Trecentoquarantacinque
One of these days gonna thell her I dream of her every
night
Uno di questi giorni le dirò che
la sogno tutte le notti
Van egy Ország
Ahol álmomban jártam
Magyarország
C'è un Paese
In cui cammino nei miei sogni
L'Ungheria
(Magyarország, Ibolya Oláh)
[...]
Ricordo ch’ero ancora ragazzino
Ma come un uomo lavoravo già
(Vado a Lavorare, Gianni Morandi)
Budapest, 2 Giugno 1811
Va tutto bene, Kols.
È il 2 Giugno 1811, la tua
Budapest è più luminosa che mai, fa relativamente caldo e tu sei sempre Kolnay
Desztor, il ragazzo più bello del quartiere, ma lei quasi quasi ti batte, eh?
-Quella ragazza è un sogno, Mil!- sussurri al tuo migliore amico, quando passa
Zsófike Szebenics.
Bionda, alta, occhi
azzurri più del fondo di cielo bucato dei tuoi sogni impossibili, pelle di seta
e neve, e stamattina ha un vestito bianco che ti stringe in gola un nodo da
soffocare.
Zsófike è l'aria che ti
ruba i respiri, Zsófike è la ragazza che sposerai, ma glielo dovrai dire,
glielo dovrai chiedere, prima o poi.
Per oggi ti accontenti di
vederla passare, e di allacciare sospiri d'infinita ammirazione ai fili d'oro
dei suoi capelli lunghi fino all'inizio delle cosce, che guardi ondeggiare
sulla stoffa del vestito finché non cominci a sospettare che stiano ondeggiando
anche i tuoi neuroni, da tanto che ti senti stordito.
-Dio se è bella, la Szebenics...-
-Fino a qualche mese fa te
ne fregavi di lei, Kols- ti ricorda Milan, e tu vorresti sferrargli un pugno
sul naso.
Che razza d'idiota, sempre
il solito.
Era il presente che importava.
Zsófike Szebenics camminava
per mano a sua madre, Krisztine “Kriszti” Áts, e sorrideva distratta, sognante, con quell'aria dolce e ingenua da
bambina innamorata che tanto la faceva adorare a Kolnay, e nemmeno sospettava
di quanto quello scapestrato si struggesse d'amore per lei, d'un amore che
ancora non la sfiorava, ma presto l'avrebbe travolta, sconvolta, ferita e quasi
uccisa.
Le sarebbe bastato
incrociare il suo sguardo, per sentirsi incendiare dai sentimenti e dall'ardore
di quello zingaro dagli occhi neri più ammalianti della città.
Kolnay Desztor, il dio
quasi onnipotente della periferia di Budapest e della steppa ungherese.
Kolnay Desztor, con quella
selva di capelli nerissimi un po' mossi e gli occhi del medesimo color carbone,
e Milan Hrabal, un biondino dagli occhi azzurri dall'aria un po' troppo
sfrontata, erano due adorabili furfanti che in via Rákos , il primo al numero 4
e il secondo al numero 3, la facevano un po' da padroni.
Le ragazze consideravano
Kolnay il più bello del quartiere -posto
che qualche anno dopo sarebbe spettato a Jànos-, anche più di quel dio
sceso in terra di Milan.
Kols aveva una teoria al
riguardo: Mil si era limitato a scendere
in terra, lui invece l'aveva presa
un po' più sul serio, e gli era stato riconosciuto.
Che poi, Milan e Kolnay
erano belli al modo dei teppistelli di periferia, a tratti terribilmente
affascinanti, a tratti di gran lunga troppo sfacciati e sregolati.
“Kolnay”, in realtà, era
un cognome ungherese, non un nome, ma a Bohumil Desztor -che a sua volta aveva
un nome ceco- piaceva così tanto da usarlo ugualmente per battezzare il suo
primo e unico figlio, anche se la sua quasi moglie siberiana, Natal’ja Pavlovna
Eleckaja, avrebbe voluto dargli un nome russo.
Milan Hrabal, invece,
aveva un nome e un cognome cechi, perché suo padre, il venticinquenne
Bořek Hrabal, un contrabbandiere come Bohumil, il padre di Kolnay, era
boemo, di Plzeň, anche se per la precisione il suo cognome era moravo.
