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Autore: claudineclaudette_    04/09/2012    7 recensioni
Il mio nome è Yuri diventerò una guerriera! Il mio maestro…. Ma cominciamo dall’inizio!
La storia di una giovane che cerca di andare contro i pregiudizi della società in cui vive per riuscire a realizzare il suo sogno.
Dico solo un nome: Sephiroth! ...e una parola: Commenti! Perchè più commenti rendono gli autori più felici!
p.s. Lei non è una Mary Sue :p promesso!
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Altro contesto
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Attenzione: non che la mia abilità nella scrittura sia tale da sconvolgere nessuno (né tantomeno esplicito) ma mi sento in obbligo di avvertirvi che in questo capitolo troverete violenza (molta violenza, sebbene come al solito di bassa lega) e un tentativo di stupro. Detto questo, buona lettura!

 

21. SEPHIROTH

 

Mi stringeva così forte che le dita quasi mi penetrarono nelle carni. Mi costrinse a rientrare in casa torcendomi un braccio dietro la schiena nel processo, poi mi spinse contro mio padre. Non ebbi nemmeno il tempo di riacquistare l’equilibrio che mi colpì in faccia col dorso della mano, così forte che mi buttò per terra. In qualche modo riuscii a mettere le mani in avanti per attutire la caduta. Mi fischiavano le orecchie. Tossii e sputai a terra un po’ di sangue. Com’è possibile che stia davvero succedendo? mi domandai mentre vagliavo velocemente con la lingua l’interno della bocca cercando l’origine di quel sangue e finendo per individuare un molare che traballava.

- Merce avariata, come avevo detto – mio padre mi diede un altro calcio mentre cercavo di tirarmi in piedi. Un secondo dopo era accovacciato accanto a me, mi prese rudemente il mento tra indice e pollice per costringermi a guardarlo in faccia. – Dove credevi di andare, eh?

- Vaffanculo – soffiai tra i denti e ricevetti un altro schiaffo. Niente sangue questa volta ma certo avrei avuto presto un occhio nero. Approfittai di quel momento in cui sembrava aver abbassato la guardia: con un unico, rapido colpo di reni, come mi aveva insegnato Safer, fui in piedi ed ecco che di nuovo scattavo verso la porta della cucina, dal momento che quella da cui ero entrata era ancora occupata da Daisuke. Scivolai oltre mio padre agilmente ma di nuovo fui buttata per terra, questa volta dal mio “promesso sposo”.

- Bastardo – urlai calciando e cercando di morderlo – Mollami, stronzo. Tanto non ti sposerò mai! Mai! Hai capito? Scordatelo!

Un altro calcio. Questa volta nello stomaco. Questa volta non da parte di mio padre.

- Credi di avere una qualche scelta? – disse il ragazzo. La sua voce era piatta, un po’ stridula. Fastidiosa. Non mi fece alzare di nuovo in piedi.

- Siete già sposati – si curò di spiegare mio padre. – Nessuno aveva intenzione di sprecare tempo o denaro dietro a questa cerimonia. I documenti sono già stati firmati.

Mi prese per un braccio, mi trascinò di forza fino al bagno e mi ci gettò dentro.

- Preparala – disse con tono freddo e con quella si chiuse la porta alle spalle. Dopo un attimo sentii il rumore della chiave che veniva girata nella toppa. Ero chiusa dentro.

Mi voltai. Seduta su uno sgabello c’era mia madre.

- Mamma – esclamai, correndole incontro, accucciandomi accanto a lei. – Mamma! Aiutami! Mamma! Aiutami a scappare! Ti prego – le mie mani si aggrapparono disperate alla sua gonna. – Non puoi lasciargli fare questo. Aiutami!

Non rispose. Mia madre non emise nemmeno un sospiro. Tra le mie suppliche, che si erano rapidamente trasformati in singhiozzi, le mie preghiere, mentre tornavo a sentirmi una bambina, mentre chiedevo aiuto alla mia mamma, cominciò a muoversi. Si spostò alle mie spalle e cominciò a pettinarmi i capelli. La spinsi via con una gomitata e balzai lontano da lei.

