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Autore: immapanda_    02/09/2012    3 recensioni
ero diverso, o almeno gli altri mi vedevano così.
mi faceva schifo la mia vita.
non pensavo di potercela fare.
ma quando arrivo lei, tutto cambiò..
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ero diverso. Tutti mi guardavano come non fossi uguale a loro. Fu immediato. Il giorno prima, tutto bello e divertente. Poi ti crolla il buio addosso. Come fecero a scoprirlo tutti così in fretta? A scuola non si parlava d'altro. Passavo nei corridoi con i loro occhi addosso. Ridacchiavano alle mie spalle. Mi disprezzavano tutti.
Perché io ho l'AIDS.
 
Era una normale e noiosa giornata di scuola. Il professore di matematica spiegava le sue normali e noiose equazioni. D'improvviso, mi sentii debole. E crollai.
Credo di aver perso i sensi per tanto tempo. Beh, diciamo che quando mi svegliai era pomeriggio inoltrato ed ero solo in classe. O almeno credevo di esserlo.
C'era una ragazza, leggeva un libro, seduta a gambe incrociate su un banco.
Quando mi alzai, mi guardò con cui suoi occhi di un azzurro che anche il mare le invidierebbe.
-Ciao, come va?- chiuse il libro, lasciando un segnalibro nella pagina che stava leggendo.
Mugugnai qualcosa. Oddio, che vergogna. -Mm, ho solo un po' di mal di testa. Dove sono gli altri?
-I tuoi compagni intendi? Sono scappati appena il dottore ti ha diagnosticato la malattia.
-Q-quale malattia? Io non sono malato.
Si alzò e prese dalla cattedra un bicchiere. Mi sorrise e me lo porse.
-Tu hai l'AIDS.
Cosa? Io, l'AIDS? No no, non ci credo. Mi sta prendendo in giro. Non dissi nulla e la continuai a guardare. Era bellissima.
-Comunque piacere, - mi porse la mano. -Mi chiamo Emy.
Ancora intontito per la notizia, mi alzai e cercai di andarmene. Persi l'equilibrio.
-Attento, aspetta ti aiuto.
Uscimmo insieme da scuola e ci sedemmo su una panchina. Iniziò a raccontarmi cosa avevo letto su quel libro, a proposito della mia malattia. Io non ascoltavo neanche una parola, non riuscivo ancora a capacitarmi di quella cosa. La guardai e mi sorrise. -Hai bisogno di riposo, per capirci qualcosa. Vieni, se vuoi ti accompagno a casa.
Mi prese per mano e camminammo fino a casa mia. Era così diversa, in senso buono. Così spensierata, non le importava come la guardavano gli altri: camminava leggera, come se volasse, e canticchiava una canzone. C'era qualcosa di speciale in lei.
 
Arrivato a casa, raccontai tutto a mia madre. Lei mi ascoltò, indifferente come sempre. Ma quando pronunciai quella parola, quella fatidica parola, i suoi occhi si aprirono di colpo e si allontanò da me. Non me lo aspettavo, lo ammetto. Speravo che almeno stavolta mia madre mi stesse vicino. La reazione di mio padre non fu molto diversa. Mi chiusi in camera e non parlai più. Non mangiai nulla e dormii presto.
 
Il mattino dopo, a scuola, fu orribile vedere come tutti mi escludevano e non mi parlavano. Quando passavo, tutti si allontanavano. Poi, prima che me ne accorgessi, mi si buttò al collo Emy.
-Buongiorno come va? - sorrise radiosa come sempre e per mano mi accompagnò in classe. Le dissi ciò che era successo in casa, l'altra sera. Si rattristì di colpo e disse che le dispiaceva.
-Ho comunque una buona notizia. So che non ti tirerà su, ma mia madre fa l'infermiera e ha detto che ti aiuterà con la malattia. Troverà anche un buon dottore tutto per te. Ok?
-Sì, sì. Grazie. Ringrazia tantissimo tua madre. È molto gentile.
-Non c'è di che, figurati. - mi sorrise e s'incamminò verso la sua classe. - Ci vediamo all'uscita, ok? A dopo!
 