Il padre di Kolnay,
Bohumil Desztor, aveva ventisei anni e non assomigliava neanche lontanamente ad
un bravo ragazzo, ma del resto era nato in via Rákos, e la via Rákos era quello
che era, con i suoi teppisti più che pregiudicati e almeno un crimine al
giorno.
Era la via degli avanzi di
galera e dei poveri da morire di fame, poco distante dall'incrocio tra via
Mária e via Pal.
In una segheria di via
Pal, Bohumil Desztor aveva il Magazzino del suo Emporio, l'Emporio Desztor di
via Rákos.
Bohumil aveva una quantità
imbarazzante di vezzeggiativi, rigorosamente cechi, inflittigli dalla madre
morava, la trentanovenne di Břeclav
(vicino a Brno, nella Moravia Meridionale) Eliška Záhrobská, la nonna di Kolnay: Bohouš, Bohoušek, Mila e Milek.
Certe volte sembrava che
stesse chiamando quattro persone diverse.
Era esasperante.
Della situazione familiare
della Szebenics, invece, si sapeva molto meno.
Zsófike aveva due sorelle,
Katalin e Ildikó, e un fratello, Sándor.
Suo padre, Balázs Szebenics, era un minatore dei Carpazi,
e sua madre, Krisztine Áts, una ballerina di strada che sognava il teatro.
Queste erano le
informazioni che Kolnay era riuscito ad ottenere a fatica bussando a quasi
tutte le porte della via Rákos, perché gli Szebenics parevano essere “gente
perbene”, e questa non era una buona notizia.
Kolnay non aveva la minima di come si facesse ad
essere “gente perbene”.
Quel giorno, poco dopo le
nove del mattino, Milan aveva salutato sulla porta di casa sua madre, Anežka, e
i suoi diabolici fratelli maggiori, František e Zdeneček, entrambi ladri
professionisti, che appollaiati sulle sedie di legno della cucina, con i piedi
sul tavolo, sghignazzando per chissà quale battuta cretina, stavano divorando
un intero vassoio di frittelle di latte cagliato appena sfornate -Mil ne aveva
arraffate una manciata uscendo e se le era nascoste nelle tasche dei pantaloni,
per poi dividerle in seguito con il suo migliore amico- , ed era corso in
strada da Kols.
Aveva in programma di fare la fatidica proposta
alla Szebenics, quel matto.
-Così bella e così
perbene? Dai, non è possibile- ripeté Kolnay, contrariato, per l’ennesima
volta.
Stava praticamente
gridando.
-Vive in via Rákos, per tutti i Danubi! Non può essere
onesta-
-Pensa cosa dirà lei, quando scoprirà che avanzo di
galera sei tu- sogghignò Milan, e
Kols gli appioppò uno schiaffo sulla nuca.
-Non ha bisogno di
scoprirlo. Lo sa. Lo sanno tutti. Grazie al cielo-
-Credimi, Kols, non sarai
così fiero di essere un delinquente, quando lei ti guarderà con quei suoi
occhioni innocenti...-
Kolnay scosse la testa, ma
quell’eventualità lo turbava.
-Quindi... O io rinnegherò la mia delinquenza, o lei
rinnegherà la sua innocenza?-
-Esattamente-
Il ragazzo parve prendere
in considerazione entrambe le cose, ma la risposta l’aveva avuta sulle labbra fin
dal primo istante.
-Lo farà lei-
Il pensiero di dover essere
anche solo un po’ meno teppista di così per non spaventare la Szebenics lo
terrorizzava.
Non c’era proprio un altro modo per farle passare
la paura?
E poi, chi lo diceva che
avrebbe avuto paura?
Come se fosse stato chissà quanto spaventoso, lui.
-Sarebbe un disastro in
ogni caso, Mil. Lei ha paura di quelli
come noi -sempre che ne abbia davvero, poi-, e io ho paura della gente perbene. Ma se le insegno a rubare
prima del matrimonio, magari...-
-Magari ti manda a quel paese, Kols-
-Perché? Sembra così
dolce, non credo che...-
-La Szebenics è dolce, sì,
ma tu sei cretino. Per conquistare
una ragazza le insegni a rubare?-
-Allora la rapisco, la
porto nella segheria di via Pál e le punto il pugnale alla gola-
A quel punto non ci sarebbe stata proprio
l’atmosfera adatta ad una proposta di matrimonio, ma lui gliel’avrebbe fatta lo
stesso.
