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Autore: wordsaredeadlythings    04/09/2012    8 recensioni
Alcuni istanti dopo, proprio mentre l'ascensore stava raggiungendo il terzo piano, un cigolio alquanto sinistro trillò nelle orecchie dei due occupanti del cubicolo. L'ascensore si fermò con uno scossone decisamente violento. Gerard ondeggiò, e per alcuni istanti rischiò quasi di perdere l'equilibrio, ma riuscì a rimanere miracolosamente in piedi. Frank, d'altro canto, non riuscì a trovare altri appigli se non la giacca di Gerard, così si ritrovò a stringere con forza la giacca azzurra di quest'ultimo, quasi fino a romperla.
[...]
- Ehy! - trillò Frank, battendo un pugno contro la porta metallica dell'ascensore - Ehy! Mi sentite? Mi sentite? Rispondete, cazzo! -
"No, non può essere vero" Gerard rimase immobile, totalmente spiazzato dagli eventi "Non può essere assolutamente vero!"
Frank sbuffò, rabbioso, dando un calcio alla porta dell'ascensore, che vibrò violentemente prima di tornare al suo posto, immobile.
- Siamo bloccati - annunciò Frank, voltandosi verso Gerard.

Gerard e Frank.
Un incontro causale, un amicizia nata da una brutta giornata.
Due persone che hanno bisogno di essere salvate, da se stesse e dal mondo che li circonda.
Può tutto questo evolvere, diventare qualcosa di più?
[Frerard]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Nuovo personaggio | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I’m here to stay and make the difference that I can make




I.
Wrost Day Ever






Gerard non era mai stato bravo con le parole.
Spesso tendeva a rinchiudersi in silenzi imbarazzanti e lunghissimi solo perché non sapeva esattamente come descrivere quei suoi dannati sentimenti. A volte invece parlava per ore di tutto e di niente, sfiorando leggermente i bordi di un discorso che si riprometteva sempre di approfondire con qualcuno (ma con chi, poi?), ma che alla fine rimaneva semplicemente sfiorato e mai approfondito.
Gerard preferiva vedere più che parlare. A parlare erano capaci tutti, l'importante era vedere. Non dire, ma mostrare. Per questo amava disegnare: per lui il disegno era l'unico modo che aveva per connettersi con gli altri, per avere un punto d'incontro con quel mondo che sembrava sempre tagliarlo fuori. Tramite quei tratti precisi e seducenti, Gee riusciva a mostrare al mondo un frammento di sé che, per quanto piccolo, brillava quasi come una stella.
Ma Gerard non era mai riuscito a mettere tutto quanto in un quadro. Non ci riusciva, e tutte le volte che ci provava sentiva sempre di dimenticare qualcosa, qualcosa di importante, di vitale ma sfuggevole. Definire i contorni di ciò che provava era come cercare di afferrare il fumo a mani nude: inutile e deludente.
Gerard Arthur Way si sentiva solo. Maledettamente, oscenamente solo.

*

Il suo lavoro gli piaceva, in fin dei conti.
Gerard finì di colorare l'ennesima tavola, stando bene attento a non uscire dai bordi e a non sporcare il bianco fuori da quest'ultima. L'attenzione con la quale svolgeva il suo lavoro era quasi maniacale, ossessiva. Afferrava pastelli su pastelli senza nemmeno guardarli, perché ormai era praticamente certo della loro ubicazione sulla sua piccola scrivania. Sul suo volto era dipinta un'espressione decisamente concentrata, quasi inquietante: doveva finire quel lavoro per il giorno successivo, e niente e nessuno gli avrebbe impedito di portare a termine l'opera. Doveva ritenersi fortunato ad aver trovato lavoro in così poco tempo, aveva completato gli studi da sei mesi circa, e non poteva portare in ritardo i suoi primi lavori: avrebbe dimostrato di che pasta era fatto, e ben presto sarebbe salito di livello... o almeno così diceva Mikey ogni volta che, entusiasta come un bambino il giorno di Natale, guardava le sue tavole da lontano - Gerard non gli avrebbe permesso di toccarle neanche sotto tortura. Sembrava crederci molto più di lui, e in effetti era così.
Gerard sospirò, alzando il capo dal disegno per poi sbadigliare. Aveva finito: il disegno ritraeva tre vignette di un noto cartone animato che Gee odiava, a dirla tutta, ma non si poteva avere sempre ciò che si voleva. A volte bisognava accontentarsi e fare cose noiose per andare avanti.
Il ragazzo si stropicciò gli occhi con gli indici delle mani, sbadigliando ancora. Gettò un'occhiata annoiata alla sveglia, e si rese conto quasi per caso che erano le due di notte ormai. Aveva lavorato per quasi sei ore su quelle tre tavole. Poteva considerarsi più che soddisfatto del risultato.
"Sarà un miracolo se riuscirò a svegliarmi in tempo, domani" pensò il ragazzo, occhieggiando sul divano accanto alla scrivania. Sentiva proprio di non avere abbastanza forze per raggiungere la camera da letto, e quel divano sembrava così maledettamente comodo... poteva quasi sentirlo mentre lo chiamava...
Gee biascicò qualche parola sconnessa e incomprensibile, per poi alzarsi in piedi. Si gettò sul divano come se avesse appena affrontato la maratona di New York senza allenarsi, e non spense neanche la luce: le sue palpebre erano talmente tanto pesanti che non sarebbe riuscito ad alzarsi di nuovo. Stava praticamente dormendo in piedi.

