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Autore: fiammah_grace    03/09/2012    4 recensioni
Sebbene tutto fosse finito, quell’insopportabile aria pesante circolava ancora negli appartamenti e nell’intero edificio, inglobato tuttora nel mondo creato dall’assassino Walter Sullivan.
Henry era preparato per una nuova vita lontana South Ashfield. Le valige erano pronte già da un pezzo, in verità, poggiate sul ciglio della porta da giorni. Non che avesse granché da portare con sé, in realtà.
Eppure qualcosa ancora lo legava a quell’appartamento oramai inglobato completamente in quel macabro incubo al quale non sapeva dare nemmeno un nome.
Guardandosi in giro, aveva la pessima sensazione che non fosse in grado si lasciare l’appartamento 302...
...o peggio...
....che oramai non potesse essere più capace di farlo.
Come se, a quel punto, anche lui fosse rimasto incatenato nell’incubo che continuava ad apparire ai suoi occhi, divenendo così egli stesso parte di esso...
Genere: Dark, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Townshend, Un po' tutti, Walter Sullivan
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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CAPITOLO 08




Nessun nome. Nessun ricordo oggi del nome di ieri; del nome d'oggi, domani.
Se il nome è la cosa; se un nome è in noi il concetto d'ogni cosa posta fuori di noi;
e senza nome non si ha il concetto, e la cosa resta in noi come cieca,
non distinta e non definita;
ebbene, questo che portai tra gli uomini ciascuno lo incida, epigrafe funeraria,
sulla fronte di quella immagine con cui gli apparvi, e la lasci in pace non ne parli piú.
Non è altro che questo, epigrafe funeraria, un nome. Conviene ai morti.
(Pirandello)




[L’APPARTAMENTO 302, nel mondo reale]

La stanza da letto era completamente bianca, illuminata da una luce tenue, opaca e candida che proveniva da fuori. Sembrava che il tempo avesse deciso di fermarsi.
Henry era lì a fissare quella luce già da un po’… quasi intimorito. Era come se dall’inferno qualcuno avesse aperto una finestra.
L’aveva guardata a lungo, incapace di ricordare quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che aveva visto la sua casa così.
Alzò la schiena dal materasso e guardò la scrivania, le sue fotografie, l’armadio, il comodino…era tutto in ordine.
Scostò appena il colletto della camicia e toccò sotto il collo, leggermente tremante. Si accorse di non avere alcun segno inciso.
La testa, anche quella non doleva più. E questo gli faceva paura. Da quanto tempo non sentiva quel forte silenzio?
O, forse, semplicemente, da quanto tempo non viveva la vita di Henry Townshend?
Abbassò lo sguardo e si accorse che la sua mente era più leggera. Non pensava per davvero a nulla. Non aveva alcun turbamento in corpo.
O, forse, semplicemente, non viveva la vita di Walter Sullivan.
Si alzò e la sua figura andò a confondersi con la luce che usciva dalla finestra.
Poi aprì la porta e si diresse nel corridoio. Era così bianco e luminoso. Ed era spaventosamente silenzioso.
Alla sua sinistra vide l’ingresso di casa.
Niente più catene. Niente più spioncino gocciolante di sangue. Sulla porta, non vi era alcuna scritta facente: “non uscire!!”  firmata da un tale Walter.
Era tutto come a quel tempo…prima di entrare negli incubi.

Fece per aprire la porta e uscire dall’appartamento. Essa si aprì girando appena il pomello, mentre altra luce penetrava nell’ambiente, accecandolo. Chiuse poi la porta dietro di sé.

[L’APPARTAMENTO 302, nel mondo parallelo]

E' tutto una grande illusione.
E nessuno può sapere…
…quando credi di essere  da solo.
Avverti gli occhi su di te, lì, che guardano dentro.
Appaiono allora delle ombre davanti ai miei occhi.
Dei suoni…un eco irreale. È difficile da spiegare.
È qualcosa, tuttavia, che ho già sentito…

(Cradle of Forest)


Il #302

Le campane continuavano a suonare.
Le pareti rossastre degli appartamenti di South Ashfield non avevano mai smesso di pulsare e puzzare di organico, mentre le campane suonavano, ancora…ancora…ancora…
Henry entrò nel suo appartamento, consapevole del suo ultimo viaggio mentre Walter Sullivan lo richiamava...
La sua figura andò a incrociarsi con il ragazzo di fronte a lui che stava appena uscendo dall’appartamento 302 immacolato. Egli era sempre Henry, ma nessuno dei due poté vedere l’altro.

Un Henry era entrato e un altro Henry era appena uscito, invece?

Henry aprì la porta, girando appena il pomello, mentre il buio tetro entrava nell’ambiente, oscurandolo.

Eppure prima c’era la luce…oppure no?
Era sempre lo stesso posto?
Quale era la realtà?
Quale era il vero Henry?

Egli chiuse poi la porta dietro di sé.
L’appartamento era tutto completamente rosso, opprimente, devastato.
Un mondo corroso era rinchiuso fra quelle quattro mura, ma Henry non ne era più intimorito.
Già da tempo aveva smesso di ricercare un qualsiasi barlume. Era come essersi abituati all’inferno. Dove non esistevano finestre per far luce, e lui aveva imparato a muoversi nel buio.
Era abbastanza sicuro di poter affermare di essere incapace di ricordare quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che aveva visto, nella sua casa, la luce.

Luce e buio. Entrambi possono nascondere.

S’inoltrò guardando distrattamente l’ambiente.
Le catene erano lì, inchiodate sulla porta. Lo spioncino gocciolava sangue. Sulla porta vi era incisa una scritta facente: “Non uscire!!” firmata da un tale Walter.
L’orologio impazziva, le finestre sbattevano, i muri erano increspati, la poltrona era sporca di sangue e ruggine…
Era tutto come ricordava…era tutto come era sempre stato in quella realtà alternativa.
Scostò appena il colletto della camicia e toccò sotto il collo sfregiato, con decisione. Il segno era inciso proprio lì. Il segno 21/21.
La testa, tuttavia non doleva più. E questo oramai non lo turbava. Da quanto tempo non sentiva quel forte turbamento? Eppure prima quel mal di testa era così opprimente..

Forse, semplicemente, aveva cessato di avere mal di testa da quando non viveva più la vita di Henry Townshend.

Dunque cos’è reale: buio pesto o luce accecante?

Guardò dinanzi a sé, mentre nella sua mente echeggiavano delle forti urla di dolore. Era capace di sentirle nitide dentro di sé. Le urla della vita di Walter Sullivan.
Provava quelle orribili sensazioni come se gli appartenessero personalmente, come potesse provare sulla sua stessa pelle quel dolore. Il suo stesso corpo reagiva di conseguenza scavandosi sempre di più, delineando delle impronte di sangue scavate, cicatrizzate, profonde, eppure inspiegabilmente fresche..

S’inoltrò nel buio del corridoio sparendo nell’oscurità più completa che andò ad avvolgerlo sinistramente, mentre faceva per raggiungere la stanza murata in fondo.
Era così buio, grottesco e di un rosso accecante. Ed era tutto spaventosamente vero e vivo.

Non sono reali le tenebre. Questo perchè il buio nasconde. Non è reale la luce. Questo perchè può render ciechi.
Forse, semplicemente, non esiste un qualcosa di reale. O magari è tutto il contrario. Tutto è reale. Anche quell’inferno.
Reale è un concetto. Reale è l’aggettivo che diamo a ciò che è davanti ai nostri occhi.

Henry strinse gli occhi non appena entrò nel magazzino murato.
Puzzava ancora terribilmente.
Vide gli arnesi adoperati da Walter Sullivan all’epoca: una coppa d’ossidiana, l’olio bianco, il tomo cremisi e il libro delle memorie perdute del culto.
Era tutti ancora lì, sul quel tavolino sporco, assieme ad una sega e ad un’ingente quantità di croste di sangue maleodoranti.
Proprio di fronte al tavolino, vi era una cella frigorifera di mezzo metro nella quale erano conservate dieci buste di sangue. A fianco, invece c’era un’enorme croce capovolta, dove un tempo vi era il corpo dell’uomo 11/21. Ovvero Walter Sullivan.
Quel corpo ora non esisteva più, perché era servito per completare i ventuno sacramenti. Era servito ad Henry stesso per ucciderlo definitivamente.

“Mamma non si sveglia per colpa tua?”

Una voce infantile attirò l’attenzione del ragazzo.
Henry si girò e vide che alle sue spalle era apparso Walter Sullivan bambino. Era un po’ rannicchiato su se stesso e non lo guardava in faccia. Stringeva un libro consumato fra le mani.

“…è così?” chiese nuovamente lui.

Henry scosse la testa.

“Lo sai che non è così.”

Il moro si avvicinò a lui. Si chinò poggiando le mani sulle ginocchia. Vide il piccolo Walter tremare, come inquietato da quel fetido e sinistro ambiente. Era come se non riuscisse a rimanere lì dentro. La sua paura e la sua angoscia erano talmente evidenti che Henry riusciva ad avvertirle anche solo guardandolo.
Così sussurrò appena al ragazzino.

“Hai paura?”

Il bambino annuì.

“Mamma mi verrà a prendere.”

Detto questo, lo vide poggiare a terra il libro consumato ed andare via.
Henry questa volta non lo inseguì. Invece prese il libro fra le mani e cominciò a sfogliarlo.
Presto lo riconobbe nella  favola che trovò sul tavolo di casa del suo appartamento del passato. Quello di Joseph Schreiber.

“C'era una volta un bambino
collegato alla sua mamma attraverso un magico cordone.
Ma un giorno il cordone fu reciso, e la madre cadde in un sonno profondo.

Il bambino rimase tutto solo.

Ma il bambino fece molti amici nella Wish House e tutti erano molto gentili con lui.

Il bambino era felice.

I suoi amici gli dissero come svegliare la sua mamma.
Così il bambino andò subito a cercare di svegliarla.
Ma la mamma non si svegliava. Per quanto lui provasse, lei proprio non si svegliava.
Questo perché in realtà quello che lui stava cercando di destare era il Diavolo.

Il bambino era stato ingannato.
Povero bambino.”

(Parte del documento trovato nell’appartamento 302 del passato)

Chiuse il libro. Quel libro da dove proveniva? Perchè lo teneva Walter Sullivan?
L’inconscio di Walter lo aveva donato a lui e poi era fuggito via, come se non potesse leggerlo.
Il bambino lo aveva stretto a sé gelosamente, ma non lo aveva mai aperto.

“Il bambino era stato ingannato.
Povero bambino.”

Henry chinò il capo, comprendendo bene il perché di quell’atteggiamento.

“Sei tu l’autore di quella favola…e un autore conosce sempre il finale della sua storia.” disse.

Henry lo avvertiva.
Walter sapeva perfettamente, in una parte dentro di sé, che tuttavia non apriva mai, di essere stato ingannato.
Walter conosceva la vera origine della sua insofferenza. Sapeva benissimo perché non faceva altro che piangere. Egli…piangeva il suo terribile destino.
Il terribile destino di chi non può, in realtà, far nulla per cambiare le sue sorti.
Perché lui lo sapeva. Sua madre non sarebbe mai tornata. Lui non avrebbe mai visto quel mondo di pace che il culto descriveva.
Anche attuando il rituale…lui aveva sempre e solo ambito al grembo materno, per ritrovare l’amore a lui negato nella vita.   
Tuttavia Walter, in una parte dentro di sé, era consapevole di non poter essere felice.

Henry poggiò a terra il libro. Si guardò attorno.

“Tu sei l’autore di questa storia, Walter.”

Sentì, in quel momento, l’incubo richiamarlo a gran voce. Le manifestazioni della casa, simbolo dei tormenti di Walter Sullivan, si fecero più forti.

“Tu sei l’autore di questi mostri…”

Osservò la coppa, l’ampolla, i due libri del culto.

“Tu però continui ad ingannarti.”

Il culto non gli avrebbe mai restituito sua Madre.

…mia carissima Madre.

Ma del resto…Egli cosa ne poteva sapere di sua madre?
Cosa ne poteva sapere di suo padre?
Era solo un bambino in fasce a quel tempo.
E un bambino che cosa ne poteva mai sapere di loro?
Chi erano?
Perché avrebbe dovuto essere felice con loro?

