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Autore: EliCF    03/09/2012    2 recensioni
"«Siamo io e te. Solo io e te. Potremmo tornare a casa, vincitori» chiusi gli occhi, inspirai e dovetti fare i conti con l'odore pungente del bosco. «Ci pensi?»
Ripose il coltello e mi raggiunse sul tappeto d'erba ingiallita.
«E ci credo, anche» sentenziò. «E tu?»
Annuii, di scatto. Senza pensarci.
«Allora andrò a quel festino. E farò a pezzi la ragazza di fuoco» aggiunse.
«Prima che Tresh faccia a pezzi te?»
Evidentemente fece caso alla nota ironica che aggiunsi alla frase, perché si alzò e ridacchiò nuovamente.
«Prima che Tresh faccia a pezzi chiunque altro»"
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cato, Clove
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NdA: Run era una shot creata per rimanere d'un solo capitolo. Purtroppo questa mattina mi sono ritrovata a ripensare alla fanfic, ma nelle vesti di Clove! Così non sono riuscita a trattenermi, ed eccola qui. Ringrazio chi ha recensito il capitolo precedente e ancora di più chi deciderà di recensire questo successivo, che a me piace così tanto. Ho lasciato i dialoghi del libro nella parte in cui Clove si scontra con Katniss, invece ho utilizzato quelli del capitolo precedente per il pezzo in cui parla con Cato prima di morire. Inoltre ho raccontato tutto al tempo presente, contrariamente a come ho fatto nel capitolo precedente - dove i primi due paragrafi erano al passato e solo l'ultimo al presente. Spero riesca a trasmettervi l'emozione che ha trasmesso a me mentre la scrivevo. Enjoy!
Eli
cf


Trattengo il fiato per fare in modo che ogni falcata non faccia il minimo rumore. 
Debolissimi riflessi di luce filtrano attraverso i rami fitti degli alberi e un venticello lieve mi accarezza i capelli legati, mentre mi dirigo alla Cornucopia.Cato aveva ritenuto più conveniente che solo uno di noi due andasse al festino; eccomi qua. 
Le parti più divertenti dei giochi toccano sempre a lui, così quando ho esordito con un "ci vado io, alla Cornucopia!" ha potuto opporre ben poca resistenza. Quando ha cercato di dissuadermi con la storia de il-ragazzo-del-Distretto-11-è-un-bisonte, mi sono trattenuta dall'imprecargli addosso: come se si fosse mai preoccupato di portare qualcuno al di fuori di se stesso sano e salvo alla fine dei Giochi. Non potevo certo fargliene una colpa: ha solo capito subito il modo di vincere. Da quando era stata annunciata la possibilità di proclamare due vincitori il rapporto tra noi non era per niente mutato, solo ci sforzavamo di non nasconderci nulla: il cibo veniva diviso in parti uguali, le decisioni prese insieme, la fiducia affidata l'uno all'altra: non che avessimo scelta, dopo tutto. Ma, nemmeno troppo in fondo, io e Cato ci siamo piaciuti sin dall'inizio, perché, in qualche modo, ci siamo scoperti complementari. Strano farsi degli amici proprio qui, in questo luogo di guerre, grida e morte. 
Il sole è già sorto da un paio di minuti quando arrivo al limite del bosco: riesco a scorgere una chioma rossa sfrecciare verso lo zaino contrassegnato da un grosso 5, agguantarlo e fuggire verso i boschi, il lato opposto da cui era sbucata. Se solo avessi avuto un arco, a quest'ora ce ne sarebbe stata una in meno. 

Faccio guizzare lo sguardo lungo il banchetto preparato dagli strateghi: ancora tre zaini e, dannazione, quello con il numero 2 è il più lontano dalla mia postazione.
«
Clove?» aveva sospirato. 
Non avevo idea di quello che volesse dirmi, ma non volli saperlo: sarei tornata dal festino e avremmo avuto il tempo di mangiare con gusto, ripensando alle orribili torture a cui avrei sottoposto quell'oca del Distretto 12, prima di ucciderla. 

«Lo so» sentii la mascella irrigidisrsi al peso della promessa che stavo per fargli. «Ti porterò anche lo zaino di uno di loro».

