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Autore: TheTsundere_Miharu    04/09/2012    3 recensioni
Kariya non avrebbe mai potuto dimenticare quel giorno.
In realtà, non ricordava esattamente quanti anni avesse, o quanto fosse alto, o la lunghezza dei suoi capelli in quel periodo. Ma questo non era importante, perché quell’avvenimento, tralasciando questi dettagli inutili, lo ricordava benissimo.
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{Kariya/Shinsuke}
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Kariya Masaki, Nishizono Shinsuke
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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― Note iniziali.

Allora. Per questa fanfiction ci sarebbe tanto da dire. È la storia più impegnativa che io abbia mai scritto in due anni di fanwriter fallita insieme ad un'altra (nel fandom di South Park), e la più lunga. (non sono abituata a scrivere one-shot...)
Ci ho messo un mese per terminarla, ed è stato davvero impegnativo. Non sono ancora pronta per un lavoro del genere, ed infatti non sono pienamente soddisfatta del risultato, ma penso sia un buon inizio per me.
Ho deciso di pubblicarla perché questo è un regalo, per te, cara la mia pulce che io amo tanto. Spero che ti piaccia, nonostante sia un regalo arrivato con troppi giorni di ritardo.
Il titolo della fic è preso dalle lyrics inglesi di "Nee" (Miku Hatsune). L'ho scritta sempre con quella canzone di sottofondo.
Il pairing che ho trattato è la mia attuale otp della Go, una ship bizzarra ma che per me è davvero, davvero importante.
La storia, infine, tratta della psicologia di Kariya. Ho voluto dargli quasi una seconda personalità, anche se non è la definizione giusta del suo problema - leggerete e capirete, tranquilli - che lo "guida". Ho cercato di lasciare qualche punto vago, e parlare di alcune cose in maniera "misteriosa", ma se leggete bene tutto vi sarà chiaro! :)
Spero vi piaccia questo mio lavoro, vi chiedo per favore di recensire se leggete, ci tengo davvero molto a sapere cosa ne pensano gli altri.
A presto! :)












_Hey, I have something I want to tell you.



 Kariya non avrebbe mai potuto dimenticare quel giorno.
In realtà, non ricordava esattamente quanti anni avesse, o quanto fosse alto, o la lunghezza dei suoi capelli in quel periodo. Ma questo non era importante, perché quell’avvenimento, tralasciando questi dettagli inutili, lo ricordava benissimo.
Il Sun Garden era stato sempre conosciuto da tutti come uno dei miglior orfanotrofi in circolazione. I bambini erano amati e trattati nel migliore dei modi, e tutti coloro che lavoravano lì dentro si prendevano cura della loro salute, mentale o fisica.
Proprio perché doveva essere controllata la loro ‘salute mentale’, un giorno venne in visita un famoso psicologo.

Kariya ricordava chiaramente il suo aspetto: era pelato, piuttosto alto e magro, e indossava abiti scuri. Portava anche degli occhiali.
Sembrava più un maggiordomo riuscito male, che uno psicologo.
Non gli era piaciuto fin dal primo momento. Non che gli fosse mai piaciuto qualcuno fino a quel momento, ma… quell’uomo, quello sconosciuto gli trasmetteva un senso d’inquietudine che non riusciva a scacciare.

E quando lo portò con lui in una stanza isolata, le sue certezze vennero confermate.

“Non ascoltarlo.”

«Kariya, giusto?»
«Cosa vuole da me, vecchio? »
« Mi hanno parlato di alcuni tuoi comportamenti… strani, diciamo… e di cose che dici nel sonno…»

“Non ascoltarlo!”

« Non sono affari suoi. Non ho nulla di strano. »
« Non senti qualcosa che ti parla? Nella testa, intendo? »

“Quell’idiota! Io sono solo la voce della tua anima!
Non ascoltarlo, Masaki! Vuole solo corromperti!
Farti del male! Come tutti gli adulti!”

« Pelatone, non ho più intenzione di ascoltarti! »
« Anche ora quella voce ti dice di non ascoltarmi? »

“Non ascoltarlo!”

« N-non è così! »
«Ho esperienza, ragazzino. È sicuramente così. »

“IGNORALO E VATTENE VIA, MASAKI.”

Bianco.

Non ricordava cosa successe dopo. Ma quella scena gli rimase impressa nella testa, e ancora adesso riusciva a figurarla benissimo. Ma se provava a ricordare le ore successive, gli veniva solo un gran mal di testa, e vedeva tutto bianco. Bianco, solo bianco.
I suoi ricordi partivano dal giorno successivo a quell’avvenimento.
Tutti i bambini lo guardavano con curiosità, e lui non riusciva a spiegarsene il motivo.

