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Autore: Minshara    05/09/2012    0 recensioni
Un nuovo compagno con un figlio, una bella convivenza e poi una mattina...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mario se n’è andato…
 
 
 
 
Mario se n’è andato!
 
Mario se n’è andato, mi ha lasciata sola…
No, magari l’avesse fatto!
Mi ha lasciato Mirko.
 
Quale atroce beffa, quale disprezzo; mi ha lasciato suo figlio, quel moccioso.
Non lo sopporto, non sopporto che mi abbia lasciato, che abbia lasciato dietro di sé quest’unico pezzo della sua vita!
Mirko gli somiglia; hanno entrambi la pelle chiara, quasi lattea.
Mirko ha occhi scuri, duri, neri come pozzi senza fondo.
Mario li ha verdi, verdi e limpidi come il mare.
Ma la sua anima è nera, nera come la notte.
Mi ha lasciato Mirko e il cuore a pezzi.
 
Mario se n’è andato.
Ha preparato le valige senza che mi accorgessi di nulla, ha fatto i suoi piani senza che niente trapelasse dai suoi modi, dal suo viso.
Mario se n’è andato.
E’ partito all’alba, senza rumore, senza saluti; senza l’imbarazzo di una lacrima.
Mi ha lasciato; ci ha lasciati.
Mirko tace, si muove come al solito.
E’ preciso, metodico.
Niente in lui mostra dolore, sorpresa, rabbia…
Anche quando è venuto ad abitare qui, nella mia casa, anche allora non ha mostrato nessuna emozione.
Forse è come suo padre; ha l’anima nera e la sua bella faccia.
Mirko non piange, non si commuove davanti ai films, ai cartoni animati.
Mirko è orfano da un anno.
Ha pianto al funerale di sua madre?
Gli manca?
Lavoro con i bambini da tanto tempo, adoro i bambini.
Ma Mirko è un bambino?
Ha dieci anni ma i suoi occhi sembrano senz’anima.
Non gli importa niente di nessuno, di nulla.
 
La maestra di Mirko mi ha mandato a chiamare; mi vergognavo come una ladra.
- Mirko non è mio figlio, cosa vuoi da me!- Volevo gridarglielo, volevo urlarlo a lei e quel suo perfetto, pomposo collega.
Mario ha iscritto Mirko nella scuola dove lavoro.
Io ne ero orgogliosa, volevo mostrare a tutti il mio bel figliastro.
Come un bel giocattolo, un vestito nuovo: così sfoggiavo Mirko.
E’ bello Mirko, è più bello di suo padre; ma è freddo.
Non puoi guardarlo a lungo senza rabbrividire, senza considerarlo anormale.
Non sorride, non piange; cos’è Mirko?
-          Mirko risponde agli adulti, bisticcia con i compagni, non fa i compiti e non mangia a mensa! – Ha detto Laura tutto d’un fiato quasi temesse che il coraggio le potesse venir meno.
-          Devi porci un rimedio, noi capiamo….- Giuseppe è insopportabile nella sua ottusa pedanteria.
L’ho lasciato parlare; ha una bella moglie, due bambini deliziosi e va perfino d’accordo con i suoi suoceri.
Cosa capisce Giuseppe della vita, avrà mai avuto un problema, un dubbio?
Parla, parla ed elargisce consigli.
Sono mortificata, infuriata, ascolto tutto a testa bassa; la tengo bassa la testa perchè altrimenti vedrebbero la mia rabbia.
Lo sanno che Mario se n’è andato, lo sanno che Mirko non è figlio mio, che è orfano…sanno tutto e mi chiamano per rampognarmi.
Mario se n’è andato da una settimana.
Cosa vogliono da me?
 
