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Autore: Dark Magic    02/09/2012    3 recensioni
Storia ambientata dieci anni dopo gli eventi di Breaking Dawn. La famiglia dei Cullen viene distrutta da una tragedia che è stata pianificata ancor prima della nascita di Isabella Swan. Nuovi misteri, eventi ed esseri soprannaturali sconvolgeranno il mondo degli attuali immortali. Una nuova era dove i Volturi non risulteranno più il clan più potente, ma solo il braccio di esseri che agiscono all'oscuro persino degli immortali stessi.
Genere: Avventura, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Successivo alla saga
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cap 39

scomparsa

Capitolo 39

«Razza di traditore!» ruggisco sbattendo la porta in legno massiccio dello studio di mio padre.
Lui mi aveva preceduto invitandomi con un rigido cenno del capo a seguirlo in un luogo più appartato.
E quale luogo migliore del suo preziosissimo studio?
Era il suo nido, il suo angolo di “meditazione” per riflettere su come agire in circostanze di vitale importanza.
E l’intervento di restituire i ricordi a Cullen da parte del mio amico – ormai ex, soprattutto dopo che lo avrò preso a pugni fino a cambiargli i connotati da angelo caduto – rientrava tra queste priorità.
L’espressione tesa di mio padre parla chiaro: Nigel non aveva richiesto udienza formale, pertanto rischia una punizione esemplare.
«Non sappiamo come stanno le cose, Xander, aspettiamo prima di accusarlo di tradimento» spiega tranquillo.
«Cosa?» sbotto incredulo. «Ci ha traditi agendo senza un ordine impartito!».
Sospira, passeggiando per la stanza con le mani incrociate dietro la schiena. «Be’, si dia il caso che se non fosse già lì per suo conto, glielo avrei mandato io stesso appena rincasato».
Inarco le sopracciglia. «Perché?»
Mio padre che cambia idea?
Impossibile.
Punta il suo sguardo nel mio e dice: «Non gli sono stati rimossi solo i ricordi di determinati eventi, vero?»
Dal modo in cui calca sulla parola “determinati”, capisco che lui sa.
Sa ogni fottutissima cosa.
«Non ho idea di cosa tu stia parlando, padre» rispondo, volgendo il capo in direzione della finestra.
Meglio morire piuttosto che ammetterlo ad alta voce.
«Ah no?» domanda ironico.
Scrollo le spalle. La finestra che è ormai divenuta la mia ossessione si spalanca di colpo. Sobbalzo non appena una raffica di aria gelida entra nella stanza trascinando con sé fiocchi di neve.
Non mi volto. Non c’è motivo.
La rabbia e il disappunto di mio padre li annuso anche da questa posizione.
«Non mentirmi. Non lo sopporto quando sei tu a farlo».
Rido. «Qui mentono tutti, che differenza fa se mi unisco anche io al resto della comitiva?»
«Il resto della comitiva – come lo definisci tu – non sono miei figli. Tu sì» ribatte glaciale.
Mi volto di scatto, i miei occhi lanciano saette. «Per fortuna, direi…».
«Cosa vorresti insinuare?».
Mi avvicino, ignorando la tensione elettrica che si è avviluppata intorno a noi.
«Non avresti dovuto darla in adozione».
Sbuffa esasperato allargando le braccia. «Ancora con questa storia?».
«C’è  mai stata una fine? Ah, certo che c’è stata. Quella che hai deciso tu senza consultarti con nessuno» prendo un respiro, «neanche con me».
«Sai benissimo perché l’ho fatto. E tua madre era d’accordo. Era…» sibila.
«Non avresti dovuto farlo!» ruggisco interrompendolo, ma prosegue come se non avesse sentito.
«…perfettamente al sicuro» conclude alzando la voce.
«Già, che il suo sangue fosse una tentazione per Cullen ti era sfuggito ai tempi, non è così?» gli domando sarcastico.
Resta in silenzio per un tempo infinito finché non dice: «Sapevo che tu le stavi incollato peggio di un francobollo».
Spalanco gli occhi, sorpreso. Sapeva anche questo?
Possibile che non potessi agire senza che lui venisse a sapere in quale situazione stessi interferendo?
Evidentemente no, tenere d’occhio tutti è una specialità e caratteristica di mio padre. Il fatto che Nigel sia sfuggito al suo controllo sta a significare che mio padre gli aveva già fatto intendere di essere a conoscenza del nostro segreto sulla rimozione totale dei ricordi di Cullen.
Diamine, è mai possibile poter dare un ordine senza che questo venga reiterato da un altro, anche se si tratta di mio padre?
«Quindi è per questo motivo che i due vampiri di guardia erano raddoppiati come per magia qualche giorno dopo le mie incursioni a Forks. Non erano nemmeno dei pivellini i due sopravvenuti in seguito».
Annuisce, compiaciuto del fatto che ci sia arrivato da solo.
Gli altri due vampiri erano specializzati nella cattura di licantropi. I migliori tra le schiere di mio padre, e l’unico vero licantropo nella zona ero io.
«Anche io ero sorvegliato, dunque» sorrido amareggiato.
«Esattamente» conferma, «non sei un esempio di autocontrollo, lo sappiamo entrambi, proprio come sapevo che non ci avresti impiegato molto a staccare la testa a Edward. Non è una novità il fatto che tu lo detesti».
«Chissà perché…» mugugno. Forse staccargli la testa non sarebbe bastato.
«Ad ogni modo, ritornando alla questione “Nigel”, direi che non è necessario applicare alcuna punizione», scrolla le spalle con nonchalance accarezzando la scrivania di mogano con due dita, «ha solo anticipato ciò che io avrei preteso da lui».
«Ciò che ordino io non conta, non è così?»
«Ti sbagli» mi contraddisse, voltandosi e posando il palmo sulla mia guancia, «tutto ciò che pensi conta moltissimo per me».
«Non si direbbe» ribatto, allontanandomi.
«Quando commetti errori, è mio dovere fartelo notare».
Esasperato, passo una mano fra i capelli, gesto che denota sempre il mio pessimo umore.
Io errori? E lui allora?
«Meritava una punizione» è tutto ciò che riesco a dire.
«Perché le ha fatto del male o perché lei tiene a lui più di chiunque altro?»
A quella domanda lo fisso negli occhi, ma capendo che non vi avrei risposto, con un gesto della mano mi congeda.
Mettendo su una maschera d’impassibilità, esco fuori dallo studio.
Mi lascio cadere sul pavimento, circondando le ginocchia con le braccia. Chino il capo e mi ritrovo improvvisamente a tremare. Uno strano suono soffocato riecheggia nel corridoio deserto. Sono i miei singhiozzi. 

