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Autore: sheishardtohold    06/09/2012    6 recensioni
E' una rivisitazione della storia di Callie ed Arizona dopo la fine della storia tra Callie ed Erica. Callie ed Arizona si incontreranno si al bar di Joe, ma la loro storia proseguirà in modo diverso. Inoltre Arizona non è neanche un medico (si scoprirà più avanti il suo lavoro). I personaggi, il loro modo di reagire è diverso rispetto a quello a cui siamo abituati.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta stagione
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“Ecco il tuo tè verde” aveva detto Joe, porgendo una tazza fumante ad Arizona. Lei sorrise. Era felice, era solare. Era l’arrivo della primavera che la metteva di così buon umore –i fiori che sbocciano, le rondini che cantano, il cielo azzurro e limpido che si alterna ad una leggera pioggia. Arizona sorseggiò il suo tè caldo, gustandone ogni minima goccia. Sapeva che quello sarebbe stato uno degli ultimi della stagione invernale.
“Tè verde, davvero?” aveva esclamato una voce alle sue spalle, facendola sobbalzare. Arizona mandò giù tutto d’un fiato metà del tè bollente nella tazza, bruciandosi la gola. Poi cominciò a tossire, mentre la voce rise.
“Callie?” si girò a guardarla –a guardarla ridere di lei. “Callie!”
“Dio, quanto mi sei mancata”, pensò mentre la stringeva a sé. Le braccia di Arizona circondarono le spalle di Callie prima ancora che se ne potesse rendere conto. Le braccia di Arizona la tenevano così forte, che neanche volendo avrebbe potuto opporsi. Figuriamoci, era già tanto se la lasciavano respirare. Callie istintivamente ricambiò il gesto affettuoso. Era mancata anche a lei. Per quanto non volesse ammetterlo, per quanto fosse sbagliato affezionarsi, secondo la sua logica, era mancata anche a lei in fondo. Se ne rese conto solo quando Arizona si staccò da quell’abbraccio che le era davvero mancato tutto questo. Se ne accorse quando Arizona si staccò e lei tentò di fermarla per tenerla ancora con sé.
“Come stai? Cos’hai fatto in questi mesi? Ti sono mancata? Mi hai mai pensato?” Arizona avrebbe voluto chiedergliele tutte queste cose. “Io si, ti ho pensato sempre” e invece restava solo a guardarla con gli occhi che le brillavano di gioia.
“Conosci Callie?” le aveva interrotte Joe.
“Conosci Arizona?” aveva ribattuto Callie, ancora prima che Arizona potesse rispondere alla domanda.
“Qui la conoscono tutti. È l’unica che viene al bar alle dieci per bere un tè verde” esclamò Joe ridendo, come ad intendere che a quell’ora solo bere alcool diventa legale, o per lo meno nomale. Le guance di Arizona si tinsero di rosso mentre cadeva in un totale imbarazzo. Si sollevò appena dalla sedia, oltrepassò il bancone con un braccio e spinse Joe sulla spalla, mossa da un gesto amichevole, come a chiedergli di smetterla. Callie restò ad assistere alla scena, finchè Joe non indicò ad Arizona il grande orologio che si stagliava sulla parete alle loro spalle.
“Oddio, devo andare!” esclamò Arizona, infilando il giubbino in pelle nera.
“Dove?” fu istintiva la domanda di Callie, che la guadava piegata verso terra con la testa immersa in un enorme zaino nero. Per un attimo Arizona le fece tenerezza. Così piccola, così minuta si perdeva in uno zaino così grande. Pensò che l’avrebbe potuta spezzare.
“Ho un appuntamento” rispose senza neanche pensarci Arizona. Solo quando si alzò per uscire dal locale si rese conto di quanto quella frase potesse turbare i pensieri di Callie. Si fermò sulla soglia della porta. Voleva solo essere fredda e distaccata, come lo era stata Callie quando le aveva detto che non si sarebbero più riviste. “Non ti devi affezionare” e lei stava cercando di non farlo, o per lo meno cercava di tornare indietro –un passo indietro rispetto al momento in cui aveva cominciato ad affezionarsi a Callie. Che poi se lo chiedeva da tempo, esisteva davvero un momento preciso oppure era legata a lei da sempre? Un attimo, il tempo di un’esitazione, poi Arizona si girò indietro e corse a prendere le mani di Callie tra le sue.