Le avrebbe sciolto i capelli con la mano libera,
avrebbe giocherellato un po’ con una delle sue ciocche biondissime e forse
avrebbe perfino trovato il coraggio e l’ardire di guardarla negli occhi, ma poi
per l’emozione avrebbe distolto lo sguardo, travolto dal panico l’avrebbe
alzato al soffitto, e si sarebbe messo a contare tutti i ragni della segheria.
Le avrebbe detto di stare attenta alle schegge di
legno e nel dirlo avrebbe azzardato una carezza su una guancia -la destra o la
sinistra? Avrebbe dovuto deciderlo prima-, ma poi, sconvolto dalla sua stessa
audacia, avrebbe tolto la mano così velocemente da sbatterla su una delle tante
-troppe- cataste di legna e si sarebbe riempito di schegge.
E allora il matrimonio -ancora immaginario, tra
l’altro- sarebbe saltato, accidenti a
lui.
-Sì, sgozzala, già che ci sei-
-No! No, io voglio sposarla, non sgozzarla, Mil-
-Questo l’ho capito,
eh...-
-Senti, io glielo devo
chiedere. Non importa dove né come... Anche se il come effettivamente mi preoccupa, chissà se riuscirò a farle la proposta senza attentare alla sua vita-
Milan scosse la testa, con
uno sguardo più che eloquente.
No, non ci sarebbe riuscito.
-Però glielo devo
chiedere. Cioè, mi sembra giusto. Lei lo
deve sapere, no?-
-Sarebbe utile che lo
sapesse prima del matrimonio, che tu
vuoi sposarla, già-
-Non fare lo scemo, Mil. Sarai il testimone, tu-
-Oh, no! Io non testimonio
contro nessuno, specialmente contro di te, che sei il mio migliore amico! Io non tradisco!-
-Testimoniare all’altare, Mil, non in tribunale. Te l’ho detto che sei scemo, Hrabal-
-È la stessa cosa, Kols.
Se dico che la rapina della settimana scorsa l’hai fatta tu ti arrestano, anche se lo dico in chiesa-
-Devi testimoniare che
voglio sposare la Szebenics, idiota. Che la amo, cose così. Devi dire che è
vero, che sono sincero, prendere atto che ci stiamo sposando e firmare da
qualche parte, credo-
-Ma c’è proprio bisogno
che le dica io, tutte queste cose? Le sanno già tutti, dai-
-Sì, forse occorrerebbe un
testimone più intelligente, ma il mio migliore amico sei tu, non uno di
quegl’intellettuali dell’Università che predicano cose assurde come che bisogna
rispettare la legge, aiutare il prossimo, amare il proprio sovrano e guadagnare
onestamente...-
-Non credo che tu andresti
mai d’accordo con uno di quei tipi lì. Li riempiresti tutti di botte, e pestare a sangue il prossimo non è uno
dei comandamenti-
-La Giustizia è proprio
strana, e non credo che quella divina sia tanto diversa.
All'ultimo processo mi aspettavo
che condannassero il Duca Nagy per non avermi consegnato spontaneamente i suoi
duemiladuecento fiorini, poiché io non mangiavo da tre giorni, e invece l'hanno
assolto e condannato me per averglieli sottratti a mano armata!
Che poi anche il Duca era
armato, aveva addosso una quantità di gioielli impressionante, e a un dito un
anello con una pietra che se mi colpiva in un occhio mi scavava una fossa che
neanche un asteroide...
Ma in galera hanno
sbattuto me, non lui!
Affamare un dodicenne di via Rákos è meno grave di
privare un ricco di una minima parte della sua ricchezza?-
-Certo che no...- borbottò
Mil, sdegnato.
-Per fortuna che la tua
Szebenics non è la figlia di un giudice. Un minatore e una ballerina vanno
piuttosto bene, come suoceri. Un giudice
proprio no-
-E grazie al cielo non
sono ricchi! I ricchi non ci si devono
nemmeno avvicinare, alla via Rákos-
-Sai una cosa, Kols? Lei
non è ricca e non è figlia di un giudice, quindi è perfetta. Forse è onesta- Milan rabbrividì, nel
pronunciare quella parola -Ma è perfetta per te. Quindi io vado a dirglielo,
quanto è perfetta, quanto siete perfetti.