Ma quella voce non lo abbandonò più, proprio da quel giorno.
Si era come… risvegliata.
Gli parlava, dicendogli cosa fare, come comportarsi nelle più svariate situazioni.
Kariya l’aveva sempre ascoltata, seguendo le sue indicazioni senza resistere.
In fondo se quella voce gli parlava da dentro di lui, voleva dire che era davvero la sua anima.
E se l’anima gli parlava, doveva fare come desiderava.
In effetti, fin da bambino non aveva mai dato ascolto a nessuno, se non a quella voce.
Era l’unica da cui si faceva controllare, ma a quell’età probabilmente neanche se ne accorgeva davvero.
Ogni tanto gli tornavano in mente le parole di quel signore che ‘aveva voluto aiutarlo’, e si chiedeva se il suo strano discorso non avesse un fondo di verità.

“Un adulto idiota. Voleva solo confonderti.”

E quando succedeva, la voce gli diceva sempre queste parole. E lui abbandonava ogni dubbio, ridacchiando sommessamente e tornando quello di sempre.
Non gli era mai venuta in mente l’idea di dubitare seriamente di ciò che faceva.

Se la voce gli diceva ‘fallo cadere’, lui lo faceva cadere.
Se gli diceva ‘Tiragli i capelli’, lui seguiva l’ordine.
Se gli suggeriva ‘Nascondigli l’astuccio’, lui obbediva.
E ogni volta che seguiva una di quelle indicazioni, quel solito ghigno maligno usciva dalle sue labbra.
Con il tempo quello che faceva divenne la sua normalità, far dispetti – più o meno violenti – lo divertiva ogni volta di più. Il suo concetto di ‘cattivo’, di ‘buono’, divenne distorto.
Fino a quando entrò alle medie, non ci furono problemi.

Kariya non capiva il suo disagio, e nella beata ignoranza continuava a comportarsi in modo scorretto.








Il club di calcio era solo una scusa.
Fin da piccolo era stato bravo in quello sport, glielo ripetevano tutti, soprattutto quell’idiota di suo “padre” – storceva sempre la bocca nel pensarci – e quindi decise di mostrare a tutti il suo talento. Per lui mostrarsi e attirare l’attenzione su di sé era di vitale importanza.
Ma sia lui che la voce sapevano benissimo che il vero obiettivo era quello di dare fastidio a quei ragazzi.
E all’inizio funzionò.
Kariya prese di mira quel suo senpai "leggermente effeminato", per cominciare, e il tutto fu molto divertente… anche perché tutti i babbei di quella squadra credevano a lui.
Insomma, erano così poco svegli.
Ingannarli era diventato anche troppo semplice.

Quando il senpai sospettò che lui fosse un… com’è che si chiamavano? Seed? Qualcosa del genere...
Pensava che anche gli altri membri della squadra sarebbero rimasti scioccati.
Ed invece quei due presero il tutto alla leggera. Gli dissero che era sempre un compagno della loro squadra, che era parte di loro, e che non dovevano essere nemici in ogni caso.
Kariya trovò quelle parole rivoltanti e insensate.
Gli dava fastidio il modo in cui lo trattavano, come se conoscessero tutto di lui, come se si conoscessero da una vita.
Ma loro non sapevano nulla di lui, di ciò che sentiva, del suo passato.
Allora perché si comportavano da ipocriti?
 
Soprattutto quello Shinsuke.
Non capiva perché fosse così appiccicoso.
Perché lo prendesse per mano.
Perché lo abbracciasse.
Perché gli sorridesse e ridesse quando erano insieme, anche se non ne aveva motivo.
Era una di quelle persone che erano sempre allegre e felici nonostante tutto.
Quel genere di persona che lui odiava dal più profondo del cuore.


Un giorno, però, quel nano da giardino fece scattare qualcosa dentro di lui.
Nella sua testa, forse, nel suo animo, anche. Non riuscì a capirlo.

Alla fine di un allenamento, gli si era avvicinato e, come al solito, l’aveva preso per mano.
Fortunatamente Kariya era un attore nato, e nascose il fastidio di quel comportamento dietro a un sorriso tirato.
Dopo un poco però, si stupì. Il nano non aveva aperto bocca e semplicemente gli camminava avanti, saltellando.
Come al solito, sembrava felice.
Eppure era ricoperto da ferite e lividi, dato l’allenamento estenuante a cui si stava sottoponendo per raggiungere un livello più alto in campo.
Idiota. Scostò i suoi pensieri giusto in tempo per sentire le parole dell’altro.
« Kariya, sono felice di allenarmi con tutti voi! È bello essere amici! »

Il ragazzo dai capelli blu provò per la prima volta in vita sua una sensazione di tepore incontrollabile.
Gli occhi gli si fecero lucidi e lui non riuscì a connettere i pensieri in maniera coerente.
Le sue labbra tremarono.
E in quel momento la voce gli parlò, e lui automaticamente ripeté ciò che aveva sentito.

« Tsk. Contento tu. »

Gli aveva lasciato la mano, incamminandosi verso gli spogliatogli da solo, mentre sentiva lo sguardo del più piccolo che lo seguiva, senza però che il suo corpo facesse lo stesso.
Probabilmente aveva aggrottato le sopracciglia e il suo sorriso era scomparso.
Kariya avrebbe dovuto ridere.
Ma non l’aveva fatto.
Non gli era mai successo di provare quella sensazione prima.
E le novità lo spaventavano a morte, così tanto che cercò di eliminare ciò che gli martellò in testa in quegli attimi.
Lui aveva ripetuto ciò che la voce gli aveva detto.
Ma non era ciò che aveva voluto dire.