In realtà speravo che a Cato interessasse complicare i giochi a quello che sarebbe stato il finalista assoluto della partita, per quello avevo in mente di portare via con me anche lo zaino del bisonte del Distretto 11, ma mi parlò in tono rassegnato, seppur divertito. 
«Cerca solo di non farti uccidere»
Mi sarebbe piaciuto sapere da quando tiene così tanto a dividere la vittoria con me.


~

Quando quell'oca con 
un arco in braccio esce dai boschi scattando verso lo zaino minuscolo per il Distretto 12, sento di poter scoppiare d'eccitazione. Mi avvento con furia spietata nella sua direzione, estraggo uno dei coltelli e lo lancio con forza nella sua direzione. Purtroppo ha un udito piuttosto sviluppato per essere definita come un animale d'allevamento: dopo aver deviato l'arma con il legno dell'arco, scaglia una freccia dritta al mio petto. Mi accorgo di non essermi spostata abbastanza quando un dolore lancinante mi attraversa il braccio sinistro, colpito. Estraggo la freccia velocemente e la lascio ricadere a terra, lancio un'occhiata alla ferita, ma non c'è realmente tempo d'esaminarla. Quando rivolgo nuovamente lo sguardo alla ragazza di fuoco, ha afferrato il suo zaino: non si accorge del secondo coltello che la colpisce di striscio sopra il sopracciglio destro, provocando la fuoriuscita di un fiotto copioso di sangue che la costringe a chiudere l'occhio e la bocca. Nonostante la ferita aperta scaglia un'altra freccia nella mia direzione; la vedo barcollare all'indietro e non ho nemmeno bisogno di evitare la freccia, tanta è l'inesattezza della traiettoria. 
La raggiungo in tre falcate ampie, approfitto della sua mancanza d'equilibrio per inchiodarla a terra con le ginocchia premute sulle braccia per impedirle di divincolarsi. Mi ci vuole un attimo per realizzare che potrei portare via addirittura due zaini: quello che ha raccolto il Distretto 12 e ora custodisce sul braccio, oltre che quello del Distretto 11, ancora sul tavolo. Il bisonte avrà addirittura deciso che sia più prudente non partecipare al festino.