L’ho picchiato.
Solo uno schiaffo, un manrovescio su quel suo bel viso, sulla serica pelle così chiara da parere baciata dalla luna.
Come la pelle di lui, di Mario.
Mi guardava senza battere ciglio, senza abbassare lo sguardo.
Lo rimproveravo, gli gettavo addosso la mia rabbia, la mia frustrazione.
Ma lui niente, niente di niente.
Allora ho picchiato, con forza, con rabbia!
La pelle è diventata rossa e per un attimo un velo è passato nei suoi occhi.
Ha chinato la testa, ma prima che potessi gioire della mia vittoria lui è fuggito.
Ha aperto la porta e come un fulmine è scappato.
Era davanti a me e l’istante dopo non c’era più.
Sono stata contenta!
Se n’era andato finalmente!
 No, non è vero.
Il cuore;  mi ha fatto male il cuore a vederlo andar via.
Come suo padre è sparito davanti ai miei occhi, è sparito e non ho potuto far niente per riprenderlo.
L’ho cercato, ho gridato il suo nome, ho pianto.
Mirko se n’è andato, Mirko è sparito dalla mia vita.
Fa freddo, l’aria taglia la pelle, ghiaccia il sangue.
Sotto le macchine, nei cortili, nei negozi, ovunque l’ho cercato, ho chiamato il suo nome.
Mirko, Mirko dove sei?
Il portiere mi ha aiutato, i vicini.
La gente è buona, io non lo sapevo.
Mi hanno aiutato, mi aiutano senza che abbia chiesto nulla.
Io piango, piango perché non so cos’altro fare.
Non me ne importa nulla di Mirko, è solo un impiccio, però il cuore non lo sa.
Così piango e non so neanche io il perché.
Piango perché Mario mi ha abbandonata, piango per Mirko che mi ha lasciata.
Chissà se ha freddo Mirko?
Aveva indosso solo la felpa, le scarpe da ginnastica, i jeans.
Non ha mangiato a mensa, è digiuno oppure aveva mangiato qualcosa tornando a casa?
Dove sarà Mirko?
Abbiamo telefonato agli ospedali, alla polizia.
La sera è scesa, il vento scuote gli alberi, s’insinua negli spifferi.
Fa freddo.
La signora della porta accanto mi ha portato del brodo caldo, me lo ha fatto bere.
Piangendo gli ho detto di Mario, di Mirko.
Da quando faccio confidenze alla gente?
Non avevo mai parlato con questa signora, solo buongiorno e buonasera; ma lei mi ha ascoltato.
Mi ha lasciato parlare.
Piangevo, parlavo mentre lei mi porgeva il brodo; mi ascoltava in silenzio.
Ha dei bambini la signora, uno piccolo, piccolo…avrà un mese.
E’ così bello; lo preso in braccio perché piangeva, l’ho ninnato e lui si è calmato.
Mi fa pensare a Mirko; eppure non gli somiglia neanche lontanamente.
Mirko.
 
Mirko è tornato; ha aperto la porta con le sue chiavi.
Io stavo uscendo dalla cucina e così ci siamo trovati faccia a faccia.
Era sporco e pallido, occhiaie scure gli segnavano il viso.
L’ho stretto a me .
Piangevo e lo baciavo, baciavo il suo visetto.
Visetto.
Mirko è alto quanto me; è più forte di me.
Mirko.
Il cuore mi batteva forte mentre lo stringevo, mentre lo sentivo tremare.
Di paura, di dolore, di freddo?
Tremava…
Non si è mosso, non ha detto una parola.
E’ rimasto immobile, le braccia lungo i fianchi.
Gli ho chiesto scusa, gli ho chiesto di perdonarmi.
Non dovevo colpirlo, non dovevo.
Sua madre l’ha lasciato, anche suo padre l’ha abbandonato, e io non sono stata da meno.
Non ha un posto in cui andare; ha solo undici anni..
Gli ho fatto bere del latte caldo col miele, gli ho preparato un bagno caldo e profumato.
Ha bevuto senza fare storie e poi si è chiuso in bagno.
E’ molto timido da questo punto di vista.
Si veste e si spoglia in bagno o in camera sua.
L’ho visto a torso nudo questa estate al mare.
Mario era così impudico.
Forse è un suo modo per attrarre le donne.
Quando eravamo in spiaggia insieme  lo guardavano spesso.
Forse era troppo bello per una donna insulsa come me.
Se n’è andato con un’altra?
Aveva ragione mia madre quando diceva che mi sposava per sistemarsi.
In realtà era Mirko che doveva sistemare.
Lui è sparito.
L’ho denunciato alla polizia.
Mirko è tornato.
Ho ringraziato i vicini, il portiere: Mirko è tornato a casa.
Mario è sparito.
Però Mirko è a casa.
Sono contenta, oppure sono sollevata.
Ho invitato la vicina, Sara, a cena venerdì.
Sono contenta.
 
