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Autore: PuCcIaFoReVeR    05/09/2012    1 recensioni
Nasuada, ventiquattro anni e ragazza madre, abita con i suoi due figli gemelli in un’abitazione che cade letteralmente a pezzi. Murtagh, il padre dei due bambini, pensa che la ragazza sia emigrata in Brasile per farsi una nuova vita, mentre lei abita casualmente poche case dopo la grande villa della famiglia del ragazzo. Ignaro della sua paternità, si trova i due bambini sulla porta di casa, che cercano di vendere biscotti per racimolare qualche soldo per aiutare la madre a pagare le bollette. Intanto Nasuada conoscerà Eragon, il fratello minore di Murtagh, del quale non era mai venuta a conoscenza. Il ragazzo s’innamora della giovane donna e versa anonimamente tutti i mesi una modesta somma di denaro nel conto corrente della fanciulla. A causa di un incidente, il padre di Nasuada è sottoposto ad una difficile operazione e lei è costretta a lasciare i figli ad Eragon per un po’ di tempo. Proprio nella stessa dimora dove vive Murtagh...
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Murtagh, Nasuada, Nuovo Personaggio, Un po' tutti | Coppie: Selena/Morzan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Pov Nasuada
Quando mi svegliai ero abbracciata ai miei due angeli. Guardai la sveglia, che indicava le sette e mezza e decisi di alzarmi presto quella mattina. Era sabato e i bambini non dovevano andare a scuola. Io si, purtroppo. Per badare a loro ho perso diversi anni all’università, che mi vedo costretta a recuperare adesso se voglio trovare un lavoro decente. Mi fiondai sotto alla doccia e in meno di cinque minuti ero anche già asciutta. Presi un paio di jeans lilla dall’armadio, che abbinai ad un maglioncino di lana morbido grigio con i brillantini. M’infilai le mie adorate Superga bianche e nere e andai in cucina. Tritai il ghiaccio e l’annegai di sciroppo alla menta e presi una brioche dal forno. Granita e brioche. Era ciò che mangiavo tutte le mattine, come se fosse un rituale, da quando io e Murtagh eravamo andati in Sicilia quando stavamo ancora insieme. Presi la mia tracolla dell’Eastpak e c’infilai dentro i libri che avrei usato quel giorno. Biologia, Letteratura, Inglese, Matematica e Spagnolo. Preparai anche i vestiti comodi per l’ora di Educazione Fisica. Poi, mi abbandonai alla mia colazione. Trangugiai la granita e mangiai in un sol boccone la brioche. Mi avvicinai al lavello per sciacquare il bicchiere dove vi era il ghiaccio fino a pochi attimi prima e aprii l’acqua. Un giramento di testa mi colse alla sprovvista, mandando in frantumi il bicchiere. Mi appoggiai al bordo della cucina per sorreggermi e aspettai che finisse. Qualche minuto dopo la stanza aveva smesso di girare.
A parte i vetri per terra, era tutto a posto. O quasi: Ryan si trascinò in cucina spargendo i cocci con le ciabatte. «No!» gridai tendendo le mani verso di lui, pronta a spingerlo fuori dalla stanza. Mio figlio mi guardò con aria interrogativa e piegò la testa di lato. Mi aspettai di vederlo iniziare a ululare di dolore per i vetri piantati nei piedi, ma mi accorsi che portava le babbucce. «Oh, grazie al Cielo!» dissi cingendogli il collo con le braccia e affondandogli il viso nel mio petto. Si staccò un po’ da me e mi chiese: «Qual è il problema?»
«Oh, niente, amore mio. Torna a dormire.» gli dissi quasi in lacrime. No, non dovevo scoppiare. Mi sarei rovinata il trucco. Lo spinsi di nuovo sul letto e tornai in bagno per gli ultimi aggiustamenti. Mi pettinai i grandi boccoli e mi lavai i denti, poi uscii di casa dopo l’arrivo di Arya. «Buona giornata.» le dissi chiudendomi la porta alle spalle. Sentii che la risposta e sorrisi felice, scendendo quelle sudice scale di finto marmo.

Pov Arya
Passarono alcune ore dall’uscita della mia sorellina-cresciuta-troppo-in-fretta-per-colpa-di-quel-brutto-non-posso-dire-cosa-di-Murtagh e finalmente i miei nipotini si alzarono da letto.
