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Autore: sheishardtohold    03/09/2012    4 recensioni
E' una rivisitazione della storia di Callie ed Arizona dopo la fine della storia tra Callie ed Erica. Callie ed Arizona si incontreranno si al bar di Joe, ma la loro storia proseguirà in modo diverso. Inoltre Arizona non è neanche un medico (si scoprirà più avanti il suo lavoro). I personaggi, il loro modo di reagire è diverso rispetto a quello a cui siamo abituati.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta stagione
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Arizona fu la prima a svegliarsi –a svegliarsi, non ad aprire gli occhi. Rimase per qualche istante immobile ad immaginare Callie stretta nella sua maglietta, a dormire serena tra le sue braccia, mentre lei restava completamente immersa nella folta chioma nera. Invece, quando aprì gli occhi, l’unica cosa che percepì fu il vento dell’inverno che impertinente, s’infiltrava dalla finestra accarezzandole il ventre scoperto. Sul lato opposto del letto, Callie, appallottolata su se stessa, si era presa tutto: le sue coperte, il suo spazio, la sua fiducia. E Arizona l’aveva lasciata fare. Cosa le importava in fondo? Niente, assolutamente niente. Ogni cosa perdeva importanza davanti a quegli occhi e a quel respiro affannato nel sonno –un sonno agitato. Neanche quando dormiva era in pace col mondo.
Gettò un’ultima occhiata al corpo inerme di Callie che si dimenava nei sogni, poi al cielo grigio macchiato da nuvole nere. Un cielo plumbeo, troppo cupo anche per Seattle. Ad Arizona non piaceva un cielo così, era presagio di sfortuna, di qualcosa sarebbe andato storto. Si sentiva impotente. Era come Callie nei suoi sogni, inquieta.
Scese le scale, si mise il cappottò, sbadigliò e uscì a fare due passi. L’aria fredda delle sei e mezza le pizzicava le guance, colorandole di rosa e poi di rosso. Soffiò sulle mani per scaldarle e poi estrasse dalla tasca una sigaretta. Si sdraiò su una panchina e l’accese, lasciando che il freddo marmo a contatto con la sua pelle le provocasse un brivido lungo la schiena. Tirò indietro i capelli, lasciò cadere la testa da un lato per osservare l’orizzonte. Nonostante fosse troppo cupa come giornata per vederlo o per scorgerne l’alba, lei sapeva che era appena successo.
Le strade erano tranquille, la maggior parte della gente era ancora rintanata nella propria casa, nel proprio letto, a dormire, a far l’amore, a scambiarsi un po’ di calore. Lei no, lei era lì fuori. Sola, al freddo. Parlava a suo fratello. Per lei quello era il suo momento di pace, il momento in cui si sentiva in armonia con l’universo. Poi finiva e allora correva al bar sotto casa per bere un caffè.
Questa volta non si fermò.
“Ciao” aveva sorriso Arizona entrando nel locale ed un saluto familiare l’aveva accolta. Era un’abitudine ormai, fare colazione in quel posto “Due caffè e due brioches al cioccolato” aveva usato un tono calmo, come di una che si sente a suo agio.
“Colazione per due eh?” la frase di Fabio, il barista italiano, parve ad Arizona più una provocazione, che una domanda. Lasciò cadere il discorso scuotendo la testa.
Prese in mano il sacchettino di carta, pagò, lasciò la mancia e uscì pensando che se non fosse stato per il freddo le sue guance rosse d’imbarazzo l’avrebbero tradita.
Appena in casa lasciò cadere tutto a terra, finendo poi in uno dei suoi sbadigli rumorosi. Si stiracchiò, si stropicciò gli occhi e cominciò a sorseggiare il caffè seduta per terra.
Non si era fatta la doccia, non si era neanche accorta di avere indosso i vestiti della sera prima – i vestiti impregnati del profumo di Callie. L’unica cosa che importava era aver parlato con suo fratello, aver bevuto il suo caffè e guardare Callie mentre scendeva per le scale e si sfregava gli occhi come i bambini.
“Buongiorno” esordì dolce Arizona, mentre Callie si trascinava in giro per casa il piumone, infreddolita.
A Callie uscì solo un flebile “Ciao” che risultò più la frase di un’eterna indecisa che un saluto. Era solo la stanchezza, lo sapevano entrambe.
“Che.. che razza di posto è questo?” disse con aria confusa passandosi una mano tra i capelli. Girava attorno a sé stessa nel tentativo di mettere a fuoco ogni minimo dettaglio di quell’enorme, gigantesca stanza.
“Questo è il mio studio fotografico” e prima che Callie potesse aggiungere qualsiasi cosa “Si, sono una fotografa”.
