Capitolo
39
«Razza
di traditore!» ruggisco sbattendo la porta in legno massiccio dello studio di
mio padre.
Lui
mi aveva preceduto invitandomi con un rigido cenno del capo a seguirlo in un
luogo più appartato.
E
quale luogo migliore del suo preziosissimo studio?
Era
il suo nido, il suo angolo di “meditazione” per riflettere su come agire in
circostanze di vitale importanza.
E
l’intervento di restituire i ricordi a Cullen da parte del mio amico – ormai
ex, soprattutto dopo che lo avrò preso a pugni fino a cambiargli i connotati da
angelo caduto – rientrava tra queste priorità.
L’espressione
tesa di mio padre parla chiaro: Nigel non aveva richiesto udienza formale,
pertanto rischia una punizione esemplare.
«Non
sappiamo come stanno le cose, Xander, aspettiamo prima di accusarlo di
tradimento» spiega tranquillo.
«Cosa?»
sbotto incredulo. «Ci ha traditi agendo senza un ordine impartito!».
Sospira,
passeggiando per la stanza con le mani incrociate dietro la schiena. «Be’, si
dia il caso che se non fosse già lì per suo conto, glielo avrei mandato io
stesso appena rincasato».
Inarco
le sopracciglia. «Perché?»
Mio
padre che cambia idea?
Impossibile.
Punta
il suo sguardo nel mio e dice: «Non gli sono stati rimossi solo i ricordi di determinati eventi, vero?»
Dal
modo in cui calca sulla parola “determinati”, capisco che lui sa.
Sa
ogni fottutissima cosa.
«Non
ho idea di cosa tu stia parlando, padre» rispondo, volgendo il capo in
direzione della finestra.
Meglio
morire piuttosto che ammetterlo ad alta voce.
«Ah
no?» domanda ironico.
Scrollo
le spalle. La finestra che è ormai divenuta la mia ossessione si spalanca di
colpo. Sobbalzo non appena una raffica di aria gelida entra nella stanza
trascinando con sé fiocchi di neve.
Non
mi volto. Non c’è motivo.
La
rabbia e il disappunto di mio padre li annuso anche da questa posizione.
«Non
mentirmi. Non lo sopporto quando sei tu a farlo».
Rido.
«Qui mentono tutti, che differenza fa se mi unisco anche io al resto della
comitiva?»
«Il
resto della comitiva – come lo definisci tu – non sono miei figli. Tu sì»
ribatte glaciale.
Mi
volto di scatto, i miei occhi lanciano saette. «Per fortuna, direi…».
«Cosa
vorresti insinuare?».
Mi
avvicino, ignorando la tensione elettrica che si è avviluppata intorno a noi.
«Non
avresti dovuto darla in adozione».
Sbuffa
esasperato allargando le braccia. «Ancora con questa storia?».
«C’è mai stata una fine? Ah, certo che c’è stata. Quella
che hai deciso tu senza consultarti con nessuno» prendo un respiro, «neanche
con me».
«Sai
benissimo perché l’ho fatto. E tua madre era d’accordo. Era…» sibila.
«Non
avresti dovuto farlo!» ruggisco interrompendolo, ma prosegue come se non avesse
sentito.
«…perfettamente
al sicuro» conclude alzando la voce.
«Già,
che il suo sangue fosse una tentazione per Cullen ti era sfuggito ai tempi, non
è così?» gli domando sarcastico.
Resta
in silenzio per un tempo infinito finché non dice: «Sapevo che tu le stavi incollato
peggio di un francobollo».
Spalanco
gli occhi, sorpreso. Sapeva anche questo?
Possibile
che non potessi agire senza che lui venisse a sapere in quale situazione stessi
interferendo?
Evidentemente
no, tenere d’occhio tutti è una specialità e caratteristica di mio padre. Il
fatto che Nigel sia sfuggito al suo controllo sta a significare che mio padre
gli aveva già fatto intendere di essere a conoscenza del nostro segreto sulla
rimozione totale dei ricordi di Cullen.
Diamine,
è mai possibile poter dare un ordine senza che questo venga reiterato da un
altro, anche se si tratta di mio padre?
«Quindi
è per questo motivo che i due vampiri di guardia erano raddoppiati come per
magia qualche giorno dopo le mie incursioni a Forks. Non erano nemmeno dei
pivellini i due sopravvenuti in seguito».
Annuisce,
compiaciuto del fatto che ci sia arrivato da solo.
Gli
altri due vampiri erano specializzati nella cattura di licantropi. I migliori
tra le schiere di mio padre, e l’unico vero licantropo nella zona ero io.
«Anche
io ero sorvegliato, dunque» sorrido amareggiato.
«Esattamente»
conferma, «non sei un esempio di autocontrollo, lo sappiamo entrambi, proprio
come sapevo che non ci avresti impiegato molto a staccare la testa a Edward.