Stavo preparando la cena quando Mirko mi ha chiamata.
Era ancora in bagno e quindi mi sono chiesta cosa volesse.
Ho bussato e lui mi ha detto di entrare.
-          Mi …lavi i capelli…per favore? - Ha chiesto guardandomi; nei suoi occhi un’espressione nuova.
Stava con le ginocchia strette al petto, quasi dovesse nascondermi le sue nudità.
L’idea mi fa ridere, mi intenerisce.
Si vergogna di me?
Mi sono seduta sul bordo della vasca e ho preso la doccia bagnandogli i capelli.
Sono più morbidi e folti di quelli di Mario, di un biondo scuro che solo il sole riesce a schiarire.
-          Dove sei stato, ti abbiamo cercato dappertutto? – Ho sussurrato piano per non spezzare la magia del momento.
Con le dita gli massaggiavo dolcemente la cute, lo insaponavo.
Mirko non ha mai permesso che lo toccassi; era sempre Mario ad avvicinarci, a cercare di farci simpatizzare.
Aveva il suo bel daffare.
Aveva preparato tutto con cura.
Certo non s’era aspettato la ritrosia di suo figlio.
Pensava che sarebbe stato più facile, aveva visto quanto feeling ho coi bambini.
Ma Mirko non è un bambino, non un bambino come gli altri.
-          …non sapevo dove andare…sono sceso in garage, nel locale caldaie. –
Sembra stanco.
Così ci ha buggerato; era rimasto nel condominio.
Se fossi stata meno agitata lo avrei capito: era logico.
Mi viene voglia di dirgliene quattro, di tirargli i capelli, prenderlo a ceffoni.
Forse percepisce un cambiamento perchè lo sento irrigidirsi sotto le mie mani.
-          Credevo che tuo padre mi volesse bene…- dico quasi per giustificarmi, per fargli comprendere la mia rabbia.
-          Anche io!- Risponde piano, il viso poggiato sulle ginocchia.
Mi scendono le lacrime, non lo so il perché.
Ma forse lo so.
Sciacquo i capelli del bambino che ha perso entrambi i genitori, del bambino che nemmeno la sua matrigna ama.
Sciacquo i capelli di un bambino abbandonato da tutti, di un bambino indesiderato.
Adesso capisco che forse quella sua necessità di chiudersi, quella sua ostilità sono dovute al dolore.
Soffre, Mirko soffre.
Ma non piange.
Non si lamenta.
Dove la trova un bambino tanta forza, tanto stoicismo?
Gli asciugo la testa con un asciugamano morbido, lo friziono ben bene e poi gli porgo l’accappatoio.
Arrossisce senza muoversi dall’acqua.
Esasperata chiudo gli occhi e volto la testa.
S’infila l’accappatoio e io esco dal bagno.
Mi viene il dubbio che io non abbia mai fatto nulla per questo bambino.
Forse limitarsi ad essere gentile e premurosa non è tutto nella vita.
Forse.
Forse non ho capito proprio niente.
 
