Cercando
normalità
Il funerale fu celebrato due giorni dopo, sotto al
sole cocente delle due. A nessuno di loro interessava il caldo, nemmeno lo
sentivano tanto era forte il dolore. Rimasero tutti uniti, semplicemente in
silenzio, e attesero che un po’ di quella sofferenza passasse.
Gli bastava anche il minimo, giusto quel poco perché
riuscissero ad uscire da quello stato di trance che si era impossessato di loro
e potessero tornare ad una vita pressoché normale.
Axel
aveva deciso di tornare a casa perché pensava che fosse un modo per rispettare
il dolore dei Key. Era un dolore che non gli apparteneva e si sentiva un intruso
a starsene lì impalato come un palo della luce senza far
niente.
Furono giorni difficili soprattutto per la nonna, che
non parlava più e si rifiutava di mangiare. Aveva gli occhi infossati dal pianto
e le mani le tremavano costantemente. I due gemelli temevano in ogni momento una
crisi isterica, un crollo di nervi o una reazione talmente terribile da
lasciarla quasi senza fiato. Si era tenuta tutto dentro, non aveva più aperto
bocca con nessuno dalla morte del marito e non dava segni di volerlo
fare.
“Sai, forse sarebbe meglio
che reagisse” disse una mattina Roxas.
“Sì, penso anche
io. Se continua così esploderà dal dolore” gli dette ragione Sora.
“Esatto. E non credo che il
nonno avrebbe voluto che noi ci chiudessimo nella nostra sofferenza. Siamo in
cinque a piangere per lui, ed è giusto che ci sosteniamo”
“Sì, ma cosa possiamo
fare?
Non possiamo certo andare da lei e scuoterla finché non
parla” esclamò il
castano. L’altro lo fissò,
con un mezzo sorriso sulla faccia.
“Ti ho detto di
no” lo fermò, prima che l’idea si facesse strada in
lui.
“E perché? Tanto vale
provare, giusto?”
“NO!”
Mezz’ora dopo i due erano al piano di sotto, dove la
donna stava seduta a guardare il giardino. Le si misero
accanto e stettero zitti per un po’, scambiandosi occhiate impacciate. Alla fine
fu Roxas a iniziare il discorso.
“Nonna? Mi senti?” la chiamò. Lei non distolse lo sguardo dalla
finestra.
“Nonna, almeno guardami
mentre parlo” le disse dolcemente. La donna posò lo sguardo su di lui,
con gli occhi spenti e grandi.
“Ok, non è una cosa
semplice da dire, ma ci proverò comunque” esordì. Prese fiato, ma lei
ruotò di nuovo la testa verso il prato e poi indicò un punto immaginario che
solo lei vedeva.
“Lì” disse
semplicemente. I nipoti rimasero un attimo
basiti.
“Era lì che si metteva
tutti i giorni quando eravamo da soli e voi eravate a casa, in
città.
Piantava i fiori e poi mi sorrideva, agitando una mano in segno di saluto. Come
si fa quando siamo bambini e si vuol far vedere ai genitori che siamo stati
bravi in qualcosa. È sempre stato lì, in quell’esatto punto,
per gli ultimi trent’anni” spiegò, con le
lacrime agli occhi. Magari
i due ragazzi non avevano fatto nulla, ma dato che lei si apriva era già
qualcosa.
Attesero che continuasse, in religioso
silenzio.
“Sapete, non sono mai
stata sola.