E le dico anche che io
sarò il testimone. Tu vai alla segheria di via Pál. Te la manderò lì-
-Ma...-
-Taci, Desztor. Te la manderò lì-
Milan corse come un pazzo per
raggiungere Zsófike e Krisztine, e le due ragazze, nella manciata di secondi
che occorse a Mil per riprendere fiato, non gli staccarono di dosso i loro
occhi azzurrissimi e scintillanti di curiosità.
Krisztine Áts, la
ballerina, era una ventiquattrenne alta e slanciata dai lunghissimi capelli biondi
e ondulati intrecciati con un bel nastro di seta turchese, un vestito niveo
come quello della figlia e ai piedi -piedini sottili e candidi come quelli di
una ninfa delle sorgenti- un paio di ballerine del medesimo bianco luminoso,
adornate da un fiocchetto di lucido raso celeste.
Milan si soffermò a lungo
sulla sua splendida figura, guardandola con un’ammirazione difficilmente
dissimulabile.
Zsófike era altrettanto
abbagliante, e Mil cominciava a capire Kolnay.
-Jó napot!- “buongiorno”, esclamò allegramente, e in quel momento lo sguardo gli
cadde -letteralmente- nella
scollatura di Krisztine.
-Jó napot- replicò
quest’ultima, prendendogli il mento tra due dita e alzandoglielo, delicata ma
decisa.
-Guardarmi negli occhi
sarebbe più carino, non credi, Milan Hrabal?-
-Immagino di sì...-
-Allora, cosa desideri,
caruccio?-
-Dovrei conferire da solo
con vostra figlia... Se vostra eccellenza
permette...-
-Per fortuna che il
vestito di Zsófi è più accollato- sospirò Kriszti, annuendo.
-Va bene, va bene, conferisci da solo con mia figlia, se ti
fa piacere. Ma tieni a posto le mani, e
anche gli occhi, Hrabal-
-Jó napot!- ripeté il
ragazzino, incantato.
Kriszti gli scoccò uno
sguardo scioccato.
-Jó napot anche a te, Milan...-
Milan la seguì con lo
sguardo finché non si fu allontanata abbastanza da non vedere più la sua
splendida chioma dorata ondeggiare sulla sua schiena dritta e dal portamento
regale, dopodiché si rivolse alla figlia, che, guardandolo intensamente con i
begli occhi cristallini, cercava d’indovinare i motivi della sua inaspettata
richiesta.
-Ehi... Zsófike, giusto?
Io sono Milan Hrabal della via Rákos, sto al numero 3. Tu abiti al 5, vero?-
La biondina annuì, e Milan
procedette con la domanda più “impegnativa”.
-Lo vuoi sposare il mio amico?-
Zsófike sgranò gli
occhioni azzurri.
-Come?-
-In chiesa, con i
testimoni...- spiegò Mil, fiero di poter essere così preciso ed esauriente.
Aveva appena finito di
parlare proprio di questo, con Kolnay...
La Szebenics, però, pareva
ancora piuttosto confusa.=
-Quale tuo amico?-
-Kols, ovviamente! Kolnay,
Kolnay Desztor. Il figlio di Bohumil e Natal'ja... Sta al numero 4 della via
Rákos, lui. Kolnay Desztor, nato a Budapest il 25 Dicembre 1798, possibile che
tu non ce l'abbia presente?
È il più bello di tutti,
Kols. O almeno dicono così-
-Kolnay dell'Emporio Desztor? Quello che ha praticamente costretto mia madre a
comprare venti saponette alla lavanda, qualche giorno fa?-
-Sì, ma devi capirlo,
erano rimaste invendute...-
-Sono di Marsiglia. Forse è per questo che come saponette alla
lavanda non funzionavano-
-Tu sei un'esperta di
saponette, Zsófike Szebenics?-
-No, ma...-
-E allora lascialo
decidere a Bohumil e Kolnay, come sono le saponette che vendono!-
-No, non hai capito, Milan!
Lo decidono proprio loro, solo loro,
come devono essere!