- Porca troia! -
Il buongiorno si vede dal mattino, dice un vecchio modo di dire.
Se era veramente così, be', quello non era affatto un buon giorno per Gerard. Stava cercando di indossare un paio di jeans ed allacciare una camicia bianca quasi contemporaneamente, mentre arrotolava le sue preziose tavole in modo frettoloso e le ficcava con malagrazia nel suo tubo per trasportarle.
L'orologio sistemato sopra la scrivania segnava le sette e un quarto. Gerard avrebbe dovuto consegnare le tavole per le sette e trenta. Aveva un quarto d'ora di tempo, e non sapeva più che pesci prendere, stava entrando in panico.
Indossò le scarpe senza allacciarle e si ficcò la cravatta nel taschino della giacca, con l'intenzione di infilarla ed allacciarla dopo. Dopodiché afferrò portafoglio e chiavi di casa e si catapultò giù per le scale in tutta fretta, il tubo che si muoveva freneticamente a destra e sinistra, colpendo ripetutamente - e dolorosamente - la sua gamba sinistra.
Si catapultò in strada e corse lungo i marciapiedi, evitando quante più persone poteva e travolgendo i poveri sventurati che non riusciva a scanzare. Si ritrovò ad urlare "scusa!" per i marciapiedi di New York, mentre alcune vecchiette lo osservavano storto dalle finestre dei loro palazzi.
Il suo posto di lavoro era a più o meno venti minuti da casa sua, correndo in quel modo avrebbe potuto guadagnare cinque minuti, forse.
Controllò l'orologio: le sette e venti.
Era fottuto.


