Quando il nero della solitudine si tinge di verde speranza
Archer sprofondò nel comodo divano in pelle di un elegante e ampio salotto. Il pavimento era talmente lucido che gli restituiva la sua immagine stremata. Con un po’ di immaginazione, si potevano notare persino le profonde occhiaie del ragazzo.
Sono contento di godere dell’incondizionata fiducia di Giovanni… Ma chi immaginava che…
Il figlio del suo Capo piombò nella stanza, interrompendo per l’ennesima volta il flusso dei suoi pensieri. Era un bambino sui sette anni di età, dalla lunga zazzera di capelli rossi e due grandi occhi penetranti. Si chiamava Silver, e la sua espressione era proprio la stessa che appariva sul volto di Giovanni quando si adirava.
“Voglio sapere quando torna papà.” La voce del piccolo sembrava minacciare un imminente pianto furioso. “Ci sei sempre tu! Lui non c’è mai!”
“Buono…” Ormai Archer aveva esaurito le frasi per rabbonirlo, dunque il suo non era altro che un disperato tentativo di resistenza. “Lui ha sempre tanto da fare…”
Non sopportava molto quel principino viziato. Ogni volta che entrava nella sua stanzetta, si rendeva conto che lui possedeva tutto ciò che si potesse desiderare. Tante volte aveva avuto la tentazione di rubare uno di quei costosi giocattoli per portarlo in regalo al suo cuginetto, per poi scacciare freneticamente tali pensieri: non poteva fare uno sgarbo del genere al figlio del Capo, per il quale provava una vera venerazione.
“Archer! Voglio dipingere!” Esclamò Silver improvvisamente, indicando una tela in camera sua. In mano aveva già la tavolozza dei colori e il pennello.
Chi si sarebbe mai aspettato che il pargolo avesse la passione per l’art…
“E tu mi farai da piedistallo!”
Archer si sentì improvvisamente ancora più esausto. Ma certo, quel malefico nanerottolo non sarebbe riuscito a dipingere tutta la tela, tappo com’era. Ma perché proprio lui avrebbe dovuto abbassarsi al punto da fargli da piedistallo?
“Il piedistallo ce l’hai.” Rispose il giovane Generale freddamente, indicando un basso sgabelletto ai piedi della tela.
“Ma la tua schiena è più morbida!” Protestò Silver.
Archer si preparò a fargli la ramanzina. “In realtà, devi sapere che il tuo papà…” E qui il piccolo si rabbuiò un poco. “…non si è mai permesso di trattare Reclute e Generali come servi. Per lui noi siamo compagni. Si preoccupa solo di coordinarci e di esortarci ad agire. E’ per questo che tutti noi lo rispettiamo. Ha anche tanti amici, sai?”
“Io sono sempre solo…” Commentò Silver, incapace di cogliere il vero intento di quel discorso. Aveva concluso soltanto che suo padre era amico di tutti, ma che di lui non si preoccupava affatto. “Mi lascia sempre qui. Mi fa tanti regali, ma…”
“Ci sono io.” Disse improvvisamente Archer, spettinando ulteriormente la zazzera rossiccia con una carezza. “Dipingeremo insieme un capolavoro, okay?”
Improvvisamente si era sentito vicino a quel ragazzino, tanto da trattarlo con gentilezza. Non si comportava così per educare un futuro Capo, ma perché un bambino il cui bisogno di affetto veniva soppresso da tanti regali gli ricordava dolorosamente la sua stessa infanzia.
Riusciva finalmente a capirlo.
Note: A differenza dell'altra, questa è Gameverse. Ho voluto pensare ad Archer come un figlio raccomandato da i suoi genitori, entrambi esponenti importanti del Team Rocket. Archer qui è giovane ed è appena entrato nel Team Rocket, ma è già Generale perchè conosce Giovanni fin da piccolissimo, e ha una grande ammirazione per lui.
Alla prossima! <3