“Non è come credi” la voce bassa, il tono dolce di Arizona scaldarono il cuore di Callie e la fecero sentire al sicuro, come sempre, come quando era Arizona a parlarle. Non l’aveva dimenticata quella sensazione. “Vuoi venire?”.
“Si.” Callie non aveva esitato neanche un istante. Il tempo di prender fiato e risponderle si, ferma decisa, ad alta voce. “Si, ti ho pensata. Si, mi sei mancata. Si, ho pensato di non poter stare senza di te e di amarti, forse. Ma io non sono brava ad amare, non ne sono capace”, era quello che avrebbe voluto dirle, ma si limitò solo ad uno stupido “si” alla sua proposta. E senza far domande si lasciò guidare dalle mani di Arizona che continuavano a tenerla stretta in una morsa eterna. Senza far domande si fidò.
 
“Stiamo tentando di battere un record in scalate?” chiese Callie in tono ironico e proseguì la frase, senza aspettare una risposta alla sua domanda retorica “No, perché se non te ne fossi resa conto è da un’ora che stiamo salendo questa strada” Arizona trattenne a stento una risata, mentre con la mano cercava al buio quella di Callie, rimasta qualche passo più indietro.
“Siamo quasi arrivate” le aveva detto avvicinando il suo orecchio alla sua bocca. Parlava a bassa voce per non disturbare la quiete del posto. Callie le strinse le mani attorno al braccio sorridendole. Ad Arizona piaceva il modo in cui Callie aveva imparato a prendere confidenza col suo corpo, la sua voce, la sua persona, spingendola persino a far battute.
“Sei sicura che non vuoi ti porti lo zaino?”
“Callie, è la ventesima volta che me lo chiedi. Ho detto di no” le schioccò un bacio sulla guancia “Grazie.”
Callie sentì le gambe cedere sotto al suo peso. Si staccò da Arizona e si fermò in mezzo al nulla, dandosi il tempo necessario per riprendersi dalla camminata e dal quel bacio. Arizona aveva aumentato il passo, anzi, saltellò felice nell’erba verde finchè non posò lo zaino a terra ed esclamò entusiasta “Siamo arrivati!” Non stava più nella pelle. Callie non riusciva a capire quell’entusiasmo.
“Oh” esclamò quando il suo sguardo percorse l’orizzonte sotto al quale si estendeva Seattle, nei suoi colori, nel suo splendore. Arizona prese il volto di Callie con una mano, facendole alzare lo sguardo, poi scivolò dietro di lei. Appoggiò il mento sulla sua spalla, immergendo il viso tra i capelli di Callie, mentre con le braccia le cingeva la vita.
“Oh” esclamò di nuovo, questa volta con più sorpresa. Arizona sorrise compiaciuta, mentre ascoltava il battito del cuore di Callie e il suo respiro affannato. Ad Arizona piaceva sorprendere Callie. Voleva vederla sorridere, voleva essere lei la ragione di quel sorriso e di quegli occhi che s’illuminavano sotto le stelle. In fondo le bastava sempre così poco per farla stare bene.
“Volevo solo fare qualche foto a.. questo” Arizona parlava a Callie sempre piano, sempre quieta, come se solo parlandole avrebbe potuto calmare la sua anima “Perché..” Callie l’aveva interrotta.
“A te piacciono le stelle” Callie si girò per dirglielo –dirglielo guardandola negli occhi- mentre Arizona sorrise ed annuì con la testa. Si alzò una leggera brezza, presagio di primavera ma ancora troppo fredda, data la stagione e scosse il corpo di Arizona. Callie, d’istinto, la strinse tra le sue braccia, mentre Arizona si strinse a lei. Le mani di Arizona s’intrufolarono tra la giacca di Callie e la sua felpa, e si serrarono in pugni per non lasciarla andare via. Rimasero così qualche istante, giusto il tempo di far passare il vento freddo, poi si staccarono l’una dall’altra lanciandosi un’occhiata come a dirsi “Mi è mancato tutto di te, ma dire tutto è come dire niente. Allora ti dico che oltre alle tue mani, alle tue braccia, alla tua bocca, alla tua voce, la cosa che mi è mancata di più è stato il nostro silenzio.”
Callie andò a sedersi su una panchina, per guardare da lontano Arizona che si perdeva a sistemare la sua macchina fotografica.