Non è una novità il fatto che tu lo detesti».
«Chissà
perché…» mugugno. Forse staccargli la testa non sarebbe bastato.
«Ad
ogni modo, ritornando alla questione “Nigel”, direi che non è necessario
applicare alcuna punizione», scrolla le spalle con nonchalance accarezzando la
scrivania di mogano con due dita, «ha solo anticipato ciò che io avrei preteso
da lui».
«Ciò
che ordino io non conta, non è così?»
«Ti
sbagli» mi contraddisse, voltandosi e posando il palmo sulla mia guancia,
«tutto ciò che pensi conta moltissimo per me».
«Non
si direbbe» ribatto, allontanandomi.
«Quando
commetti errori, è mio dovere fartelo notare».
Esasperato,
passo una mano fra i capelli, gesto che denota sempre il mio pessimo umore.
Io
errori? E lui allora?
«Meritava
una punizione» è tutto ciò che riesco a dire.
«Perché
le ha fatto del male o perché lei tiene a lui più di chiunque altro?»
A
quella domanda lo fisso negli occhi, ma capendo che non vi avrei risposto, con
un gesto della mano mi congeda.
Mettendo
su una maschera d’impassibilità, esco fuori dallo studio.
Mi
lascio cadere sul pavimento, circondando le ginocchia con le braccia. Chino il
capo e mi ritrovo improvvisamente a tremare. Uno strano suono soffocato riecheggia
nel corridoio deserto. Sono i miei singhiozzi.
Pov Bella
«Cosa?»
sussurro incredula.
Ancora
stento a credere a quello che ho appena sentito.
Nigel,
il braccio destro di Alexander, si trova a Forks per restituire i ricordi al
mio Edward.
Chi
l’avrebbe mai detto: Nigel, il ribelle.
Io,
Seth e Sebastian ci troviamo nello studio di William, il quale ci espone i
fatti concernenti la delicata situazione.
A
quanto pare Alexander non ne sapeva nulla di ciò che aveva in mente di fare
Nigel, e ora si spiega la sua faccia incazzata di poco prima quando lo abbiamo
incrociato nel corridoio.
Mi
aveva rivolo un’occhiata malevola, seguita da un commento sarcastico: «spero
che tu sia soddisfatta, ora».
Poi
aveva dato uno spintone a Sebastian per allontanarsi.
Inutile
dire che Sebastian aveva serrato la mascella e ricambiato la cortesia
spingendolo a sua volta.
Se
non fosse stato per il mio intervento, a quest’ora se la sarebbero data di
santa ragione.
«In
effetti» comincia a dire Sebastian lisciandosi il mento «è da un po’ che non si
vedeva in giro. Certo, la sua presenza non è mai così eclatante quando entra in
una stanza mettendosi in un angolo, ma ormai so riconoscere il suo flusso di
energia. Per non parlare del fatto che di solito tallona Alexander come uno
stalker di primo livello».
William,
con i gomiti poggiati sulla scrivania e le dita delle mani incrociate tra loro,
gli risponde: «Xander è una mina vagante quando i suoi accessi d’ira prendono
il sopravvento. Nigel, in un certo senso, funge da tranquillante».
Seth
scoppia in una fragorosa risata. «Ecco a cosa serve quell’avvoltoio vestito da
pinguino: è una camomilla!».
Io
e Sebastian ridacchiamo alla sua battuta, mentre William rimane più contenuto.
Solo
gli angoli della sua bocca hanno tremato.
Che
sia l’equivalente di un sorriso? Probabile.
«Comunque
sia, adesso Nigel è lì già da un po’. È strano che non sia già rientrato. Porta
sempre il cellulare satellitare con sé. Avrebbe potuto chiamare Crystal e farsi
teletrasportare, ma ciò non è ancora avvenuto. Mando voi tre a recuperarlo».
Annuiamo
rigidi.
Nigel
è uno dei migliori combattenti che abbia mai visto. Non credo proprio che
qualcuno sia riuscito ad avere la meglio su di lui.
A
meno che non siano stati in tanti.
Scaccio
subito l’idea. Due dei nostri stazionano lì in segreto per salvaguardare la
situazione in caso gli Zver facciano una visitina ai miei familiari.
Ma
sembra che i Cullen non rientrino nel mirino di Andrew e i suoi.
Meglio
così, per noi. Non dobbiamo proteggerli costantemente, anche se l’idea di non
aver più rapporti su quello che accade a Forks non mi lascia ovviamente di buon
umore.
Quando
stiamo per uscire, la voce di William mi blocca sul posto.
«Bella,
vorrei che ti fermassi qui ancora un po’» comincia dire con uno strano timbro
di voce, poi si rivolge a Sebastian e Seth, perentorio. «Da sola».
