotto di dosso. Inghiotto ancora un sorso.

« Stavolta mi sembra più seria del solito. Tu che ne pensi? »

Stavolta mi sforzo di formare una frase « Forse perché Lucas ha il fascino dello straniero. » scherzo.

Mi aspetto una risata, che non arriva. Rido mi sta guardando e sembra lui sotto shock, con lo sguardo fisso e mortificato di chi è stato appena ferito e deluso.

All'improvviso fa davvero troppo caldo. Ingollo ciò che resta della mia bevuta - mi piange il cuore per lo scempio che sto facendo di una tale delizia - mi strappo il giubbotto di dosso e glielo lancio addosso.

« Vado in bagno! » annuncio a voce troppo alta e me ne vado, senza nemmeno spiegargli che era uno scherzo, uno stupido scherzo, perché se quello fosse stato il mio Rido l'avrebbe capito da solo.

Scendo i gradini a tre a tre - ho già superato lo shock della caduta, a quanto pare - e mi fiondo nel bagno femminile, raggiungendo le cabine più in fondo. Apro una porta a caso e mi chiudo dentro. Voglio il silenzio, è chiedere tanto?

Sembra di sì. Sento oltre la parete le voci di due ragazzi che si stanno come minimo baciando. Cielo, ci mancava solo questo. Spero solo che vadano a concludere altrove, chessò, magari a casa di uno di loro piuttosto che nel bagno di uno stupido pub! Spalanco la porta e faccio per andarmene, quando riconosco le voci. Sono Sora e Lucas, e io mi blocco lì dove sono.

« Sei… sei sicura che li possiamo lasciare da soli? » chiede Lucas mentre entrambi riprendono fiato. Lui riprende fiato. Suppongo che Sora possa andare avanti per ore, visto quanto tempo riesce a parlare.

« Tranquillo, sono grandi, sanno… badare a loro stessi. » afferma Sora, ridendo civettuola « E poi, detto in confidenza, a Rido facciamo un piacere. Magari è la volta buona. »

Scappa, mi dico, ma non mi ascolto. Come fa Sora con me. Quindi sento, sento tutto.

« Sono anni che deve dire a Mimi di essere innamorato di lei. »

No. No, no, no!

Finalmente mi tolgo di torno, ma ormai è andata. Ormai so. Riesco a distinguere quando Sora dice la verità o no e ora era seria, per quanto Sora possa essere seria.

Volo verso il bar, decisa a prendere qualcosa di molto forte e di andarmi a nascondermi per berlo tutto in santa pace. Sto meditando se prendere direttamente una bottiglia di vodka, quando la vedo.

L'altra Sora. Il principe grigio e blu, seduto a un tavolino buio, in un anfratto sufficientemente nascosto. Con un'espressione abbastanza afflitta da garantirmi che non sto sbagliando quando mi siedo al bar e dico al barista carino e bravo.

« La bevuta di prima era buonissima. Mi fai qualcosa di molto forte? Il più forte possibile. Per due. »

 

 


The prince, encore


La bevanda del barista carino mi rimette al mondo. Sono tornata quasi di buonumore e sto per imbarcarmi ancora nella mia ricerca quando mi sorride « Stavi cercando qualcuno, prima? Magari posso aiutarti. »

È proprio un tesoro. Chissà come deve essere avere un fidanzato barista, mi sorprendo a pensare.

Molto fico deve essere, mi rispondo.

Con uno sforzo erculeo torno alla realtà. 

« Sì. È il fratello di un amico. Ha diciassette anni, è biondo e alto, ha gli occhi chiari e io ho assolutamente bisogno di parlargli il prima possibile. »

Lui si gratta il naso, pensoso « È una cosa così importante? »

« Sì. No. Un po'. È una cosa un po' complicata. »

« M'era parso di intuirlo. Come si chiama? »

« Takeru. Takaishi Takeru. »

Il barista scuote la testa. « Non lo conosco come nome. Ha qualche altra caratteristica particolare? »

« È bello. » dico senza esitare e quando lui ride mi sento molto stupida. « Scusami. » mormoro.

« No, scusami tu. Non è stato carino da parte mia, ma mi hai colto di sorpresa. Mi aspettavo più cose del tipo “Ha i dreadlocks” oppure… »

Adesso sono io che scoppio a ridere e non riesco più a fermarmi. Mi blocca solo il singhiozzo.

« Scusami, ma… » rido tra le lacrime « Takeru - hic - con i - hic - dreadlocks… »

Sto quasi soffocando e lui mi batte una mano tra le scapole, mettendomi davanti un bicchier d'acqua. « Riprenditi. » mi dice sorridendo e si mette a servire un cliente.

Quando, cinque minuti dopo, sono tornata in me, ha finito tutti gli ordini e mi guarda divertito.