Licenziato.
Gerard ringhiò, furibondo ed amareggiato, gettando l'ultimo effetto personale che aveva nello scatolone di cartone che la ditta gli aveva offerto come regalo di addio. Bella merda.
Aveva una gran voglia di andare di là con un attaccapanni e fare una strage (anche se, tecnicamente, un attaccapanni non era un'arma così letale da poter fare una strage), ma si trattenne: lo avevano già licenziato, ci mancava solo una bella denuncia per tentato omicidio. Oppure una condanna per omicidio. Con l'umore che si ritrovava in quel momento, uccidere il suo capo sarebbe stato il minimo.
Lo avevano licenziato per dieci minuti di ritardo, ma intanto avevano preso le sue tavole, affermando che "appartenevano a loro". E così una settimana di lavoro andava a puttane per dieci fottutissimi minuti di ritardo.
Se qualcuno avesse anche solo salutato Gerard in quel momento, probabilmente si sarebbe beccato un pugno in faccia.
Sospirò, afferrando con entrambe le mani il suo scatolone. Non era molto pesante, portarlo a casa sarebbe stato un gioco da ragazzi. Aveva bisogno di un pomeriggio di videogame con Mikey e dei biscotti di sua nonna, solo di questo. Poi magari avrebbe ricominciato a cercare un lavoro, ma Gerard non credeva che avrebbe trovato un lavoro simile a quello.
Avrebbe fatto il camionista per tutta la vita, proprio come diceva suo padre. Dio, erano passati così tanti anni che Gerard non riusciva quasi a ricordare, ma sapeva benissimo che suo padre aveva ragione. E quando mai aveva sbagliato, lui? Sempre lì, fiero del suo lavoro di imprenditore, con il suo sorriso affabile e gli occhi azzurrini. Il padre inaccontentabile.
Il giovane Way fece una smorfia e scosse lievemente la testa, rimuovendo il pensiero del padre. Aveva cose più importanti a cui pensare... tipo il licenziamento.
Gerard premette con così tanta forza il pulsante per richiamare l'ascensore che ebbe paura di averlo rotto. Ma fortunatamente non fu così, visto che l'ascensore cominciò a salire. Il moro aspettò con impazienza l'arrivo di quel maledettissimo aggeggio e, una volta che le porte si aprirono, vi si intrufolò dentro a capo chino.
"Ci manca solo che si blocchi l'ascensore e la giornata sarà completa" pensò, lasciando cadere lo scatolone ai suoi piedi, per poi premere il pulsante del piano terra.
"Be', almeno sono da solo" continuò a pensare, aspettando che le porte metalliche dell'ascensore scorressero fino a chiudersi.
Stavano per cominciare a muoversi quando, all'improvviso, un uomo si intrufolò tra le porte, proprio due secondi prima che queste si chiudessero.
La prima cosa che Gerard notò di lui, fu l'altezza. Era veramente, ma veramente basso. Forse raggiungeva a stento il metro e sessanta. Indossava un cappellino da baseball bianco e verde, una camicia bianca e un paio di jeans strappati. Gee non riusciva a vedergli né il viso né gli occhi, ma quello strano tizio basso era l'ultimo dei suoi problemi, al momento.
- Dove va lei? - domandò dopo un po' il più piccolo, voltandosi verso di lui.
Aveva due occhi particolari. Erano grandi, veramente tanto grandi, di un verde chiaro che sembrava quasi militare. C'erano degli sprazzi di nocciola in quei due occhi grandi, che rendevano ancor più brillante il verde. Erano veramente due occhi bellissimi.
Aveva un piercing al labbro e l'aria di chi ha appena avuto una giornata normale. E beato lui.
- Piano terra -
- Okay, anche io vado lì - rispose il ragazzo, senza smettere di osservarlo - Mi chiamo Frank -
Gerard fece una smorfia, chiedendosi perché quel tipo stesse facendo l'amichevole così, di colpo. Magari era nella sua natura.
- Gerard - rispose il moro, continuando a fissare le porte dell'ascensore.
Frank lo osservò ancora per un po', prima di ridacchiare appena.
- Che c'è da ridere? -
- E' un nome strano. Non lo avevo mai sentito. Ed è così... francese -
Gerard sbatté le palpebre un paio di volte, confuso e smarrito.
- Francese? -
- Già. E' un nome strano, ma mi piace -
Gerard scosse la testa, abbozzando un sorrisetto. Dopotutto quel Frank era una persona simpatica, e fino a quel momento era stato l'unico a trattarlo con gentilezza in tutta la giornata. C'era anche da dire che erano solo le nove di mattina.
Alcuni istanti dopo, proprio mentre l'ascensore stava raggiungendo il terzo piano, un cigolio alquanto sinistro trillò nelle orecchie dei due occupanti del cubicolo. L'ascensore si fermò con uno scossone decisamente violento. Gerard ondeggiò, e per alcuni istanti rischiò quasi di perdere l'equilibrio, ma riuscì a rimanere miracolosamente in piedi. Frank, d'altro canto, non riuscì a trovare altri appigli se non la giacca di Gerard, così si ritrovò a stringere con forza la giacca azzurra di quest'ultimo, quasi fino a romperla.
- Cazzo - borbottò Gerard, staccandosi dalla parete dell'ascensore. - Stai bene? - domandò, voltandosi verso Frank.
Il più piccolo lo aveva preso per mano senza che se ne accorgesse, e Gerard scoprì come fosse piacevole stringere la mano di Frank. Era morbida e calda, e sembrava incastrarsi perfettamente con la sua.
- S-Sì - biascicò Frank, lasciandogli la mano - Scusa -
- Niente - mormorò Gerard, riprendendo il proprio arto, nonostante quel leggero contatto con Frank gli avesse fatto più che piacere.
"Ma che cazzo sto pensando?" squittì una voce nella testa di Gee, e il moro si riprese alla svelta, guardandosi intorno.
Frank stava pigiando insistentemente il pulsante del piano terra, per poi premere quello dell'apertura delle porte. Niente, non succedeva niente. Allora premette il pulsante d'allarme, ma anche allora non successe niente.
- Ehy! - trillò Frank, battendo un pugno contro la porta metallica dell'ascensore - Ehy! Mi sentite? Mi sentite? Rispondete, cazzo! -
"No, non può essere vero" Gerard rimase immobile, totalmente spiazzato dagli eventi "Non può essere assolutamente vero!"
Frank sbuffò, rabbioso, dando un calcio alla porta dell'ascensore, che vibrò violentemente prima di tornare al suo posto, immobile.
- Siamo bloccati - annunciò Frank, voltandosi verso Gerard.
Il ragazzo socchiuse gli occhi e ringhiò un'imprecazione, furioso.
Quello era il peggior giorno della sua intera vita.