Questa donna. Questa donna che mi aveva dato al mondo.

- Mamma – dissi per l’ultima volta, le guance bagnate dalle lacrime, - aiutami.

Lei girò la testa, evitando il mio sguardo. – Mi dispiace – disse.

Mi sentii male. Fu come ricevere un nuovo pugno nello stomaco. Volevo vomitare. Mia madre mi abbandonava al mio destino. Ma in realtà è semplice, vero?

Risi. Una risata amara, quasi ultraterrena, mi nacque nel petto. Non era un suono umano, se fossi stata più padrona di me stessa forse me ne sarei spaventata.

- “Bisogna rispettare le tradizioni” – dissi. Un’eco di una discussione che avevamo avuto tanto, tanto tempo prima. Così tanto tempo prima che sembrava appartenere a un’altra vita. Ma dopotutto cosa era cambiato? Niente.

La donna fece un passo in avanti cercando di finire di acconciarmi i capelli. Le diedi un altro spintone che la fece quasi cadere per terra. – Non ci pensare nemmeno. Non pensare mai più niente che abbia a che fare con me. – ringhiai. Una rabbia folle mi annebbiava lo sguardo. – Vorrei dirti di dimenticare di avere una figlia, ma sarebbe inutile. È evidente che è una cosa che hai dimenticato molto tempo fa.

Mi frugai nelle tasche e tirai fuori la materia Cura. La tenni stretta in pugno mentre si illuminava. Curai il molare che traballava rendendolo di nuovo stabile nella mia bocca. Rimarginai un taglio che mi si era aperto sopra lo zigomo destro, rendendomi conto solo in quel momento che sanguinava, e la rimisi in tasca. Avrei voluto poter continuare, ma la mia energia non permetteva tanto. Almeno l’occhio avrebbe evitato di diventare troppo gonfio, adesso.

Quella donna mi guardava con la bocca spalancata, non so se sapesse o meno cosa avessi appena fatto ma non mi interessava. Per me era morta. Mi tolsi i vestiti e mi infilai in un paio di pantaloni bianchi di lino e una camicia simile, ma solo perché ormai i miei vestiti cadevano a pezzi.

Mi mossi verso la porta e calai forte il pugno per tre volte.

- Fammi uscire. Non abbiamo più niente da spartire qui dentro.

Dopo un attimo la porta si aprì e mi trovai faccia a faccia con mio padre. Cercai di tirargli un pugno sul naso. Safer non mi aveva addestrata nel combattimento corpo a corpo ma mi aveva spiegato che un colpo ben assestato poteva stordire una persona abbastanza a lungo da permettermi di scappare.

In effetti gli ruppi il naso, ma non ottenni il risultato sperato.

Con una mano si tenne il naso sanguinante, con l’altra mi colpì. Poi mi colpì ancora e il dente che avevo appena rinsaldato mi schizzo fuori dalla bocca.

- Non – un pugno – osare – un altro pugno, caddi per terra – mai più – un calcio nello stomaco – cercare – un altro calcio – di colpirmi.

Mi inarcai presa dai conati e vomitai sangue.

Safer pensai. Le lacrime che tornavano a offuscarmi la vista. Come ti sbagliavi. Non sono capace. Non sarò mai capace. Sono solo una ragazzina. Cosa posso fare contro queste persone? scoppiai a piangere. Vorrei che tu fossi qui.

Mi scappò un gemito quando sentii un dolore improvviso e inaspettato al cuoio capelluto. Mio padre mi aveva afferrata per i capelli e ora mi stava trascinando verso la stanza matrimoniale.

Sapevo cosa stava per succedere. Non volevo pensarci.

Sono solo una ragazzina.

Mi buttò dentro come prima mi aveva buttata nel bagno e come prima chiuse a chiave la porta dietro di sé.

- Se provi solo ad avvicinarti ti uccido – gli dissi ma ottenni in cambio solo una risata amara.

