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Autore: Katekat    04/09/2012    4 recensioni
Gellert Grindelwald è rinchiuso nella torre più alta di Nurmengard, a consumarsi lentamente giorno dopo giorno. Nella sua mente vagano molti pensieri, ma tutti ruotano intorno a un'unica figura: Albus Silente, colui che è stato il suo più dolce amico, prima che la vita li separasse.
Poi arriva Voldemort, e la recita è finita.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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My Sweetest Friend 
 

 
 


Terra – il pavimento di pietra è coperto di terra.
Le mie unghie sono spezzate.
Il sangue si rapprende intorno, nero.
I miei piedi sono nudi.
Non li sento più.
Le vene violacee corrono sotto la sfoglia sottile di bianca pelle, dipanandosi come fili di una ragnatela sul mio corpo spezzato.
Rattrappito sono – proprio come un gigantesco ragno che rumina livore impotente nel ventre rigonfio.
Anche l’odio ha perso il suo sapore.
Era un confortante sapore speziato, tra la lingua e il palato – calore amaro e velenoso, bolo di fiele che non va né su né giù, bloccato nella strozza.
Come sono io, bloccato in questa cella – tra ieri e domani, tra passato e futuro.
Nulla a distrarmi, nulla cui la mente possa appigliarsi – un’empia superficie liscia su cui scivolano, impotenti e digrignanti, gli artigli del mio pensiero.


Noia.
Mia acerrima nemica.
È lei che mi uccide. 
Tutto è preferibile a questa lenta, atroce, dolcissima morte silenziosa e indolore.
Perciò mi faccio male.
Perciò cerco il dolore. 
Dà l’illusione della vita. 
Ti fa sentire ancora qualcosa, anche solo un pezzo di carne cruda.
Ma un pezzo di carne cruda è meglio di un fantasma senza occhi né bocca.
 


I hurt myself today
To see if I still feel
I focus on the pain
The only thing that’s real
 


Se qualcuno mi chiedesse cos’è la vita, non risponderei: né gioia, né lotta, né speranza.
Inizia col dolore di una donna sconosciuta e si spegne nel dolore di lasciare questo mondo al momento meno opportuno.
Ho imparato a identificare la vita col dolore.
Disciplina e dolore: a Durmstrang è questa la legge.
Anche a casa mia lo era.
 
Così mi sono rotto le unghie – a furia di strapparmi la pelle a graffi.
Poi, quando sono diventate troppo logore per continuare a ferirmi, ho grattato via schegge di pietra dalle mura e ho iniziato a provare quelle, sulla carne.


 
The needle tears a hole
The old familiar sting
Try to kill it all away
But I remember everything
 


Resto a fissare affascinato il sangue che cola.
Lente gocce spesse – dense di vita, gonfie di morte.
Dopo tutto quello che ho visto e versato, il sangue dovrebbe aver perso ogni effetto su di me.
E invece no.
Ogni volta è la solita magia che mi travolge.
E allora finisco per leccarlo via.
Non sopporto vadano sprecate, queste stille cremisi che recano in sé il potere della vita – la più grande delle magie esistenti.


 
Dicevi che la vita è un dono che non va sprecato, soprattutto da chi, come noi, aveva la capacità di indirizzarla a grandi fini.
Per il Bene Superiore, ricordi?
Dove ci ha condotti il Bene Superiore?
Cosa ci ha fatti diventare?