Sono tutte di Marsiglia, poi loro cambiano l'etichetta... Ed è mai
possibile che vendano solo confezioni da venti? Venti saponette contraffatte a una quantità spropositata di fiorini!
Senza contare che non le
sanno neppure scrivere, le etichette false.
Come sapresti spiegare il
set di saponette al cinese mandarino
che mia sorella ha portato a casa l'altroieri?-
-Ma no, dai, non
prendertela con loro... Devi capire che i Desztor vendono solo saponette di
contrabbando, sono più pregiate... Credo-
-Di contrabbando?! Santo Cielo!-
-Che c'è?-
-Ma sono dei disonesti!-
-Oh, non sai quanto...-
-Io quello non lo sposo!-
-Aspetta!
Se lo sposi è probabile che cambierà le saponette a tua madre. Tutte e venti-
-Sarebbe un matrimonio
d'interesse, quindi? Un ricatto!-
-Kols però non me l'aveva
detto, ch'eri così melodrammatica-
-Mio fratello Sándor è in
prigione. Ecco perché vivo in via Rákos- sospirò
la biondina, rattristandosi.
Gli occhi turchini di
Milan s'illuminarono.
-Cos'ha fatto di bello?-
-Di bello?-
-Sì, insomma... Cos'ha fatto?-
-Ha sparato al Principe Estherázy-
mormorò Zsófike, abbassando lo sguardo.
-Sul serio? Grande!-
La Szebenics gli lanciò
un'occhiata perplessa.
-E l'ha ucciso?- continuò Mil, presissimo.
-No!-
-Peccato...-
-Se l'avesse ucciso l'avrebbero
impiccato! E forse lo impiccheranno
comunque-
-Non può evadere, scusa?-
-E poi? Ammazzare anche qualche guardia, già che
c'è?-
Milan le sorrise,
annuendo.
-Hai capito al volo, Zsófike-
-Io lo sposerei anche, il
tuo amico, se non vendesse saponette di contrabbando...-
-Ma non contrabbanda mica
solo quelle, eh!-
-Ah, no?-
-Non sembri tanto
contenta...-
Zsófike sorrise,
incredula.
Le stava davvero simpatico, quel teppistello.
Non ne diceva una giusta, ma le stava simpatico.
-Sai, Milan... A quell'idiota arrogante del Principe Estherázy
avrei voluto sparare anch'io- ammise, arrossendo.
-E all’inizio, appena ho
saputo che Sándor gli aveva sparato, sono stata contenta-
Mil le fece l'occhiolino.
-Lo sapevo! Secondo me anche i suoi genitori, sua moglie e i suoi figli avrebbero
voluto sparargli.
Vedrai che Kols riuscirà a
portarti sulla retta via. Non devi
mai dare confidenza alla gente perbene, Zsófike...
E per fortuna che ho
scoperto che almeno una persona nella tua famiglia è pregiudicata, Kolnay era
così preoccupato! Cosa direbbe la gente,
se Kolnay Desztor sposasse una ragazza onesta? Sarebbe terribile!
Dovresti proprio
ringraziare tuo fratello, Zsófike.
Sándor Szebenics... La
prossima volta che sarò dentro
chiederò di lui-
-Io oggi parto, Milan...-
-E dove vai?-
-A Debrecen, a studiare
danza e letteratura russa-
-Ma le migliori scuole
sono qui a Budapest! Perché devi andare così lontano?-
-Non è poi così lontano...
È sempre in Ungheria!-
Sì, ma Debrecen era
nell’Ungheria Settentrionale, a 50 verste dal confine con la Romania.
-Ma è lontano da Kols!
Dovete sposarvi oggi, allora!-
-Oggi? Ma non lo so... È
che mia madre è di Debrecen, e la scuola di danza l'hai fatta lì...-
-Danza e letteratura russa,
hai detto? Ma la madre di Kolnay è russa! Probabilmente lui di russo non sa un
accidente, perché la Eleckaja è tornata in Siberia, e lui è troppo ungherese,
ma suo padre sì!
Oh, ti prego, studialo con
loro, il russo! Ti giuro che non t'insegnano il russo di contrabbando...