Ho conosciuto vostro nonno quando ero piccolissima, avrò avuto sette anni e lui
dieci o undici, non mi ricordo. Era il figlio di amici di famiglia e ci odiavamo
cordialmente. Non faceva che farmi i dispetti, litigavamo ogni due parole, e non
facevamo che tirarci i capelli e picchiarci nel fango. So che sembra un cliché,
ma è vero, piano, piano quell’odio si trasformò in qualcosa di diverso, di più
bello e dolce. Se lui non c’era io mi sentivo sola e se io non c’ero lui si
sentiva incompleto. Ma non ce lo saremmo detti mai, nemmeno sotto tortura. Poi
un giorno rimanemmo a casa da soli mentre i nostri genitori erano fuori e non
ricordo nemmeno il motivo per il quale noi non eravamo andati con loro. Eravamo
così impacciati e dolci, mentre non riuscivamo a parlare perché eravamo
imbarazzati. Alla fine fu lui a fare il primo passo: ero in piedi in cucina che
sciacquavo un piatto in cui avevo mangiato un pezzo di torta di mele di mamma e
lui mi baciò dolcemente. Io avevo tredici anni, lui pochi di più, e da allora
non ci siamo più separati. E ora io sono sola” concluse, mettendosi a
piangere. Roxas e Sora la abbracciarono e cercarono di
consolarla.
“Non lo sei,
nonna.
Non sei sola” le disse il
castano.
“Non riesco a vivere qui,
ragazzi, proprio non mi è possibile concepire di rimanere in una casa dove ho
così tanti ricordi di lui. Mi risulta
straziante anche solo pensarci”
ammise. Sembrava così
piccola e indifesa.
“Allora vieni a stare da
noi, vieni a vivere in città” suggerì il biondo, scambiandosi un’occhiata
col fratello, che annuì.
“Lì non saresti sola, ci
saremmo sempre noi” confermò.
“Non
posso. Io
non ho mai vissuto in città, non saprei nemmeno da dove iniziare. E poi questa è casa nostra!” si
ribellò debolmente.
“Però proprio tu hai detto
che ti fa soffrire vivere qua”
“Sì, ma andarmene… non lo
so se ne sono capace”
“E allora cosa vuoi
fare?” le domandò Roxas, sedendosi sul tappeto
e fissandola con i suoi occhi celesti come il mare.
“Non lo so, tesoro,
sinceramente non lo so” rispose lei.
“Appunto. E noi, dopodomani, ce ne torniamo a
casa. Vuoi rimanere da sola per i prossimi dieci mesi, se non
di più, visti gli esami?” la
fulminò. Ogni tanto si
rendeva conto di essere inappropriato, ma non riusciva a trovare mezze misure e
non sapeva fare altrimenti.
La nonna lo guardò come se avesse appena ricevuto uno
schiaffo.
“Non… non mi ricordavo
che voi tornaste a casa così presto” balbettò.
“Appunto. Ma non possiamo rientrare a scuola la
settimana prossima sapendo che tu stai così. Quindi ti prego,
vieni con noi” la
implorò.
“Ci penserò, Roxas… ti prometto che ci penserò”
Axel
aveva deciso di fare ai fratelli Key una sottospecie di festa a sorpresa, anche
se, più che una festa, era una cena tra lui, Sora, Larxene, Demyx, la ragazza di Sora
e Roxas. Forse si sarebbero aggiunti anche Luxord e Xion, ma non lo sapeva
con certezza.
In realtà ciò che cercava di fare era solo di far
trovare un po’ di pace e normalità a quei due ragazzi per una sola serata, in
modo che, una volta rientrati a casa, avessero la forza per vincere quella
benedetta gara di skateboard nonostante quello che avevano passato nelle ultime
settimane. Si erano comportati fin troppo bene, più che come due adolescenti
avevano affrontato la cosa da adulti fatti anche se non lo erano e si meritavano
una piccola pausa.
“Ha chiamato Luxord e mi ha detto che viene. Però c’è un
problema” gli disse Larxene mentre finiva di incartare i regali per i
Key. Lui la fissò
scuotendo la testa.
“Strano. Non abbiamo mai
problemi, noi”
commentò.
“Di che si tratta?”
s’informò. Vide la bionda fissare il pavimento
imbarazzata.