Successe la stessa cosa una seconda volta.
Fu durante la partita contro la Genei Gakuen, quando affidarono il ruolo di portiere a quel ragazzino, in un momento così delicato del match.
Tutti rimasero sconvolti dalla scelta del capitano Kidou, e lui insieme agli altri.
Era una pazzia. Anche Shinsuke stesso non sembrava così convinto, e fissava la porta come se fosse un posto irraggiungibile.
Lo vide alzarsi dalla panchina, e qualche minuto dopo tornare con quella divisa scura e i guanti alle mani.
In qualche modo gli sembrava ridicolo. Gli sembrava ridicola quella situazione.
Ma per un attimo, quando guardò Tenma incoraggiarlo, passò per la sua mente un’idea.
La voce parlò in quel momento, e lui con essa.

« Questa è una pazzia. »

Si girò a guardare altrove, ma con la coda dell’occhio notò il suo viso scoraggiato.
Scrollò le spalle. Aveva solo affermato l’ovvio.
Eppure, qualcosa gli fece stringere il petto.

Qualche minuto dopo, si ritrovò a vederlo mentre parava per la prima volta in vita sua.
Fu bravissimo.
Parò una seconda volta.
Alla terza il celeste dovette accorrere per rubare la palla, e la lanciò lontano – al capitano, forse.
Si girò a guardarlo.
« Sei un portiere, si para con le mani, con le mani! »
Inizialmente mostrò la sua migliore espressione scocciata – ma fu sorpreso dal notare che, istintivamente, sul suo viso era spuntato un piccolo sorriso.
Non un ghigno o un’espressione tirata. Un sorriso.
« Belle parate, comunque. »
Esclamò qualche secondo dopo, allontanandosi per rientrare nella sua area.
Quando si fermò, sentì un dolore alla testa. Come se qualcuno da dentro gli avesse dato un pugno, dolendogli da morire. Appoggiò la mano nel punto in cui sentiva dolore, ma poi scosse la testa e continuò a seguire il gioco, in attesa di muoversi quando sarebbe stato necessario.

“Cosa diamine hai detto?! Idiota!”

Queste parole gli rimbombarono in testa per tutto il resto della giornata, finché non riuscì ad addormentarsi quella sera.
Per la prima volta, Kariya aveva cercato di ignorare la voce. Ma pensò che se doveva sopportare quel dolore per una dannata ed inutile frase, non avrebbe detto più niente a quel nano. Soprattutto perché –a suo parere – non avrebbe dovuto dire nulla neanche durante la partita.






 
 
Kariya si era ripromesso di non avvinarsi oltre a Shinsuke, ma la promessa era stata rotta.
Non che lui l’avesse voluto, ma perché ci era stato costretto.
 
Un giorno, quando andavano in seconda superiore.
L’altro era diventato alto quanto lui – a quei tempi gli sembrava impossibile una cosa del genere, e la digerì difficilmente – e andavano ancora nella stessa classe.
Ricordava che in quel periodo faceva degli strani sogni.
Dei sogni che lo facevano svegliare con le lacrime agli occhi. Peccato che non ricordasse mai nulla.

E anche la voce era cambiata.
Fino alla fine della terza media gli aveva sempre parlato normalmente. Ma all’entrata nelle scuole superiori, aveva cominciato a suggerirgli cosa fare… sussurrandogli.
Sì, erano sussurri quelli che sentiva nella testa.
E proprio per quel motivo, cominciò a dubitare di questa ‘voce’.
Per circa quindici anni non aveva dubitato dell’origine di quella… presenza.
Per lui era sempre stata ciò che lo guidava, la sua mente, la sua anima.
Ogni tanto dei dubbi erano spuntati nella sua mente, ma lui li aveva sempre scostati – come già abbiamo potuto confermare.
Arrivò un giorno, però, in cui un’altra verità si sporse nella sua mente.
Il giorno in cui tutte le sue certezze crollarono come un castello fatto di carte.
Shinsuke lo aveva riaccompagnato a casa, dato che doveva passare ad un negozio lì vicino – o qualcosa del genere, non ricordava.
Si stavano salutando, quando Kariya si sentì preso per il polso.

« V-volevo… »

“Fermalo!”

Il ragazzo non ebbe il tempo di ascoltare ciò che la sua testa gli diceva.
Fermò lo sguardo sulle labbra del suo compagno.

« Volevo dirti che… M-mi piaci. »


In un attimo, Kariya staccò il suo polso dalla presa, indietreggiando.
Gli occhi sbarrati, la bocca che tremava.

« Cosa diamine dici?! Farò finta di non aver sentito nulla! »


Senza girarsi indietro, corse verso l’entrata di casa ed entro frettolosamente, sbattendo la porta.
No, non si girò a vedere la reazione dell’altro.
Come avrebbe potuto?
Si accasciò per terra, la testa fra le gambe e il sudore che gli rigava il viso.

“Ben fatto! Gli hai frantumato il cuore!”

