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Autore: Daughter of the Lake    03/09/2012    1 recensioni
Susan, derelitta, sola, ma determinata a sopravvivere, deve adesso fare i conti con la perdita di tutta la sua famiglia. Che cosa ha in serbo il destino per lei? Riuscirà a permettere al suo cuore di riaprirsi a nuove possibilità?
E in più, perché smise di credere in Narnia?
Lo scoprirete solo leggendo...
Dal Prologo
Doveva provarci, doveva riuscire a tornare indietro.
Fece qualche passo, fino a ritrovarsi di fronte ad esso, quel portale per un altro mondo.
Ci entrò, stando attenta a non chiudersi a chiave. Con lo sguardo fisso sulle porte, indietreggiò, come, ricordò, aveva fatto Lucy la prima volta.
Sbatté contro la parete di fondo.
Ci sbatté di nuovo.
E di nuovo.
Poi si girò e ci ribatté ancora, con la fronte.
Poi la prese a pugni.
Picchiò, picchiò e picchiò, ma la parete era sempre lì.
Infine si lasciò cadere a terra, sul pavimento dell'armadio, con la testa appoggiata alla maledetta parete che non voleva sparire. Sentì qualcosa scivolarle da sotto il pullover, che ancora non si era tolta da quando erano tornati indietro, tutte quelle ore fa.
[...] facendo luce sul foglietto di carta che le era caduto per terra.
[...] Sembrava pergamena di Narnia.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Susan Pevensie
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2

 

Possibilità

o

Jane

 

(Il mare)

Da Londra a New York un transatlantico, con vento favorevole e in assenza di tempeste, impiega circa dieci giorni di navigazione.

Susan, in seguito, conservò nella sua mente, di questi dieci giorni, solo una cosa: il mare.

Il mare calmo e cristallino dei giorni sereni; quello nero e schiumoso dei giorni di tempesta, con onde alte come cavalli che facevano ballare la nave come in un valzer; un mare di ogni gradazione di blu a seconda della profondità; un mare che la cullava di notte, permettendole quasi di dormire. Quasi.

L'osservava dal ponte, sola, in mezzo a centinaia di persone, tutti i giorni.

(Chiunque)

Chiunque passava di lì e posava lo sguardo su Susan, pensava istintivamente a due cose: la prima, che non aveva mai visto al mondo donna più bella di lei; la seconda, che non ne aveva mai vista una più triste.

Il suo viso era pallido e scarno, i suoi capelli corvini erano racchiusi in una severa crocchia, i suoi abiti, rigorosamente neri, erano dismessi, poco curati: il tutto le conferiva un'aria mesta e malinconica.

Ma ciò che più risaltava di lei, erano i suoi occhi: del colore del ghiaccio, non mostravano alcuna emozione, come se fossero vuoti, ed erano costantemente persi oltre l'orizzonte, come se, invece che il mare, vedessero tutt'altro.

Ma che cosa, nessuno lo sapeva.

Nessuno glielo domandava.

La vedevano sempre lì, tutto il giorno, tutti i giorni, tranne che durante i pasti: arrivava e andava via sempre alla stessa ora, dopo l'alba e prima del tramonto, senza rivolgere mai la parola a nessuno.

(Giuramento)

Era passato tanto tempo da quando Susan aveva giurato a se stessa di non vedere mai più né un'alba né un tramonto sul mare. Ma di questo ne riparleremo più avanti.

(Senso di colpa e conversazione solitaria)

I giorni passavano, lunghi e sempre uguali, ma, alla fine, finirono.

Si era a metà del primo mese del 1955 quando la Fortunata, questo il nome della nave, si ritrovò in vista del porto della Grande Mela.

Susan, fin dal momento in cui avevano comunicato che mancavano soltanto ventiquattr'ore all'arrivo, sentiva, suo malgrado, una sorta di eccitazione; ma non fidandosi più delle sue emozioni, che aveva imparato a sue spese portavano per la maggior parte a grosse delusioni, voleva mantenersi cauta e non lasciarsi andare a troppo ottimismo. Ma certe emozioni non sono facili da controllare, soprattutto se in realtà si agognano più dell'aria.