Il russo siberiano va
bene, no? La Eleckaja è di Krasnojarsk-
-Sì, ma... Io non posso restare qua-
-Verrà con te! Kolnay verrà
con te! Vi sposerete a Debrecen, anche senza di me... Posso testimoniare per lettera, al vostro matrimonio? Perché
davvero non posso venire, devo aiutare quegli storditi dei miei fratelli con la
prossima rapina... Lo so che non sei d'accordo, quindi fai finta di non aver
sentito. A proposito, bellissimi capelli!-
-A proposito?-
Le faceva piacere
sentirselo dire, ovviamente, anche perché Zsófike era letteralmente fissata con
i suoi capelli, con i suoi capelli e con
i nastri azzurri, ma non le sembrava che quel complimento c’entrasse molto
con la rapina che Milan Hrabal stava organizzando con i suoi fratelli František
e Zdeneček.
-Vai alla segheria di via
Pál, ti prego, Kols ti aspetta lì! Io vado a procurargli il biglietto per
l'omnibus. Ci vediamo!-
-Ma... Milan!-
-Alla segheria di via Pál,
all'incrocio con via Mária! Corri!-
Kolnay aveva qualcosa che
lo faceva apparire bello a chiunque lo guardasse.
Non era chiaro se la sua
bellezza fosse nello sguardo, nel sorriso, nei lineamenti del viso o nel
carattere, ma era qualcosa di vero e di autenticamente impossibile da ignorare.
Il suo aspetto ispirava e
suggeriva a tratti un’anima dannata, a tratti una spontaneità disarmante.
Un fascino assolutamente
zingaresco, tanto sfaccettato da perderci la testa.
Kolnay Desztor era bello per una quantità di motivi
che solo la metà bastava a giurare ch’era a dir poco abbagliante.
Zsófike lo vide così, si
fermò sulla soglia della segheria e lo vide, appollaiato su una catasta di
legna, con la schiena contro il muro, le gambe incrociate e lo sguardo perso
sul soffitto.
Lo seguì, e si accorse che
stava osservando una serie di ragnatele disposte quasi artisticamente, e i
rispettivi proprietari.
-Sono... Carini- commentò la biondina, indicando
i ragni.
Kolnay sussultò, e poco ci
mancò che cadesse dalla catasta.
-Ah... Sei... Qui-
Lei annuì, con un sorriso dolcissimo
che al giovane Desztor fece tremare il cuore.
-Vuoi sederti accanto a
me?-
-Lì sopra?- chiese Zsófi,
scettica.
-Se vuoi scendo io-
Nell’esatto istante in cui
Zsófike mise un piede in uno spazio tra un fascio di legna e un altro, Kolnay
saltò giù e quasi le piombò addosso, facendola cadere all’indietro.
-Sarebbe stato meglio
mettersi d’accordo prima...- sussurrò lei, mordendosi le labbra.
Kolnay le posò un veloce
bacio su una guancia, dopodiché si alzò.
-Forse sì-
-Quindi tu vuoi sposarmi?-
domandò lei, con un fil di voce, improvvisamente timida.
-Da morire... Cioè, prima di morire! Sì, lo voglio- asserì
Kols, puntando i suoi luminosi occhi neri, seri e sinceri, in quelli
chiarissimi, celesti, della biondina.
-E adesso sono tua
moglie?- sorrise Zsófike, riferendosi alla sua ultima affermazione.
-Ma non c’erano i
testimoni...-
Zsófi scrollò le spalle.
-Sarà un matrimonio segreto- sussurrò, emozionata.
Kolnay sorrise,
arrossendo, più confuso che mai.
-Davvero li trovi carini?-
-Eh?-
-I ragni-
-Beh... Sì, sono
simpatici-
-Anche tu sei carina.
Cioè, sei bellissima. E simpatica. Come i ragni-
A Zsófike venne da ridere,
davanti a quella dichiarazione non proprio romantica, e Kolnay sbarrò gli
occhi, rendendosi conto dell’immensa cretinata appena detta.
-Oddio, non sembrava un complimento...
Scusa-
-No-
-Non mi scusi?- chiese
Kols, preoccupato.
-No, non devi scusarti.
Sei stato... Carino-
Il ragazzino si accigliò.