*


- Credi che il segnale d'allarme sia partito? -
- Non ne ho idea - Frank si sedette sul pavimento dell'ascensore - Dobbiamo solo aspettare -
Gerard cercò invano il suo cellulare, per poi ricordarsi di averlo lasciato sulla mensola di casa mentre cercava di arrivare in tempo, quella mattina.
- Maledizione, no! - tuonò Gerard - No, no, no! Non è possibile, cristo santo! -
- Gerard, calmati -
- No che non mi calmo! Prima passo una notte insonne per finire tre stupidissime tavole di un cazzo di cartone di merda che neanche mi piace, poi mi sveglio troppo tardi e faccio tutto di corsa pur di arrivare in tempo, e dimentico pure il cellulare in casa! E quando arrivo qui cosa fanno? Prendono il mio cazzo di lavoro e mi licenziano! E ora sono pure bloccato qui! Quindi non dirmi di stare calmo, Frank, perché non posso stare calmo! - sbraitò il più grande, prendendo a pugni la porta dell'ascensore.
- Incazzandoti non risolvi niente! - esclamò Frank, senza muoversi di un millimetro dall'angolo destro dell'ascensore - Possiamo solo aspettare, fattene una cazzo di ragione e smettila di sbraitare! -
Gerard prese un grande respiro, cercando di placare i nervi. Avrebbe voluto strangolare Frank, anche se non aveva fatto niente di male, voleva strangolarlo comunque. Sentiva di poter uccidere qualcuno, e guardacaso quel nanetto era l'unico disponibile nel raggio di chilometri.
Il più grande sospirò, appoggiando la fronte al metallo freddo dell'ascensore. Doveva calmarsi, perché Frank aveva ragione: incazzarsi non avrebbe portato a niente, poteva solo aspettare insieme a lui.
Gerard si lasciò cadere sul pavimento dell'ascensore, che sobbalzò e ondeggiò per alcuni istanti prima di immobilizzarsi.
- Brutta giornata, eh? - esclamò amaramente Gerard, lo sguardo fisso sulla punta delle sue scarpe.
- Già... mi dispiace, amico -
- Non importa. Capita - replicò lui, con un alzata di spalle - Mikey si incazzerà come una bestia -
- Mikey? -
- Mio fratello minore. E' un gran caro ragazzo, crede più in me lui di me, ma tende a farsi un po' troppo gli affari miei -
Frank abbozzò un sorriso.
- Forse ci tiene veramente a te e non vuole che tu stia male -
- Già... -
I due rimasero in silenzio per diversi minuti, come sospesi in quella bolla venutasi a creare in quel piccolo quadrato.
- E tu? - domandò Gerard dopo un po'.
- Io cosa? -
- Hai fratelli, sorelle? -
- No. Cioè, sì. Be', tecnicamente lei non è mia sorella, ma è come se lo fosse... si chiama Meg, ed è una pazza fuori di testa -
Gerard rise.
- Hai un'alta considerazione della ragazza! -
- Non è colpa mia! Per il mio compleanno, ad esempio, ha organizzato una festa in un cimitero. Cioè, un cimitero. E' veramente pazza -
- Oddio, seriamente? -
- Sì! Peccato che poi è arrivata la polizia e abbiamo dovuto levare le tende... ma è stata una figata di festa, per quel poco che è durata! -
Gerard scoppiò a ridere, e si sentì leggero. Non gli era mai capitato di stare così bene in compagnia di una persona, di solito faticava moltissimo ad aprirsi anche dopo due mesi di assidua frequentazione... ma con Frank sembrava più facile. Forse era quel suo sorriso fresco ed innocente, forse quel maledetto capellino da baseball o l'aria del giovane Peter Pan a tempo perso, ma con Frank era più facile parlare.
E così cominciarono a discorrere. Gerard parlò di sé e Frank fece lo stesso, risero, scherzarono, e un'ora volò via come niente, come se in quella bolla il tempo non contasse veramente. C'era solo lui, Frank e le parole che scorrevano come un fiume in piena. Gerard non aveva mai parlato così tanto di sé a qualcuno che non fosse Mikey o sua nonna Helena.
- ...Poi siamo semplicemente corsi via insieme, mentre la professoressa ce ne urlava dietro di tutti i colori! - esclamò Frank, e Gerard scoppiò a ridere così forte che l'ascensore cigolò ed ondeggiò appena, ma nessuno dei due parve notarlo.
- Oddio - Gerard si asciugò una lacrima che scivolava lungo la sua guancia - Cristo, questa Megan deve essere veramente una forza -
- Già, è mitica - replicò Frank - Siamo come fratello e sorella da sempre, ci siamo presi subito. Sarà che nessuno dei due aveva molti amici... Veniamo entrambi da genitori che invece di controllarci pensavano a tutt'altro. Due bambini fantasma. Ci siamo aiutati a vicenda, lo abbiamo sempre fatto e sempre lo faremo -
- E' una bella cosa - affermò Gerard, abbracciandosi le ginocchia - Non ho mai avuto amici del genere... anzi, non ho mai avuto veri amici e basta -
- Seriamente? -
- Eh sì. Tutte amicizie passeggere... ma infondo li capisco. Nessuno sano di mente stringerebbe amicizia con uno come me -
- Io lo farei. Anzi, già l'ho fatto. Possiamo considerarci amici, vero? -
Gerard sorrise ed annuì appena.
- Sì, dai. Amici -
I due ragazzi si guardarono e si sorrisero, e fu in quel momento che l'ascensore decise di muoversi, dopo un'ora e mezza di blocco totale.
- Finalmente! - esclamò Frank, sorridendo allegro. Gerard si tirò in piedi e sorrise anche lui: dopotutto, non era stata una giornata così pessima.
Anzi, era stato bello passare la mattinata con Frank.
Una volta che le porte dell'ascensore si riaprirono, Gerard e Frank si ritrovarono davanti il tecnico dell'ascensore che, dopo essersi assicurato della loro salute fisica, si allontanò fischiettando una canzoncina orecchiabile.
- Be', allora ci si vede ingiro, Frank - affermò Gerard, afferrando nuovamente il suo scatolone per poi sorridere al più giovane. Gli aveva pure fatto dimenticare il licenziamento.
- Ehy, Gerard, aspetta! - esclamò Frank, fermandolo poco prima che si incamminasse verso la porta - Mi dai il tuo numero? Così... non voglio perderti di vista - e sorrise ancora.
Gerard si ritrovò a pensare nuovamente a quanto fosse bello quel sorriso. Era così dolce, aperto e fresco, un sorriso fantastico.
- Sicuro - replicò il giovane Way, per poi dargli il numero di cellulare.
Ci sono certe esperienze che non si possono condividere con qualcuno senza poi diventare amici.
Evidentemente rimanere bloccati in un ascensore per un ora e mezza rientra tra queste esperienze.