Non so come ho fatto a resistere quel giorno. Durante le lezioni, mi lanciavano cartaccia e altro. Anche i professori non mi ascoltavano. Mi sentivo molto solo.
All'uscita, incontrai subito Emy. Andammo insieme al parco. Ci sedemmo sotto una grande quercia. Chiacchierammo come vecchi amici. Mi sentii, come se nulla fosse successo. Nient'altro, solo io e Emy. Era stupendo.
Poi mi ricordai di una cosa, che ancora non le avevo chiesto.
-Emy, posso farti una domanda?
-Sì, certo. Dimmi tutto.
-Ma...tu, non hai paura di me?
Parlai tutto d'un fiato. Per un secondo, temetti di aver rovinato tutto.
Mi sorrise, come sempre. Si sdraiò su prato, accanto a me, e con gli occhi rivolti ad esplorare il cielo, e mi rispose.
-Mi aspettavo una domanda del genere da te. Sei un ragazzo curioso, l'avevo già notato. Beh, ecco, io ho già avuto questa malattia. Sembra impossibile, ma io l'ho anche superata. Con coraggio e con l'aiuto di un bravissimo dottore, ce l'abbiamo fatta. Non l'abbiamo detto a nessuno, per non far scalpore. - Aveva gli occhi lucidi, ma si riprese subito. Mi guardò e sorrise. - E poi, perché dovrei aver paura? Anche se non l'avessi già passata, se non facciamo nulla di sbagliato, non me la passerai mai! - mi fece l'occhiolino e ci mettemmo a ridere. Era la risata più bella del mondo, venuta dritto dal cuore. E che mi rimarrà sempre impressa nei ricordi. Poi, senza pensarci troppo, mi sono avvicinato a lei. Ho sentito le sue labbra calde sulle mie, e le nostre mani intrecciarsi. La cosa più bella che mi fosse capitata. Alla fine, mi sussurrò: -Ricordati: non ti lascerò mai solo...
 
Tornai a casa tutto felice. Ma quell'allegria non durò per molto. I miei stavano litigando, per l'ennesima volta. E stavolta, l'argomento della discussione ero io. Iniziò a piovere a dirotto. Non potevo sopportare di vederli litigare ancora. Anzi, proprio non li sopportavo. Salii nella mia camera dalla porta secondaria, raccolsi le mie cose e corsi via.
Senza capirlo, mi trovai a bussare a casa di Emy. Mi aprì subito, e senza chiedermi nulla, capì e mi fece entrare subito. Iniziai a piangere. Mi faceva schifo quella vita. Perché dovevano capitare tutte a me?
Sua madre, mi si avvicinò e mi tranquillizzò. Mi disse che dovevo decidere: tornare a casa mia o rimanere da loro. Non ci pensai due volte, e decisi di rimanere lì. Mi sorrise, un sorriso stupendo, come quello della figlia, e mi promise che si sarebbe presa cura di me.
 
I giorni passarono, il mio stato di salute cambiava lentamente ogni giorno, e il dottore disse che sarei guarito. Non subito, non il giorno dopo. Ma sarei guarito.
A scuola, invece, nulla cambiava. Mi odiavano tutti. Non mi sentivo proprio a mio agio lì. I bulli mi schernivano sempre. Non mi lasciavano in pace, mai.
 
Un pomeriggio, passeggiavo con Emy lungo la via principale del paese. C'era molto traffico ma le macchine sfrecciavano veloci, senza tregua.
Ad un tratto, un gruppo di ragazzi della mia scuola, ci venne incontro. Non ci lasciavano passare e mi prendevano in giro.
Ridevano, e facevano allusioni a me e Emy. Li guardavo con odio, mentre Emy mi difendeva con coraggio. Loro non l'ascoltavano e continuavano imperterriti.
Uno iniziò ad usar le mani, cercò di darmi un pugno, ma Emy si mise in mezzo, e lo prese dritto in faccia.
Perse l'equilibrio.
Un urlo.
Un clacson.
Le risate di quegli stronzi.
E quelle cinque parole, sospirate dal vento, che mi cambiarono la vita...
  
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