Sei io fossi morto, tu non avresti mai sofferto per me.
Tu non mi sentirai mai dire:
‘Mi dispiace’
E se da qualche parte stessi piangendo?
Dov'è la luce?
Non c’è più niente che puoi fare, adesso…

Walter, sua madre non l’aveva potuta conoscere. E mai avrebbe avuto la possibilità di farlo.

…mia carissima Madre.
Addio.
Sei sempre stato ciò che ho disprezzato.
Non mi sono mai sentito abbastanza per te, per piangere.
Oh, beh...
Il dolce canto ora ti fa chiudere gli occhi...
Addio.

(Room of Angels)

Ai piedi della croce, allora, apparve l’orma nera. Quella che conduceva nel ventre della Madre. Nel posto dove Lui sarebbe rinato.
Henry fissò quell’orma che sembrava chiamarlo, volerlo….
Allora s’immerse e sparì nello stesso istante in cui saltò.




[???: DA QUALCHE PARTE OLTRE L’ORMA NEL MAGAZZINO MURATO DELL’APPARTAMENTO #302]

Era buio. O forse…più che buio, non c’era semplicemente niente in quel luogo. Definirlo un luogo era, quindi, appropriato?
Henry, quando riaprì occhi, vide solamente nero attorno a sé.
Solo una luce, una lampada, oscillava lentamente proprio sopra la sua testa.
Egli era seduto su una sedia, con il capo chino e una terribile fiacchezza in corpo.
Un’ombra si proiettò sul suo corpo. Un’ombra che attirò la sua attenzione e lo costrinse ad alzare il viso.

Di fronte a lui vi era l’assassino biondo, appeso in aria con una catena arrugginita sulla schiena, avvolto in un panno sporco, che lo serrava come una camicia di forza lungo tutto il corpo. Solo la testa era lasciata libera, e guardava Henry incessantemente.
Sembra un fagotto, dimenticato e abbandonato.
Henry lo osservò corrucciando appena il viso, mentre la luce sopra di lui lo accecava non permettendogli di vederlo perfettamente.
Vide dopo un po’ Walter muovere le sue labbra, rivolgendogli un sorriso malinconico.

“Ora lo sai?” gli chiese con voce bassa.

“Cosa devo sapere?” rispose Henry non comprendendo quella domanda.

“Ora sai perché non sei più capace di abbandonare il tuo appartamento?”

Henry abbassò il capo e sorrise.

“Il significato di quei richiami in questo mondo?” gli chiese. Rise poi velatamente. “Si…lo so.”

Si azzittirono tutti e due.
Erano l’uno di fronte l’altro. Walter Sullivan e l’ultimo segno dei ventuno sacramenti.
Henry toccò nuovamente il marchio sotto il suo collo. Il marchio 21/21. Si sentì strano…
Sapeva fin dal principio che il giorno in cui l’avrebbe ammesso a se stesso, sarebbe stato condannato definitivamente dalla follia. Invece era lì e sorrideva. Quasi gli scappava da ridere.
Di cosa aveva avuto paura? Perché aveva indugiato tanto? Henry, dopotutto, sapeva da sempre la risposta.

“Quindi tu lo sai?”

Walter richiamò la sua attenzione. Lo guardava beffardamente. Eppure sembrava sinceramente curioso. Henry allora alzò nuovamente il capo e lo guardò. I loro occhi verdi andarono ad incrociarsi senza timore.

“Accade perché io faccio parte del tuo inferno. Io…”

Le parole gli si strozzarono in bocca.

Io…

Sono io stesso un’ombra di questo regno macchiato di sangue.
Sono io stesso un segno. Un simbolo di questo mondo.
Una parte di me è morta nel momento nel quale ha messo piede in questo appartamento.

Una parte di me…muore qui.
Una parte di me…vive qui.

Vive qui…
…finché vive Lui.


Henry guardò Walter.  

“Io sono morto..?”

“Non lo so.”

Henry si fece confuso, poi sospirò appena.

“Lo immaginavo.”

Walter a quel puntò rivolse nuovamente gli occhi al ragazzo.

“Avrei anche io una domanda per te, Henry.”

Henry s’incuriosì e lasciò che Walter parlasse. Sgranò gli occhi quando vide che l’uomo aveva un’espressione questa volta affranta, turbata.
Sbandò quando, davanti a lui, il corpo di Walter si eclissò e al suo posto apparve il bambino dai capelli biondi.

“Sai, invece, dirmi perché io non sono capace di abbandonare questo appartamento?”

Il bambino prese a piangere e le lacrime caddero sul viso di Henry.
La luce sopra di Henry a quel punto si spense e anche lui non fu più capace di ricordare cosa accadde poi.

[???: DA QUALCHE PARTE OLTRE L’ORMA NEL MAGAZZINO MURATO DELL’APPARTAMENTO #302]

“Mamma…”

Henry sussurrò debolmente, mentre galleggiava sospeso nell’aria. Aveva la mente vuota, libera da ogni pensiero.

Si sentiva bene.

“Mamma…”

Strinse le gambe tra le braccia. I suoi occhi erano chiusi. Sentiva uno stato di benessere mai provato in vita sua.

Avrebbe dato qualunque cosa per rimanere così per sempre…

Lì, le porte del tempo erano spalancate. Henry sentiva finalmente di…

…di potersi addormentare felice.

Il suo desiderio, infondo. Era sempre stato solo e soltanto quello.

Desiderava ardentemente tornare da lei. Nel suo grembo.
Nell’appartamento #302.

Allora aprì debolmente gli occhi, rendendosi conto di galleggiare.
L’incanto di colpo svanì e Henry, lentamente, poggiò i piedi a terra.

Madre…Addio…


Sentì le gambe pesanti mentre queste si abituavano a riprendere l’equilibrio sul pavimento.
Guardò attorno a sé, accorgendosi di essere in un luogo strano da descrivere in maniera umanamente concepibile.
Era una stanza circolare, avvolta da una densa nebbia rossa. Sembrava allontanasse Henry da qualsiasi altra cosa presente nel resto del mondo. Senza averne la certezza, sentiva come se, finché fosse rimasto lì, nulla avrebbe potuto fargli del male.
Portò le mani di fronte al viso e le guardò, leggermente turbato.

“Mamma..?” disse.

Henry allora avvertì un forte desiderio mai provato prima. Il desiderio intrinseco di Walter Sullivan di tornare al tempo in cui era felice con sua madre. Il tempo in cui lei lo aveva cresciuto dentro di sé.
Subito si guardò attorno, frastornato.

Egli…quindi…dove si trovava esattamente?

In quel momento le dieci luci, poste lungo tutto il muro della stanza circolare, s‘ illuminarono accecandolo. Si accorse che sui muri vi erano delle orme rosse che prima non aveva notato.

“Cosa…diavolo?” disse, mentre si avvicinava e notava qualcosa di sconcertante.

Quelle orme avevano un aspetto umano. Sebbene essenziali e senza alcun connotato specifico, raffiguravano senza alcun dubbio delle persone.
Ai piedi di ogni orma vi era una targa. Henry le prese a leggere.

#01/21 - JIMMY STONE: Il Re che creò l’inganno a Dio.
#02/21 - BOBBY RANDOLF: L’uomo che voleva incontrare il Diavolo.
#03/21 - SEIN MARTIN: L’uomo che volle conoscere dove incontrare la Santa Madre.
#04/21 - STEVE GARLAND: Il cieco che non riconobbe davanti a sé Dio.
#05/21 - RICK ALBERT: Colui che osò comandare al suo padrone.
#06/21 - GEORGE ROSTEN: L’uomo che iniziò Dio alla Santa Madre.
#07/21 - BILLY LOCANE: Colui il quale fu purificato dal peccato.
#08/21 - MIRIAM LOCANE: Colei che non va divisa da colui cui Dio l’ha unita.
#09/21 - WILLIAM GREGORY: L’uomo che poteva vedere Dio ma non poteva sapere chi fosse.
#10/21 - ERIC WALSH: L’uomo che tentò di fuggire dall'occhio di Dio.

In tutti questi…l’orma rossa era scura meno che sul torace.

“I dieci cuori…” sussurrò Henry.

Continuò a leggere, girando attorno alla stanza circolare.

#11/21 - ASSUNZIONE: Dio che morì e risorse nel cielo.
#12/21 - PETER WALLS: L’uomo spento da una falsa felicità.
#13/21 - SHARON BLAKE: Colei che entrò nella tana del Diavolo.
#14/21 - TOBY ARCHBOLT: La bestia mascherata.
#15/21 - JOSEPH SCHREIBER: L’uomo soffocato dalla conoscenza.
#16/21 - CYNTHIA VELASQUEZ: Colei che respinse la mano tesa di Dio.
#17/21 - JASPER GEIN: L’uomo che alla fine vide il Diavolo.
#18/21 - IL MAIALE GRASSO: Il maiale punito da Dio.
#19/21 - RICHARD BRAINTREE: L’uomo che rinnega la Santa Madre e vaga nel caos.

Gli ultimi due avevano una placca, ma senza nome. Le loro ombre erano meno rosse delle altre e anzi, si percepivano appena.

#20/21 -                  : La Madre della Madre. Alla sinistra di Dio.
#21/21 -                  : Colui che riceve la saggezza di Dio. Alla destra di Dio.

Vi dovevano essere i nomi di Henry ed Eileen in quegli spazi vuoti..?
Guardò intensamente quelle parole.
Era impressionante pensare che in quelle targhe fossero stati destinati ad esserci il suo nome e quello della sua vicina.
Socchiuse gli occhi e in quel momento il viso prese a bruciare.
Era giunto il momento di finirla.

Mentre era lì avvolto nel silenzio, un lieve sibilo attirò la sua attenzione.
Si voltò e vide che ai suoi piedi era apparso un enorme varco scuro. Era gigantesco.
Nel guardarlo, Henry aveva come l’impressione che, una volta entrato, non sarebbe più tornato indietro.
Ma oramai non gli interessava più, perché lui stesso voleva andare fino in fondo. Era giunto il momento di fare i conti con Walter Sullivan.
Egli era lì sotto. Lo sapeva. Lo sentiva.

[???: DA QUALCHE PARTE OLTRE L’ORMA NEL MAGAZZINO MURATO DELL’APPARTAMENTO #302]

Il suo appartamento era stato teatro di immensi scenari.
Era strano credere che in verità, Henry non aveva fatto altro che attraversare varchi o saltare voragini.
Egli aveva viaggiato a lungo in passato, quando Joseph Schreiber mostrò a lui l’unica possibilità di salvezza.
Ovvero raggiungere la parte più profonda di Lui.
Ora era nuovamente lì. Con nuove consapevolezze. Di fronte Walter Sullivan. Nell’ultima tappa del suo viaggio.

Si trovava un ambiente circolare, oramai annerito e corroso. Era come morto.
Un’enorme vasca colma di sangue era al centro della stanza, ove era immerso un inquietante meccanismo rotondo.
A quel tempo, quando Henry rischiò di essere ucciso da Walter, quel marchingegno girava vorticosamente, smuovendo quell’ingente quantità di liquido organico.
Ora invece era immobile e sembrava spento.
Anche il demone gigante dalla pelle cadente era sparito.
Tutto sembrava inanimato, a differenza di quel tempo. Eppure era proprio lì dove Walter stava per portare a termine i ventuno sacramenti.

“Benvenuto, Henry.”

L’ambiente rese molto altisonante quella voce, che echeggiò vorticosamente in tutta la camera circolare. Henry si voltò e il suo sguardo si posò sulle scale in pietra poste in alto. Esse costituivano il passaggio che conduceva direttamente nel liquido rosso.
Un tempo Eileen stessa aveva rischiato di finirci dentro, morendo sotto quell’orrido meccanismo adesso spento.
Henry alzò il viso verso quella struttura, fino ad incrociare finalmente gli occhi di Walter Sullivan.
Egli era in cima alla scalinata in pietra, e lo guardava sorridendo malignamente.
Lo vide aprire la zip della giacca e fare per estrarre una pistola automatica, mentre prese a scendere la scalinata.
I due si guardarono incessantemente in silenzio. Henry serioso, Walter quasi beffardo. In entrambi s’intravedeva l’ira nei loro occhi.

“Sono felice di vederti…vivo, Henry.”

Walter si pronunciò, ridendo. Guardò il collo di Henry e lesse quei numeri rossastri lì incisi quasi deliziato.
Henry aggrottò le sopracciglia e continuò ad osservarlo severamente. L’uomo biondo rise ancora, quasi sembrava trattenersi a stento.