“Beh, il fatto è che ieri
parlava con Xigbar, che gli ha domandato cosa facesse
domani sera e lui si è lasciato scappare che veniva qui per la festa di Roxas e Sora. Al che Xigbar gli ha
detto che si univa volentieri se poteva, e logicamente avrebbe portato anche
Xaldin. Luxord ha detto di
sì con la sua solita faccia a schiaffi, ma Xaldin ha
detto che per domani avevano un impegno con Marluxia e
Zexion, e che non possono abbandonarli. Come sai,
Zexion fa scuola da Vexen,
che l’ha saputo e l’ha detto a Laxaeus…”
“Fammi indovinare: Laxaeus era a giro con Xemnas come
sempre quando gli è stato chiesto e ci dobbiamo portare appresso anche
lui”
“E Saix, che si è appiccicato a Xemnas come una cozza allo scoglio” terminò lei. A
quel nome Axel alzò lo sguardo e la guardò
male.
“Saix non ci entra in
casa mia” disse risoluto. Dopo l’esperienza all’ospedale non voleva che
si avvicinasse mai più a lui o a Roxas per i dieci
secoli successivi.
“Lo so, ma come possiamo
fare?
Diciamo a tutto il gruppo di non venire perché tu non ci vuoi uno solo di loro?
Se si arrabbiano hanno ragione” gli fece presente Larxene.
“Ma porca troia, quello ha
molestato il mio ragazzo!” si ribellò lui.
“Sì, ma non puoi chiudere
tutto il mondo fuori per proteggerlo. Stagli semplicemente accanto! Sono sicura che non avrà il coraggio di fare del male a nessuno,
almeno non per il momento e non sotto gli occhi di tutti” lo tranquillizzò la
ragazza.
“Ne sei
certa?”
“Al cento per
cento” confermò. Lui lasciò da parte i pacchetti e si avvicinò a
lei.
“Lo sai che cosa si dice di
coloro che sono sicuri di ciò che dicono?” le
chiese.
“No”
“Ecco, quindi non ripetere
mai più di essere sicura al cento per cento. Chi lo è, è un
imbecille” la informò.
“Sei un bastardo, Axel Flame” lo accusò,
imbronciandosi.
“Lo so, e mi adori per
questo. Ma fidati, dopo quanto è accaduto all’ospedale, non mi posso fidare di
Saix”
“Non ti dico di fidarti,
ti dico solo di non escludere tutti i nostri amici per colpa
sua! Ci sto io con lui, sarò la sua ombra e, se farà qualcosa di
sbagliato, lo prenderò a bastonate nel capo fin quando non morirà” promise. Il ragazzo rise forte.
“Me lo
prometti?”
“Te lo
prometto”
“E allora che festa enorme
sia” concesse lui, con un sospiro.
“Dove andiamo?”
chiese Sora per la duecentesima volta. Kairi era
arrivata a casa loro con la sua bellissima macchina nuova (che si era pagata con
i risparmi di sei mesi di lavoro) e li aveva prelevati senza dire una parola.
Aveva naturalmente chiesto il permesso alla signora Key e poi li aveva bendati,
sorridente.
“Ti giuro che se non smetti
di chiedermelo ti lascio qui” lo minacciò ridendo.
“Gira a sinistra”
le disse una voce di ragazza. I due fratelli sobbalzarono e si guardarono
intorno impauriti.
“Chi altro c’è in questa
macchina oltre a noi?” chiese Roxas.
“Ma come, non mi
riconosci?” rise lei. Sì, era una voce familiare, ma no, non la
riconosceva.
“Sinceramente?”
rispose lui.
“Qui va bene?”
domandò Kairi, imboccando un vialetto un po’
dissestato.
“Sempre dritta per cento
metri, poi siamo arrivati” confermò la voce.
“Dove andiamo?”
tentò di nuovo Sora.
“La vuoi
piantare?
Mi fai venire l’ansia!”
esplose il fratello.