“Potrebbe essere un po’ noioso” le disse Arizona, provando un paio di scatti per verificare i colori e l’intensità della luce “Prometto che sarò veloce” e le aveva sorriso, così, semplicemente, come ogni volta che la guardava. E Callie aveva ricambiato. Con lei aveva imparato a ricambiare un semplice sguardo, un sorriso puro, una sola parola gentile. Con lei si sentiva più buona, meno sola, meno infelice.
Passò del tempo, nessuna delle due si rese conto di quanto tempo effettivamente passò. Arizona troppo persa nelle sue stelle, Callie troppo persa in Arizona. Era rimasta tutto il tempo a fissarla mentre si chinava, si spostava, calcolava delle distanze. Studiava ogni suo movimento, lo spostamento dell’aria al suo passaggio e il suo odore quando si faceva più vicina. Quando Callie distoglieva lo guardo per osservare le stelle o le luci di Seattle, sentiva l’odore di Arizona che si avvicinava e la chiamava indietro, come a richiamare uno sguardo o l’attenzione persa. Arizona –il suo odore- era come una calamita per i sensi di Callie.
“Guarda che puoi parlare anche se sembro super concentrata” esclamò Arizona sarcastica prendendo posto accanto a lei. Callie sussultò. Nonostante l’avesse sentita farsi più vicina, sussultò quando Arizona appoggiò la sua spalla contro la sua accennando un movimento provocatorio. Si limitò a scuotere la testa e a girarsi dall’altra parte, quando Arizona le scattò a tradimento una foto.
“No” aveva detto seria Callie, mente Arizona si era alzata dalla panchina e aveva preso a correre “Arizona, torna indietro” e Callie aveva iniziato ad inseguirla “Cancellala immediatamente! Avevi detto le stelle, non me. Cancellala!” Per un attimo Callie si trovò disorientata. Si guardò attorno senza più distinguere le ombre degli alberi dalla silouette di Arizona, che si avvicinò di soppiatto alle sue spalle bisbigliando “Ma si che lo sei, una stella” e poi ricominciare a scappare.
Callie la prese per un braccio attirandola a se con forza, nel tentativo di farla tornare indietro. Arizona perse l’equilibrio, cadde a peso morto su Callie, che a sua volta scivolò. Mentre finivano stese a terra l’unica cosa che si sentì fu Arizona urlare “Attenta alla macchina fotografica, attenta alla macchina fotografica” per poi scoppiare in una risata. Callie la guardò stesa a terra, accanto a lei mentre rideva di una risata limpida e cristallina che riecheggiava nell’aria e riempiva tutto. Nonostante tentò di mantenere un tono serio, scoppiò a ridere anche lei contagiata da quel suono.
“Stai bene?” Arizona si voltò a guardare Callie che annuì, nonostante le facesse male la testa per la botta.
“Tu?” anche lei annuì per poi stringersi al braccio di Callie e chiudere gli occhi per godersi quel momento. Arizona sorrideva serena mentre Callie le passava una mano tra i capelli biondi.
“Sai cantare?” le aveva chiesto con un filo di voce.
“Come?”
“Sai cantare?” aveva ripetuto nuovamente, restando immobile nella sua posizione fetale. Le gambe in cerca di quelle di Callie, le braccia strette a lei.
“No” ecco cos’avrebbe voluto risponderle Callie. No, perché per lei cantare era una cosa personale –come avrebbe detto Arizona. Cantare era qualcosa che apparteneva a lei –solo a lei- qualcosa che non aveva mai voluto condividere con nessuno. Era il suo dono segreto -la sua voce- e lo custodiva gelosamente. Invece disse “si”, sussurrando, chiaramente consapevole di ciò che Arizona le avrebbe chiesto dopo. La sua domanda, infatti, non tardò ad arrivare.
“Puoi cantare per me?” ed Arizona gliel’aveva chiesto come consapevole del fatto che quello era un segreto che apparteneva solo a Callie. E Callie le avrebbe risposto di no se solo fosse stata abbastanza fredda, se solo fosse stata abbastanza lucida davanti a quegli occhi azzurri che brillavano così prepotenti persino all’ombra del buio.
“Cantami quello che vuoi, Callie. Solo canta per me” e Callie aveva iniziato a cantare. La sua bocca si era schiusa in un suono flebile che poi si era fatto sempre più forte, sempre più potente. Callie chiuse gli occhi, Arizona, invece, la fissava col fiato sospeso come a non voler disturbare quel suono così perfetto col suo respiro.