“Ti avevo già detto che io non potevo morire. Tuttavia questo avrebbe dovuto farti comprendere anche qualcosa su di te. Hai paura, adesso?”

Henry non si lasciò turbare da quegli occhi violenti e curiosi.
Anzi, lo guardò in silenzio non rispondendolo nemmeno. Sullivan a quel punto sogghignò di nuovo, poi saltò dalla scalinata, un lancio non indifferente in verità, e fu subito di fronte ad Henry.

“Henry Townshend. Il segno finale.”

Walter lo squadrò dalla testa ai piedi, poi allargò le braccia mostrando l’ambiente.

“Questo stage è creato apposta per te. Grazie al tuo sacrificio, la Madre rivivrà e sul mondo scenderà un regno di pace, lontano dal peccato. Il segno finale doveva essere lo spettatore capace di comprendere le grandezze di Dio, prendendo coscienza delle sue azioni e del suo destino.” gli puntò l’indice contro. “In verità, la sorte della ventunesima vittima è la mia preferita. Dovresti esserne onorato. Ti ha permesso di vedere più vicino di tutti gli altri Dio!”

La voce di Walter echeggiò sonoramente, mentre Henry, al contrario, lo guardava con enorme disapprovo. Guardandosi attorno, vedeva tutto immobile, corroso, come potesse crollare da un momento all’altro. I ventuno sacramenti erano stati scongiurati, possibile che Walter non se ne fosse accorto?
Schiuse dunque le labbra e parlò con voce bassa e ferma.

“Tu parli di Dio, ma sei sicuro che Dio sia vicino a te, in questo momento?”

Walter corrucciò le sopracciglia guardandolo beffardamente, mentre Henry intanto continuò il discorso.

“Hai agito secondo il volere del tuo Dio. Tuttavia egli ha punito anche te, generando questo mondo contorto. Guardati attorno.” Henry mostrò a lui l’ambiente malsano che li circondava. “Credi che è questo ciò che genererebbe un Dio magnanime? Piuttosto sembra l’inferno. E Walter, tu lo sai…”

Walter solo allora smise di sorridere. I loro occhi si incrociarono vitrei.

“…tu sei in questo inferno con me.” concluse freddo Henry.

Il biondo lo guardò immobile per diverso tempo. Era di fronte a lui e sembrava riuscire a trafiggerlo con un solo sguardo. Lo vide poi sospirare.

“…inferno, dici? Ti compatisco. Comunque non arriverai mai a conoscere la Santa Madre, perché presto sarai morto.”

Il ragazzo dai capelli scuri scosse la testa, non potendo credere alle sue orecchie.

“Walter, tu sei morto! Io sono…morto. O sono vivo?” Henry abbassò il capo. “Io non so più cosa sono.”

Walter s’incuriosì di quelle parole. Un suo momento di umanità, forse? Sembrava voler comprendere i sentimenti confusi del ragazzo, che ancora accettava a stento la sua sorte contorta. Quella di essere anch’egli una traccia di quel mondo.
Henry intanto riprese parola.

“So solo che io ti ucciderò. Poi sarai tu ad uccidermi, e dopo perirò di nuovo…e così andrà avanti ancora e ancora senza alcuna finalità. Non te ne rendi conto?”

Il biondo sogghignò davanti a quelle parole.

“Lo so.” rispose, al di là di ogni aspettativa. Stesso Henry se ne sorprese, infatti sgranò gli occhi confuso. Walter gli si avvicinò guardandolo divertito. “Ma ho sempre desiderato vedere cosa si provasse nell’uccidere anche te.”

Corse e colpì violentemente Henry con una robusta mazza di legno.
Henry fu ferito al fianco e il dolore che provò in quell’istante fu lancinante. Si resse in piedi quasi a stento. Non si era nemmeno accorto che egli avesse una mazza in mano.
Del resto, quello era il suo mondo, quello di Sullivan. Egli poteva giocare il gioco che preferiva lì.
Il moro portò una mano sul fianco lesionato e guardò Walter, mentre lo vedeva roteare la mazza che brandiva in mano con nonchalance.

“Il ventunesimo sacramento. Il ricevitore di Saggezza.” gli puntò l’asta contro, indicandolo. “Dovevi conoscere, per questo sei rimasto bloccato nell’appartamento fino a tempo debito. Anche un idiota ci sarebbe arrivato. Ma non era importante che tu capissi. Dovevi solo essere pronto quando io sarei venuto a prenderti. E invece…”

Lo guardò con odio. L’odio verso chi gli aveva impedito di realizzare i ventuno sacramenti.
Henry sbandò quando lo vide aizzarsi nuovamente contro di lui, così fece per brandire la sua pistola e mirarlo.
Tuttavia, quando premette il grilletto, una forte fitta lo trafisse nel cervello.
Era come se, facendo del male a lui, facesse del male anche se stesso. Inevitabilmente, ora le loro anime erano connesse.

“Ah!!” urlò, piegandosi a terra.

Provò a premere nuovamente il grilletto, ma questo gli provocò un’altra fitta.
Walter intanto prese a guardarlo con forte disprezzo.

“Dieci anni…” chinò il capo lasciando che parte dei capelli biondi gli coprissero il viso scavato. “Sono dieci anni che preparo i quattro segni dell’ascesa della Santa Madre. E tutto è stato interrotto…da un insignificante insetto come te?”

Parlò con veemenza e sembrò quasi perdere il controllo. Più si lasciava andare, tuttavia, più il dolore di Henry sembrava aumentare.

“Ho preparato il mio corpo a tutto questo! Dio mi ha dato il potere! Lui mi ama, non mi condanna! Questo è il mio regno, non la mia prigione! Io sono stato scelto! Io…” urlò. “Sono morto dieci anni fa per fare tutto questo!”

Gli occhi verdi di Walter ed Henry si andarono ad incrociare.
Quelli di Walter colmi di rancore, quelli di Henry accecati dal dolore causato dallo stesso uomo che lo stava guardando.
Improvvisamente tutto si fece buio.
I sentimenti laceranti di Walter Sullivan lo condussero in un luogo non ben definito, dove fu di nuovo spettatore delle vicende della sua vita.

***

[SOGNO I - CORRIDOIO DEL TERZO PIANO, ALA OVEST. South Ashfield Heights]

Oggi ho fatto quello strano sogno.
Quello con l'uomo con i capelli lunghi ed il cappotto. Stava di nuovo piangendo e cercando sua madre.
Vidi quell'uomo con il cappotto 10 anni fa in questo palazzo. Stava salendo le scale e portava un arnese pesante, una vecchia coppa ed una busta che perdeva sangue.
Poi non l'ho più visto. Ma qualche giorno più tardi i vicini si lamentarono di alcuni strani rumori provenienti dall'appartamento 302, che sarebbe dovuto essere vuoto. Diedi un'occhiata nell'appartamento 302 e trovai tracce che qualcuno c'era stato, ma niente altro. Fu allora che tutto cominciò. Ancora li sento quei strani rumori che provengono dalla finestra 302.
Sunderland

(Il diario di Frank Sunderland. Trovato alla fine della via verso
la parte profonda di Lui. Di fronte la porta #302 del passato)

Henry aprì gli occhi, sorpreso di non provare più dolore. Si ritrovò sdraiato su un pavimento bianco, freddo. Subito si alzò, riconoscendo quel posto.

“Gli appartamenti di South Ashfield Heights?” si girò attorno e costatò che era proprio così. Il suo viso si fece perplesso. “Come è possibile?”

Si alzò e si chiese che fine avesse fatto Walter Sullivan. Ricordava solo quell’incredibile mal di testa che era aumentato quando Walter aveva cominciato a inveire contro di lui.
Più aveva parlato con rabbia e più Henry…aveva provato dolore. Il dolore che Henry aveva avvertito, dunque, era lo stesso che covava in corpo Walter?

Chinò il capo verso il pavimento e fu allora che notò una striscia rossa.

“Nh?”

Guardò quel color rosso vivo, che sembrava indicargli una direzione da seguire.
Girò l’angolo e inorridì quando vide che le macchie di sangue, assurdamente fresche, andavano ad aumentare proprio nelle vicinanze del suo appartamento, il #302.

All’improvviso vide qualcosa di non ben definito muoversi, come fosse una sorta di ombra.
Henry dovette strizzare gli occhi più volte per capire bene che accidenti fosse. Per quanto si sforzasse, s’intravedeva a stento. Si accorse poi che quell’ombra era proprio Walter Sullivan.
Era quasi invisibile, di lui si delineavano appena i contorni.
Henry si accorse che era lui che aveva gocciolato a terra quel putrido liquido rosso. Egli infatti portava con sé un grande busta, ed era quella a perdere sangue.
Lo vide aprire una porta, anch’essa invisibile, meno che i contorni. Questa, comunque, gli permise di accedere alla stanza #302 senza alcuno sforzo.
L’ombra a quel punto svanì ed Henry si avvicinò. Fu per la prima volta che notò di fronte al suo appartamento un qualcosa cui non aveva fatto mai caso.

“Mani..?”

Si vedevano a stento, ma erano proprio delle rosse impronte umane.
Contandole, Henry costatò che fossero diciannove. Anzi, venti, visto che, sebbene molto opaca, vi era un’altra orma vicino la diciannovesima.
Quasi venti impronte di mani sul muro di fronte casa sua.
A Henry ci volle poco per capire che fossero anch’elle un marchio lasciato dal rituale di Sullivan.
Sapeva anche, quindi, che quelle mani in totale avrebbero dovuto essere ventuno.

Fece poi per aprire la porta, ma un’energia gli impedì di toccarla.

“Cosa diavolo?”

Non riusciva ad afferrare il pomello. Fu allora che l’ansia cominciò ad assalirlo.
Henry…cos’era diventato, ora? Era un fantasma anche lui?

Io…

Sono io stesso un’ombra di questo regno macchiato di sangue.
Sono io stesso un segno. Un simbolo di questo mondo.
Una parte di me è morta nel momento nel quale ha messo piede in questo appartamento.

Una parte di me…muore qui.
Una parte di me…vive qui.

Vive qui…
…finché vive Lui.

Calò lo sguardo. Erano delle parole sorte nella sua mente come se già lo sapesse. Come se ne fosse stato sempre cosciente, in verità.
Questo significava che lui era morto? Era vivo? Cos’era adesso? Non poteva semplicemente più…tornare a casa?

Alzò gli occhi verso l’appartamento maledetto.
A quel punto, visto che non poteva far altro che seguire Sullivan, fece per aprire la porta invisibile che egli aveva aperto precedentemente. Tuttavia anche lui in qualche modo la percepiva.
Essa s’intravedeva a stento proprio sovrapposta alla porta #302.
Quella era la porta dell’appartamento alternativo.
Sebbene non la vedesse bene, fece per afferrare il pomello, che in teoria avrebbe dovuto essere poco più avanti del pomello della porta del mondo ‘reale’.

“!”

C’era effettivamente qualcosa. Henry girò con un movimento del polso e un rumore meccanico gli fece capire di aver aperto quella porta. Si addentrò con fare cauto e leggermente incerto.
Dall’ “otherworld”, entrò nella “realtà” esattamente come faceva Walter Sullivan all’epoca, quando commetteva i suoi omicidi. Senza chiavi, senza lasciare alcun indizio, come fosse un fantasma.
Si ritrovò nell’appartamento infestato.
Sentì dei rumori provenire in fondo al corridoio. Si affacciò fino a raggiungere la porta murata, che poté attraversare come se Henry non fosse più fatto di materia.
Si mise di spalle alla scaffalatura proprio lì di fronte e scrutò Walter Sullivan intento a frugare sul tavolo.
Strano pensare che, quel che stava vedendo, fosse accaduto molto tempo prima del suo trasferimento a South Ashfield.
Walter aveva uno sguardo a dir poco malato. Non che non fosse sempre così. Ma Henry si sentì turbato nel vederlo in quello stato.
Nonostante fosse oscurato dalle tenebre, poteva vedere perfettamente il viso scavato e l’espressione sul suo volto eccitata; ossessionata da ciò che stava compiendo.

“Il rito, il rito. Presto comincerà, presto..!”