Rimasero tutti zitti per un minuto, poi la rossa spalancò la
bocca.
“Oddio, ma è
quello? Ma è… è gigantesco!”
esclamò. Probabilmente
Roxas fu l’unico a prendere il doppio senso nel
discorso, e si mise a ridacchiare.
“Sì, l’edificio è
quello” annuì l’altra. La macchina si fermò dieci secondi dopo, e le due
ragazze scesero per prendere sottobraccio i fratelli.
“Seguite senza fare
domande” ordinò Kairi.
“Ma…” provò a
ribattere Sora.
“Senza fare domande”
scandì lei per bene, guidandolo nella strada.
Gli altri due rimasero indietro, per libera scelta
del biondo.
“Xion, siamo da Axel, vero?” chiese, sorridendo. La moretta rise
sommessamente.
“Quando l’hai
capito?”
“Quando ho associato la tua
voce al tuo viso” ammise lui.
“Sta’ zitto e fingiti
sorpreso” gli suggerì sottovoce la ragazza, quando entrarono in
casa.
A
entrambi furono tolte le bende e un grido di “Buon compleanno!” si spanse per la
stanza, insieme a coriandoli e stelle filanti. Sobbalzarono nel vedere tanta
gente a quella festa a sorpresa, e risero di felicità.
“Cavolo!” esclamò
Sora, sinceramente colpito. Il rosso si avvicinò a loro
e fece l’occhiolino.
“Un diciottesimo si
festeggia sempre e comunque, non importa con quanto
ritardo. E poi voi due, domani, tornate a casa, quindi questa era l’ultima
occasione per farlo”
disse.
Roxas
aveva gli occhi lucidi di commozione.
“Siete tutti qui… per
noi?” chiese incredulo.
“Io sono qui solo per la
torta” ammise Demyx
ridendo.
“Sta’ zitto, chitarrista da strapazzo” lo prese in giro
Luxord.
Passarono i venti minuti successivi a scartare i
regali, poi si spostarono tutti in giardino, dove avevano mangiato la prima
volta.
“Finché è caldo dobbiamo
usufruirne” spiegò Larxene, con un grosso
sorriso.
Aveva preparato il barbecue con la carbonella e
l’alcool, e Axel si mise lì davanti con la carne per
iniziare a cuocere la cena.
“Sei tu il cuoco di turno?” lo aveva preso in giro
Xemnas.
“Lo sai che amo il
fuoco” aveva risposto lui ridendo.
Erano tutti così tranquilli e rilassati, allegri e
spensierati, che Roxas e Sora per qualche gloriosa ora
si dimenticarono del nonno e dei loro problemi.
Si sedettero a capotavola e si misero a parlare con
gli invitati, ridendo e scherzando con loro fino a quando le lacrime quasi non
gli impedirono di parlare.
“Signori, la cena è
pronta” annunciò il rosso, portando a tavola la
carne.
“Era ora!” esclamò Xigbar,
affamato. Si servirono tutti due volte, finendo completamente la scorta di carne
per ventidue che Larxene aveva preso, lungimirante,
nonostante fossero solo in sedici.
“Quindi domani rientrate?” chiese Marluxia a Roxas.
“Sì, tra pochi giorni
ricomincia la scuola e dobbiamo ancora fare lo shopping annuale per rifornirci
di roba” spiegò.
“Tesoro, se ti serve qualcosa in città chiamami” gli
disse, strizzando l’occhio. Axel rise ma si mise in
mezzo, minaccioso.
“Guarda che lui è
mio” gli fece presente, con un tono minaccioso e divertito allo stesso
tempo.
“Lungi da me l’idea di togliertelo” lo prese in giro
l’altro, ridendo con lui.
Si respirava un’atmosfera tranquilla e rilassata:
tutti erano felici. Il biondo riuscì finalmente a pensare che, piano, piano,
stavano tornando alla normalità nonostante
tutto.