Ho cucinato tutto quello che piace a Mirko, ho preparato due vassoi e una coperta sul divano davanti alla televisione.
Ho messo la cassetta del suo film preferito; glielo ho regalato io per conquistarmi il suo affetto.
Ricordo che quando lo ha scartato mi ha guardata tenendo in mano la videocassetta come se scottasse.
Mi sono seccata  per quel suo modo di fare.
In realtà desiderava solo che gli spiegassi che non lo stavo comprando con un regalo.
O forse sì.
Forse m’interessava tenermelo buono, m’interessava mostrare a Mario che potevo essere una buona madre per suo figlio.
Mirko esce dal bagno avvolto nel suo pigiama felpato; è pulito e profumato, ma i suoi occhi sono tristi.
Ora lo vedo.
-          Ti va di mangiare in salotto vedendo un bel film? – Domando abbozzando un sorriso.
Annuisce.
In realtà non è mai stato sgarbato con me, ha sempre fatto ciò che gli ho chiesto.
Anche oggi l’ho picchiato solo perchè mi pareva che avesse l’aria strafottente.
E’ un bambino remissivo.
Ma se a scuola risponde.
A scuola picchia i compagni.
A scuola non mangia.
Forse è il momento di cambiare tattica.
-          Ascolta, non sei costretto a fare quello che ti chiedo…- mi fermo rendendomi conto che gli sto dando il permesso per diventare insubordinato.
Chi lo tiene se poi mi prende la mano?
Lo guardo e forse sembra a me, ma c’è qualcosa di diverso in lui.
-          I maestri mi dicono che gli rispondi, che picchi i compagni, che non mangi…- lo faccio sedere sul divano accanto a me.
E’ seduto in pizzo al cuscino, è rigido, ma la testa è sempre alta, lo sguardo fermo.
-          Mi dici cosa succede?A casa sei un modello di perfezione; hai una doppia personalità o cosa?-
L’idea lo fa ridere.
Ha un bel sorriso, gli illumina il volto.
-          Mio padre mi ha detto che se non mi fossi comportato bene tu mi avresti spedito in un collegio..- dice tutto d’un fiato – mi ha detto che sei molto severa e che ti dovevo assolutamente obbedire.-
Lo guardo esterrefatta.
Quel bastardo di suo padre; aveva pianificato anche questo.
-          Devo dedurre che il vero Mirko è quello di scuola? – Domando esasperata.
-          No, il vero Mirko non è qui. – Si ranicchia sul divano, sotto la coperta.
Capisco che sente di essersi aperto anche troppo, per questa sera devo farmi bastare questo.
-          Ti va  di mangiare insieme? – Gli porgo il vassoio pieno di pietanze calde.
-          No, io…- mi guarda indeciso.
Una parte di lui vorrebbe farmi contenta, l’atra parte desidera stare in pace.
-          Non ti preoccupare; ho il televisore in camera. - Sorrido, anche se forzatamente – ad ognuno il suo film preferito!-
 
Questa mattina mi ha preparato la colazione e me l’ha portata a letto.
Dev’essere il suo modo per farsi perdonare.
Ha ancora le occhiaie; forse ha pianto.
Ci vestiamo e andiamo a scuola insieme.
E’ la prima volta.
 
Mirko è stato sospeso per una settimana.
Ha spaccato il labbro a un compagno; credo gli abbiano dovuto anche mettere un punto.
Giuseppe mi ha fatto chiamare mentre stavo facendo lezione.
Ho rispedito i bambini in classe e mi sono trovata faccia a faccia con il mio figliastro.
Faceva paura a guardarsi; era livido.
Mi sono scusata con Giuseppe; ho tenuto con me Mirko.
Manca un’ora alla fine delle lezioni; una volta a casa dovrò telefonare alla madre di Luigi e scusarmi.
Vorrei picchiare Mirko, giuro che gli spaccherei altro che un labbro.
Accidenti a lui e al quel bellimbusto di suo padre.
-          Cosa ti ha detto per farti così arrabbiare? – Domando con noncuranza.
E’ la domanda giusta; sobbalza alzando verso di me il viso.
Allora le vedo, in fondo ai suoi occhi, contenute da una forza immensa vedo le sue lacrime.
Ma non piange; stringe i pugni - …che mio padre mi ha abbandonato come un cane bastardo!
Arrossisco di collera – allora stasera gliele canteremo a Luigi e sua madre!-
Mi guarda come se fossi un’aliena.
Forse ne ho azzeccata una.
 