Dalla sua posizione sul ponte aveva la visione di tutta la città, di tutti i suoi immensi edifici e grattacieli: e allora vide anche se stessa, tra questi ultimi, lontana dal passato, in una nuova vita, più bella e luminosa.

Quasi si lasciò andare ad un sorriso.

Ma poi un pensiero l'attraversò.

I miei fratelli non hanno mai visto l'America.

Le sue labbra si congelarono.

E mai la vedranno.

Il suo stomaco si strinse e il suo cuore si contrasse, e il pensiero che più di tutti la tormentava, le si ripresentò. Che diritto ho io? Che diritto ho io di essere qui, di vivere, di respirare, di provare emozioni, di sorridere, mentre loro non possono più? Io avrei dovuto essere con loro, quel giorno, avrei dovuto morire con loro.

Avrei dovuto uccidermi, come avevo desiderato.

Ma tu non lo desideri davvero e sai che non lo desidererebbero neanche i tuoi, sei tu a dire che altrimenti non saresti qui le disse una voce dentro di sé.

Silenzio! Chi ti ha interpellato? Io dovrei morire, e dovrei desiderarlo.

Non che non devi, non devi sentirti in colpa di vivere.

Si, invece. Perché io si e loro no? Che diritto ho io di essere ancora qui, se loro non ci sono più?

Tutti abbiamo il diritto di vivere.

E la chiami vita, questa?

Tutto andrà per il meglio, fidati di me.

Perché dovrei? Tu non sei neanche reale, sei solo nella mia test...

Il fischio della nave, segnale dell'imminente arrivo in porto, la fece sobbalzare e distogliere dai suoi pensieri.

(Incontro/Scontro)

Durante le ultime manovre di attracco notò una gran folla, sul pontile, a terra; immaginava madri, padri, figli, parenti, amanti, amici, tutti in attesa di qualcuno, e i corrispettivi passeggeri, tutti consapevoli che qualcuno li aspettava.

Ma non io, io...Non si permise di continuare; ne aveva avuto abbastanza per quel giorno di pensieri deprimenti.

Il tempo risana tutte le ferite.

Silenzio!

Iniziò la fase di sbarco: Susan si ritrovò nel caos più totale.

Tra il via vai di persone urlanti, sia passeggeri che personale di bordo, con chi cercava chi da una parte, chi cercava cosa da un'altra e chi dava ordini a destra e a manca, tutto era in subbuglio.

Lei, a quel punto, molto tranquillamente, tornò nella sua cabina, prese le sue valigie (quattro) e le posò una alla volta fuori dalla sua porta.

Erano pesanti e interiormente si chiedeva come avrebbe fatto a portarle a terra, quando, ad un tratto, sentì un rumore di passi alla sua destra, si voltò e venne travolta da quello che era un uragano in carne e ossa.

(Risate e amiche)

Una persona (donna, si rese conto) che, a giudicare dall'eco dei passi che aveva sentito un attimo prima, stava correndo, la urtò in pieno e con tutta la forza della sua velocità; lo scontro portò entrambe a perdere l'equilibrio ed a rovinosamente, inevitabilmente, cadere addosso ai quattro bagagli di Susan.

Essi furono rovesciati a terra (non si aprirono, per fortuna) con le due donne sopra di loro, in un parapiglia di braccia e di gambe e di spigoli che a vederlo avrebbe fatto proprio ridere.

<< Ohi, ohi!! Ah, che male! >> gemette la sconosciuta.

Susan, cadendo, aveva sbattuto il gomito sul pavimento e da ciò le scaturiva un acuto dolore; una valigia si trovava per metà sopra la sua testa e lei tentò di allontanarla con il suo altro braccio, quello sano, ma non ci riuscì, poiché sopra di esso c'erano a sua volta le altre valigie, troppo pesanti da spostare tutte insieme; infine, il resto del suo corpo era sommerso da una massa molle che la premeva sul pavimento e le impediva di respirare.