Kariya alzò il capo. Gli occhi gli bruciavano.
Voleva piangere, ed urlare, e buttarsi per terra.
Evidentemente quella voce viveva davvero nella sua testa. Non si trovava nel suo animo o nel suo cuore, ne era sicuro.
Altrimenti avrebbe notato che l’unico cuore infranto, in quel momento, era proprio il suo.
 




 
 
 
 

Da quel giorno, tutto diventò confuso.
Era come se i sentimenti di Kariya, paragonati ad uno specchio, si fossero inclinati, e ci mancasse poco alla loro definitiva rottura.
Le sue certezze crollarono.

-Non senti qualcosa che ti parla? Nella testa, intendo?-
Quelle parole che aveva sentito durante la sua infanzia… forse avrebbe dovuto ascoltarle.

“Ti stai facendo influenzare.”

« Tu non sei me. »

“Come fai ad esserne così sicuro?!
Io sono dentro di te!”

« Io… non volevo spezzargli il cuore. »
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Shinsuke uscì dalla cucina, finendo di asciugarsi le mani su un asciugamano, per poi poggiarlo su una delle sedie presenti nella stanza.
«Kariya, ti ringrazio per aver accettato di rimanere con me questa notte… è stato molto, ehm, gentile da parte tua… »
« Figurati. Per una cosa del genere. »
Tagliò corto l’altro, giocherellando con il telecomando con entrambe le mani, ignorando completamente il telegiornale che stavano trasmettendo in televisione.
Dannazione, quando si trovava a casa dell’altro, non poteva far a meno di pensare a quanti anni erano passati. Ormai avevano entrambi ventiquattro anni, non erano più bambini, quello era il momento nella vita in cui loro potevano cambiare le cose.
Nonostante fosse – per l’appunto – un’ età in cui i cambiamenti sono improvvisi, Kariya non aveva resistito a spalancare gli occhi e fermare il suo respiro, quando, qualche giorno prima, il suo ex-compagno di squadra gli aveva detto che sarebbe partito per l’Europa.
E che forse sarebbe rimasto lì, ospitato da parenti.
… Fino a data da definirsi.

« Nano, posso chiederti una cosa? »
« Sì? »
Il ragazzo dai capelli blu si era alzato dal divano, spengendo la televisione e posando il telecomando.
Raggiunse l’altro al tavolo – dove si era fermato poco prima – sedendosi di fronte a lui.
Non sapendo bene cosa dire, si fermò semplicemente a fissarlo, iridi contro iridi, senza parlare. Forse non era necessario dire qualcosa, ma non ne era completamente sicuro.
Incrociò le mani, cominciando a giocare con i suoi stessi pollici.
« Piuttosto… mi hai lasciato basito, con questa partenza improvvisa. »
Soffiò, cercando di non interrompere il loro contatto visivo.
Con gli anni il suo talento da attore era notevolmente migliorato, ma in qualche modo sperò che non si notasse quello che provava davvero.
Shinsuke, al contrario, era rimasto lo stesso sempliciotto di sempre, in tutti quegli anni non era minimamente cambiato.
Per questo, nel sentire quella frase, aveva mostrato un’espressione triste.
« Non ne ho idea… spero solo di poter tornare presto. »
Si morse le labbra nel pronunciare quella frase.
Kariya capiva il motivo: per quanto potesse dire così, sapeva benissimo che, partito, il soggiorno in quello stato – neanche ricordava quale fosse, non gli importava – sarebbe stato molto, molto lungo.
Sospirò, rassegnandosi. Non gli avrebbe più chiesto nulla, non voleva impicciarsi dei suoi affari familiari e non era neanche autorizzato a farlo.
Poggiò la testa sul tavolo, guardando di lato. Strinse gli occhi.
“Avrei almeno voluto sapere il motivo per cui non ti vedrò più…”

“È una bella liberazione, non credi?”

Scosse leggermente la testa, ignorando quella frase.
Intanto, il suo compagno dai capelli color miele si era alzato, guardandosi intorno.
Nei suoi occhi c’era un velo di malinconia.
«  È necessario che io parta, credo. Se potessi lo eviterei. Non voglio lasciare il Giappone… e i miei amici… »
Si portò una mano sulla guancia.
Kariya lo fissò, chiedendosi se da un momento all’altro l’avrebbe visto scoppiare a piangere.
Non era neanche così improbabile.
Seguì il suo esempio, alzandosi dalla sedia, per poi avvicinarsi a quel nano – che con gli anni lo aveva anche superato d’altezza.
«Lo so. »
Fu le uniche parole che riuscì a far uscire dalle sue labbra. Non c’era modo di consolarlo, o farlo sentire meno solo. Ma lui capiva ciò che provava, e almeno quello gliel’aveva fatto presente.
 Shinsuke sembrò stupito da quelle parole, ma poi mostrò un piccolo sorriso, mentre le sue gote si coloravano di un lieve rosso.