Ripeteva in modo martellante quelle parole. Tuttavia nei suoi occhi s’intravedeva dell’esitazione.
Il cadavere era già posto alle spalle di Walter, ed Henry lo vide avvicinarsi ad esso per nascondere le chiavi dell’appartamento nel taschino della giacca.

Sul muro vi era un grosso mostro dalle sembianze umane, dalla pelle scarlatta, che girava ininterrottamente una valvola rossa.

A quel punto vide Walter bloccarsi.
Il suo sorriso sparì e, credendo di essere completamente da solo, assunse un’espressione più umana.
Henry si sorprese di vederlo con un’espressione simile.
Il biondo guardava, quasi tremante, il suo stesso corpo morto. Lo toccò sfiorandolo appena, come se volesse egli stesso donare un gesto gentile a quell’uomo che aveva tanto sofferto nella vita terrena.

“Mio caro fu Walter Sullivan.” sospirò. “Ora le tue pene non esistono più. Per quanto dolorose fossero, ora puoi finalmente cessare di vivere. Tocca a me ora dannare la mia eternità e portare ad adempimento anche il terzo ed il quarto segno.”

Walter aveva usato per davvero la parola ‘dannare’? Egli…era conscio del significato dell’otherworld?

Il mostro dalle sembianze umane, intanto, continuava a girare ininterrottamente la valvola rossa.
Il rumore di quella valvola rugginosa era terribile da sopportare.

Henry osservò quel mostro. Si chiese se non fosse lui quel demone-vassallo Valtiel.

Egli intanto rimaneva attaccato al muro e continuava a girare, girare, girare…

Walter riprese le preparazioni del rito. Tuttavia i suoi occhi sembravano ancora spaventati.

“Sono morto per te, Madre! Ho ucciso me stesso e ora…accogli questo tuo figlio. Io creo questo mondo unicamente per te!”

Walter sembrava scosso. Più si ostinava per l’attuazione del rituale, più sembrava, paradossalmente, crollare.

“Sarà tutto perfetto, Santa Madre.”

Egli stesso sentì qualcosa dentro di sé vacillare. Forse perché ancora scosso per la sua morte.
Anch’egli non riusciva a reggere il mondo alternativo?
Henry aveva il presentimento che Walter si stesse già rendendo conto che quel mondo non era ciò che si aspettava.
Si era già accorto che ciò aveva creato era l’inferno, il quale gli si era ritorco contro, mostrandogli i demoni del suo passato in maniera cruda, sferzante.
Eppure era lì, che incessantemente terminava di preparare il rituale della sacra assunzione.
Mentre rimase ad osservare la scena provando persino pietà per lui, tutto divenne sfocato e lentamente, senza neanche  accorgersene, quel ‘sogno’ finì.

***

[???: DA QUALCHE PARTE OLTRE L’ORMA NEL MAGAZZINO MURATO DELL’APPARTAMENTO #302]

“C-cosa?!”

Henry si ritrovò immediatamente, dopo quella visione, nel luogo dove si stava dando battaglia con Walter.
La stanza #302 si era eclissata davanti ai suoi occhi in un attimo, trascinandolo nuovamente lì.
Walter era di nuovo di fronte a lui e toccava il capo dolorante.

“Argh..!!”

Henry sgranò gli occhi, sorpreso.
Anche lui aveva avuto quella visione?

In quel momento, l’intero edificò mutò. Tutto si tinse di rosso. Le pareti cominciarono a pulsare. Il meccanismo posto al centro della stanza circolare prese a muoversi vorticosamente.
Henry assisté a tutto quello impotente.
Guardò Walter che era ancora dolorante a terra, mentre si inarcava con la schiena riuscendo a stento a reggere quella sofferenza.

“T-tu…” disse con aria frastornata e gli occhi colmi di rabbia. In quel momento, sulla sua mano, apparve una motosega arrugginita. Henry indietreggiò a quella visione.
Walter intanto continuò a parlare, tenendo una mano sulla fronte e una sull’arma, cercando di ignorare il dolore.

“Quegli ignobili! Quei putridi! Bestie! E non fissarmi in quel modo, Henry! Io mi sono vendicato! Sono stato stesso io a punirli!”

Henry corrucciò il viso mentre lo vide inveire contro di lui.

“Loro e quella schifosa macchina della morte! Ah, padre Rosten. Padre Stone. Il porco... sono tutti stati giustiziati. È stato fantastico condannarli con le mie stesse mani. Ovvio che io sapessi che a loro serviva che io attuassi il rito.”

Walter prese a sogghignare. Il suo viso sudato e i suoi movimenti instabili fecero comprendere al ragazzo che provava ancora dolore.
Henry provò a parlargli.

“Sei…consapevole di quel che ti è accaduto nel culto?” gli chiese con fare incerto.

“Alla Wish House avevo già pronta la mia vendetta, cosa credi? Insulsi! Ingannatori! Che misera fine che hanno fatto poi, eh? Lo hai visto tu, infondo. E dire che mi hanno fornito stesso loro le armi che avrei utilizzato per massacrarli!”

Walter, a quel punto, accese la motosega e corse verso Henry. Il ragazzo riuscì fortunatamente ad allontanarsi prima di essere decapitato, tuttavia il suo viso fu colpito violentemente.

“Aaah!”

Urlò, sentendosi bruciare gli occhi. Portò le mani sul volto, mentre il sangue prese a scorrere, incanalandosi tra le sue dita.
I suoi occhi…lui…
Henry sentiva di non vederci più.
Dalle palpebre grondava molto sangue e per quanto si sforzasse, il dolore gli impediva di aprire gli occhi. L’aria si fece più pesante, e la paura di essere lì da solo con Walter crebbe ancora di più.
Il cuore di Henry prese a battere forte e la sua mente cominciò ad abbandonarlo, mentre sentiva Walter ridere, ridere come un folle…

***

[SOGNO II - IL MONDO DEL PALAZZO. A South Ashfield. Dove Walter rapì il se stesso bambino]

Sembra che i mostri siano attratti dalla luce.
Ecco perché quelli che hanno bisogno di luce per vedere sono la loro preda naturale.
Se vuoi continuare a vivere, faresti meglio a startene in silenzio e al buio. Ma anche cosi probabilmente non ti salveresti.
(Silent hill 2)

Henry non riusciva ancora ad aprire gli occhi. Non riusciva a vedere nulla.
Non vedeva la luce.
Non riconosceva l’ambiente circostante.
In quel momento…si ritrovò in un baratro di follia, al culmine della disperazione.
Perché Walter l’aveva accecato?
Era rimasto turbato dal fatto che lui ‘vedesse’ ?
Che vedesse la sua vita, i suoi sentimenti…che vedesse dentro di lui…?
Cadde in ginocchio e sentì le lacrime scorrere sul viso. Tuttavia dovette trattenersi perché il dolore scaturito della ferita gli impediva persino quel pianto silenzioso e solitario.


Come doveva essere, per uno come Walter Sullivan, rievocare i suoi tormenti?
In certi casi, sarebbe stato meglio esser ciechi.
Tuttavia, per quanto si possa stare nascosti in un angolo al buio, prima o poi bisogna sempre riaprire gli occhi e far luce.
Per questo…Water l’aveva reso cieco.
Perché egli non voleva vedere la ‘luce’.
La ‘luce’ che avrebbe animato i suoi ‘mostri’.
In questo senso…ciò che gli occhi di Henry Townshend avevano rappresentato, era la ‘luce’.
La luce che in quel momento l’aveva ferito e che aveva voluto spegnere.


Una volta calmatosi, Henry si accorse di sentire il vento soffiare sulla sua pelle. Non c’era più quell’aria tagliente e soffocante. Toccando a terra sentì il ruvido del cemento consumato, e si rese conto di essere in un altro ambiente, diverso dalla stanza circolare. Non vedendolo, non poteva esserne certo, ovvio, ma sembrava essere stato trasportato altrove, esattamente come era successo precedentemente.

Si alzò e cercò di camminare, tastando vicino ai muri in modo da farsi strada.
Allora sentì dei bisbigli. Costeggiando il muro e stando ben attento a non fare rumore, cercò di riconoscere chi stesse parlando. Era un ragazzino.

“Walter..?” disse, ma udendo un’altra voce, quella di un uomo adulto, subito si bloccò.

Era la voce di Walter Sullivan adulto.
Henry rimase in silenzio ad ascoltare, trattenendo quanto più poté il respiro.
Sentì il Walter adulto prendere parola per primo.

“Sai cosa sono i ventuno sacramenti?”

Walter incrociò le braccia ed inarcò il sopracciglio, guardando il bambino biondo con aria sufficiente. Il bambino gli rispose. Dalla voce, sembrava parecchio arrabbiato.

“Libererò mamma! Per farlo studierò il rito…non intralciarmi!”

Walter adulto scosse la testa. Si poggiò a terra, sedendosi, e guardò spettrale il suo stesso io infantile.

“Se speri di trovare tua madre così, sei uno stupido.”

Henry si sorprese di quelle parole. Intanto il piccolo Walter cominciò strillare.

“Zitto! La mamma mi aspetta. Non posso perdere tempo! I ventuno sacramenti mi porteranno da lei!”

Walter gli rise in faccia.

“Sei uno stupido e un piagnucolone. Aspetta ancora un po’ e capirai che troverai qualcosa di diverso, nel rituale.”

A quel punto Henry udì i passi del piccolo Walter mentre scappava via. Lo sentì rivolgersi all’uomo biondo un’ultima volta.

“Tu fai paura!” gli disse. “Io…incontrerò mamma! Lei si sveglierà.”

A quel punto si eclissò definitivamente. Walter sogghignò appena, compatendo quel bambino.

“Tu cerchi la Santa Madre, piccolo Walter…mi spiace.” sussurrò.

Eppure nei suoi occhi, in quel momento, qualcosa si spense. Come se stesso lui avvertisse un profondo turbamento, che cercava di ignorare oramai invano.
Il bambino…stava cercando la mamma.
Walter Sullivan invece cosa cercava…? Stava cercando la Santa Madre?
Ma dopotutto…perché?

***

[???: DA QUALCHE PARTE OLTRE L’ORMA NEL MAGAZZINO MURATO DELL’APPARTAMENTO #302]

“Argh…!”

Henry toccò la testa, provando un dolore terribile. Aprì istintivamente gli occhi e si accorse di poter vedere. Toccò il viso sconcertato e appurò che era sparito il sangue e non vi era alcun segno dello sfregio subito.

“Cosa..?” disse scioccato.

Di fronte a lui c’era di nuovo Walter Sullivan. Erano entrambi nuovamente nella stanza circolare.
Anche l’uomo biondo aveva le mani sul capo, sofferente.
Henry lo vide mentre si dimenava non sopportando quel dolore.
Ora che ci pensava, anche lui, quando aveva cercato di sparare a Walter, aveva provato quella insopportabile fitta lancinante. Era forse così anche per Sullivan? Erano davvero connessi?
Ogni loro contatto aveva l’effetto di una scarica elettrica, sconvolgente e straziante per entrambi.

Walter intanto fece per sollevarsi e inveì contro di lui digrignando i denti.

“Smettila!” urlò. Sembrava disperato. “Non ne posso più di questi stupidi viaggi mentali! Smettila!!”

Henry sgranò gli occhi non potendo credere a quelle parole. Quella frase avrebbe dovuta dirla lui, piuttosto!

“Che cosa diavolo dici?! Sei tu che mi mandi nel mondo parallelo!”

“Zitto!”

Henry si azzittì per davvero. Si accorse che lo stesso Walter non era esattamente padrone di quello che stava accadendo. Così lo ascoltò, rimanendo allerta.

“La foresta, l’ospedale, la prigione…” guardò Henry con odio. “Io ti ammazzo sul serio se continui a vedere tutte queste cose!”

Walter fece per puntargli contro l’arma, ma un’altra fitta la cervello lo trafisse, e la motosega sparì dalla sua mano.
In quell’istante, anche le pareti smisero di pulsare, e il meccanismo circolare cessò di girare.
Tutto tornò com’era in origine… di quel color grigio spento, morto come prima.
Walter s’inginocchiò a terra, non potendone più di quel dolore. Henry, a quel punto, si avvicinò a lui.

“Stai perdendo potere? O a vacillare è la sicurezza?” gli chiese.

Walter lo guardò in cagnesco.

“Che dici?!” urlò.