Quando Callie riaprì gli occhi, si ritrovò faccia a faccia con Arizona che si protendeva sopra di lei con la macchina fotografica.
“Ti prego” le aveva detto fermandole la mano a mezz’aria “Callie, sei.. sei perfetta in questo momento. Ti prego” Callie si era lasciata andare ad un sorriso per la dolcezza con cui Arizona aveva pronunciato quella frase. Aveva preso la macchina fotografica e l’aveva appoggiata sull’erba per poi rigirarsi verso Arizona, prenderla per il colletto del giubbino e attirarla a sé per baciarla.
Arizona rimase in ginocchio, sospesa sopra a Callie, mentre con una mano si reggeva in piedi e con l’altra si appoggiava alla sua spalla. Un ciondolo sbucò fuori dai vestiti di Arizona. Calliope.
“L’hai fatta aggiustare?” chiese Callie passandosi tra le mani il ciondolo.
Arizona annuì silenziosamente mantenendo un sorriso limpido, mentre Callie le spostava dietro all’orecchio una ciocca di capelli e con l’altra mano avvicinava il suo viso alle sue labbra.
Capì in un istante che la perfezione a cui si rifaceva Arizona dipendeva solo dal modo in cui lei riusciva a guardarla e a toccarla dentro.
 
“Ora ti porterò nel posto in cui assaggerai la cioccolata più schifosa del mondo. Probabilmente ti sembrerà un posto strano per bere cioccolata e ti verrà istintivo fare domande. Bene, non lo fare, non parlare proprio finchè non ti sembrerò abbastanza calma per smetterla di straparlare, perché per quanto tutto questo possa sembrarti assurdo, per quanto in apparenza possa sembrare solo un posto angusto, questo è il mio posto felice, okay?” la bocca di Arizona si schiuse in un enorme sorriso luminoso, mentre Callie riprese fiato. Prese per mano Arizona e la guidò fino all’ingresso del Seattle Grace. Con la coda dell’occhio rimase a guardare l’espressione di Arizona mutare sul suo viso, ma non in senso cattivo, anzi, sembrava una bambina in gita con la scuola in un ospedale. Arizona era una persona curiosa mentre osservava le infermiere correre per i corridoi, i pazienti che si spostavano a fatica, gli altri che si intravedevano appena nelle loro stanze.
“Oh, adoro le scarpe di quella bambina” era stato il suo unico commento guardando un paio di pattini a rotelle rosa. Callie non capì se Arizona fingesse tutto quell’entusiasmo o davvero fosse parte di lei. Sembrava non capire dove si trovasse. In ospedale la gente muore, la gente sta male, lei invece andava in giro sorridendo come se non se ne rendesse conto. Ma Callie non fu infastidita dal quel suo comportamento, anzi, i suoi nervi si distesero e finalmente si rilassò quando si sedette al tavolo della caffetteria con due cioccolate fumanti.
“E così questo è il tuo posto felice?” Arizona aveva interrotto il silenzio sapendo che quello era il momento in cui Callie aveva ripreso a sentirsi a suo agio. Le guance avevano smesso di pulsare colorate di un rosso vivo e il suo respiro era tornato regolare.
“Si, no, cioè si” aveva detto Callie indecisa “cioè, in ospedale sto bene –il mio lavoro mi fa stare bene- ma non è esattamente questo il mio posto felice”. Callie si era alzata in piedi a dire “vieni te lo faccio vedere” per poi prendere Arizona per mano e condurla in una specie di scantinato alcuni piani sotto la caffetteria.
Arizona lasciò scivolare a terra lo zaino e si sfilò il giubbino appoggiandolo a terra, sedendosi sul letto per guardarsi intorno. Tra le mani stringeva ancora il cartone di cioccolata calda per scaldarsele. Callie si aspettava un commento di qualsiasi genere, invece Arizona restò zitta a guardare come Callie aveva arredato quel posto come fosse casa sua.
“So che non è il massimo. È freddo e spoglio” come te, pensò Arizona guardandola, perché sapeva che era questo che Callie intendeva, aveva capito perfettamente perché quello era il suo posto felice –perché era come lei- “però è casa mia –l’ospedale è la mia casa. Star vicino ai miei pazienti, intendo in senso fisico, mi fa sentire meno sola”. Arizona sorrise della sua debolezza, della sua fragilità, mentre con una mano le fece cenno di sedersi accanto a lei.