Angolo Autrice


Ta-dan! *evita le badilate*
Posto ad orari veramente indecenti, visto che sono le due e cinque di notte.
Ma ditemelo: quanto mi odiate da uno a mille? Non la smetto mai di postare le mie fanfiction senza senso, e adesso vi siete beccati una long, cazzi vostri *risata malefica*
Che dire? Mi diverto tanto a gettare sui miei cari ragazzi tutte le più grandi sciagure del mondo, MUAHAHAHAHAHAHAH (?)
Non ho idea né di quanti capitoli saranno, ma so come continuerà, e spero che vi piacerà!
Mi avete consigliato di inizare una long? Bene, ecco una long.
Non aspettatevi capitoli troppo lunghi, non credo di essere capace di scrivere cose troppo lunghe!
Peggio per voi, sarò ancora più pedante di prima!
Il titolo è provvisorio, viene da I Won't Give Up di Jason Mraz (ultimamente sono un po' fissata con lui), e non so se cambiarlo o meno, vedrò in seguito!
Le ultime due frasi sono ispirate ad Harry Potter e la Pietra Filosofale.
Ringrazio Giulia, Maria, Charlie, Saya e Lia per il supporto e il sostegno morale che mi danno sempre e comunque.
Spero vi piaccia il primo capitolo!
Un bacio,
_Cris








   
 
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