Henry gli mostrò l’ambiente che stava diventando davanti ad entrambi consumato e spento.
Era il simbolo stesso del suo potere che stava calando repentinamente.
E se l’intero mondo parallelo rappresentava Walter, allora anche nella sua mente, in quell’istante, qualcosa si stava frantumando.
Il biondo assassino sembrò adirarsi per quelle parole, comprendendone benissimo il senso.
Tuttavia, sapere che quel ragazzo di fronte a lui stesse prendendo consapevolezza di quel mondo e della sua mente, lo mandò in escandescenza.

“Non osare parlare di ciò che non ti compete!” gli urlò, rimanendo sulla difensiva. Henry tuttavia non si smosse. Questo fece adirare Walter ancora di più. “Tu chi sei per esprimere giudizi?! Sei il ventunesimo segno! Non devi far altro che…morire! Ti torturerò! Ti flagellerò! Ti renderò una disgustosa massa indistinguibile! È questo il tuo destino!”

Henry continuava a fissarlo negli occhi, mentre Walter, al contrario, calò lo sguardo. Egli andò in uno stato di completa confusione mentale e prese ad inveire perdendo il controllo completamente.

“Sei qui perché abiti nella casa di Dio! Non sei nessuno! Non ti ho scelto per nessun’altro motivo, lo sai? Che ci sei tu e non un altro, è solo un curioso scherzo del destino. Tu dovevi solo ‘vedere’. E…poi dovevi morire! Sei qui perché vivi nell’appartamento dove io sono nato come uomo!”

Fece una pausa poi, ansimante, con gli occhi gonfi, continuò.

“Sono nato nell’appartamento #302 di South Ashfield Heights. Sono morto nell’appartamento #302 di South Ashfield Heights. Ed è qui, nell’appartamento #302 di South Ashfield Heights dove dovevo rinascere assieme a Dio!”

Henry, a quelle parole, strinse gli occhi.

“Io lo so…” fece una pausa, parlando con voce bassa. “Lo so che sono qui solo per colpa tua. Sei tu che hai deciso il mio destino. Non ha una ragione effettiva la mia presenza qui. Soltanto perché banalmente abito l’appartamento #302, io sono il ventunesimo segno…”

Guardò se stesso compatendosi.
Egli era lì, imprigionato per sempre in quell’incubo, senza un reale motivo, senza un reale perché che lo riguardasse come Henry Townshend.
Era lì solo come lo sfortunato inquilino di un appartamento, apparentemente qualsiasi. Tutto questo per un banale, futile, scherzo del destino… esattamente come aveva detto Sullivan.
Qualcosa in Henry si spense nell’essergli ricordato quella consapevolezza e Walter sembrò farci caso.

Henry riprese parola.

“Dio sarebbe sorto con i ventuno sacramenti. E dopo?” si fermò. “Ricordi le tue parole? Quelle stesse che hai detto nella tua forma infantile? Perché lo sai, no…? Quello…sei comunque tu.” Poi lo guardò trafiggendolo.
“Tu lo sai perché hai fatto tutto questo.”

Walter a quel punto chinò il capo, seccato da quelle parole. Il moro sospirò, mentre continuava a guardarlo dall’alto.

“Rinneghi l’evidenza. Eppure lo sai bene.” sospirò ancora. “Ti ricordi cosa mi avevi chiesto, prima di riportarmi qui?”

Walter alzò debolmente gli occhi verso di lui.

A quel punto, come se le luci si spegnessero, tutto si tinteggiò di nero.

***

[???: DA QUALCHE PARTE OLTRE L’ORMA NEL MAGAZZINO MURATO DELL’APPARTAMENTO #302]

Era tutto buio.
Non s’intravedeva nulla, meno che una sedia illuminata da una lampada posta proprio sopra questa.
Sulla sedia era seduto Henry Townshend.
Di fronte non c’era più l’uomo infagottato appeso sul soffitto incontrato precedentemente.
Ora quell’uomo era di spalle, con addosso il suo lungo cappotto blu scuro, dietro delle barre di ferro che lo separavano dal ragazzo dai capelli bruni.
Delle voci presero a echeggiare nel silenzio.


Stupido piccolo piagnucolone!!
Presto---fa le valigie!
Questo è il mio sogno e non sai nemmeno come mi chiamo?
Esatto. E' solo un sogno. Ed un sogno davvero terribile. Spero di svegliarmi presto.
Finalmente l’ho incontrato! Quello di cui parlava il ficcanaso…il DIAVOLO!!

16/21…17/21…


Oh mio Dio…Walter mi vuole uccidere! Walter mi vuole uccidere!
Vai via, prima che m’incazzi davvero!
Un... un....un bambino?! Quello... quello... quello non è un bambino. E'... è... è l'uomo 11121..!!

18/21…19/21…

Me l'ha data Miss Galvin tanto, tanto tempo fa... Era più giovane allora. Sembrava così felice stringendo la mano di sua madre... Tieni, te la regalo.
E' terribile...quel povero piccolo bambino... I suoi genitori lo abbandonarono subito dopo la sua nascita... Poverino... Crede davvero che l'appartamento 302 sia sua madre.
 Devo...devo aiutarlo.

E' Walter... sta piangendo...
Anche completando i 21 Sacramenti, non sarà d'aiuto al ragazzino.
Sto tornando indietro, Henry... nella stanza dov'è lui. Siamo gli unici... gli unici che possono fermarlo.

20/21…


(bisbigli vari, incomprensibili. Pronunciati vorticosamente.)

…21/21…


L’eco di quelle parole continuava ad echeggiare continuamente nell’ambiente oscuro.
Walter mosse le labbra e prese parole.

Sai, invece, dirmi perché io non sono capace di abbandonare questo appartamento?” gli si rivolse penetrante. “Era questa la domanda che ti avevo posto. La risposta qual è?”

Il moro strinse le spalle e scosse la testa.

“Mi dispiace, nessuna. Ho cercato di rispondere, prima di accorgermi che non potevo farlo. Questa era la stessa domanda che avrei voluto fare a te.”

Walter sospirò. Poggiò la schiena sulle barre di ferro alle sue spalle e portò il capo all’indietro. Chiuse gli occhi.

“..hai detto ‘era’? Vuoi dire che questa domanda non ti assilla più?” chiese.

Henry annuì confermando le sue parole. Sorrise appena, assumendo un’espressione malinconica.

“Io volevo scoprire perché non potevo abbandonare l’appartamento 302. Facendo così, tuttavia, ho scoperto che, nella realtà parallela, avevo io stesso lasciato una traccia di me…” alzò lo sguardo verso la figura girata di spalle di Walter. “…una parte di me è destinata a vivere qui. E io rappresento quella traccia rimasta legata a questo mondo. ”

“Io…”

“Per questo non posso abbandonare il #302”

“Una parte di me vive qui…”
“Una parte di me more qui…”

“Finché esiste Lui.”

Walter, nell’udire quell’eco di parole, inarcò le sopracciglia e rise velatamente.

“Io, infondo, sono sempre stato prigioniero di questo appartamento.” disse all’improvviso il biondo.

Egli riportò alla mente dei ricordi lontani. Un’inquietante calma lo circondò, e in quel momento andava più che bene.

“Lo sai, adesso. Da bambino mi dissero che avrei potuto risvegliare mia madre. Da allora quell’appartamento è sempre stato la mia prigione. Un chiodo fisso. Un posto dal quale non sono mai potuto uscire, pur non essendoci mai entrato.”
Girò appena il capo, guardando con la coda dell’occhio Henry. “…che fai Henry, sorridi? Non mi dirai che ti piace stare in prigione, adesso.”

Walter lo provocò un po’ con quella frase. Henry, in verità, stava sorridendo sul serio. I suoi occhi erano calati verso il basso e osservava il suo stesso corpo divenire sempre più opaco. Quasi trasparente.

“Prigione, uh? Non avevo mai pensato che quest’incubo potesse essere una prigione per entrambi …” disse, sarcasticamente.

Egli…
Era da tempo, oramai, prigioniero di quell’appartamento maledetto.
Era una dura consapevolezza che gli apparteneva da sempre.
E il discorso non valeva solo per Henry… ma anche per Walter stesso.

***

[???: DA QUALCHE PARTE OLTRE L’ORMA NEL MAGAZZINO MURATO DELL’APPARTAMENTO #302]

E’ una bella prigione, il mondo.
(Shakespeare)

Henry e l’assassino Walter Sullivan erano di nuovo l’uno di fronte l’altra.
Walter, con volto severo, puntò la pistola nera contro il ragazzo.
Henry fece lo stesso, allungando le braccia, brandendo la pistola in mano.
Prese la mira e tirò giù la sicura della pistola, attendendo assieme al suo carnefice il momento fatale.

“Sullivan...”

Henry si pronunciò chiamando l’assassino.

“C’è qualcosa che vuoi dire prima?” gli chiese il biondo.

In quel momento, tuttavia, accadde qualcosa che fece sorprendere persino un uomo scaltro e disincantato come Walter Sullivan.
Henry, guardandolo continuamente dritto negli occhi, lasciò cadere dalla sua mano la pistola che andò a battere violentemente sul pavimento.
Walter osservò quell’arma corrucciando il viso, quasi disturbato dall’azione dell’uomo di fronte a lui. Henry l’aveva lasciata cadere senza alcun indugio. Poi, aveva calato le braccia e aveva continuato a fissare l’assassino. Schiuse le labbra e parlò.

“Siamo morti entrambi.”

Allargò le braccia e mostrò a Walter il luogo circostante. La stanza circolare corrosa e spenta. La loro prigione personale. Il fulcro dei ventuno sacramenti.

“Vuoi uccidermi? Sono degno o meno di incontrare Dio? Vuoi invece che sia io a ucciderti? Scegli pure. Ma sappiamo bene che è inutile.”

Walter tese il braccio sinistro verso di lui e tirò giù la sicura dell’arma. Sparò Henry di striscio, ferendolo appena su una gamba.
I suoi occhi erano spenti, vogliosi solamente di distruggere tutto.
Henry tuttavia non si mosse. Era oramai consapevole di non poter fuggire, salvarsi o…morire.

Walter continuò a sparare, colpendolo di striscio più volte. I suoi occhi s’ iniettavano di rabbia sempre di più, davanti a quell’uomo capace di leggere quella famosa e irritante ‘parte profonda dentro di lui’.
Quella parte che lui stesso non avrebbe mai pensato di dover rievocare.
Quanto era costato per lui, effettivamente, evocare la Santa Madre?
Forse era stata per davvero una mera condanna meschina, quella.

“Muori!” urlò, mentre ferì Henry a un piede, e a quel punto il ragazzo si accasciò.

“Uhg…” Henry toccò il piede insanguinato, tuttavia non smise di rivolgersi a Walter con sfida. “Avanti, fallo. Sparami, torturami, uccidimi. Fa quello che ti pare. Anche se questo non cambierà nulla, lo sai.” disse.

Un altro paio di colpi andarono a ferirlo sulla spalla, impedendogli gran parte dei movimenti.

Henry urlò dal dolore e sentì il cuore palpitare nell’avere davanti a sé Walter Sullivan con gli occhi di un diavolo spietato.
Egli era una macchina assassina violenta e crudele. Disumana e devastata. Egli era oramai prigioniero di se stesso ed era caduto in un baratro, in una fossa, che aveva scavato egli stesso con tutte le sue forze, ma che lo aveva solo avvicinato ancora di più alla cecità completa.

“TACI!” urlò Walter nuovamente.

Incrociando gli occhi verde pallido del ragazzo, provò un’infinita rabbia.
Lo odiava. Lo disprezzava. Egli aveva scongiurato i suoi ventuno sacramenti.
Egli…
Gli aveva impedito di ricongiungersi a sua madre.
Ma Walter, tuttavia, non avrebbe mai incontrato la madre. Perché infondo, lui…

Già…
Già lo sapeva.

Guardò Henry spietatamente.
Quel che il ragazzo non sapeva, era che Walter aveva già da tempo aperto quel libro.
Quello stesso che aveva stretto sul petto, senza sfogliarlo.
Invece aveva letto il suo contenuto già da tempo. Semplicemente, tuttavia, l’aveva letto rifiutandone il significato.

C'era una volta un bambino
collegato alla sua mamma attraverso un magico cordone.
Ma un giorno il cordone fu reciso, e la madre cadde in un sonno profondo.

Il bambino rimase tutto solo.

Ma il bambino fece molti amici nella Wish House e tutti erano molto gentili con lui.