Arizona non si aspettava nessun “wow” o “che gran figata”, almeno, non da Callie che, infatti esordì con un “Non ti azzardare a lasciarmi mai più in un posto così grande da sola. Mi è quasi preso un colpo quando mi sono svegliata e non ti ho vista”.
Ad Arizona sfuggì un sorriso involontario. “Me lo ricorderò la prossima volta” disse con un tono carezzevole alzandosi per cingerle la vita.
“Arizona non ci sarà una prossima volta” e fermò le sue mani a mezz’aria, per spezzare quell’abbraccio ancora prima di entrare in contatto con la sua pelle. Arizona non disse nulla, solo non capiva e Callie glielo lesse in faccia. “Sai troppe cose di me, Arizona. Sai troppe cose” era un tono compassionevole, il tono di una persona consapevole di aver spezzato, ferito o comunque deluso le aspettative di un’altra persona. Avrebbe voluto dirle “cosa ti avevo detto? Quando ci si affeziona, quando si hanno aspettative, si soffre”. Avrebbe voluto dirle che le dispiaceva, invece rimase in silenzio e riprese a fissare con insistenza qualcosa di indefinito, almeno, così parve agli occhi di Arizona. Per quanto ne sapeva lei, Callie stava fissando il vuoto. La continua assenza di dialoghi tra loro ormai non era più un problema, anzi, si poteva pure definire il loro modo di comunicare. Arizona intuiva molte più cose dai silenzi di Callie che dalle sue parole. Silenzio, ormai c’erano abituate.
“Ti ho preso il caffè” aveva esclamato, per poi girarsi, prenderlo e porgerglielo. Quando Arizona si rigirò, trovò Callie davanti alla scrivania a frugare tra cartellette, fascicoli e foto. Sfogliò un paio di foto di paesaggi, ma si stancò subito. Poi passò ai volti, ai bambini che giocavano, la luna. C’era di tutto tra cassetti di quella scrivania, se uno sapeva dove cercare. Arizona restò immobile in disparte a guardarla. Le piaceva come Callie tentasse dei passi avanti per avvicinarsi al suo mondo.
“E questa?” le chiese Callie retorica prendendo in mano una cartelletta di cartoncino giallo sbiadita dal tempo.
“No, Callie! Quelle no, quelle no!” provò a strappargliela di mano, ma a Callie bastò solo alzare il braccio per impedirglielo. Arizona si appoggiò con le mani alle sue spalle, tese ogni muscolo del suo corpo, si mise in punta di piedi. “Tanto non ci arrivi” l’aveva presa in giro Callie, appoggiando il suo naso su quello di Arizona, che colpita da quell’inaspettato gesto che sembrava così abituale, tentennò. Abbassò la testa, accennando un passo indietro quando Callie le prese il mento tra l’indice e il pollice, costringendola a guardarla.
“Hey” si sentiva quasi in colpa.
“È.. è che è personale, tutto qui.” Non aggiunse altro. Non sorrise, non mise il broncio, non usò un tono particolare di voce. Disse solo “è personale”. Cosa c’era di più personale che passare la notte intera con una donna con quegli occhi a spiegarle i suoi sospiri, i suoi silenzi, il suo posto speciale? Cosa c’era di più personale di Arizona che aveva passato un’intera notte a restituire la vita a Callie con le sue mani e la sua bocca? E Callie, infatti, gliel’aveva detto.
“Io conosco il tuo nome, so che ti piacciono solo le cose nuove, che mangi il gelato al cioccolato – che preferisci la coppetta al cono – che ti piacciono le stelle e che hai un dono. Cosa può esserci di più personale?” Rimasero in silenzio. Le loro menti furono toccate dallo stesso pensiero. Arizona non aveva più nulla da perdere dal momento in cui Callie le aveva detto che non si sarebbero più riviste. Annuì in silenzio, poi si diresse verso la grande porta finestra e restò ad osservare il cielo per un tempo indeterminato. In sottofondo sentiva le foto che passavano avidamente tra le mani di Callie. Le guardava, le riguardava, sembrava non stancarsi mai.
“Sei tu” due semplici parole. Le aveva pronunciate con la stessa intensità con la quale aveva chiesto ad Arizona di baciarla o di toccarle l’anima, la sera prima. Ecco, le loro anime si stavano toccando ancora mentre Arizona si girava per guardare Callie negli occhi. E come sempre erano vicine e distanti nella stessa stanza -più di quanto potessero mai immaginare.
“Sei bellissima” si era lasciata sfuggire Callie, come sempre –come quando era con lei.