 
What have I become?
My sweetest friend
Everyone I know
Goes away in the end
 



Devi sapere – non l’ho mai confessato a nessuno, tantomeno a te – che sono stato un bambino picchiato, maltrattato, abusato. 
Prima in famiglia, poi a Durmstrang.
E' stata una liberazione quando mi hanno espulso.
Quando ti ho conosciuto, il primo sentimento che ho provato nei tuoi confronti è stato disprezzo, scherno, dettati dall’invidia. 
Perché tu eri stato così maledettamente più fortunato di me – e nemmeno te ne rendevi conto che avrei dato tutto, ma proprio tutto, per poter fare a cambio con te.
Non ti ho mai parlato di quel timore panico, terrore viscerale, paura profonda e paralizzante, soffocata sotto strati di finta indifferenza ed egoismo: la paura di essere abbandonato.
Non mi ero mai affezionato a nessuno come a te.
E vivevo nell’angoscia che anche tu, un giorno, come tutti prima di te, saresti sparito e mi avresti lasciato solo per sempre. 
Non lo avrei sopportato. 
Penso che ti avrei inseguito fino in capo al mondo per ucciderti con le mie mani, se avessi osato fare una cosa del genere.
Sì, a volte ti amavo così disperatamente che pensavo di ucciderti, così sarei stato certo di averti mio per sempre.
Ero ossessivamente, morbosamente attaccato a te, anche se ostentavo sprezzante distacco.
Ma se tu avessi guardato appena più a fondo avresti capito.
Ecco perché evitavo il più possibile i tuoi occhi azzurri e la loro scomoda capacità di penetrarmi come aghi.
Mi irritava profondamente che qualcuno cercasse di capirmi.
Mi piaceva crogiolarmi nella parte dell’eterno genio incompreso, acuiva la mia megalomania, alimentava il mio auto-compiacimento sofferente.
Più mi auto-condannavo alla sofferenza, più mi flagellavo, più ambivo ad elevarmi al di sopra di ogni altro essere.
Più la mia ambizione e la mia sete di potere crescevano.
Un circolo vizioso, insomma, abilmente alimentato dal sottoscritto.

 
È stato un bene che ti sia allontanato da me, prima che fosse troppo tardi, prima che potessi inoculare un altro po’ di me dentro di te. 
Il mio veleno probabilmente ti avrebbe ucciso.
Un’anima essenzialmente candida come la tua non avrebbe retto.
Perché tu, nonostante i tuoi discorsi, sei sempre stato diverso da me.
Non saresti mai potuto essere un vero “cattivo”. 
Quello sarebbe stato il mio ruolo, tu ti saresti accontentato del “secondo”, incapace di reale crudeltà, lacerato in eterno dal dubbio e dal contrasto tra le due parti che si dividevano la tua anima, luce e buio.
Sono stato io a metterti di fronte alla scelta.
Non sopportavo più di vederti così tormentato.
E tu alla fine hai scelto.
Non me.
Io ho ucciso Ariana, tu hai scelto la luce e le nostre strade si sono divise.


 
You could have it all
My empire of dirt
I will let you down
I will make you hurt
 



Mi convinco che sia stato meglio così.
Ti avrei fatto male, molto male.
Ho sempre avuto talento per distruggere tutto il buono con cui venivo a contatto.
Ero maledetto, dicevano.
E sono lieto di averti messo in salvo prima di perdere anche te.
Ti ho perso lo stesso, certo, ma in un modo diverso.
Ti ho perso conservando l’illusione di poter vantare qualche diritto su di te.
Perché io ti conoscevo meglio di chiunque altro – conoscevo i tuoi segreti, sapevo chi eri davvero o meglio cos’era davvero quella parte di te, nascosta nel profondo, addormentata, certo, ma mai sopita del tutto.


 
I wear this crown of shit
Upon my liar’s chair
Full of broken thoughts
I cannot repair
 


E ora sono qui.
I miei grandiosi progetti per il futuro si sono infranti contro di te, il mio vecchio amico.
Amico.
Di me rimane solo un ridicolo re vestito del tanfo di una cella minuscola, con vesti stracciate, pensieri stracciati che si inseguono senza senso attorno al centro di gravità. Tu, ovviamente.
Di me è rimasto il grandissimo bugiardo egoista che ha preso e mai dato, che non si è mai aperto per la paura di rompersi, mai esposto per il timore di apparire debole e ridicolo, che ti ha lasciato andare per vigliacco orgoglio, nel momento in cui avrebbe dovuto tenerti più stretto.
Avrei dovuto pretenderti per me, allora.
Invece no.
Il mio primo e ultimo gesto altruista.
Altruista?


 
Beneath the stains of time
The feelings disappear
You are someone else
I am still right here


 
Ma è passato così tanto tempo, vecchio mio.
Mi sembra appartenga a una vita passata.
Non sono più quello di una volta, e nemmeno tu.
Non ci è rimasto più niente a unirci davvero.
I sentimenti sbiadiscono.
Il dolore resta.
E io resto qui.
Con esso.