Senza pensarci prese la mano di Kariya, stringendola forte alla sua.
Improvvisamente, lo strattonò in direzione del divano a due piazze.
« Stanotte dormiremo qui »
« Eh?! »
L’ex-nano gli lasciò la mano, buttandosi a capofitto sul sofà, mentre da quelle labbra uscì una risata cristallina. Probabilmente stava solo fingendo che andasse davvero tutto bene.
L’altro si ritrovò a sbuffare, passandosi una mano fra i capelli blu – che con gli anni aveva fatto crescere – ormai rassegnato. Gli sarebbe venuto un bel mal di schiena a dormire lì, ne era sicuro.
E sarebbe stato nervoso per almeno una settimana.
… E non avrebbe avuto il suo nano – che nano non era più – con cui prendersela.

“Stai facendo il sentimentale?”

Scacciò quel pensiero con un’altra energica scossa del capo.
Nonostante non volesse neanche ammetterlo a sé stesso, quella partenza avrebbe cambiato qualcosa.
Forse si sarebbe sentito diverso, senza avere l’altro accanto.
 

Parlarono per circa un’ora, del più e del meno.
Peccato che a Kariya, ogni parola sembrava arrivargli all’orecchio ovattata, come se stesse facendo un sogno. Sentiva le membra pesanti, la testa scoppiare, ma non era malato, né aveva sonno.
Ogni tanto si fermava ad osservare i comportamenti di Shinsuke: lo vedeva alzarsi di scatto, sedersi con un’espressione imbronciata, dondolare davanti e indietro come un bambino troppo alto.
Si era ritrovato a pensarlo anche troppe volte quella sera, ma sul serio, non era affatto diverso da quand’erano due stupidi dodicenni.
I suoi sguardi erano rimasti quelli, i suoi movimenti anche.

« Kariya! Mettiamoci a dormire! »
Anche la sua voce, sempre acuta e dannatamente fastidiosa.
Lo fulminò con lo sguardo, arricciando la bocca.
« Di già? Ma non sono neanche le dieci e mezza! »
In effetti, a quell’età non si è abituati ad andare a letto troppo presto…
Si sentì tirare per la guancia. Questo gesto lo sorprese parecchio.
« C-che fai, n-nano! Lasciami! »
« Ricordati che domani mattina, molto presto, devo prendere un aereo! »
Gli lasciò andare la faccia, gonfiando le sue, di guance.
« Però, effettivamente non ho sonno. »
Mormorò dopo, guardandosi i piedi nudi, ignorando gli sguardi minacciosi dell’altro che, in qualche modo, stava reprimendo l’istinto di ucciderlo.

Erano seduti uno accanto all’altro, ma le posizioni cambiarono in un attimo.
O almeno, la posizione del padrone di casa.
Probabilmente Kariya non se l’aspettava, perché fece uscire dalla gola un suono stupito e quasi strozzato.
Shinsuke si era steso, poggiando la testa sulle sue gambe, per poi cominciare a fissarlo dal basso.
Un breve silenzio si estese nella stanza, fino a che il castano non parlò.

« Facciamo una cosa, raccontami una favola! »
Sulla faccia dell’altro, si dipinse un’espressione stupita, o forse arrabbiata.
La sua bocca prese la forma di una ‘O’, mentre lui si continuava a chiedere se avesse sentito bene o se, semplicemente, l’altro non fosse impazzito.
Ma poi, abbassando di poco lo sguardo, lo guardò in silenzio.

“Lascialo perdere!”

Shinsuke stava aspettando.
In faccia, aveva stampato un grande sorriso. Ecco, quello sì che era un sorriso.
Fino a qualche minuto fa l’aveva solo visto ridacchiare stancamente.
Ora sembrava che qualcosa fosse cambiato.

“Idiota! Vuoi davvero fare quello che ti dice?!”

Si ritrovò a pensare che accontentarlo, una volta tanto, sarebbe andato bene.
In fondo era solo una storiella.
Certo, era roba da marmocchi, ma nessuno oltre a loro l’avrebbe saputo.
Per una volta, poteva anche andar bene.

“Dici sul serio?”

Peccato che qualcosa lo bloccasse.
In quel modo avrebbe potuto parlargli con una voce che non era la sua.
E l’unica cosa che aveva sempre voluto dirgli…

“Sei impazzito?”

 
In quel momento, gli tornò in mente quello che era successo alle superiori.
Gli tornò in mente la strada che avevano fatto insieme, la mano dell’altro che afferrava il suo polso, quelle parole pronunciate in un sussurro basso e spaventato.
Gli tornò in mente il modo in cui lui ascoltò ciò che la sua mente gli diceva, di come avrebbe voluto non seguire quelle parole. Del modo in cui era entrato di corsa in casa, con il cuore che batteva così forte da far male e le lacrime che volevano uscire dai suoi occhi.
E improvvisamente, si affacciò sulla sua mente la sensazione di un bacio, di labbra che piano toccavano le sue.

Sgranò gli occhi.

“Non avevi detto che l’avresti scordato, idiota?”