-Come un ragno?-
-Anche di più-
-Ma dov’è finito Milan?- mormorò
Kols, nervoso -Sembro lui, a dire ‘ste cose assurde-
-È andato a prenderti il
biglietto per l’omnibus-
-Quale omnibus?-
-Quello per Debrecen. Io
parto oggi, e lui dice che tu verrai con me-
-Lui... Milan?-
-Eh sì-
-Ma è un cretino!-
-L’ho sospettato, però... A me farebbe piacere, se tu venissi-
-Ma a me no! Cioè,
adorerei stare con te, ma lasciare Budapest... Io non l’ho mai fatto, sai.
Perché Budapest è la città
più bella del mondo, la città dei ponti, e io sto bene qui-
-Ma io devo studiare
russo...-
-Te lo insegno io!-
-Allora lo sai?-
-Certo, mia madre è
russa... Io non l’ho mai conosciuta, lei, ma il russo lo so. Me l’ha insegnato
papà, che i Russi li odia, ma dice che hanno una bella lingua, con un bel
suono, una bella pronuncia, e questo lo penso anch’io.
Li odiava anche prima di
conoscere la mamma, ma dopo di più. È difficile, il russo, ma è anche
bellissimo... E anche le russe sono
difficili e bellissime, dice pa’. Davvero, te lo insegno io!-
-Ma a Debrecen devo anche
studiare danza, come vuole la mamma... Lei non è russa, è ungherese, di
Debrecen, appunto, ma è una ballerina-
-E tu cosa vuoi fare, da
grande?-
-Voglio diventare russa- affermò
Zsófi, con un gran sorriso.
-Io lo sono per metà-
-Allora diciamo che... Voglio diventare più russa di te. Anche
se entrambi i miei genitori sono ungheresi.
Anch’io sono nata qui a
Budapest, ed è bello, sì, ma penso che vivere in Siberia lo sarebbe di più-
-In Siberia... A Krasnojarsk?-
-Mi andrebbe bene
qualsiasi città-
-A Krasnojarsk è nata mia
madre. Potremmo andarci in viaggio di nozze...-
-Io e te?-
-Questa era una domanda da
Milan, Zsófi- sorrise Kols, e dopo un po’ anche lei.
-Vieni a Debrecen, allora?
Vieni con me?-
Kolnay ci pensò su.
-Per sposarci dobbiamo
essere vicini, no?-
Lei annuì, con un
batticuore sempre più forte.
-Allora sì-
Note
One of these days gonna
thell her I dream of her every night - Uno di questi giorni le dirò che la
sogno tutte le notti: Lieve modifica alla citazione di “When I Kissed The Teacher” degli Abba, l’ho trasposta dal maschile
al femminile, riferita a Kolnay e Zsófike.
La segheria di via Pál, all'incrocio con via Mária, è una chiara citazione de "I ragazzi della via Pál", di Ferenc "Feri" Molnár, la segheria dello slovacco Jano è il loro quartier generale, e io ho immaginato che prima potesse essere il Magazzino dei Desztor ;)
Oggi è il mio quindicesimo
compleanno, e non sono troppo psicologicamente preparata, però sono contenta ;)
In questi giorni fa un
freddo fantastico, si vede che è arrivato un po’ di gelo dalla Siberia apposta per
il mio compleanno ;)
Poi oggi mia mamma telefonerà
per farmi fare un corso di russo, quindi sono proprio felice...
Non avrò Kolnay come
insegnante, ma pazienza, a me basta che m’insegni il russo, sarebbe già
meraviglioso questo ;)
Questo capitolo lo volevo
scrivere da tanto tempo, e non sarà l’unico su Kolnay e Zsófike, c’è ancora
tanto da dire su di loro!
Spero davvero che vi sia
piaciuto!
Qui Kolnay ha dodici anni,
ma è prossimo ai tredici, e Milan e Zsófike undici, prossimi ai dodici.
Cominciamo a vedere le
somiglianze tra Kolnay e Feri -che è suo padre sputato- e soprattutto tra
Zsófike e Natal’ja -la fissazione per i capelli, la passione per i nastri
azzurri, per il russo e per la Siberia-, e conosciamo meglio Milan, che io
adoro, ma mi sa che l’ho già detto ;)
I collage iniziali sono
piuttosto significativi, soprattutto per i nomi sovrapposti, e spero che vi
siano piaciuti!
A presto!
Marty