Tentò almeno di liberarsi da quest'ultima, tossendo e cercando di muovere le gambe, allo stesso tempo in cui l'altra cercava di rialzarsi a sua volta, esclamando ad alta voce con un tono allarmato:

<< Oh mio Dio, mi scusi, mi scusi, mi dispiace tanto, non l'ho proprio vista! >>

Ma ella, riuscita in parte a sollevarsi, nello zelo di rimediare al suo danno e liberare quindi la sua vittima, tirando via da lei il grosso bagaglio che le oscurava la testa, andò a causare una nuova caduta di tutti gli altri, che si trovavano in fila precaria sopra di esso; il risultato fu che le valigie si ri-sparpagliarono intorno a loro, Susan potè, sì, emergere da sotto di esse ma solo per finirne di nuovo sotto, stavolta a livello del petto, e la ragazza, nella sopresa, ri-perse l'equilibrio e si ritrovò seduta contro la parete del corridoio e con un bagaglio addosso.

<< Oh, cielo! >> si ritrovò ad esclamare Susan, quando riuscì a girarsi e sedersi, passandosi una mano sul viso, cercando istintivamente di spostare ancora le valigie, senza riuscirci neanche questa volta. Vide l'altra donna nella situazione in cui era, simile alla sua, per terra e incastrata; aggiungendoci che aveva i capelli scarmigliati e il cappello di traverso, tutto ciò le dava un aspetto oltremodo buffo e comico.

Si guardarono a vicenda, poi quel disastro in cui si trovavano, poi loro stesse, tutto era così assurdo, che non poterono impedirsi dallo scoppiare a ridere; un riso sincero e penetrante che andò a scuotere il petto di Susan e a farla rimanere senza fiato. Ne fu esterrefatta: quella era la prima volta che rideva, dall'incidente...

Al tempo non sapeva che lo stava facendo con quella che da allora in poi sarebbe stata la sua migliore amica.

(Spirito e conoscenza)

<< Dio, sono proprio un disastro! Non sa quanto mi dispiace! >> disse ancora la ragazza, tornando, dopo un pò, seria. Prese l'espressione dispiaciuta di chi sa di averla fatta grossa: questo diede occasione a Susan di osservarla più attentamente.

Il suo viso era molto grazioso, con la pelle liscia e delicata; gli occhi erano verdi, luminosi e allungati, il naso regolare, le labbra non troppo carnose, con il labbro inferiore più pieno del superiore; i suoi capelli erano biondo scuro, in quel momento disfatti dalla loro acconciatura a causa della caduta; era magra, ma formosa. Il suo pesante cappotto di pelliccia, apertosi, aveva lasciato scoperto un completo color rosa pallido, elegantemente decorato con un motivo a fiori non vistoso, ma raffinato, composto da una camicetta stretta in vita da una semplice cintura nera appuntata con un fiore dello stesso colore del vestito, che terminava in due lacci cadenti sulla gonna, lunga fin oltre il ginocchio, di cui il cappello, con un altro fiore ad un lato, era il completamento. Portava anche dei guanti, e delle scarpe con il tacco ( che non avevano aiutato la sua corsa) che vedeva spuntare da sotto il suo baule. Dedusse da quell'esame che probabilmente apparteneva ad una benestante famiglia borghese.

<< Stia tranquilla, non è nulla, in fondo, essere buttata a terra in mezzo ad un corridoio di una nave è sempre stato il sogno della mia vita. >> le rispose con un mezzo sorriso. (Fu sorpresa, ancora, dal suo tentativo – anche se misero - di fare dello spirito.) Non c'era bisogno che la ragazza si sentisse in colpa, in fondo era stato solo un incidente, per cui cercò di non farsi vedere mentre si massaggiava il braccio lesionato.

<< Ah, davvero? Che sogni orribili che ha!>> (se solo sapesse) rispose l'estranea, divertita , ma non ancora rassicurata << ma no, sul serio, si è fatta male? >>

Le guardava il braccio; probabilmente il suo tentativo di non farsi notare non era andato proprio a buon fine.