Rimase qualche secondo stupito, ma poi quel ricordo divenne uniforme.
Era stato circa due settimane dopo quell’avvenimento.
Gli allenamenti erano appena finiti e lui, dopo essersi preparato per tornare a casa, si era accorto di non sentirsi troppo bene. Così aveva deciso di fermarsi un poco a riposare negli spogliatoi, e si era appisolato su una sdraia.
Forse qualche minuto dopo, o tre ore dopo – non lo avrebbe mai potuto sapere – si era risvegliato, sentendo il suo cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni.
Appena aperti gli occhi, si era ritrovato il viso di Shinsuke avanti, a pochi centimetri dal suo.
L’altro – quello lo ricordava benissimo, nonostante la testa gli dolesse – si era agitato e allontanato di scatto, dicendogli che stava poggiando la fronte sulla sua per sentire se aveva la febbre.
Kariya non aveva mai creduto a quella scusa.

“Cosa c’entra ora tutto questo?!”

Non riusciva a capirlo. Tutti quegli avvenimenti passati gli erano tornati alla mente, e lo stavano facendo confondere come poche volte gli era capitato.
Insomma, perché proprio in quel momento.
Sentiva la gola secca, non riusciva a muovere un singolo muscolo.

« Una storia, eh? Ti racconterò quella della volpe e dello scoiattolo… te la ricordi, vero?»
Shinsuke sembrò per un attimo stupito, ma poi sorrise – questa volta c’era un velo di tristezza nella sua espressione – e chiuse gli occhi, come se cercasse di ricordare. Ma era chiaro che avesse capito.
Kariya sospirò, cercando di reprimere il senso di pesantezza che pigiava sul suo stomaco.
Cercò le parole giuste, e poi, senza pensarci oltre, cominciò a raccontare ciò che ricordava.
« C’era questa volpe molto furba, che ingannava tutti gli animali stupidi che gli capitavano a tiro.
Prima si comportava gentilmente e poi, in qualche modo, riusciva a ferirli e a prendergli qualcosa.
La volpe non si era mai chiesta se questo suo comportamento fosse giusto o sbagliato nei confronti degli altri e di… sé stesso.
Un giorno, incontrò questo piccolo scoiattolo che cominciò a seguirlo. E lui si disse ‘Ma sì, ho trovato un'altra vittima per i miei piani’, così si comportò come faceva sempre con quelli che voleva ingannare… »
Il ragazzo si fermò un attimo, mordendosi il labbro inferiore.
Solo in quel momento si accorse perché aveva deciso di raccontare proprio quella storia.

“Non stai cercando di…?!”

Prese il respiro e di nuovo, ricominciò a parlare.
« Ma lo scoiattolo non lo lasciava mai andare, lo seguiva, lo seguiva sempre perché voleva essergli amico.
La volpe continuò a comportarsi come al solito… fino a quando non si accorse che la gentilezza che rivolgeva al suo piccolo compagno era tutt’altro che falsa e strategica.
E quando se ne accorse fu… confuso.
Non seppe più cosa fare. Accettare i suoi sentimenti, oppure tornare il truffatore che era sempre stato, solo per non deludere i suoi “amici”?»

Lì si fermò.
Shinsuke aprì finalmente gli occhi, l’espressione più triste di qualche momento fa.
Entrambi sapevano benissimo che la fine di quella storia non l’avevano mai conosciuta.
Quando l’ascoltarono per la prima volta, rimasero abiliti.
Kariya naturalmente non lo aveva mostrato.
Ma era stato così, lo poteva ricordare benissimo.
E in quel momento aveva comunque deciso di riportare a galla quella storia perché…

« Kariya? Devo dirti una cosa. »
Fu bruscamente svegliato dai suoi pensieri.
Il nano si trovava sempre con la testa sulle sue gambe e, dopo tutto quel tempo, cominciò a trovare quella posizione imbarazzante. Ma la cosa che fece accelerare maggiormente il suo cuore, fu il modo in cui l’altro aveva appena pronunciato quelle parole.
Si chiedeva cosa sarebbe successo da lì a pochi minuti avanti.
In fondo aveva una brutta sensazione.

Finalmente lo vide alzarsi e tornare alla posizione iniziale, semplicemente seduto, ma non troppo distante.
Kariya notò come quelle guance – rimaste parecchio paffute nonostante gli anni – si fossero tinte di un rosso intenso, di come il corpo dell’altro stesse tremando, nonostante tentasse di nasconderlo.

« Quella volta non ho avuto una vera risposta. Quindi… te lo richiedo. Non penso sia tardi. »

Sembrò che tutto intorno a loro si fosse fermato. Non sentivano più i lievi rumori provenienti da fuori, i suoni di qualche clacson o cose simili.

“Non ascoltarlo! Hai capito che vuole dire, vero?!”

« Io… no, non posso utilizzare le stesse parole. Probabilmente ero troppo piccolo. Quindi… »

Kariya trattenne il respiro, e lo stesso sembrò fare l’altro.
I loro sguardi si erano incrociati per l’ennesima volta.
Inoltre, in qualche maniera, le loro mani si erano mosse sulla stoffa del divano, fino a sfiorarsi.
Negli ultimi anni Shinsuke aveva imparato a tenere a bada i suoi “istinti affettivi”, e quindi era da tanto che non avevano un contatto del genere. Nonostante ciò, nessuno dei due sembrò stupirsi, forse per la tensione che regnava intorno a loro.
Shinsuke deglutì – probabilmente a vuoto – e trasformò quel lieve tocco in una stretta. Era da tanto tempo che voleva farlo…

“Fermalo, prima che sia troppo tardi!”