- Credi davvero di poter fare qualcosa? – mi domandò mentre si abbassava lentamente i pantaloni fino a sfilarli, senza distogliere lo sguardo. Si lanciò in avanti e mi afferrò per un braccio dove già spiccavano lividi i segni delle dita di Daisuke e di mio padre. – Se nemmeno io ho potuto fare niente per impedirlo.

Cercai di scalciare ma fu inutile, ottenni solo un altro pugno in faccia. Mi afferrò per il collo per tenermi fredda, stringendomi più del necessario, fino quasi a strozzarmi. Le mie mani, che fino a quel momento avevano cercato di colpirlo, corsero al collo cercando inutilmente di allentare la pressione. Mi sovrastava.

- Ti prego – rantolai – lasciami.

- Oh, lo vedrai papà – fece il ragazzo. Non mi aveva sentito. Sembrava a malapena consapevole della mia presenza mentre parlava da solo. – Se non sono in grado di scoparmi una ragazza. Lo vedrai.

Non potevo muovermi. Non potevo urlare. Potevo solo piangere lacrime silenziose mentre lo fissavo. Lo fissavo mentre con la mano libera si liberava degli ultimi indumenti. Lo fissavo mentre si prendeva in mano il pene molle e cominciava a muovere freneticamente la mano su e giù cercando di provocare una risposta di qualche tipo attraverso la frizione. Cosa che palesemente non stava funzionando.

Con un grugnito cambiò leggermente posizione, senza smettere di muovere quella mano.

- Dannazione – esclamò. Mi guardò con uno sguardo carico d’odio. Mi tolse la mano dal collo e mi afferrò i capelli tirandomi brutalmente in avanti, verso di sé. Ebbi a malapena il tempo di riprendere fiato prima di capire cosa stava cercando di fare. Feci appena in tempo a serrare la bocca quando mi urtò con il prepuzio. Scordatelo, pezzo di merda. Vallo a ficcare in gola al tuo fidanzato, pensai. Avrei voluto urlarlo ma non avevo ancora abbastanza fiato.

Prima mi prese a schiaffi, poi mi diede un pugno nello stomaco così forte che rischiai di vomitare. Spalancai la bocca in cerca di aria e approfittò di quel momento per ficcarmi il pene in bocca. Glielo morsi. Non abbastanza forte da staccarglielo, purtroppo.

- Puttana – urlò e riprese a malmenarmi. A quel punto mi pulsava la testa. Sanguinavo dal naso e dalla bocca e non ci vedevo più da un occhio. Sentivo la coscienza che lentamente cominciava ad abbandonarmi. Scossi la testa, cercando di ritrovare un po’ di lucidità ma ottenni solo di essere investita da una nuova ondata di nausea.

Questa volta mi afferrò i polsi tenendoli fermi sul pavimento giusto sopra la mia testa, usò le ginocchia per costringermi a restare per terra mentre con la mano libera continuava a masturbarsi febbrilmente. Per quanto facesse il suo membro non sembrava voler reagire e restava molle e flaccido nella sua mano. – Fanculo – ringhiò affondandomi con rabbia un ginocchio nel fianco. – E’ tutta colpa tua, puttana!

Io ormai non avevo più la forza di fare niente. Fino a un momento prima avevo urlato e gridato. Ormai piangevo sull’orlo dell’incoscienza, sapevo che stava continuando a picchiarmi ma non riuscivo più nemmeno a sentire dolore. Con un ultimo colpo mi mandò a sbattere contro un muro e mi lasciò lì, sanguinante.

Cercai di muovermi. Quello era il momento giusto per scappare, con il ragazzo distratto forse avrei avuto qualche possibilità, ma non riuscivo a muovere nemmeno un dito. Tutti i miei sforzi erano concentrati nel semplice atto di continuare a respirare e di rimanere cosciente.

Potevo vedere il ragazzo muoversi agitato avanti e indietro per la stanza. Il ragazzo. Non ricordo nemmeno il suo nome. In realtà non sono sicura di averlo mai saputo. A volte mi sento il colpa per questo. Poche volte. Penso solo che avrei almeno dovuto sapere il suo nome. Dopotutto non era nemmeno colpa sua. Come per me, nemmeno lui aveva avuto una scelta di sorta: l’unica differenza è che la sua alternativa non era stata bella come la mia. O forse non c’era proprio stata.