 
Mi guardo le unghie scheggiate.
I brandelli lividi di pelle che occhieggiano tra gli orli squarciati delle vesti.
Mi guardo i palmi delle mani, a volte per ore e ore, come se stessi leggendo un libro invisibile aperto sulle ginocchia.
Mi strappo i capelli e li osservo controluce: sottili fili grigi, impalpabili come fumo –  qualche volta vi balena un riflesso d’oro.
Rimiro quasi stupefatto la forma delle mie dita, il rilievo aguzzo delle costole che spinge in alto la pelle, il profilo spigoloso delle anche e delle rotule.
Non ho mai capito davvero la vita, Albus, prima di incontrare te. 
E anche dopo ho continuato a concepirla prevalentemente come l’antitesi, illusoria e ingannevole, dell’unica realtà certa e incontestabile: la morte.
Non ho mai dato valore alla vita in quanto tale.
Non l’ho mai apprezzata per quello che è, come facevi tu.
Ma ora sì.
Ora la venero nella meravigliosa macchina che è il mio corpo, pur vecchio e stanco.
Nel delicato meccanismo del sangue che pulsa nelle vene, nella sofisticata percezione del freddo che fa accapponare la pelle e del caldo che la soffonde di timido rosa, nella complessa rete dei nervi percorsi da fremiti elettrici tra la pelle e il cervello.
Perché, in fin dei conti, non siamo che un mosaico di cellule e un groviglio di tubicini.
Perché, in fin dei conti, è a questo che si riduce quello che chiamiamo coscienza, anima, pensiero, emozione: a un grumo gelatinoso di materia grigia racchiusa come un ovetto nel guscio fragilissimo della scatola cranica. 
È tutto qui.


 
E allo stesso tempo non è tutto qui.
Non la biologia né la chimica, non la filosofia né la fisica, non la religione né la fantascienza possono spiegare cosa siamo veramente, dietro la carne e le ossa, dietro i sorrisi e i battiti di ciglia – come tutta questa accozzaglia fragilissima di elementi si fonda nell’armonia di un individuo unico, completo, uguale a se stesso e a nessun altro.
Non ho mai avuto amore per la vita. 
Adesso provo amore per il mio corpo.
E pietà per la fine cui lo condannano queste mura inospitali dell’Estremo Nord.
E rimorso.


 
If I could start again
A million miles away
I would keep myself
I would find a way *



Se potessi riavvolgere il nastro e tornare indietro, troverei il modo per tenere insieme i pezzi di me stesso. 
E per tenere te, con me.



 
***


 
La Morte è arrivata.
Dopo averla a lungo agognata, mi ha trovato.
Sapevo che avrebbe avuto questo aspetto: occhi rossi di serpe e gelida rabbia incisa su ogni piega di una maschera senza labbra.
Viene nelle vesti di un cadavere vivente, sostenuto da puro spirito di malvagità.
So cosa vuole.
«E così sei venuto. Sapevo che saresti arrivato… un giorno. Ma il tuo viaggio è stato inutile. Io non l’ho mai avuta
«Tu menti
Costui vorrebbe diventare, dunque, il Padrone della Morte?
Non sa che è solo un’illusione che ti conduce al nulla.
L’ho provato prima di lui. 
Sono stato stolto e folle prima di lui.
Buffo come gli errori continuino a tramandarsi tra generazioni, senza che nessuno impari da essi.
Ma cosa importa a me?
Sto per lasciare questa valle di lacrime...
«Allora uccidimi, Voldemort, io accetto volentieri la morte! Ma la mia morte non ti darà quello che cerchi… ci sono tante cose che non capisci…» **
So che sto per morire. 
E non so perché continui a provocarlo, ad accelerare inutilmente una fine ineluttabile.
«Uccidimi, allora! Tu non vincerai, non puoi vincere! Quella bacchetta non sarà mai, mai tua…»
Ed ecco che accade.
Un verde proiettore.
Il sipario cala.
Le luci si spengono.
La platea sprofonda nel buio.

Tutto qui?
E’ a questo che si riduce tutto?
 
 


***



 
Non potevo permettere che profanasse la tua tomba, vecchio mio.
O, almeno, preferivo essere morto prima che lo facesse.
Ero certo che avresti capito.
 


 
 
Fine




 

 
Nine Inch Nails, Hurt 
** Il dialogo dell'ultima parte è tratto da Harry Potter e i Doni della Morte

  
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