«Dov'è il tuo ragazzo, Distretto 12? Ancora in giro?» 
La ragazza mi guarda, sprezzante. Nonostante abbia vinto io, sembra non essersi arresa.
«
Adesso è la fuori. Dà la caccia a Cato». 
Avrei voluto darle un ceffone per impedirle di continuare a parlarmi strillando, quando il petto le si riempie d'aria prima di urlare: «Peeta!» 
Le buone maniere non funzionerebbero affatto con un animale selvatico come lei, così le rifilo un amabile pugno sulla trachea che, per dolore o efficacia, la zittisce completamente. Mi assicuro velocemente che il ragazzo innamorato non spunti dai boschi, poi le rivolgo un ghigno. 
«
Bugiarda. E' quasi morto». 
E lo penso davvero. Come potrebbe essere altrimenti, dopo quell'affondo?
«Cato l'ha ferito. Probabilmente l'hai legato su qualche albero mentre tenti di tenerlo in vita» faccio guizzare lo sguardo sullo zaino che ha ancorato al braccio.
«Cosa c'è in quel grazioso zainetto? La medicina per il ragazzo innamorato?» sento d'aver parlato abbastanza, quando aggiungo: «Peccato che non l'avrà mai».
Sento i coltelli tintinnare nell'interno della giacca; la spalanco e impiego qualche istante per sceglierne uno, reso più carino dalla lama ricurva.
Esamino il suo bel faccino con lo sguardo reso folle dalla consapevolezza d'averla in pugno. 
«Ho promesso a Cato che, se ti avesse lasciata a me, avrei offerto al pubblico un bello spettacolo» la sento tentare di disarcionarmi, senza successo. Mi viene quasi da ridere di fronte a tanta ingenuità.
«Lascia perdere, Distretto 12. Ti uccideremo. Come abbiamo fatto con quella tua patetica, piccola alleata... come si chiamava? Quella che salava sugli alberi?» aggrotto le sopracciglia nel reale tentativo di ricordare. «Rue? Be', prima Rue, poi te, e poi penso che lasceremo semplicemente che la natura si occupi del ragazzo innamorato. Che te ne pare?» 
La ragazza di fuoco sembra poter scoppiare di rabbia, impotente sotto il mio peso. Non posso fare a meno di pensare che sia la follia a farla apparire così impavida davanti all'agonia che l'aspetta. 
«Allora, da dove cominciamo?» mi sembra di miagolare. Le esamino la faccia, asciugo il fiume di sangue che le copre il lato destro e la guardo mentre inizia a rendersi conto della morte lenta che l'aspetta pochi passi più in là. 
«Penso... penso che inizieremo dalla bocca » devo ringraziare il ragazzo innamorato per avermi suggerito quest'idea, avido com'era, durante gli addestramenti, delle sue attenzioni. Patetico. 
«Sì, non penso che le labbra ti serviranno più a molto.» e - quanto vorrei che Cato stesse guardando! - aggiungo: «Vuoi mandare un ultimo bacio al ragazzo innamorato?» 
Mi sputa in faccia. L'eccitazione si tramuta in rabbia mentre le guance mi si colorano di rosso. 
«Bene, allora. Iniziamo.» e con mano tremante mi appresto a lasciare che il sipario si apra. 
La prima goccia di sangue si staglia sul pallore delle sue labbra, quando sento che una presa d'acciaio mi stringe il collo come un paio di tenaglie. Vengo sollevata dal corpo della ragazza e a quel punto riesco solo ad urlare. Il ragazzo del Distretto 11 mi tiene per la gola con un braccio solo. Sento i piedi cercare il terreno e il terrore sovrastare ogni tipo d'emozione. Anche lui urla, poi, con un movimento ampio dell'avambraccio, mi scaraventa a terra e quasi perdo i sensi. 
«Che cosa hai fatto a quella ragazzina? L'hai uccisa?»  
Mi ci vogliono un paio di secondi per rendermi conto del fatto che parli della sua compagna di Distretto, che in realtà non ho mai incontrato da quando hanno dato il via ai Giochi. Nonostante ciò non riesco a spiccicare parola, immagino le mie pupille dilatarsi per la paura e non ho nemmeno il coraggio di chiamare Cato. 
«No! Non sono stata io!» sento la mia voce squittirmi lungo la trachea e negli occhi impazziti del ragazzo dell'11 riesco a vedere la follia che ho incontrato in quelli del mio compagno di Distretto. Vorrei trovare il coraggio per chiamarlo. Subito.
«Hai detto il suo nome. Ti ho sentito. L'hai uccisa?» ripete. Cato aveva ragione, da qui giù sembra davvero che io stia supplicando un bisonte.
«L'hai fatta a pezzi come stavi per fare con questa ragazza?»

Indietreggio e mi rendo conto di dover ritrovare per forza la capacità di parlare.
«No! Non sono stata io!» 
Lo sguardo cade sui suoi avambracci immensi, scorre lungo le braccia, il polso largo quanto una delle mie caviglie, fino alle dita strette attorno ad una pietra non troppo grossa. Il cuore mi si stringe nel petto, i polmoni espellono ogni traccia d'aria, la mascella inizia a tremare quando azzardo l'ultimo tentativo disperato, una specie d'atto di umiltà e coraggio fusi nello stesso nome: «Cato!» 
Strillo nuovamente il suo nome, poi sento un'eco debole in risposta. Ho solo il tempo di supplicare mentalmente Cato di correre più veloce, poi vedo il braccio calare violentemente verso la mia direzione, fino a che non sento le tempie pulsarmi e un rumore d'ossa spaccate più eloquente del colpo di cannone. Sprazzi di luce accompagnano la lacrima solitaria che mi attraversa la guancia, sento la voce dei due ragazzi parlare ancora della bambina dell'11, a quel punto mi chiedo perché mi abbia risparmiata. Per un attimo credo di poter sopravvivere, poi raggiungo la verità che mi si para nella mente con chiarezza: non mi ha risparmiata, mi ha solo ferita con una violenza tale che la morte, che sembrava stesse aspettando la ragazza di fuoco, verrà a raccogliere me prima che lo faccia l'hovercraft. Non posso fare a meno di emettere qualche gemito soffocato: il dolore alla testa è diventato presto insopportabile come un fuoco che mi divora il cervello dall'interno. Non so quanto tempo passi, vedo il cielo limpido accompagnare la mia agonia e poi sento la voce di Cato urlare il mio nome. Quando si riversa a terra e lascia cadere la lancia al mio fianco, cerca un modo per tenermi tra le braccia, o così mi pare. Penso di non poter desiderare una fine migliore. 
Lo vedo piangere, pronunciare nuovamente il mio nome, forse. Sento d'avere lo sguardo perso nel colore opaco del cielo, così lo rivolgo al suo viso affranto e cerco di confortarlo con una frase d'accusa scherzosa: «Ho 
sempre sospettato che la velocità non fosse il tuo forte». Evidentemente non suona così scherzosa, perché una nuova ondata di lacrime si riversa sul suo viso e non riesco nemmeno a coglierne il motivo. Ingoio, cerco un modo per inumidire quel buco secco che è la mia bocca, ma non ci riesco. Cerco la mano di Cato e, al suo tocco, mi sento di nuovo al Distretto 2: a casa.
Quella sensazione inspiegabile mi distrae per un paio di attimi dal dolore pulsante alla testa che mi provoca momenti in cui la vista mi abbandona quasi totalmente.