Sentii battere dall’altra parte della porta. Concentrandomi riuscii a sentire la voce di Seimei che urlava, quella di mio padre che rispondeva. Andarono avanti per un po’ poi il rumore di uno schiaffo. Altre urla, altri colpi. Nostro padre stava picchiando Seimei. Stava picchiando a morte il mio fratellino e l’unica cosa che potevo fare era giacere immobile contro un muro. Piangendo. Dopotutto non era cambiato niente. Ero ancora inerme come l’ultima volta che mi avevano picchiata.

Se non fosse stato che in quel momento il ragazzo era tornato a concentrare la sua attenzione su di me mi sarei accorta dell’irreale silenzio che era calato dal momento che più nessun rumore proveniva dall’altra parte della porta.

- Dov’è lei? – sentii poi. E riconobbi la voce imperiosa.

Un attimo dopo la porta venne buttata giù e Safer entrò nella stanza. Avrei voluto chiamarlo, baciarlo, abbracciarlo ma riuscii a malapena a gemere nella sua direzione. Voltò la testa verso di me e mi guardò. Vidi le fiamme dell’inferno attraverso i suoi occhi.

All’improvviso i suoi lineamenti cambiarono, divennero duri, gli occhi ardevano di una rabbia indescrivibile che li facevano brillare come fiamme verdi, non erano mai stati più simili di così agli occhi di un serpente.

- E tu chi cazzo saresti? – disse il ragazzo alzandosi in piedi belligerante.

Safer voltò la testa verso di lui e sfoderò la spada con un movimento così repentino che non riuscii a vederlo e il ragazzo cadde a terra morto, infilzato dalla Masamune.

Senza dire una parola tornò a guardare verso di me. I lineamenti ancora deformati dalla rabbia ma più umani come mi vide. Mi si accucciò accanto, per un secondo il suo viso mostrò solo dolore, la rabbia cancellata dai suoi occhi.

- Cosa ti hanno fatto? – gemette accarezzandomi delicatamente i capelli. Per un attimo cercò di studiare come fare a sollevarmi senza farmi ancora del male. – Adesso ci sono io qui con te, non avere più paura. - Fu in quel momento che mio padre decide di irrompere nella stanza, furente, stringendo in mano un bastone di legno.

- Si può sapere chi cazzo è lei? – non credo avesse ancora visto il corpo senza vita del ragazzo. Guardò Safer e me e ci sputò addosso. – Ma certo, è tutto chiaro! Quindi sei davvero una puttana! Tutto questo tempo nei boschi! Avrei dovuto sapere cosa stavi facendo! Non sei niente di meglio di una prostituta!

Mi accorsi del pericolo. Perché solo io mi accorsi del pericolo? Perché conoscevo Safer meglio di chiunque altro? Non credo fosse questo, ma gli occhi di Safer scintillarono di una luce folle quando mio padre parlò.

Si alzò in piedi a una velocità tale che non lo vidi muoversi, aveva una mano stretta intorno al collo di mio padre, tenendolo sollevato da terra. – Umani – sibilò con una voce che non aveva più niente di umano. – Inutili, stupide creature. Come osate? – la sua mano si strinse ancora finché non si sentii un suono orribile, secco, il rumore di un collo che si rompe. Scagliò il corpo senza vita dell’uomo che era stato mio padre contro la parete alle mie spalle, che crollò sotto la sua forza. Ormai più niente separava la stanza dal corridoio.

Safer fece un passo, come se avesse tutto il tempo del mondo, e lasciò vagare lo sguardo sulla mia famiglia. Erano tutti lì, mancava solo Shin: Seimei sdraiato a terra con la faccia deformata dai lividi, i gemelli quasi pietrificati accanto a lui mentre i loro occhi non abbandonavano Safer neppure per un secondo, così come si fissa un animale feroce, poco più in là c’era Daisuke e infine mia madre e Yo, che si trovavano ancora vicino alla porta. Fu su di loro che si fermò lo sguardo di Safer, o meglio, su mia madre.