Pov Bella

Alcune ore dopo

«Cosa?» sussurro incredula.
Ancora stento a credere a quello che ho appena sentito.
Nigel, il braccio destro di Alexander, si trova a Forks per restituire i ricordi al mio Edward.
Chi l’avrebbe mai detto: Nigel, il ribelle.
Io, Seth e Sebastian ci troviamo nello studio di William, il quale ci espone i fatti concernenti la delicata situazione.
A quanto pare Alexander non ne sapeva nulla di ciò che aveva in mente di fare Nigel, e ora si spiega la sua faccia incazzata di poco prima quando lo abbiamo incrociato nel corridoio.
Mi aveva rivolo un’occhiata malevola, seguita da un commento sarcastico: «spero che tu sia soddisfatta, ora».
Poi aveva dato uno spintone a Sebastian per allontanarsi.
Inutile dire che Sebastian aveva serrato la mascella e ricambiato la cortesia spingendolo a sua volta.
Se non fosse stato per il mio intervento, a quest’ora se la sarebbero data di santa ragione.
«In effetti» comincia a dire Sebastian lisciandosi il mento «è da un po’ che non si vedeva in giro. Certo, la sua presenza non è mai così eclatante quando entra in una stanza mettendosi in un angolo, ma ormai so riconoscere il suo flusso di energia. Per non parlare del fatto che di solito tallona Alexander come uno stalker di primo livello».
William, con i gomiti poggiati sulla scrivania e le dita delle mani incrociate tra loro, gli risponde: «Xander è una mina vagante quando i suoi accessi d’ira prendono il sopravvento. Nigel, in un certo senso, funge da tranquillante».
Seth scoppia in una fragorosa risata. «Ecco a cosa serve quell’avvoltoio vestito da pinguino: è una camomilla!».
Io e Sebastian ridacchiamo alla sua battuta, mentre William rimane più contenuto.
Solo gli angoli della sua bocca hanno tremato.
Che sia l’equivalente di un sorriso? Probabile.
«Comunque sia, adesso Nigel è lì già da un po’. È strano che non sia già rientrato. Porta sempre il cellulare satellitare con sé. Avrebbe potuto chiamare Crystal e farsi teletrasportare, ma ciò non è ancora avvenuto. Mando voi tre a recuperarlo».
Annuiamo rigidi.
Nigel è uno dei migliori combattenti che abbia mai visto. Non credo proprio che qualcuno sia riuscito ad avere la meglio su di lui.
A meno che non siano stati in tanti.
Scaccio subito l’idea. Due dei nostri stazionano lì in segreto per salvaguardare la situazione in caso gli Zver facciano una visitina ai miei familiari.
Ma sembra che i Cullen non rientrino nel mirino di Andrew e i suoi.
Meglio così, per noi. Non dobbiamo proteggerli costantemente, anche se l’idea di non aver più rapporti su quello che accade a Forks non mi lascia ovviamente di buon umore.
Quando stiamo per uscire, la voce di William mi blocca sul posto.
«Bella, vorrei che ti fermassi qui ancora un po’» comincia dire con uno strano timbro di voce, poi si rivolge a Sebastian e Seth, perentorio. «Da sola».
I miei compagni annuiscono, non senza lanciarmi occhiate guardinghe. Anch’io come loro sono sorpresa.
Di cosa vuole parlarmi che non può dire in pubblico.
Appena la porta si chiude alle mie spalle, allargo le braccia. «Allora?» domando fissando la sua imponente ed elegante statura.
William ha il fascino dell’uomo inglese: educato, di classe, con una grazia innata nei movimenti persino superiore a quella di un vampiro.
Simile a un dio pagano, direbbe qualcuno.
«Durante la mia assenza, mi è giunta una voce piuttosto spiacevole. Non volevo informarti finché non fossi tornato a casa ed essermi messo in contatto con i miei a Forks, perciò…»