«Ben svegliati, zuccherini. Colazione?» li salutai andando in cucina, dove avevo precedentemente pulito il disastro combinato da mia sorella. Gemma mi seguì stropicciandosi gli occhi. «Mhh... sì, per favore...» borbottò sedendosi sul grande sgabello vicino alla penisola.
Mi misi di fronte a lei, imitandola. Appoggiai i gomiti sul legno e misi il mento nei miei palmi uniti. Lei si accorse della mia presa in giro scherzosa e mi fece una linguaccia. Era tutto suo padre quando faceva così. «Allora, cosa posso offrirle, signorina?» scherzai.
«Mhh...» fece finta di farsi pensierosa. «Magari un Martini con oliva. E, intanto che ci sei, anche unoshot  di Vodka.» rispose scuotendo i capelli lisci e neri. Sorrisi aprendo il frigorifero e riempiendo una tazza di latte freddo, come piaceva a lei. E io sapevo da chi aveva preso questa preferenza. Lei era tale e quale al padre. Quando lei faceva qualcosa nella mia mente tornavano in mente scene di otto anni prima, quando Nasuada portava Murtagh a casa nostra. Vi starete chiedendo perché non si è ancora accorto che sono la sorella di Nasuada. Ebbene, all’epoca avevo meno rughe, i capelli color platino e gli occhi azzurri. Ora ho i capelli dello stesso colore delle penne del corvo, gli occhi smeraldini e le orecchie appuntite. E... beh, anche qualche ruga...
Ryan si affacciò alla cucina, porgendo il computer portatile alla gemella. «C’è una video-chiamata su Skype per te.» disse posando il pc davanti a lei.
Gemma cliccò un pulsante e un finestra con l’immagine della sua migliore amica si aprì sul desktop. «Ismira!» esclamò.
«Gemma! Comment allez-vous? Ehm, volevo dire... come va?» disse correggendosi.
«Bene, bene... Com’è Toronto?»
«Oh, fantastica! I miei parenti che non sapevo di avere sono simpaticissimi! Ci sono tanti ragazzini socievoli! Non avrei mai immaginato...»
«Davvero?» chiese Gemma incredula.
«Sì, davvero... ora devo andare... ti racconterò quando torno, se a tua madre andrà bene...»
Presi un bicchiere di succo d’arancia e me lo portai alle labbra, assaporando il liquido rosso.
«Stai tranquilla, mamma sarà occupata a cercare papà...» Sputai tutto quello che avevo in bocca. Che cosa aveva appena detto mia nipote? Nasuada sta cercando di dirlo a Murtagh?
«Ok... Ti saluto...» disse Ismira interrompendo la video-chiamata. Gemma chiuse lo schermo, riportando il pc al gemello. Tornò in cucina e io le porsi la colazione.
«E da quando tua madre sta cercando M... ehm... tuo padre?» le chiesi sedendomi di fronte a lei. «Non molto, in effetti. Anzi, ancora non lo sta facendo. Ma io e Ryan siamo d’accordo: dobbiamo conoscerlo. Tu sai niente di lui?»
«Sì, so molte cose sul suo conto. E ogni tanto lo incontro per strada. Ma tua madre non è ancora pronta per parlarvene. E non sarò io a farlo.»
«Però hai detto che il suo nome inizia per M...»
«E chi te lo dice, scusa? Potrebbe essere l’iniziale del suo cognome...»
«Oh, grazie mille! Ora ho capito per cosa stanno le due M nella catenina della mamma...»
«Gemma tu non...» iniziai, ma lei non m’ascoltò e corse nell’altra stanza gridando: «Ryan ora so le iniziali di nostro padre!»
«...dovresti indagare senza il consenso di tua madre...» finii la frase tra me e me. Presi il cellulare e digitai un numero. «Pronto?» la voce di mia sorella era preoccupatissima.

Pov Nasuada
«E sono sicura che m’inviterà al ballo oggi stesso...» disse Katrina riferendosi al suo fidanzato Roran. «E tu, Nasuada, con chi ci andrai? Qualche vecchia fiamma?» mi portò alla realtà sentire il mio nome. «Cosa?» chiesi non avendo capito la domanda.
«Il ballo. Con chi ci andrai?»
«Oh, ah... Io in verità...» balbettai.
«Non puoi mancare! Sei tornata quest’anno ed è il tuo primo ballo da mamma... Allora... con chi ci andrai?» mi chiese dandomi delle gomitate alle costole.