<< Non è niente, solo un graffio. >> Ho visto di peggio, pensò.

<< Quanto mi dispiace! Sono imperdonabile! D'ora in poi sarò sua schiava a vita, glielo prometto, farò tutto quello che mi chiede! >>

<< Beh, allora niente male, per essere appena arrivata in America, ho già guadagnato una schiava. Se lo sapevo sarei partita prima! >>

Dell'altro spirito...ma che cosa le stava succedendo?

<< Ma poi non ci saremmo incontrate, pensa un po' come sarebbe stato non finire travolta, orribile! >>

Risero di nuovo; Susan cominciava a credere di essere impazzita (oltre a iniziare a provare della simpatia per lei)

<< Io sono Jane, ad ogni modo, Jane Dixon. >> disse, a quel punto, la ragazza, allungando una mano al di sopra della montagna di valigie.

<< Susan Pevensie...>> le prese la mano << ...è un piacere conoscerla, signorina Dixon. >>

(Qualcosa in comune)

<< Oh, ma mi chiami Jane. E in più sono sicura non sia stato del tutto un piacere... >> fece cadere gli occhi intorno alla loro situazione, poi le strizzò l'occhio.

<< Ah ah, no, questo non è un problema, davvero sono felice di conoscerla. Lei può chiamarmi Susan, in ogni caso, ma io penso che non la chiamerò Jane, Terremoto mi sembra un nome più appropriato! >>

<< Ah! Dio! Mi chiamano così anche i miei parenti, soprattutto il mio fidanzato, lui dice che un giorno gli provocherò una commozione cerebrale! Ma, per favore, diamoci del tu! >>

Susan si limitò ad annuire e sorridere.

Era un po' stordita da ciò che stava accadendo.

Non aveva una conversazione così piacevole da quella che sembrava una vita; prima non rideva, o sorrideva, per settimane, e adesso non riusciva più a smettere!

Si scervellò per trovare qualcosa da dire.

<< E quindi >> si risolse << hai un fidanzato? >>

La conosceva da pochi minuti, una persona che non fosse stata lei avrebbe potuto anche prenderla a male parole, eppure le faceva piacere saperlo; Jane aveva quell'aria gaia e spensierata di chi è in pace con il mondo, un sorriso così dolce e spontaneo che non poteva appartenere se non ad una persona di buon cuore ed animo gentile, che non potevi non augurarle il meglio; che fosse un po' esuberante non faceva che renderla anche divertente.

Tutto ciò faceva provare a Susan un'istintiva predisposizione verso di lei.

<< Oh, sì! Lo amo tanto, ma non lo vedo da più di un mese... >> e qui iniziò a parlare molto velocemente, tanto da rendere difficile seguirla << ...ero andata in Inghilterra a trovare i miei, visto che credo che dopo il matrimonio non sarà più possibile andarci tanto spesso (e in più volevo vedere forse per l'ultima volta la mia casa) e quando ti sono venuta addosso stavo correndo perché avevo dimenticato il cappello in cabina e qindi volevo recuperare il tempo perso, visto che lui dovrebbe essere giù a terra ad aspettarmi! >> Le si illuminarono gli occhi.

Abbiamo qualcosa in comune...abbiamo entrambe lasciato per sempre la nostra prima casa pensò Susan ma le circostanze sono completamente diverse...

<< Oh, beh, in questo caso, che cosa ci fai ancora qui con me? >>

Un po' le dispiaceva che se ne andasse; credeva di non rivederla mai più.

<< Scherzi?! Ti ho detto che sarei stata la tua schiava, e una schiava non lascia la padrona sul pavimento di una nave con tutte queste grosse e pesanti valigie addosso! Forza, recuperiamo i tuoi e scendiamo tutti insieme! >>

<< Ma no, non c'è bisogn... >>

<< Non voglio sentire altro, forza! >>

E cercò, con molta difficoltà, di rimettersi in piedi.