Il bambino era felice.

I suoi amici gli dissero come svegliare la sua mamma.
Così il bambino andò subito a cercare di svegliarla.
Ma la mamma non si svegliava. Per quanto lui provasse, lei proprio non si svegliava.
Questo perchè in realtà quello che lui stava cercando di destare era il Diavolo.

Il bambino era stato ingannato.
Povero bambino.
(Parte del documento trovato nell’appartamento 302 del passato)

Walter puntò la pistola proprio sulla fronte di Henry. Strinse le labbra, facendo per premere il grilletto. Henry era lì a fissarlo immobile, vedendolo pronto a dargli il colpo fatale.

Senza sapere, invece, di aver appena dato scacco matto al Re.

Regnò il silenzio quando Walter abbassò la pistola.
Egli fece calare il braccio lentamente, lasciando poi cadere la pistola rumorosamente a terra.
Allora cominciò a tremare. Prese a tremare di rabbia, di dolore, di sconforto, di delusione…

“ARGH!”

Sotto gli occhi di Henry, prese a urlare, non potendone più di quell’inferno. Henry lo vide stringere i pugni fino ad arrossare le mani ruvide.
Calò il capo e la lunga frangia cresciuta coprì il viso corrucciato.
Abbassando gli occhi, Henry si accorse che delle gocce trasparenti stavano cadendo leggere sul pavimento opaco, proprio davanti ai piedi dell’assassino.

Fu allora che si rese conto che Walter Sullivan stava piangendo. Egli era crollato. Crollato di rabbia e di disperazione.

Lo vedeva stringere i denti quasi deluso di sé. Deluso che qualcosa, dentro di lui, stesse vacillando. La rabbia lo faceva tremare e oramai era incapace di nascondere l’esaurimento scaturito dopo trentaquattro anni di mente devastata.

Trentaquattro anni, in cui aveva dedicato la sua vita completamente al compimento dei ventuno sacramenti, dove aveva incontrato mille ostacoli, al fine di incontrare la sua Santa Madre.
Egli l’aveva quasi invocata e non aveva potuto adempire al suo destino per colpa della persona di fronte a lui.
Ma egli…per davvero…chi voleva incontrare?
Era davvero la Santa Madre? Lei lo avrebbe condotto alla felicità?
Sentiva la sua mente bloccarsi, incapace di comprendere. Di tirar fuori quel ricordo.

Ma la mamma non si svegliava. Per quanto lui provasse, lei proprio non si svegliava.
Questo perchè in realtà quello che lui stava cercando di destare era il Diavolo.

Il bambino era stato ingannato.
Povero bambino.

“Argh!”

Urlò nuovamente, poi cadde violentemente in ginocchio, crollando di fronte ad Henry, che lo guardava con sguardo stanco e sgomentato. La stessa espressione che, oramai, aveva assunto anche Walter Sullivan.
Il biondo assassino rimase immobile, mentre la testa tuttavia scoppiava. La rabbia e l’incomprensione lo assalivano ferocemente.
Infine…a devastarlo fu poi solo quel forte senso di devastazione e di solitudine.
Ripensò al culto. Ai precetti che aveva imparato. Alla sua vita sacrificata. Alle persone uccise. Ripensò alla Santa Madre. La sua dolce Santa Madre. Quella che non era riuscito a destare. Quella che non era riuscito a salvare. Quella che non lo aveva mai abbracciato. Quella che lo aveva abbandonato.
Walter calò gli occhi verso il basso e parlò con voce profonda.

“Mamma…” sussurrò, senza nemmeno accorgersene.

***

 [PIANEROTTOLO DEL TERZO PIANO, ALA OVEST. South Ashfield Heights. Di fronte l’appartamento #302]




A quel tempo, Henry cominciò a fare sempre lo stesso sogno.
Era reale? Oppure no? Non lo sapeva, allora.
Nel suo sogno, vedeva un uomo imprigionato nell’appartamento #302. Era spaventato e disorientato.
La casa puzzava e vi era un’aria opprimente in giro. Veniva assalito dalla sua casa stessa, come fosse viva…questo senza poter in nessun modo scappare, salvarsi o…morire.

Subito dopo…Henry scoprì di non poter più abbandonare la sua dimora.
Lo aveva imprigionato dentro.
Così era stato per lungo tempo, senza che il vicinato si accorgesse di nulla.
Questo finché qualcuno non cominciò ad avvertire dei rumori provenienti dall’appartamento #302.

Questo segnò solo l’inizio di un terribile mondo paradossale. Questo segnò solo l’inizio di una verità legata a quegli appartamenti fino in quel momento nascosta e ignorata.

Era con quella consapevolezza nel cuore…che sperava non sarebbe accaduta mai più qualcosa di simile.




“Henry! Sono Eileen, apri!”

Eileen bussava incessantemente alla porta di Henry. Aveva paura. Aveva un terribile presentimento.

“Riesci a sentirmi? Apri!”

Le mani cominciavano a dolerle, ma non si fermò nel bussare e a suonare al campanello.

Aveva paura…paura che potesse riaccadere…paura che Henry, come a quel tempo, non potesse più abbandonare l’appartamento #302.
Eileen continuò a bussare. Sentiva il cuore battere.

Dentro l’appartamento, un ragazzo dai capelli castani, era seduto sulla poltrona nel salotto.
Aveva un viso assorto e spento, come fosse in uno stato catatonico.  

La ragazza continuava a battere alla porta. All’ennesimo silenzio, decise di scendere le scale e cercare il custode degli appartamenti di South Ashfield Heights, il sovrintendente Frank Sunderland.
Eileen lo sollecitò a far velocemente qualcosa, prima che fosse troppo tardi.

“La prego…ho paura che possa accadere qualcosa di terribile!”

“Ho qui con me le chiavi. Non si preoccupi. Eccole.”

L’uomo anziano girò le chiavi forzando così la serratura.
Eileen chiuse gli occhi, terribilmente spaventata. Si chiedeva se la porta fosse di nuovo bloccata. Si chiedeva se avrebbe mai più rivisto Henry. Si chiedeva che stesse accadendo. Si chiedeva il perché di quel brutto presagio che covava in corpo da giorni.
Ah, se solo Henry le avesse dato retta e fossero fuggiti via assieme da South Ashfield…

Clank

Ci fu un rumore meccanico che indicò che la porta si era smossa. Era aperta.

“Cosa?!” disse Eileen, frastornata.

Frank rimise le chiavi a posto.

“E’ aperta, miss Galvin.”

Eileen lo ignorò.

“Henry!” urlò, inoltrandosi nella porta, illuminata da una grande luce bianca. Tuttavia, girandosi attorno, Eileen non vide nessuno.

Il divano, il tavolo, la cucina, il corridoio…
Solo l’accecante luce bianca mattutina era sovrana in quell’appartamento. E di Henry nemmeno una traccia.
Soave la luce illuminava l’ambiente. Soave la luce nascondeva le ombre dell’appartamento.

In parallelo, un uomo dai capelli castani e il viso spento, sedeva sulla poltroncina di casa e guardava fisso dinanzi a sé. Era quasi completamente buio lì dentro, dove egli si trovava, nel suo appartamento.
Le pareti erano increspate, l’aria era soffocante. Ed era tutto buio. Un buio accecante.

Guardava dinanzi a sé ed era da solo. La porta era bloccata da una serie di catene rugginose.
Chinò il capo, con viso stanco e affranto.

“Henry?”

Eileen si avvicinò alla poltroncina, guardò attentamente e poi passò oltre affacciandosi alla finestra.
Dopo di che s’inoltro nella camera da letto del ragazzo, chiamando ancora il suo nome. Era tutto in ordine, ma di Henry non c’era traccia.

Il custode vedeva preoccupato Eileen, mentre si dimenava disperata alla ricerca del ragazzo.

In parallelo, Henry Townshend rimase immobile sulla poltroncina.
E dire che erano così vicini, Henry ed Eileen.

Eileen si avvicinò nuovamente alla poltrona dove il moro era seduto.
Se avesse allungato la mano, avrebbe potuto anche sfiorarlo, se solo non fossero stati in due mondi paralleli. Due mondi vicini e lontani allo stesso tempo.
Quale dei due fosse vero era difficile stabilirlo. Più di quanto una risposta impulsiva potesse dire.

Il custode s’inoltrò anch’egli nella stanza, costatando, suo rammarico, che per davvero non vi fosse nessuno lì dentro.
Si affacciò alla finestra e fu allora che richiamò l’attenzione della fanciulla.

“Miss Galvin. Henry è lì.” disse, chiamando la ragazza con voce sorpresa.

Eileen sentì il cuore a mille, mentre corse verso il custode e si affacciò anch’ella alla finestra.

“Dove?” disse, spaventata.

Il custode Frank Sunderland indicò il ragazzo poggiato sul ciglio del portone della palazzina.

Egli aveva un viso assorto e spento. Era sul ciglio assolato della palazzina di South Ashfield Heights.
Il sole era accecante ma egli se ne stava lì incurante, con il capo chino e la schiena poggiata sul portone del palazzo.

Eileen, a quella visione, sgranò gli occhi. Era Henry! Era proprio lui.
Ma quando era apparso, esattamente?
Tuttavia quello non era il tempo delle domande. Lasciò Frank per correre sulla scalinata.
Frank fu sorpreso di quell’impulsività, ma non poté far a meno di sorridere del suo comportamento dettato dal cuore.
Del resto, egli non poteva di certo sapere cosa nascondessero, in realtà, quelle quattro mura. Cosa avesse destato l’inquietudine di Eileen Galvin.

Eileen si precipitò lungo le scale, perdendo anche una pantofola e rischiando di cadere. Ma nulla le impedì di raggiungere quel ragazzo che non vedeva da giorni. Non sapeva che dirgli. Non sapeva quale domanda porgli per prima. Pensò solo ad aprire l’anta del portone non appena raggiunse il pian terreno.

“Henry!” urlò.

Il ragazzo dai capelli castani si voltò verso di lei.

“Eileen..?”

Parlò a stento, con la sua solita voce profonda e riservata. Eileen rimase immobile di fronte a lui per diversi istanti, con il respiro affannato. Lei…non lo vedeva da giorni. Era sempre stato distante in quel periodo. E ora era lì di fronte a lei e…e…
Corrucciò all’improvviso il viso e gli mollò uno schiaffo. Henry rimase senza parole.

“Stronzo!”

Henry la guardò perplesso, ma non disse nulla. Prese solo a toccarsi la guancia dolorante. Vide poi gli occhi di Eileen inumidirsi.

“Come…puoi…dopo tutto questo tempo…dove diamine sei stato?!”

Henry a quel punto le sorrise. Eileen corrucciò il viso sempre di più, adirata da quell’espressione invece così soave.
Henry…dal suo canto, era semplicemente felice di rivederla.
Di vedere che stesse bene. Di vederla circondata dalla luce del sole e non dalle tenebre, il sangue e la ruggine. Di vederla vicino a sé.
Velocemente l’avvicinò, stringendola in un inaspettato abbraccio che lasciò la ragazza con gli occhi sgranati.

“Scusa.” le disse.

Eileen non rispose. Lui prese a stringerla più forte.

“Sono sempre stato dannatamente in ritardo con te. Mi dispiace…”

“Henry, che stai dicendo?” gli chiese lei con un filo di voce, leggermente confusa.

Henry la prese per le spalle e l’allontanò appena per poter vedere i suoi occhi luminosi.

Le catene del suo appartamento rimbombavano ancora dentro di lui. Incessanti. Angustianti. E lo volevano lì, fra le mura del #302.

“Non…non voglio più indugiare. Voglio stare con te, Eileen. Lontano da qui.”

Le catene della porta richiamavano ancora e ancora, come un martellante richiamo che lo assillava ferocemente.

Eileen era sempre più sorpresa. Mai prima di allora, Henry aveva parlato del loro trasferimento in quel modo.
Mai come allora le aveva chiesto ardentemente di andare via assieme.

Henry si sforzò di allontanare da sé quell’incessante richiamo. Si sforzò di ignorare quel sussurro che lo accompagnava e che probabilmente lo avrebbe accompagnato per sempre.
Il richiamo dell’assassino Walter Sullivan che rivoleva indietro la sua vittima.

“Sarai in grado di aiutarmi? Di non farmi scappare via?” le sorrise debolmente.