Arizona si tolse le scarpe ed incrociò le gambe sul letto appoggiando la schiena ad un cuscino, dopo averlo sistemato contro al muro. Bevve un sorso di cioccolata mentre Callie continuava a guardarla. Non aveva detto nulla da quando l’aveva portata lì, non riusciva nemmeno a decifrare l’espressione sul suo volto.
“Mi piace” Arizona ruppe il silenzio “Non che tu abbia bisogno della mia approvazione, ecco, solo che mi piace. Mi sento a mio agio qui” e Callie non capì se per qui intendesse nel suo posto felice oppure accanto a lei e basta. Si limitò solo a ricambiare il suo sorriso mentre i suoi occhi sembravano proprio non volersi staccare dai lineamenti dolci del volto di Arizona.
“Che c’è?” chiese a Callie, sapendo di aver fatto la domanda sbagliata “A cosa stai pensando?” si corresse immediatamente mantenendo quel contatto visivo.
Callie per tutta risposta si protese verso di lei –un piede appoggiato a terra, un ginocchio sul letto e le braccia tese a sostenere il suo peso mentre sfioravano i fianchi di Arizona. Quando Arizona capì che Callie la stava per baciare chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalle sue labbra.
“Sto pensando al tuo corpo, Arizona” entrambe restarono senza fiato. Callie non l’aveva mai chiamata ad alta voce dopo una frase così importante. “Voglio fare l’amore con te” ed Arizona si aprì in uno dei suoi soliti sorrisi dolci sfiorando con le dita della mano la guancia di Callie –piano, come per non spezzarla sotto al suo tocco. Come sempre, non ebbero bisogno di parole. A Callie bastò quel cenno per sfilarle il cartone di cioccolata dalle mani ed approfondire il loro bacio. Arizona si ritrovò spalle al muro, sommersa dai capelli neri di Callie che le offuscavano la vista, così come quel bacio affannava il suo respiro. Sentì prima le mani di Callie cercare le sue, poi un sospiro. Arizona aprì gli occhi e si perse nel terrore del suo sguardo.
“Va tutto bene, Callie” strinse le sue gambe attorno al corpo di Callie che tremava di paura sotto al suo tocco “Va tutto bene” pronunciò flebilmente le parole sfiorandole le labbra che restavano schiuse a pochi centimetri dalle sue. Arizona lasciò scivolare piano le sue mani sul volto di Callie accarezzandole dolcemente la fronte, le palpebre, gli zigomi. Callie chiuse gli occhi, concentrandosi solo sul respiro regolare di Arizona per calmarsi. Arizona prese le mani di Callie nelle sue e restò in silenzio ad ascoltare il battito del suo cuore che bussava prepotente contro le sue costole come a chiederle di uscire –sembrava le stesse scoppiando nel petto. Callie deglutì una, due, mille volte ed Arizona restò immobile ad osservarla, ad aspettare solo che fosse pronta –che si sentisse sicura. Poi Callie riaprì gli occhi e lentamente mosse la sue mani sotto la maglia di Arizona che restò immobile. Le dita di Callie si muovevano leggere sulla sua schiena, come se stessero accarezzando velluto, come se stessero cercando di farle solletico. In un solo gesto a rallentatore Callie fece scivolare dal corpo di Arizona la maglia ed il maglione abbandonandoli sul freddo pavimento. Arizona sospirò rumorosamente irrigidendo la schiena nel tentativo di mantenere il controllo, mentre silenziosamente le mani di Callie si prendevano tutta la lucidità dei suoi sensi.