Avrebbe voluto avvicinarsi e baciarla per chiederle scusa per aver insistito, per curare le sue ferite –anche solo in parte– come lei aveva fatto. Riusciva a vederla completamente nuda, riusciva a vedere come Arizona si sentiva nuda davanti a lei e come le era diventato d’un tratto più facile leggerla come un libro aperto o vederci attraverso, come l’acqua di un ruscello. Avrebbe voluto, ma restò in silenzio. Arizona avrebbe saputo leggerle dentro o capire, come sempre.
“Ti spiace se mi faccio una doccia?” chiese Callie dopo aver finito anche l’ultima briciola della sua brioche. Arizona scosse la testa restando immersa nei suoi pensieri. L’unica cosa che la scosse fu vedere Callie pronta, sulla porta d’ingresso.
Scesero le scale mantenendo quel loro religioso silenzio e poi si salutarono davanti al portone.
“Beh, quindi.. addio?” l'affermazione di Arizona restò sospesa in aria per un istante. Riecheggiava nell'aria come una domanda, come a chiedere conferma, come a chiederle se se ne stesse andando davvero oppure era stato solo un brutto scherzo.
"Addio" era stata la sola parola di Callie che si voltava. Lo sguardo triste, le mani nel cappotto, le guance rosse. "Girati dai, girati", pregava Arizona mentre si stringeva la sciarpa al collo e strizzava gli occhi come fanno i bambini quando esprimono i desideri. "Non chiedo tanto, solo che ti giri e mi guardi. Me ne accorgerò da me che mi stai cercando. Sentirò i tuoi occhi sulla mia pelle, sentirò il tuo silenzio chiamarmi e le tue mani invisibili cercarmi e ti correrò in contro e ci ameremo a modo nostro: senza baci, senza parole -ci toccheremo l'anima- ma adesso girati, ti prego".
E così fece quando sentí i suoi occhi, la sua voce, le sue mani -la sua anima- si girò e le corse in contro lasciando piccole nuvole bianche nell'aria ad ogni respiro affannato.
Arizona andò a sbattere contro Callie finendo dritta fra le sue braccia. "Sono qui, mi vedi? Mi hai trovata", ma niente dalla sua bocca non usciva una sola sillaba. Tutto d'un tratto si era ritrovata muta. "Andiamo, non adesso" pensò, mentre il cuore di Callie batteva prepotente nel suo petto sovrastando i pensieri di Arizona. E lo sentí nella sua testa, nel suo stomaco, nel suo petto. Non osò chiederle cosa stava pensando -le era chiaro- e poi sapeva bene come funzionava quel gioco tra loro. Callie alla fine le avrebbe rivolto la stessa domanda. E a quel punto, cosa avrebbe risposto?
"Io ti amo. Non so come sia possibile in una sola notte, ma mi sono innamorata di te. Prima dei tuoi occhi, poi di te. E sono sicura che è amore, non mi sto confondendo con altro. È amore perché vorrei svegliarmi la mattina e trovarti nella mia maglietta, appiccicata al mio corpo -anche se questo vorrebbe dire rinunciare alle coperte, bene, rinuncerò volentieri. È amore perché vorrei baciarti sotto la pioggia, quando non percepisci più nulla, se non l’odore di bagnato e poi ridere. È amore perché vorrei portarti al mare. Nessuno è mai riuscito a portarmi al mare, nessuna delle persone con cui sono stata. È amore perché credo valga la pena saltate tutte le tappe e dirti che ti amo. Che valore ha il tempo se tu non sei qui a dividerlo con me?” Arizona si sentì esausta per quel discorso, come se l’avesse detto davvero ad alta voce e non solo nella sua testa. “È amore perché è fiducia" lo urlò nella sua mente, tentando di penetrare lo sguardo di Callie col suo.
Occhi negli occhi, rimasero in quell'attimo di sospensione per un momento eterno. "Calliope" cercò di pronunciare il suo nome, quando Callie la strinse a se -le sue labbra, le sue mani, il suo corpo- e la baciò. Rimasero aggrappate l'una all'altra. Piansero, nelle loro menti piansero entrambe. Erano lacrime invisibile proprio come le loro parole -solo le loro anime potevano toccarle. Piansero perché si erano cercate, si erano trovate, si erano create aspettative. Avrebbero sofferto di più dopo. Inspirarono all'unisono nella speranza di tenere salda l'anima dell'una all'altra, poi si lasciarono andare. Non una parola, non più uno sguardo. Solo le labbra che pulsavano dell’ultimo bacio e un ciondolo rotto accanto al letto di Arizona. Questo era stato il loro addio.
  
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