- La madre – disse in un sibilo, con quella voce che non riuscivo a riconoscere. – Non c’è nulla di più abominevole di una madre che abbandona i propri figli.

Sollevò la spada davanti a sé, puntandola verso mia madre. Yo fece coraggiosamente un passo in avanti, ponendosi fra la donna e la Masamune, ciò che ottenne però fu una risata. Una risata spaventosa, ancora di più perché per l’attimo che durò deformò il viso di Safer completamente, facendolo assomigliare un po’ di più al viso di un demone. – Fuori dai piedi – aggiunse gelido – voglio guardarla bene, questa madre – balzò in avanti e li infilzò.

Vidi, e sentii, la lama attraversare le loro carni. Sollevò la spada e i due corpi, che ora avevano l’aspetto di due macabre marionette, con essa. Con un altro, rapido movimento lanciò i corpi a terra, privi di vita. Il sangue che sgorgava dai i loro corpi e che ormai imbrattava quasi tutto il pavimento. Io non vedevo più il sangue però, non sentivo risuonarmi nelle orecchie il gemito, così simile a un gorgoglio, che aveva emesso Yo quando la lama l’aveva trafitto, non vedevo i capelli rossi di mia madre sparsi intorno a lei come una corona assorbire il rosso scuro del sangue: vedevo solo l’uomo che amavo che sterminava la mia famiglia.

Cercai di chiamarlo, ma sembrava che la voce mi si fosse bloccata infondo alla gola, quasi come fosse stata imprigionata laggiù da un incantesimo. Non riuscivo nemmeno a muovere un muscolo. L’unica cosa che potevo fare era odiare ogni singola lacrima che mi bagnava il viso e odiare me stessa per non essere mai riuscita a essere la persona che avrei voluto.

In quel momento Ryo e Taka ritrovarono la capacità di muoversi e cercarono di fuggire attraverso la cucina ma ancora prima che si rendessero conto di quello che stavano facendo, Safer aveva lanciato loro contro una palla di fuoco che li investì. Furono avvolti dalle fiamme, i loro capelli avvamparono, i loro vestiti bruciarono. Furono morti prima ancora di cadere a terra, o almeno è ciò che sperai e pregai, ciò che spero ancora adesso.

Daisuke era ancora lì, non si era mosso di un passo, nonostante le fiamme avessero cominciato a lambire le travi di legno del pavimento e del soffitto. Fissava Safer con un’espressione vuota, aveva raccolto il bastone che aveva lasciato cadere mio padre e lo stringeva così forte che potevo vedergli sbiancarsi le nocche. Come Safer spostò l’attenzione su di lui, tentò di attaccarlo, ma non riuscì mai a raggiungerlo. Safer si limitò ad alzare una mano verso di lui e a stringere il pugno, come se cercasse di afferrare l’aria. Daisuke non fu più in grado di muoversi.

Safer lo fissava, la testa leggermente piegata di lato: i suoi occhi erano freddi come lame di ghiaccio ma la sua espressione era indagatrice, come se lo stesse analizzando.

Un sorriso spaventoso gli comparve sulle labbra. – Inginocchiati. - Abbassò il pugno e Daisuke fece lo stesso, non era più padrone del proprio corpo. – Voglio sentirti supplicare per la tua vita.

- Ti prego – gemette Daisuke, piangendo. – Non uccidermi, ti prego.

- Non riesco a sentirti – strinse il pugno così forte che sentii la pelle di guanto stridere sotto quella morsa. Daisuke si contorse in preda alle convulsioni prima di tornare immobile e cadere al suolo, morto. Potevo vedere la materia cerebrale uscirgli dagli occhi e dalle orecchie.

Seimei si lasciò sfuggire un singhiozzo, solo allora Safer spostò l’attenzione su di lui.