« Io… ti amo, Kariya. »
 
Tutto sembrò fermarsi, di nuovo.
Kariya sentiva quella voce dirgli tante cose, ripetergli quanto fosse idiota e che ora se ne sarebbe dovuto andare ed ignorare l’altro, avrebbe dovuto ridergli in faccia oppure rispondergli male.
In realtà non riusciva a sentire chiaramente nulla di tutto questo. Era come se quelle parole e quelle frasi sgradevoli gli fossero suggerito da lontano, lontanissimo… le sentiva distanti, ovattate, confuse. Era la prima volta che riusciva a non sentirle.
La prima volta in cui sentiva di poter riuscire a fare di testa sua.
O forse non di testa, era qualcos’altro che lo guidava in quel momento.

Qualcos’altro che mosse il suo corpo, portandolo a piegare la schiena, ad avvicinare il suo viso a quello del ragazzo che aveva di fronte, fino a non lasciare più alcuna distanza fra di loro.
Tutto ciò che aveva costruito in quegli anni, che aveva sempre creduto di volere… crollò.
Ma il rumore di quella devastazione non lo sentì.
Non riuscì a sentire nulla.
Solo la sensazione di quelle labbra sulle sue, e una lieve musica che probabilmente era stata creata dalla sua immaginazione.
Non riusciva più a capire se quella sua azione andasse bene o no. Se avrebbe avuto conseguenze negative. Se fosse giusto.
Sentirsi stringere da quelle braccia offuscò ulteriormente i suoi pensieri, svuotandogli completamente la testa. Continuò a fare ciò che stava facendo senza neanche più pensarci.

« Alla fine la volpe ha deciso di ascoltare il suo cuore, eh? È sempre così che ho voluto finisse la storia... »

Quelle parole lo fecero sorridere.










 
« Quindi… gli hai raccontato quella storia perché pensavi rispecchiasse la vostra situazione, giusto? »
« Credo di averlo fatto… senza accorgermene… »

L’uomo che conosceva fin troppo bene cominciò a camminare per la stanza, carezzandosi il pizzetto grigio con aria concentrata.
Kariya aspettò pazientemente che parlasse di nuovo. Erano parecchi anni che lo conosceva, ed ormai aveva imparato che quando c’erano quei lunghi silenzi doveva solo seguire il suo gioco, e non fiatare.

« Tu… hai capito di amarlo, giusto? »
Quelle parole lo fecero sobbalzare.
Abbassò la testa, annuendo lentamente. Nonostante ciò che era successo la sera prima, faceva ancora fatica ad elaborare il tutto ed ammettere a sé stesso la verità.
Se ci ripensava, sentiva ancora il cuore in gola.

Quando alzò la testa, notò che il vecchio stava ridacchiando.
« Tranquillo Masaki, non ti chiederò chi stava sotto fra voi due! »

L’altro poté giurare di aver visto l’orgoglioso Kariya arrossire, ma non glielo fece notare.
Tornò a sedersi, incrociando le mani e poggiando il mento su di esse.
La sua espressione divertita si trasformò in un attimo in una più seria.

« Quindi, stamane l’hai sentita di nuovo, giusto? »

Una tensione insolita si creò fra di loro, e Kariya sembrò agitarsi, dal momento che aveva cominciato a tirarsi i capelli nervosamente. Sospirò, e si decise a rispondere.
« Già. Ieri sera e stanotte non l’ho sentita. Era la prima volta che… mi capitava. Stamattina mi sono risvegliato e… ha cominciato a… urlare. »

Sussurrò intimorito l’ultima parola, stringendo gli occhi come a voler ricordare bene la scena. Non che l’avesse scordata, era successo solo poche ore prima e non era qualcosa che potevi scordarti facilmente.
Ricordava di quando aveva aperto gli occhi e aveva alzato la schiena, guardandosi attorno. All’inizio era rimasto stupito, ritrovandosi nel letto, e non sul divano.
Poi aveva elaborato tutta la situazione, ricordandosi anche il motivo per cui si trovava lì.
Infine, aveva ruotato la testa, rivolgendola a sinistra. E lì, si era ritrovato uno Shinsuke addormentato, con la bocca spalancata e la bava che usciva da essa.
Ricordava chiaramente come quella scena l’avesse fatto sentire in pace con sé stesso. Una sensazione che non aveva mai provato, già, e che lo aveva riempito senza preavviso.
E ricordava chiaramente il modo in cui l’altro si era svegliato, improvvisamente, e di come gli avesse sorriso, mentre si stropicciava gli occhi castani.
In quel momento, aveva desiderato più di ogni altra cosa che quel momento non finisse.
Avrebbe voluto cliccare ‘stop’, per godersi tutte quelle sensazioni e registrarle a fondo, in modo da renderle incancellabili.
Ma come ogni volta, tutto finì in un attimo.