Eileen a quel punto non poté fare a meno di ricambiarlo. Subito si strinse nuovamente a lui sorridendogli.
Aveva tante domande, troppe.
Non sapeva da dove Henry fosse sbucato fuori. Non sapeva quel che era accaduto e quel che sarebbe accaduto. Ma andava bene così.
In quel momento, in quell’istante, andava bene così.
Rise appena, guardando Henry e stringendolo a sé.

“Oh, beh. Allora penso che sia arrivato il momento di trovare una nuova casa, Henry.”

Henry annuì.
Era giunto il momento di scegliere in che posto stare. Era giunto il momento di chiudere quella porta.
Era giunto il momento di andare…
Lontano da Walter Sullivan…
Lontano da Henry Townshend/Colui che riceve saggezza…

Anche se una parte di sé sarebbe stata legata all’appartamento 302 per sempre.

***

[APPARTAMENTO 302, South Ashfield Heights]

Quell’appartamento gli era sempre piaciuto. Bianco, pulito, fresco…
Era perfetto per cominciare una nuova vita.

Dopo aver attraversato l’ingresso, sulla destra vi era un ripostiglio. Sulla sinistra invece vi era la cucina bianca contornata da una serie di banconi.
Poi c’era il salotto. Era la stanza più ampia della casa. Era arredato con un largo divano, un tavolino basso e una poltroncina.
In un angolo del muro vi era una piccola libreria con molti libri riguardanti Silent Hill, una città che un tempo amava visitare spesso. Vi era poi un televisore datato e una cassapanca capiente.
Due finestre illuminavano quella stanza, donando una luce che aveva quasi un che di sacro.
Il corridoio conduceva al bagno e poi alla camera da letto. Anche questa illuminata da una luce candida e opaca.

Un ragazzo era seduto sulla poltrona nel salotto.
Era alto circa un metro e ottantacinque ed era di bell’aspetto. Aveva dei capelli disordinati castani, gli occhi verde pallido e una rasatura sul viso leggermente trascurata. Indossava una camicia bianca e dei jeans scoloriti.
I suoi occhi, fino a quel momento rivolti verso il basso, andarono a cadere sul tavolino al centro della stanza, dove era poggiato un pacchetto di sigarette. Lo prese fra le mani.
Henry era un tipo più nevrotico di quanto sembrasse in realtà. Era stata dura per lui ridurre l’uso del fumo. Da quando aveva cercato di darci un taglio, si concedeva una sigaretta solo quando lavorava.
Nemmeno, da quando conosceva Eileen, completamente contraria al fumo.

“Suppongo di poter fare uno strappo alla regola…” disse, sorridendo.

Accese la sigaretta con un fiammifero e ispirò profondamente, lanciando via il fumo lentamente, mentre sentiva la mente spegnersi e riposare. Gli occhi bruciavano appena, così come la testa e il petto. Aveva ancora impresso il marchio 21/21 sul collo.

Dalla poltroncina, sbirciò oltre la finestra alle sue spalle, e nel cortile vide la sua bella Eileen Galvin.
Sembrava davvero…felice. Sembrava felice a fianco a quel Henry Townshend.
Presto avrebbero cominciato una vita assieme. Henry sorrise, invidiandoli un po’, in verità.

Fu allora che, davanti a sé, apparve l’uomo col cappotto. Egli si avvicinò lentamente, rimanendo sul ciglio del corridoio.
Henry accavallò le gambe e lanciò nuovamente il fumo dalla bocca. Con un gesto della mano gli indicò il divano.

“Accomodati.”

Walter si guardò attorno. Dopodiché prese posto sul divano. Fissò Henry in silenzio, scrutandolo. Vedendolo assorto nei suoi pensieri, sbirciò anch’egli in direzione della finestra, dopodiché gli si rivolse.

“Rimpianti?” gli chiese.

Henry non rispose immediatamente.

“Solo un po’. E tu?”

“Solo un po’.”

Rimasero entrambi in silenzio. La luce era bianca e illuminava quell’ambiente che fino a qualche istante prima era stato avvolto dalle tenebre.
Henry spense la sigaretta nel portacenere e guardò il biondo in silenzio, ripensando a ciò che era accaduto in quel lasso temporale.

Egli era stato rinchiuso nel suo appartamento per quasi sei giorni.
Aveva visto gente morire.
Aveva conosciuto un folle assassino e aveva combattuto per la prima volta nella sua vita.
Era stato prigioniero del suo stesso appartamento, teatro di una macabra storia nella quale mai avrebbe potuto immaginare di trovarsi.

Qualcuno gli aveva detto di cercare la sua parte profonda. E così aveva fatto.
Quello, tuttavia, non aveva segnato la fine dei suoi viaggi.
Dopo, Henry aveva dovuto conoscere una realtà che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita.

Aveva dovuto ammettere a se stesso il paradosso della vita di quell’uomo.
Walter Sullivan era una mente spietata, diabolica. Aveva ucciso a sangue freddo diciannove persone, massacrandole tutte spietatamente. Elettrocuzione, pestaggi, colpi d’armi di ogni genere…
Walter Sullivan era un uomo da condannare per i suoi crimini.
Walter Sullivan tuttavia era anche l’uomo ingannato.
L’uomo che era stato deturpato dalle menti del culto. L’uomo che fu abbandonato in fasce dai suoi stessi genitori. L’uomo che non aveva mai conosciuto la clemenza, che non poteva sperare nella luce. L’uomo che era morto ancora prima di nascere. L’uomo che avrebbe dovuto riposare in pace e invece era anch’egli prigioniero dell’oblio.
Walter Sullivan era vittima e prigioniero del suo infausto destino.

Ed Henry, in tutto questo, giocava il ruolo più curioso.
Egli era destinato a conoscere profondamente il suo inconscio. Era destinato a comprendere e a scavare nella parte profonda di Lui.

Henry, nel momento nel quale si era trasferito nell’appartamento #302, senza saperlo, aveva firmato il suo destino, consegnandolo nelle mani di Walter Sullivan. Aveva in quel momento, dichiarato che una parte di sé sarebbe rimasta lì per sempre.

“Per questo non posso abbandonare il #302”

“Una parte di me vive qui…”
“Una parte di me more qui…”

“Finché esiste Lui.”
Henry sorrise, ridendo velatamente.

“Sei a casa tua, adesso. Cosa si prova?” chiese a Walter con fare colloquiale.

Il biondo portò i gomiti sulle ginocchia e sorrise ironicamente.

“Ci devo pensare.”

A quel punto, Henry lo guardò. Il marchio 21/21 non sembrava fare poi così male, adesso. Henry si chiese se fosse per via dell’abitudine. O magari per davvero ormai non importava più tanto.
Guardò il ragazzo dai capelli biondi intensamente, prima di rivolgerglisi.

“Walter. C’era qualcosa che volevo chiederti, ma non l’ho mai fatto perché non facevi che ammazzarmi.” gli disse.

Walter alzò gli occhi verdi verso lui. Si lasciò incuriosire da quelle parole. Henry gli parlò con calma, senza alcun remore.

“Tu invece cos’è che vedi qui in questo pandemonio?”

A Henry sembrò, nella sua arroganza, che Walter rimase sorpreso di quella domanda.

Lo vide sogghignare e chinare il capo e…ridere sotto i baffi.

Anche Henry a quel punto sogghignò assieme al suo assassino, in quell’inferno destinato a essere per sempre il purgatorio del curioso e triste destino dell’uomo dai capelli biondi.





In origine, gli uomini non avevano nulla. I loro corpi dolevano e i loro cuori contenevano solamente odio. Combattevano senza sosta, ma la morte non giungeva mai. Si disperavano, bloccati in questa eterna sofferenza.
Un uomo offrì al sole un serpente e pregò per la salvezza. Una donna offrì al sole una saetta e chiese in cambio la gioia. Provando pietà per la tristezza che avvolgeva il mondo, Dio nacque da quelle due persone.
Dio creò il tempo e lo divise in giorno e notte. Dio tracciò la via per la salvezza e diede agli uomini la gioia.
E Dio tolse agli uomini il dono dell'eternità.
Dio creò gli esseri viventi per tenere gli uomini in obbedienza a lei.
Il Dio rosso, Xuchilbara; il Dio giallo, Lobsel Vith; molti dei e angeli.
Infine, Dio iniziò a creare il Paradiso, dove bastava entrare per dare agli uomini la felicità.
Ma Dio esaurì le forze, e crollò a terra. Tutti gli uomini del mondo piansero per questo sfortunato evento, finchè Dio esalò il suo ultimo respiro. Essa ritornò polvere, promettendo il suo ritorno.
E così Dio non è perduto. Dobbiamo pregare e ricordare la nostra fede.
Attendiamo con speranza il giorno in cui la via del Paradiso verrà aperta.

(Il credo del Culto)





Un bambino fu abbandonato a South Ashfield Heights.
La madre lo abbandonò appena nato. Egli aveva ancora il
cordone ombelicale attaccato al corpo. Il sovrintendente di
quel palazzo, un tale Frank Sunderland, lo trovò e lo salvò da
morte certa. Ma non ebbe mai notizie di lui da quel momento
in poi. Gli venne solo detto che il bambino era sopravvissuto e
che ora risiedeva presso strutture più adeguate.
In quel bambino era già nato un forte senso di devastazione. Un
disturbo mentale verso il mondo e il grembo materno. Nella sua
mente l’utero e il cordone ombelicale divennero una curiosa
ossessione, dovuta a una mancanza d’affetto infantile, mista al
disprezzo e al senso di abbandono.

Visse come orfano alla Wish House. Li fu scelto per lui il nome di
Walter Sullivan. Il prete George Rosten lo prese sotto la sua ala e
lo allevò secondo il culto di Valtiel. Egli fu scelto per attuare i 21
sacramenti. In quel periodo, vide molti suoi amici morire nella
Wish House.
Egli venne più volte picchiato dai membri del culto e dal
sorvegliante Andrew De Salvo, quando disobbediva e finiva
nella prigione cilindrica.
Già allora decise che un giorno si sarebbe vendicato dei torti
subiti.
Nacquero già all’epoca i primi demoni della sua vita, nonché  
la violenza che un giorno lo avrebbe caratterizzato.
Ancora giovanissimo, un membro del culto fece vedere
 a quel bambino chiamato Walter Sullivan l’appartamento 302.
Da allora si convinse che lì viveva sua madre. Avendo una mente
già all’epoca devastata, si convinse che sua madre fosse
l’appartamento stesso. Dahlia Gillespie e altri membri del culto
approfittarono del suo status mentale, del suo desiderio di tornare
dalla madre, e gli fecero dunque credere che l’unico modo per
 ricongiungersi a lei, e salvarla dalla corruzione del mondo, fosse
l’attuazione dei 21 sacramenti.
Così fu.
Walter credé a quelle parole e si cimentò nell’impresa studiando sodo.
Nel frattempo, sebbene fosse un bambino, andava a
visitare spesso South Ashfield, usando l’autobus, la metropolitana,
e incontrando tanta gente schiva e meschina che lo derideva.
Lo denigravano. Ma egli non demorse. Anzi.
Il suo odio per il mondo crebbe a dismisura e lo aiutò a cimentarsi
più a fondo nello studio del rituale. Il mondo andava purificato.
Se ne convinse sempre di più.

Visitò spesso gli appartamenti a quel tempo, destando prima
curiosità, poi malcontento nella palazzina. Frank Sunderland, nel vederlo
sempre più spesso, si chiese se quello non fosse proprio il bambino che
un tempo aveva trovato nell’appartamento 302.
Richard Braintree, infastidito da quel piccolo orfano, più volte lo picchiò e
lo fece scappare. Walter fu anche uno dei testimoni del famoso
“scuoiamento di Mike”, giorno in cui Braintree diede clamorosamente
di testa.  
Raggiunti i sedici anni, spesso gli capitava di essere fuori casa.
Continuava a visitare South Ashfield.
Conobbe in quell’anno una bambina, la giovane Eileen Galvin, che
 commosse quel giovane con il suo atto di clemenza.
Egli non aveva mai ricevuto alcuna attenzione dal mondo intero.
Ella invece si preoccupò per lui vedendolo solo e abbandonato.
Gli donò così una preziosa bambola che lui custodirà negli anni a venire.
Di lì a poco ebbe l’occasione anche di parlare con Cynthia Velasquez, all’epoca
una tredicenne, per la quale sentì di provare sentimenti diversi.
Un qualcosa che non ebbe il tempo di maturare comunque, perché
ella rifiutò la sua mano tesa e bisognosa di un contatto umano.
Ricevette una ulteriore delusione da una donna.
Se da un lato ora esisteva sua Madre. La dolce bambina.
Ora esisteva anche la Tentazione. La donna ingannatrice e violenta.