Arizona sfiorò sensualmente il profilo del naso di Callie contro il suo, come quando i gatti fanno le fusa, e poi si inumidì le labbra lasciando che Callie ne studiasse ogni minimo movimento. Arizona sfiorò la bocca di Callie con la sua e si morse il labbro, questa volta non in modo provocatorio. Aveva paura di sbagliare, paura di affidarsi troppo ai suoi sensi, paura di non far sentire Callie al sicuro. Pensava che l’ultima cosa che avrebbe voluto sarebbe stato vedere il corpo di Callie ritrarsi dal suo, mentre con dolcezza la guidava nei movimenti e la faceva sdraiare. Nello stesso modo incerto e insicuro con cui Callie aveva spogliato Arizona, anche lei tentennò nel slacciarle la camicia. Mentre tra le mani passava bottone per bottone, i suoi occhi restavano incatenati allo sguardo di Callie per controllarne le sue reazioni. Quando la camicia di Callie cadde a terra accanto ai suoi vestiti, Arizona guardò il corpo nudo di Callie, che a sua volta la fissava, movendo la testa di lato. Sorrise di un sorriso dolce. Sorrise come fosse leggera ed Arizona trattenne a stento le lacrime guardarla inerme sotto al suo peso. Erano lacrime di rabbia quelle di Arizona, erano lacrime di qualcuno che si domandava com’era possibile distruggere una persona in quel modo, quando l’unica cosa che lei riusciva a fare –che lei voleva fare- era restituirle tutto. I suoi sorrisi, la sua anima, la sua vita.
“Non ti farò mai del male, Callie, te lo prometto. Io lo so che tu non ci credi alle promesse, ma prova a farlo –per me, per l’ultima volta. Perché io non voglio farti del male. Perché io voglio scaldarti il cuore anche quando fuori fa così freddo che ti si gelano le ossa, perché io voglio riempirti quando ti senti vuota. Non lo vedi? Io ti amo, sei l’amore della mia vita.” Arizona si chiedeva se Callie potesse leggere tutto questo nei suoi occhi ogni volta che le stava attorno, che le parlava, che la toccava. Arizona si chiedeva se sarebbe scappata se gliele avesse dette, perché Callie era così, Callie scappava quando le si dicevano cose belle, quando c’era da affezionarsi. Callie scappava sempre perché le avevano portato via tutto –i suoi muri, i suoi scudi, le sue barriere invisibili- e scappare era l’unica cosa che l’era rimasta per proteggersi.
Una pioggia leggera cominciò a danzare sulle strade di Seattle così come le mani di Callie cominciarono a danzare sul corpo di Arizona che la lasciava fare per ridarle sicurezza, per farle capire che era lei che poteva fare il primo passo, per dirle che lei non se ne sarebbe andata. La bocca di Callie cercò in modo affannato la pelle bianca di Arizona che risplendeva nel buio. Le labbra di Arizona cercarono quelle di Callie per suggellare l’amore di una notte in un ultimo bacio. In quel momento Callie si strinse nella maglia di Arizona. In quel momento Arizona strinse a sé Callie e pensò che non c’erano braccia più perfette per stringerla. Pensò che le sue braccia erano fatte apposta per Callie e Callie pensò che il suo corpo fosse fatto apposta per essere stretto al corpo nudo di Arizona avvolto fra le coperte.
“Arizona..”
“Callie, ti prego”
“Arizona..” Callie non aveva aggiunto altro.
“Io lo so che ci stiamo lasciando –che mi stai lasciando. Lo so che questo è il nostro addio –il nostro vero addio. Lo so che domani mattina me ne andrò contro voglia sperando solo di poter rivedere quegli occhi tristi illuminarsi per me, ancora una volta. Lo so che non ti vuoi affezionare. Tutte queste cose le sappiamo entrambe. Quindi, per favore, stai zitta. Non rovinare quest’attimo perfetto.” Fiumi di parole che restavano nella testa di Arizona, mentre stringeva a sé Callie più forte che poteva. Come se il solo contatto servisse per dirle tutto quello che pensava. Come se stringendola non l’avrebbe mai persa.
Callie scoppiò in un pianto silenzioso, scossa dai singulti, mentre Arizona appoggiava la sua testa sulla spalla di Callie e le sussurrava all’orecchio un flebile ssht, come si fa coi bambini per calmarli. Callie si girò, faccia a faccia con Arizona. La guardò un istante negli occhi e poi si fece piccola. Rannicchiandosi in posizione fetale, portò le braccia di Arizona lungo la sua vita, per farsi stringere ancora, mentre nascondeva la testa nell’incavo del suo collo. Restarono in silenzio a sentire l’odore dell’una mischiarsi con quello dell’altra, a sincronizzare i battiti del cuore. Si addormentarono solo all’alba quando un raggio di sole, flebile come il loro amore, sbucò dietro alle nuvole candide e penetrò dalla finestra accarezzando i loro corpi. Sul pavimento freddo il luccichio del ciondolo di Arizona risplendeva tra i loro vestiti.
  
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