«Avevi detto che saresti tornata» si lamenta, piange. E' vero, avevo promesso anche questo. Sento che vorrei partecipare ad ogni segno di dolore del mio compagno di Distretto: ad ogni lacrima, ad ogni gemito, ad ogni sospiro per farsi forza; ma non ne ho la capacità.
«Credi ci sia qualche crimine per cui stiamo pagando?» mi chiede. Il mondo attorno a noi è scomparso; sono in un universo in cui non esiste nulla: solo io e Cato. O, almeno, così mi sembra. 
«Prova a ripensare a tutti quelli che abbiamo fatto fuori...» rispondo, poi sorrido: «Ne è valsa la pena».
Lascia cadere il discorso, ma so che potrebbe essere d'accordo con me. Capisce che tutto quello che desidero è che mi parli ancora, fino a che il dolore non mi farà scoppiare la testa. 

«Perdonami. Per tutto quello che ho fatto... e per quello che ho dimenticato di dirti». Parla, ma in realtà non capisco un tubo di quello che dice. Con un piccolo brivido mi rendo conto del punto in cui ha lasciato cadere il discorso. Il terrore mi invade e vengo avvolta dal desiderio di potermi scrollare di dosso le dita della morte che già mi afferrano le caviglie. 
«Speravo di riuscire a parlarti faccia a faccia, ma non volevo fosse questo il posto, né il momento» continua. Vorrei poter rispondere, ma ho paura di poter morire dallo sforzo; così lascio che continui. 
«
Non volevo che mi portassi anche lo zaino di qualcuno di quei bastardi. Non desidero vincere, perché quello che voglio è già qui: solo te.»
A questo punto devo davvero trattenermi, perché so che non riuscirei a finire la frase. 
Che strano, vorrei ridere con lui,
 voglio quello che vuoi tu.
Cato abbassa lo sguardo, si nasconde la faccia con la mano libera e ricomincia a piangere. Decido che è il momento di parlare, anche se dovessi giocarmi quei quattro battiti superflui che mi rimangono. 

«Se avessi un'altra vita, io...» e per un attimo credo davvero di essere finita. Scossa da una tosse che mi porta via saliva e sangue, riesco a proseguire a stento. «...la regalerei a te
». 
Dopo questa verità, riesco solo a stabilire un patto tra me e la mia trachea: niente più parole; così mi impongo un massimo di un paio di monosillabi.
Rimaniamo in silenzio, ci scambiamo sguardi tristi, un po' come avevamo già fatto qualche notte prima di prendere sonno. Alla fine lui mi faceva l'occhiolino e mi dava le spalle; so che questa volta non sarebbe andata così. Mi accorgo di avere gli occhi secchi solo ora che desidero piangere. Cerco di stringergli la mano con più forza, ma a stento reggo ancora la stretta di prima. E' finita. 
Come se mi avesse letto nel pensiero, un'ultima promessa gli attraversa lo sguardo: «
Non finisce qui
».
Mi sforzo di sorridere, sperando che almeno lui sappia mantenere le promesse. Ma ci credo, e questo è quello che conta. 
Rilascio tutta l'aria che ho nel petto per rispettare il patto tra me e la mia gola, così pronuncio quelle che sento essere le mie ultime parole: «
Lo so».
Avrei voluto strizzargli l'occhio, prima di smettere di vedere. 
   
 
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