I
miei compagni annuiscono, non senza lanciarmi occhiate guardinghe. Anch’io come
loro sono sorpresa.
Di
cosa vuole parlarmi che non può dire in pubblico.
Appena
la porta si chiude alle mie spalle, allargo le braccia. «Allora?» domando
fissando la sua imponente ed elegante statura.
William
ha il fascino dell’uomo inglese: educato, di classe, con una grazia innata nei
movimenti persino superiore a quella di un vampiro.
Simile
a un dio pagano, direbbe qualcuno.
«Durante
la mia assenza, mi è giunta una voce piuttosto spiacevole. Non volevo
informarti finché non fossi tornato a casa ed essermi messo in contatto con i
miei a Forks, perciò…»
«Non
ti seguo» lo interrompo, con uno strano presentimento. «È successo qualcosa a
Edward? A mia figlia? Ai Cullen?» domando tutto d’un fiato.
La
testa sembra esplodermi per la quantità di catastrofi che mi trasmette nel giro
di millesimi di secondi.
Forse
Renesmee sta male, le è successo qualcosa o Edward.
No,
non è possibile…
Mi
afferro il capo con entrambe le mani, in preda al panico. Subito un paio di
braccia mi afferrano i polsi, scostandomeli.
Incrocio
lo sguardo affranto di William.
Che
cosa sta leggendo nei miei occhi?
«Non
si tratta di tua figlia, né di Edward o un altro Cullen».
«Allora
Jake…» sussurro, ma lui scuote il capo.
«Si
tratta di tuo padre, Bella» spalanco gli occhi «ha avuto un infarto e ades…».
Non
lo lascio finire che mi ritrovo immediatamente in corridoio.
Sento
le voci di Sebastian e Seth dietro di me, chiamandomi a gran voce. Tutti e due
erano rimasti vicini allo studio ad aspettarmi, ma non posso curarmene ora.
Corro
in direzione della mia stanza. Spalanco la porta e afferro lo zaino con il
passaporto e tutti i documenti che mi servono per partire.
Un
odore familiare giunge alle mie narici.
Sebastian
mi ha raggiunto grazie alla super velocità.
«Si
può sapere che cosa ti ha detto? Sai che in quella stan… Bella!» mi chiama,
notando che non lo sto affatto ascoltando.
Sfreccio
da una parte all’altra della stanza raccogliendo lo stretto indispensabile. Una
mano bianca mi afferra il polso e mi fa voltare.
Gli
occhi color ghiaccio di Sebastian sono duri, determinati.
«Dimmi
subito cosa ti ha detto».
«Seb,
io…» pregandolo con gli occhi di non continuare, ma appena mi accarezza la
guancia, comincio a singhiozzare.
Se
ancora fossi umana, avrei già bagnato tutta la camicetta.
«Ssh.
Shh. Lo risolveremo insieme, ricordi? Qualsiasi cosa capiti l’uno o all’altro,
siamo una squadra, una famiglia».
All’ultima
parola mi stringo a lui, tremando come una foglia.
Dopo
un tempo infinito, i miei singhiozzi si placano, ma la mia angoscia no.
«Adesso
mi dici cosa ti ha riferito di così tragico William?» chiede. «Devo provare ad
indovinare?»
Scuoto
la testa, sospirando. «Si tratta di mio padre, Charlie» appoggio il viso sul
suo petto, «ha avuto un infarto. E quello che più mi fa arrabbiare è che io non
sono stata con lui negli ultimi dieci anni e che probabilmente quello che sto
per fare è la decisione più egoistica che io abbia mai preso».
«E
sarebbe? Sai, mi sembra di sentir parlare tuo marito» sorride, anche se adesso
mi accarezza i capelli per confortarmi.
Sorrido
anch’io, mio malgrado alla battuta, non senza avergli rifilato comunque un
buffetto sulla guancia.
«Andrò
a trovarlo in ospedale e non so quanto tempo resterò lì».
«Non
mi sembra egoista da parte tua» ribatte, probabilmente con le sopracciglia
aggrottate di chi non capisce qualcosa.
Mi
sollevo in piedi, ponendo sulla spalla lo zainetto.
Sebastian
ancora seduto sul pavimento dove io l’avevo trascinato poco prima.
«Sì,
invece. Ho fatto scorrere dieci anni e l’unico modo per farmi uscire allo
scoperto è stato un infarto. Sono o non sono una figlia indegna del suo
affetto?».
Ma
non aspetto una risposta alla mia domanda, sapendo già quale sia.
Mi
fermo davanti la porta, indugiando con lo sguardo sul panorama selvaggio che s’intravede
al di là della finestra.
«Avevo
promesso di non scomparire dalla sua vita. E non l’ho mantenuta» spiego a Seb.
«Scusami,
papà» bisbiglio dopo.