« Ne deduco che non è un tipo da dreadlocks. »

« No, decisamente. Però ha un orecchino a sinistra. »

« Quindi ha gli orecchini - e l'idea dei dreadlocks ti sembra così assurda? »

« Non puoi capire! Come faccio a spiegartelo se non… » mi interrompo e ritorno nella vita reale « lo conosci… »

Sono nella vita reale, non ho trovato Takeru e il tempo stringe.

Il barista simpatico e carino è qui quasi sempre e se non lo conosce lui, non lo conosce nessuno. A quanto pare Takeru non è un frequentatore abituale del pub “Luna di vetro”, a discapito di tutte le previsioni.

Sono talmente abbattuta che non riesco nemmeno a salutare per bene il ragazzo del bar. Tento di pagare, ma lui si oppone « Per la caduta. »

Io me n'ero già dimenticata. È con la morte nel cuore che mando un messaggio a Taichi, per spiegargli tutto. Non ce la faccio a chiamarlo, non ora, non per dirgli che ancora non ho trovato Takeru, così come non c'è riuscito lui.

Trovo un tavolino appartato e mi siedo nell'angolo, ben nascosta dalle ombre. Rimango lì, con un muso che quasi striscia il pavimento, per un po'.

Poi qualcuno sbatte sul tavolo un enorme boccale pieno di un liquido colorato, facendomi fare un salto di mezzo metro. Davanti a me c'è la principessa verde, con un boccale gemello in mano e l'aria di chi ha passato un brutto quarto d'ora.

« Posso sedermi? » chiede.

Io le faccio posto sul divanetto. Stringiamo i boccali senza guardarci per qualche minuto, poi, insieme li alziamo e, cozzandoli tra loro, gridiamo « Alla salute! »

Buttiamo insieme giù il primo sorso, che è una botta. Nella stanza accanto, attacca la musica e le grida dei ragazzi che ballano esplodono nel cielo di Marzo.

È mezzanotte, ragazzi. La vita inizia ora.

 

 


The final dance

 

Le due ragazze tornano a casa che sono quasi le quattro, col cugino di Mimi.

Casa di Sora non è lontana dalla “Luna di vetro”, la ragazza ha cercato di spiegarglielo, ma il ventiquattrenne, che non è nato ieri, le impedisce di muovere anche un solo passo da sola.

Così sono davanti alla porta dell'appartamento di Sora, lei e Mimi, del tutto sbronze e molto assonnate.

Non dicono una parola e guardano per terra i loro piedi scalzi.

Il ragazzo al volante sospira e si fa coraggio.

Dopo un po', Mimi alza gli occhi e, sforzando i pochi pezzetti di cervello ancora attivi, dice « Grazie. Per la scala. »

L'altra riesce a connettere e risponde « Figurati, grazie a te. E scusami per quello che ti ho detto. »

« Certo. E scusami anche tu. »

« Certamente. »

Tornano a fissarsi i piedi.

Il cugino di Mimi si sta addormentando sul volante, più per la noia che per il sonno.

Ancora una volta, è Mimi ad avere la parola per prima.

« È vero che ti chiami Sora? »

« Sì. E tu sei Mimi. Ma non ci siamo ancora presentate. »

Allora la principessa verde alza la mano, solennemente, e il principe grigio e blu la stringe.

« Tachikawa Mimi. Piacere di conoscerti. »

« Takenouchi Sora. Il piacere è tutto mio. »

Si lasciano le mani.

« Be', buonanotte. »

« Buonanotte a te. »

Si scambiano due piccoli baci sulle guance e tornano a fissarsi.

Poi, seguendo un tacito accordo che tutte e due hanno compreso istintivamente, la principessa verde e il principe grigio e blu si voltano insieme e a passi scalzi escono l'una dalla vita dell'altro, forse per sempre.

 





...O forse no.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Qui mi sorge un dubbio: è nata prima l'idea o la pomposa frase iniziale? Non ne sono molto sicura. Però mi sono divertita moltissimo a scrivere in prima persona ed è la prima volta che mi capita in questo fandom e la seconda volta in assoluto. Comincio seriamente ad appassionarmi a questo tipo di scrittura.

Detto questo, che non interessa a nessuno, torno a parlare di fatti un pochino più importanti. Il primo è che, come vedete, nonostante sia una one-shot ci sono tutti i presupposti per una long-fic ancora poco delineata, ma possibile. Gradirei sapere opinioni.

Il secondo problema, per cui ho ancora bisogno di voi, è la grammatica: temo di aver fatto un po' di confusione, ma ormai conosco il testo a memoria e non riesco a capire se ho fatto strafalcioni. Quindi, se notate qualcosa, ditemelo. Per favore.

Grazie in anticipo per l'aiuto.

Il titolo, tradotto, dovrebbe essere "Il mio principe sostitutivo", che mi sembrava piuttosto appropriato.

Spero che questa storia vi sia piaciuta, perché a me piace. Confesso di averla scritta soprattutto per me stessa.

Un abbraccio a tutti voi,

                                            coco

 

 

 

 

 

  
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