«Ti ho detto che non posso andarci... Arya sarà la madrina della serata... dove li lascerò quei due?» Domanda retorica. Non avrei potuto lasciarli soli. Katrina si zittì. Mi capiva. Anche lei aveva avuto un bambino un anno prima di me, anche se aveva diciotto anni. Comunque non mi capiva abbastanza. Roran, il padre di Ismira – la migliore amica di mia figlia – le era sempre stato accanto. Fin dal momento in cui gli aveva detto di essere incinta. Murtagh non ha fatto altrettanto con me. Mi ha scaricata senza neanche sapere che stava per diventare padre.
«Allora non verrai? Sei sicura?»
«Sì, sicurissima. E poi i balli mi ricordano lui...»
«Chi ti ricordano, Nasuada?» intervenne Roran arrivando seguito dalla sua banda di ragazzoni. Erano davvero enormi. Spalle larghe, almeno un metro e novanta di altezza, grugni spaventosi dipinti sui volti spigolosi. In effetti, mi incutevano un po’ di paura. Il ragazzo dai capelli riccioluti baciò Katrina, cingendole le spalle con un grande braccio. Fece un cenno con la testa ai ragazzi che lo seguivano e questi si dileguarono in mezzo alla fiumana di studenti universitari. «Murtagh...» gli risposi con un sussurro. Dire il suo nome ad alta voce mi faceva ancora tremare. «Mh... parliamo d’altro?» si propose Trianna apparendo dal nulla con il suo solito sorriso sulle labbra. Le sorrisi e mimai un ‘grazie’. «Com’è andata la lezione, Nas?»
«Avrebbe potuto andare meglio, grazie. Il professore nuovo non la smetteva di fissarmi.»
«Sei giovane e bella. Non è normale?»
«Già, come no... Giovane, bella e con due figli. Forse è per questo che mi fissava. Mi credeva una poco di buono.»
«Non dire così! Si vede dai tuoi voti che non sei una poco di buono.»
«Sarà...» borbottai. Iniziai a rigirarmi tra le mani il ciondolo con le due M che non toglievo mai.
«Ti manca, eh?» mi disse nell’orecchio, perché nessuno potesse udirla. Annuii e in quel momento il mio cellulare squillò. «Pronto?» risposi preoccupata vedendo il numero di Arya.
«Ho combinato un guaio enorme...» mormorò lei. Sbiancai.
«È successo qualcosa ai bambini?» chiesi con il respiro affannato.
«No, tranquilla. È qualcosa di diverso...»
«Non vedo cosa ci possa essere di peggio... a meno che... non sarai...»
«No, Nasuada! Come ti vengono in mente certe idee! Non ho nemmeno un fidanzato!»
Sospirai di sollievo. «E allora cosa c’è?» chiesi un po’ troppo acida.
«Ho rivelato un po’ troppe informazioni sul padre dei tuoi figli...»
«Non hai osato davvero...» La mia risposta era un misto tra una minaccia e una preghiera.
«Non l’ho fatto apposta! Quei due riescono a tirarti fuori le informazioni senza che tu te ne renda conto...»
Mi misi una mano sopra gli occhi, cingendomi le tempie. «Posso venire lì e...»
«No! Rimani li dove sei! Ti assalirebbero di domande! Cercherò di trovare loro qualcosa da fare per distrarli... potremmo... fare dei biscotti!...» esclamò lei.
«Per me va bene... non è pericoloso...»
«Ok... allora... divertiti a scuola...»
«Lo farò... e tu tieni a bada i miei angioletti...»
«Ciao.»
«Ciao.» Misi nuovamente il cellulare in tasca e mi appoggiai con la schiena agli armadietti.
«Qualche problema?» mi chiese Roran. Annuii.
«Lo definirei più un guaio...»
«Mh? In che senso?» chiese lui piegando la testa di lato.
«Mia sorella ha aperto troppo la bocca davanti ai miei bambini. E adesso sanno alcune informazioni su tuo cugino Murtagh!» sbottai. Chiusi gli occhi e gettai indietro la testa.

Pov Arya
Mia sorella sembrava molto arrabbiata. E, in fondo, aveva ragione. Beh, più che in fondo,  aveva molta più ragione di quanta potessi attribuirgliene io. Gemma mi guardava con aria di sfida. «Mi dici qualcos’altro su di lui?» mi supplicò con la faccia da cucciolo smarrito e in cerca di coccole. Distolsi lo sguardo per non cadere nella sua trappola. In quanto a scaltrezza e furbizia erano entrambi uguali a Murtagh. «Non posso. Tua madre non vuole.»
«E va bene. Vorrà dire che cercheremo tutti quelli che hanno come iniziali due M a Seattle nel 2003.»