- Stupidi umani – lo schernì. – Creature senza uno scopo, senza un’utilità, di cosa dovrei essere triste? E tu, perché soffri? Non erano forse un morsa velenosa che continuava a uccidervi ogni giorno un po’ di più? – usò la parte piatta della spada per costringerlo a guardarlo negli occhi. Si fissarono per un lungo istante, poi Safer sospirò e gli diede le spalle per tornare da me.

- Sephiroth… - gracchiò Seimei, gli occhi spalancati dall’impossibilità di quella realizzazione. – Sephiroth – ripeté, come per convincere se stesso. – No…com’è possibile?

Safer volse di nuovo lo sguardo su di lui, poi guardò verso di me e ci fissammo. Seppi all’istante che Seimei aveva detto la verità. Quello era Sephiroth. Il mio Safer era Sephiroth, il demone albino. Il distruttore del pianeta. Il mio Safer era considerato la peggior calamità che avesse mai colpito questa terra.

La casa ormai era avvolta dalle fiamme, il fumo ne aveva invaso ogni angolo e i miei polmoni, già compromessi dalle violenze subite, avevano cominciato a cedere. Cominciai a tossire e ad annaspare in cerca di aria. In qualche modo riuscii a rovesciarmi su un fianco mentre un nuovo attacco di tosse mi percuoteva con tanta violenza che ogni colpo di tosse assomigliava marchiar misi a fuoco nel petto.

In quel momento, solo in quel momento, lo vidi tornare in sé. I suoi occhi tornarono normali mentre la follia lo abbandonava. La sua espressione era di nuovo quella dell’uomo che conoscevo. Mi raggiunse e mi prese in braccio, quasi urlai dal dolore come mi sollevò, ma non c’era tempo per essere delicati.

Strinsi le dita intorno al suo braccio ma era così poca la forza che mi restava che non sono sicura che le sentì. – Seimei – sussurrai – no…qui… - e ricominciai a tossire sangue.

Mi portò fuori dalla casa e mi appoggiò a terra, sull’erba. Lo guardai correre di nuovo dentro per uscirne un secondo dopo con Seimei tra le braccia. Lo appoggiò accanto a me: era cosciente.

Mi guardò, ci guardammo. Non so cosa lesse nel mio sguardo, ma nel suo vidi paura e tradimento.

Sa… Lui, mi riprese tra le braccia. Sentii un fruscio alle sue spalle, dolorosamente mi costrinsi a girare la testa e la viti: un’ala. Un’ala nera, lucida, immensa. La sbatté una volta con forza e ci sollevammo da terra. Volavamo. Ci allontanammo dalla casa in fiamme e da Seimei. Era come se anche la mia vita fosse stata bruciata dalle fiamme.

L’aria fresca e pulita mi aveva pulito la gola e i polmoni, riuscivo di nuovo a respirare naturalmente.

- Sephiroth… - riuscii a dire con un singhiozzo prima di svenire.

 

 

Eccolo qua…chiedo venia per il ritardo ma…è stato un parto. Un parto che è finito con un cesareo o una cosa del genere. Ho cominciato a scriverlo il 10 agosto. E nel mentre ho riscritto la seconda parte almeno tre volte. E ancora sarebbe da riscrivere secondo me, soprattutto l’ultimissima parte (dopo che Seph la porta via dalla casa) ma andava a finire che non pubblicavo più.

E insomma…che ve ne pare? Un po’…crudetto forse. Mi dispiace :) spero che vi sia piaciuto e spero di essere riusciva a trasmettervi tutto quello che volevo trasmettervi.

Ora…per il prossimo capitolo non so quanto ci vorrà. Sono piena di esami fino a ottobre, poi il 10 parto e vado in Irlanda per tre settimane…quindi ve lo dico col cuore che, salvo qualche miracolo di qualche tipo, sarà improbabile vedere aggiornamenti fino a novembre!

Ah, una piccola nota: a qualcuno viene in mente un termine migliore per definire il rumore che fa la pelle? Dopo lunga riflessione ho messo stridere ma non mi convince molto… grazie <3 e ora un grande bacione! Vado a dormire (che in tre giorni avrò dormito sì e no 8 ore – in totale).

Aya

   
 
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