Gemette, stringendo i pugni sulle ginocchia.
Il vecchio lo osservò, senza azzardarsi a parlare.
Ma nel vederlo di nuovo così nervoso, decise di esprimere il suo parere.
« Non continuare a pensare a quelle frasi. E voglio dirti una cosa sul tuo caro amico diavoletto. »
Kariya alzò di nuovo la testa, cercando – come gli era stato suggerito – di calmarsi, e tentò di risultare almeno divertito da quel nomignolo. “Caro amico diavoletto” era una definizione non troppo errata della voce, già.
Liberò la mente, aspettando di sentire ciò che l’altro voleva dirgli.
« So che sei scosso, ma… se la voce ha reagito in questo modo, può voler dire solo una cosa… »
Si interruppe, grattandosi di nuovo il pizzetto.

Ma contrariamente dalla volta precedente, sul suo viso apparse un sorriso. Aveva un’espressione totalmente serena.
« Si è sentita minacciata, Masaki. Si è sentita minacciata da te. Insomma, hai compiuto il primo passo. »

Queste parole fecero sgranare gli occhi gialli del ragazzo.
Sentiva il cuore in gola, un’emozione incontrollabile che lo avvolgeva e dominava in ogni suo senso.
Si ritrovò a stirare un sorriso prima che potesse accorgersene, e probabilmente aveva anche gli occhi lucidi, dato che vedeva tutto sbiadito.
« Non penso tu debba tornare qui. Io ci sarò sempre, ma ora… puoi continuare da solo. »
Quelle erano le parole che aveva sempre aspettato di sentire.
Da solo non avrebbe mai potuto capacitarsene, ma se glielo diceva lui, quel vecchiaccio da strapazzo… poteva davvero crederci.
Poteva davvero cambiare.

Si alzò, e per la prima volta si avvicinò al suo psicologo.
Arrossì lievemente, e fece un piccolo inchino.
Non lo aveva mai ringraziato – né a parole né a gesti – per tutto l’aiuto che gli aveva dato.
E pensare che al loro primo incontro l’aveva trattato così male, dicendogli che era un vecchio, pelatone, idiota. Nonostante ciò, lui aveva deciso di aiutarlo.
Per questo, decise che se quello era il loro ultimo incontro, doveva almeno fargli capire quanta riconoscenza provava nei suoi confronti.
Tornando nella posizione normale, lo vide sorridere nuovamente.

« Salutami questo Shinsuke. Mi piacerebbe incontrarlo, prima o poi. »
 
 


 
Non gli andava di tornare a casa.
Hiroto aveva detto che sarebbe passato a trovarlo quella sera, e sicuramente gli avrebbe fatto un sacco di stupide domande alle quali lui non voleva rispondere, o magari avrebbe provato a coccolarlo – leggasi, “molestarlo” – come di routine.
Ormai c’era abituato, ma si sorprese che, nonostante il velo di irritazione che provava a quei pensieri, si sentiva tutt’altro che d’umore negativo.
Decise di muoversi, e cominciò a camminare in silenzio, canticchiando qualcosa fra sé e sé e prendendo a calci un sasso innocuo.
Sapeva benissimo che quella serenità non sarebbe durata a lungo.
Sapeva che quelle grida che aveva sentito quella mattina sarebbero potute tornare da un momento all’altro. E sapeva di essere ancora lontano dal suo obiettivo.
Ma sarebbe sicuramente riuscito a trovare sé stesso. Ne era certo.

Sentì qualcosa vibrargli dentro la tasca dei pantaloni scuri. Infilò una mano, e prese il cellulare.
Non controllava mai chi lo chiamava, e non fece eccezione neanche in quel momento.
Cliccò il tasto di risposta, mettendosi il coso sull’orecchio, pronunciando con voce lieve un “Pronto?”
Rimase ad ascoltare l’altra voce in silenzio per qualche secondo.
Sentiva gli occhi farsi di nuovo lucidi, bruciargli. La gola secca, le parole imprigionate all’interno di essa. Le mani gli tremavano.
Non sapendo bene come rispondere, si limitò a sussurrare un “D’accordo. Arrivo”, per poi terminare la chiamata.
Rimase a guardare il cellulare per qualche attimo, ma qualcosa sembrò impadronirsi di lui.

Fece muovere le sue gambe, e in un attimo Kariya si ritrovò a correre.
Quella volta non era la sua dannata voce a muoverlo, ma… qualcos’altro.
La consapevolezza di aver capito come stanno le cose, un sentimento di grinta e tenacia.
La speranza – che strano per lui utilizzare quella parola, gli era sempre sembrata così insignificante – di trovare finalmente sé stesso.
Sapeva di dovercela fare da solo, ma in quel momento, per un attimo pensò che sarebbe stato più semplice buttarsi in quelle braccia per compiere quel passo.
In quelle braccia – dove era stato stretto la sera precedente e per tutta la notte – poteva davvero trovare una risposta.
Così, senza fermarsi, si appuntò nella mente che avrebbe dovuto salutarglielo, come il vecchiaccio aveva detto.
Sorrise, continuando a correre verso casa.
  
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