«E se vostra madre non lo avesse conosciuto a Seattle?» Ed era vero. Era qui a New York City che si erano incontrati la prima volta. A Seattle erano soltanto nati loro due.
«Impossibile.»
«E, invece, è vero.»
«Giura!»
«Giuro!»
Lei strinse le labbra perfette e mi guardò in cagnesco. «E va bene... Cosa facciamo oggi?»
«I Brownies.»
«Evviva!» Si mise a saltellare per tutta la cucina con le mani al cielo.
«Ryan! Vieni, facciamo i Brownies!» lo chiamai. Lui arrivò correndo, con tanto di mani lavate. Infilai loro i grembiuli e iniziammo ad amalgamare gli ingredienti dentro una pentola sul fuoco. Gemma mescolava, mentre suo fratello aggiungeva ciò che gli dicevo di versare. In poco tempo l’impasto fu pronto per essere infornato. Pulii la pentola che avevamo usato e li seguii sul divano. Alla TV davano ‘Dennis la minaccia’. Ci mettemmo a guardare quel film sempre magnifico, finchè l’odore di torta non invase tutta la stanza. Andammo in cucina e i nostri Brownies erano venuti meglio di qualsiasi altra volta. «Complimenti ragazzi. È un peccato mangiarli da soli.»
Gemma guardò Ryan con uno sguardo d’intesa. «E se li vendessimo, zia Arya?»
«Ok... Per me va bene... ma non allontanatevi da questa via.»
I bambini versarono i dolci in piatti di plastica e li avvolsero con pezzi di stoffa. «Torneremo prima di pranzo.»
«Va bene... e prendete questo...» diedi loro il mio cellulare, spiegando come usarlo.
«Lo sappiamo benissimo, zia.» dissero prima di uscire di corsa di casa.

Pov Murtagh
Il Campanello di casa suonò. «Murtagh! Vai ad aprire per favore?» mi gridò mamma. Mi alzai dal divano sbuffando e andai ad aprire. I due bambini che avevo visto al negozio di Arya erano davanti alla nostra porta e vendevano... Brownies!
«Ehm... ciao... qual buon vento vi porta qui...?» domandai facendo finta di non aver visto i dolci che tenevano in un piatto tra le mani. Anche Nasuada me li cucinava sempre...
«Vendiamo questi dolcetti per racimolare qualche soldo in più.»
«Oh, ah... Avete girato tutto il quartiere?» I due scossero la testa.
«Solo la via. Zia Arya e mamma non vogliono che ci allontaniamo da soli...»
«Potrei accompagnarvi io...»
«No, grazie. Mamma dice di non parlare con gli sconosciuti. E tu sei uno sconosciuto.»
«Non completamente, però.»
«Sì, è vero... allora? Li vuoi o no i Brownies?»
«Oh, sì, certo! Vado a prendere il portafogli...» Mi fiondai in camera mia e afferrai il portafogli di Calvin Klein, tornando dai bambini.
«Quanti?» mi chiese lei estraendo un foglietto.
«Tutti?» chiesi un po’ titubante.
«Tutti?!?» esclamò il bambino.
«E sentiamo, Mr magro, dove li metteresti tu tutti questi Brownies?»
«Oh, beh, me li mangerei...»
«Ok... ma... il costo è un tantino alto...»
«Non c’è problema... sono ricco, posso permettermi qualsiasi cosa...»
«Beh, in tal caso... Che prezzo, Ryan?»
«Offerta libera...» disse rivolto a me.
Frugai in mezzo alle banconote di grosso taglio, in cerca di qualcosa di più piccolo, senza risultati, però. Alla fine optai per una banconota da 100$. La bambina sbarrò gli occhi e scosse la testa. «Non abbiamo il resto da darvi...»
«Siete stati voi a dire che il prezzo era alto. Adesso prendetevi le vostre responsabilità.»
«Ma... abbiamo solo venti dollari...»
«In tal caso, tenetevi pure il resto. Vorrà dire che v’inviterò a cena e mi cucinerete tutti i Brownies che voglio...»
«Affare fatto... oh! Quasi dimenticavo! Dovreste darci il vostro nome...»
«Uhm... penso di sì. Murtagh Morzansson.»
«Ryan, segna. MM.» disse lei con una strana luce negli occhi.
Mi diede il piatto dei dolci e se ne andarono. Chiusi la porta e mi misi in bocca un quadretto di quel ben di Dio.
 
  
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