Una volta abbandonata la Wish House, studiò presso l’università
di Pleasant River.
Era finalmente pronto per attuare la prima fase del rituale dei
21 sacramenti.

In dieci giorni, all’età di ventiquattro anni, uccise dieci persone,
portando a termine il primo segno. Le sue vittime:
Jimmy Stone. Fondatore del culto di Valtier. Ucciso con un’arma da
Fuoco.
Bobby Randolf. Attirato nel campus di Pleasant River e ucciso tramite
soffocamento.
Sein Martin. Attirato nel campus di Pleasant River e ucciso tramite
strangolamento.
Steve Garland. Ucciso nel suo negozio di animali con una mitraglietta.
Rick Albert. Proprietario dell’Albert’s sport nel quale Walter lavorava
part-time. Ucciso con una mazza da golf nel negozio.
George Rosten. Colui che lo aveva allevato ed educato. Ucciso nel
bosco di Silent Hill con un tubo di ferro.
Billy Locane. Ucciso a Silent Hill. Fatto a brandelli con un’ascia.
Miriam Locane. Uccisa a Silent Hill. Fatta a brandelli come il fratello.
Eric Walsh. Ucciso a casa sua con un colpo d’arma da fuoco.
William Gregory. Ucciso con un cacciavite.

A tutti i corpi mancava il cuore. Nei corpi vi erano incisi i seguenti marchi:
01121, 02121, 03121, 04121, 05121, 06121, 07121, 08121, 09121, 10121

Water Sullivan completò la prima fase del rituale, ma fu catturato
dalla polizia di Silent Hill e accusato dell’omicidio dei due fratelli Locane.
In prigione si recise la carotide con un cucchiaio, morendo per emorragia.
Quello che sembrava un suicidio, in verità, era solo l’attuazione del secondo
Segno del rituale. Egli doveva sciogliere i vincoli della carne. Egli, in quel
momento, creò la realtà parallela secondo il volere di Valtier. Divenne Dio.

Persa la sua umanità, nella sua mente si creò un’ulteriore voragine dalla
quale, oramai, non sarebbe più potuto uscire.
In quel tempo, Joseph Schreiber, un giornalista, si trasferì a South Ashfield
Heights.

Venne data di lì a poco la notizia di un omicidio copycat, simile a quelli
attuati da Sullivan. In verità, egli stesso li attuava dal mondo parallelo,
dove egli era sovrano.
Morirono altre tre vittime, e Joseph Schreiber indagò su questi strani
casi copycat.

Morì Peter Walls, tossicodipendente. Ucciso massacrato fino alla morte.
Morì Sharon Blake, annegata e trovata nel bosco di Silent Hill.
Morì Toby Archbolt, sacerdote della setta della Santa madre. Spinto da
una scogliera nel Messico.

In tutti e tre i corpi questa volta il cuore era intatto. Ma i seguenti numeri
erano incisi sopra:
12121, 13121, 14121.

Joseph Schreiber, mentre indagava su quella gente uccisa, comprese di
essere anch’egli vittima di Sullivan. Presto si accorse anche di non poter
lasciare l’appartamento 302 nel quale rimase intrappolato. Dedicò
comunque la sua vita alla ricerca della verità su Sullivan.
Scoprì che il caso Walter Sullivan aveva molte ombre. Scoprì il suo passato.
Scoprì la natura malsana della Wish House. Scoprì che il corpo di Walter
Sullivan era sparito dalla tomba.
Scoprì di non avere alcuno scampo. Scoprì che Joseph Schreiber era l’uomo
15121.

I temi del “vuoto”, delle “tenebre”, dell’ “oscurità” e della “disperazione” erano
stati eseguiti con successo.

Sei mesi più tardi, Henry Townshend si trasferì nell’appartamento 302.
Per due anni la sua vita scorse tranquilla. Poi un giorno cominciò
a fare curiosi incubi. La sua casa venne sigillata da Walter Sullivan.
Egli fu costretto a utilizzare un varco, la sua unica via di fuga, per uscire.
Vide, senza mai incontrare Sullivan, i frammenti del suo passato.
Egli incontrò le sue paure, desideri, angosce...che si mostrarono a lui
come demoni. Mostri deformi e disturbanti.

Vide le vittime del terzo round di omicidi.
Vide morire Cynthia Velasquez. Uccisa pestata a morte nella
metropolitana di South Ashfield.
Vide morire Jasper Gein. Ucciso nella Wish House arso vivo.
Vide morire Andrew De Salvo. Ucciso nella stanza degli
interrogatori della prigione cilindrica.
Vide morire Richard Braintree. Morto nel suo stesso appartamento
tramite elettrocuzione.

Sui loro corpi vi erano incisi i numeri: 16121, 17121, 18121, 19121.

A quel punto era chiaro. Tutti quei numeri altro non erano che un elenco.
L’elenco di ventuno vittime che presto sarebbero state uccise.
Quei numeri andavano letti ##/21.

In tutto questo, un macerante senso di inquietudine colpì Henry,
che sapeva che presto sarebbe toccato a lui.
Comprendendo che la vittima 20/21 era la sua vicina di casa, Eileen Galvin,
Henry riuscì a portarla con sé nel mondo profondo di Walter
Sullivan. Questo grazie agli indizi fornitogli da Joseph Schreiber
che gli disse che la risposta e la salvezza l’avrebbe trovata lì.
Nella parte profonda dell’assassino. Fino a trovare la Verità assoluta.

Henry, tuttavia, trovò tutt’altro che un’arma da utilizzare contro
Walter, una volta giunto al capolinea. Trovò invece la terribile verità
 che si celava nel passato oscuro dello spietato killer.
La verità gelante di un uomo abbandonato, strumentalizzato e ingannato.

Henry si chiese allora che ruolo avesse nell’intera vicenda.
Si chiese cosa significasse essere il ventunesimo sacramento.
Si chiese cosa significasse essere “Colui che Riceve Saggezza”.

Uccise Walter Sullivan, salvando così lui ed Eileen. Walter
Sullivan non portò a compimento l’ultima fase del rituale.
Non comprendendo in tempo che, anche attuando i ventuno
sacramenti, non avrebbe mai riavuto l’amore perduto della
madre.

La Santa Madre…per lui era sempre stata la mamma. Questo
porterà Walter Sullivan ad un’ulteriore espiazione. Un purgatorio
nato apposta per lui, creato dall’inferno dal suo stesso rituale.
Un purgatorio dove saranno destinati a vivere lui e i suoi demoni.
Compresa la gente uccisa dalle sue mani. Compresi coloro
che sono fuggiti, ma che hanno lasciato una traccia nel suo
mondo…



-FINE-














Ecco qui l’ultimo capitolo di Haunting apartment…
Giuro che ho il batticuore. Finire una fan fiction è sempre una grande gioia, ma allo stesso tempo procura un po’ di dispiacere…
Mi sarebbe piaciuto scrivere ancora su Silent Hill 4, questo gioco per me è fantastico a livello di trama, personaggi, atmosfere, tematiche e simbolismi.
C’è una grande fetta di fan che lo considera un Silent Hill di poco conto, io invece, lo considero uno dei migliori. Senza dubbio è il mio preferito.
Sono da sempre fan di questa saga (e di questo SH) e da tempo avrei voluto scrivere qualcosa a tema.
Come già scrissi nel mio primo capitolo, per me questa saga è una preziosa reliquia. Non ero sicura, nonostante il mio fanatismo estremo per la saga xD, di riuscire a scrivere qualcosa degno del gioco. Capace di regalare spunti di riflessione ed emozioni forti.
Ho fatto del mio meglio. Ho fatto il possibile per affrontare le tematiche che vi volevo proporre in modo fluido e chiaro.
Ho aggiunto svolti alternativi, enigmi, citazioni, traduzioni di testi e canzoni fatti tutti da me. Ho rigiocato più volte i punti descritti per rendere meglio l’idea degli ambienti e delle atmosfere.
Sapevo che sarebbe stato un lavoro impegnativo per me, ma volevo fare così questa fan fiction, mettendoci tutta me stessa.
Per questo ringrazio a tutti voi per il sostegno. A Waltersullivan24 e Liquid King soprattutto per le loro splendide  recensioni che sono state un forte incentivo per me nell’andare avanti con il lavoro celermente. Un bacio anche a tutti quelli che mi hanno sostenuto da lontano.
Il mio scopo era mostrare quanto questo gioco avesse da offrire. Più di quanto non sembri. Nonostante Silent Hill 4 stesso sia pieno di tematiche forti e fantastiche, io ho mostrato con la mia fan fiction quegli aspetti invece più velati e che non sono stati mostrati nel gioco direttamente (sono presenti per lo più nei file). Dimostrando (spero!) quanto questo videogame sia ricco.
E il gioco era già splendidamente ricco di suo. SH4 scoppia di tematiche, di emozioni e di paradossi.
In tutto questo, desideravo fortemente parlare di Henry e Walter, ma nella maniera più realistica possibile.
Credo di essere una delle poche fan a sostenere che Henry sia un bel personaggio, e ho cercato di mostrarvelo con la mia fanfiction. Di mostrarvi per me il suo senso nel gioco e lo spessore che egli ha ai miei occhi. Spero fortemente di avervi trasmesso tutto questo.
Uno degli incentivi per la realizzazione della fan fiction è sicuramente stato il desiderio di parlare di lui.

Parlando dell’ultimo capitolo, ho lanciato di tanto in tanto un amo che vi mostrasse fin dai primi capitoli il perche Henry non potesse abbandonare la stanza 302. L’Henry con cui noi abbiamo avuto a che fare durante tutta la fan fiction è l’hauntings che troviamo dietro lo spioncino della porta. Henry, a sua volta, quando ha cominciato a viaggiare nella mente di Sullivan, ha creato quella manifestazione.
Una manifestazione nata dal terrore di rimanere intrappolato lì per sempre come ventunesima vittima. 
Proprio come viene scritto nella fan fiction, egli è perfettamente consapevole che una parte di sé è morta quando è entrata in contatto con Sullivan.
Per questo esistono, in un certo senso, due Henry. L’Henry manifestazione di “Colui che riceve Saggezza”, una mera traccia, un’ombra; e l’Henry vivo, che si salva, ma avvertirà sempre il richiamo per la room. Perchè una parte di lui vivrà sempre lì, finché esisterà Walter e il suo peccato.
Parlando del nostro Walter, egli è morto, ma ha avuto un destino simile alla sua ventunesima vittima. La sua ombra è rimasta legata al suo incubo. E come nell’inferno, è destinato a vivere il suo peccato in eterno. Silent Hill è sempre stato facilmente assimilabile a un purgatorio per questo immagino questo destino per Walter.
Henry è colui che vive con lui il suo peccato, come simbolo della vittima finale che doveva morire e che invece ha distrutto il suo castello. Un castello che, comunque, sarebbe andato a sgretolarsi inesorabilmente per via dell'inganno del culto. E così diverranno connessi in questo bizzarro destino. Nonostante siano una vittima e l’altro il suo carnefice. Un carnefice poi, anch’egli a sua volta vittima di qualcos’ altro.
Il finale è anche ispirato in parte al film di Silent Hill. Nel finale del film, la madre della bambina rimane “macchiata” da Silent Hill e dal peccato e, nonostante riesca a fuggire, vivrà per sempre nella Silent Hill alternativa.
Il finale di Henry può anche essere inteso così. Probabilmente sono vere entrambe le interpretazioni.

Vorrei dire tante cose, ma, pensandoci, ho già detto tutto, la mia concezione di Silent Hill 4, tramite la mia fan fiction. Ringrazio davvero tutti! Diate rispetto alla mia opera che non è sicuramente perfetta, ma c’è tanto lavoro dietro. E c’è, soprattutto, l’amore di una fan che ama follemente questa saga e questo capitolo.
Un bacio a tutti! Scriverò senz’altro altre fan fiction su Silent Hill, ora vi lascio, spero di rivedervi tutti presto!

Fiammah_Grace
  
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