«Non ti seguo» lo interrompo, con uno strano presentimento. «È successo qualcosa a Edward? A mia figlia? Ai Cullen?» domando tutto d’un fiato.
La testa sembra esplodermi per la quantità di catastrofi che mi trasmette nel giro di millesimi di secondi.
Forse Renesmee sta male, le è successo qualcosa o Edward.
No, non è possibile…
Mi afferro il capo con entrambe le mani, in preda al panico. Subito un paio di braccia mi afferrano i polsi, scostandomeli.
Incrocio lo sguardo affranto di William.
Che cosa sta leggendo nei miei occhi?
«Non si tratta di tua figlia, né di Edward o un altro Cullen».
«Allora Jake…» sussurro, ma lui scuote il capo.
«Si tratta di tuo padre, Bella» spalanco gli occhi «ha avuto un infarto e ades…».
Non lo lascio finire che mi ritrovo immediatamente in corridoio.
Sento le voci di Sebastian e Seth dietro di me, chiamandomi a gran voce. Tutti e due erano rimasti vicini allo studio ad aspettarmi, ma non posso curarmene ora.
Corro in direzione della mia stanza. Spalanco la porta e afferro lo zaino con il passaporto e tutti i documenti che mi servono per partire.
Un odore familiare giunge alle mie narici.
Sebastian mi ha raggiunto grazie alla super velocità.
«Si può sapere che cosa ti ha detto? Sai che in quella stan… Bella!» mi chiama, notando che non lo sto affatto ascoltando.
Sfreccio da una parte all’altra della stanza raccogliendo lo stretto indispensabile. Una mano bianca mi afferra il polso e mi fa voltare.
Gli occhi color ghiaccio di Sebastian sono duri, determinati.
«Dimmi subito cosa ti ha detto».
«Seb, io…» pregandolo con gli occhi di non continuare, ma appena mi accarezza la guancia, comincio a singhiozzare.
Se ancora fossi umana, avrei già bagnato tutta la camicetta.
«Ssh. Shh. Lo risolveremo insieme, ricordi? Qualsiasi cosa capiti l’uno o all’altro, siamo una squadra, una famiglia».
All’ultima parola mi stringo a lui, tremando come una foglia.
Dopo un tempo infinito, i miei singhiozzi si placano, ma la mia angoscia no.
«Adesso mi dici cosa ti ha riferito di così tragico William?» chiede. «Devo provare ad indovinare?»
Scuoto la testa, sospirando. «Si tratta di mio padre, Charlie» appoggio il viso sul suo petto, «ha avuto un infarto. E quello che più mi fa arrabbiare è che io non sono stata con lui negli ultimi dieci anni e che probabilmente quello che sto per fare è la decisione più egoistica che io abbia mai preso».
«E sarebbe? Sai, mi sembra di sentir parlare tuo marito» sorride, anche se adesso mi accarezza i capelli per confortarmi.
Sorrido anch’io, mio malgrado alla battuta, non senza avergli rifilato comunque un buffetto sulla guancia.
«Andrò a trovarlo in ospedale e non so quanto tempo resterò lì».
«Non mi sembra egoista da parte tua» ribatte, probabilmente con le sopracciglia aggrottate di chi non capisce qualcosa.
Mi sollevo in piedi, ponendo sulla spalla lo zainetto.
Sebastian ancora seduto sul pavimento dove io l’avevo trascinato poco prima.
«Sì, invece. Ho fatto scorrere dieci anni e l’unico modo per farmi uscire allo scoperto è stato un infarto. Sono o non sono una figlia indegna del suo affetto?».
Ma non aspetto una risposta alla mia domanda, sapendo già quale sia.
Mi fermo davanti la porta, indugiando con lo sguardo sul panorama selvaggio che s’intravede al di là della finestra.
«Avevo promesso di non scomparire dalla sua vita. E non l’ho mantenuta» spiego a Seb.
«Scusami, papà» bisbiglio dopo.

   
 
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