(Aiuto)

Dopo altri affanni e tentativi, ricadute e risate, riuscirono finalmente a rialzare le valigie, restare stabili sulle loro gambe e aggiustare i loro aspetti.

Susan iniziò a protestare ancora dell'idea della sua nuova “amica”, se così si poteva chiamarla, ma lei non voleva sentire ragioni.

<< Allora, con chi sei? Vedo che siete un bel po', con tutte queste valigie! >>

<< Ehm...sono da sola. >>

Non voleva spiattellarle subito la deprimente storia della sua vita, non volendo che avesse pietà di lei, però non voleva neanche mentire.

Silenzio imbarazzante...poi:

<< Davvero, tutta sola? Una ragazza giovane come te! Non puoi essere più grande di me... >>

<< Si, sono da sola. >>

Dal suo tono, Jane dovette capire fosse meglio lasciar perdere l'argomento, per cui si limitò a dire, un po' esitante:

<< Ma avrai almeno qualcuno ad aspettarti a terra? >>

Susan scosse il capo, rigida.

<< Ed è la tua prima volta in America? >>

<< Ci sono stata una volta, un'estate, ma sono passati molti anni, da allora... >>

<< ...Quindi immagino tu non abbia un posto dove andare... >> Susan scosse il capo di nuovo << ...e non sappia come trovarlo? >> Questa volta il suo cenno era appena percettibile, ma Jane l'afferrò lo stesso. << beh, allora...>>

Si guardarono per alcuni interminabili istanti, ancora in silenzio.

Poi finalmente Jane disse:

<< I miei zii mi staranno aspettando di sopra, sono sicura che potremmo aiutarti, in qualche modo... >> a quel punto le lanciò un sorriso, un sorriso incoraggiante, (Susan pensò che quello fosse la parte più bella di lei, le illuminava il viso...) << ...perché non vieni con noi? >>

(Possibilità)

Susan fu colpita da quella frase come da una scossa elettrica.

Gli occhi le si spalancarono, la testa scattò e si irrigidì all'esterno, mentre all'interno cominciò a girare e ragionare (o a tentare di farlo).

Lei era una donna molto giovane, sola, in una città sconosciuta: obiettivamente, non le sarebbe stato facile cavarsela in queste condizioni e dell'aiuto, le sarebbe stato utile.

Ma non era questo che le creava problemi, mentre rifletteva, in piedi in mezzo al corridoio di una nave con lo sguardo fisso, sull'offerta fattele da una, praticamente, sconosciuta.

Era la possibilità, il problema.

La possibilità che le si presentava di, effettivamente, tornare a interagire con altre persone, di, magari, contare su di loro e di vivere di nuovo in mezzo a loro...

Ma questo è quello che volevi, no?, quando hai lasciato l'Inghilterra... ricordò a se stessa.

Sì, era quello che aveva voluto.

Ma lo voglio davvero?

Sì.

Ma non mi sento pronta.

Lo sarai.

Non so...

Vai con lei, ti aiuterà a sistemarti e niente di più, se tu non vuoi

Ma, e se...

<< Susan? >>

Alzò li occhi su di lei.

<< ...Allora? >>

Quel suo sorriso era sempre lì, benevolo e rassicurante.

Dell'aiuto...era tanto tempo che non l'aveva...

Accettare dell'aiuto...

Solo questo, non può fare tanto male, no?

Certo che no.

Non l'ho chiesto a te!

Solo un po' d'aiuto, accetterai solo un po' d'aiuto, perché ne hai bisogno, ma niente di più, non puoi permettertelo, ricorda!

<< ...Sì. Si, vengo con te. >>













 







Note dell'autrice

E va bene, uno ha commentato, e avevo pure detto che ne avrei postato uno al giorno, quindi eccomi qui lo stesso...però siate più numerosi!

Spero comunque che il capitolo vi piaccia, perché questo incontro con Jane è davvero molto importante per la vita di Susan...

Ecco a voi il capitolo, che personalmente mi piace abbastanza

Alla prossima,

vi ricordo che le recensioni sono dei biscotti al cioccolato,

Daughter of the Lake

   
 
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