Mi sono scusata con la madre di Luigi e  le ho raccontato tutto.
Imbarazzatissima ha chiesto scusa e ha preteso che il figlio si scusasse con Mirko.
Bene.
Comunque Mirko resta in punizione.
L’idea di lasciarlo solo a casa per una settimana non mi sorride.
Mi toccherà portarlo a scuola?
Devo chiedere alla Direttrice.
In compenso stasera Mirko mi ha chiesto di vedere la Tv insieme.
Mi ha sorriso vedendo la mia faccia stupita.
Ci siamo rannicchiati sotto le coperte e abbiamo visto la televisione fino a mezzanotte.
E’ stato bello.
Per la prima volta abbiamo condiviso qualcosa spontaneamente.
 
Mirko si è ustionato una mano.
Cercava di nascondermelo, ma era fasciato fino al polso.
Gli è caduta l’acqua bollente addosso mentre scolava la pasta.
Voleva farla al forno perché è uno dei miei piatti preferiti.
Ci ha pensato il portiere a portarlo in ospedale.
Dice che Mirko è stato bravissimo: gli scendevano le lacrime per il dolore ma non ha fatto scenate.
Non so se essere fiera di lui o spaventarmi per la sua stupidità.
Lo ringrazio per il pensiero, ma vorrei invece sgridarlo.
Arrossisce poi mi spiega che sua madre gli ha insegnato  ad essere coraggioso, ad accettare il dolore.
La madre di Mirko doveva essere una donna molto forte se ha sposato Mario e ci ha fatto un figlio.
Accettare il dolore!
Forse questo mi aiuta a capire il mio figliastro.
Figliastro è una parola brutta, però descrive quel che a volte provo per Mirko.
La maggior parte delle volte vorrei semplicemente picchiarlo, se non altro perchè somiglia tanto a Mario.
Non sopporto quella sua aria seria, ritrosa, riservata: sembra tutto tranne che un bambino.
Come se non bastasse a scuola tira fuori il suo peggio.
Detesto essere sgridata per causa sua; almeno fosse figlio mio.
Mi devo scusare per cose di cui non ho la minima colpa.
Adesso per esempio si è ustionato e in più non posso portarlo a scuola.
Non mi fido a lasciarlo a casa solo ma non mi posso certo mettere in malattia una settimana solo perché lui è uno sciocco.
Mangio il pranzo che mi ha preparato di malavoglia; sono seccata anche se cerco di non farglielo capire.
Ha agito per farmi piacere.
Ma Mirko non è uno stupido.
Si alza e se ne va senza toccare cibo.
-          Torna qui, finisci di mangiare! – Gli ordino cercando di non essere troppo aspra.
-          …non ho fame!- Mi risponde piano; la testa alta.
Facendo forza su me stesso cerco di sorridere - …ti prego…mi dispiace se sono aspra. Ho avuto paura quando ho visto che ti sei bruciato…
Mi guarda attentamente; è abituato alle bugie.
-          ….va bene..- esplodo furiosa - …sono infuriata perché ti sei fatto sospendere, perchè non ti posso portare a scuola e se ti lascio solo a casa rischi di ammazzarti.Non mi importa niente di te, ma non voglio finire sotto processo per abbandono di minore.
Tuo padre ti ha mollato qui e io non so che farmene di te, non ti voglio, non lo voglio uno come te. Non si capisce mai che hai, non so come prenderti…sei insopportabile…
Mentre parlavo è diventato sempre più pallido, livido.
Si volta per scappare ma stavolta ho chiuso la porta e tolto le chiavi; scuote la maniglia, batte i pugni sulla porta e poi si accascia davanti alla porta singhiozzando disperatamente.
Finalmente una reazione normale.
Lo lascio piangere per un po’; mi dispiace avergli detto quelle cose..
Anzi veramente non mi dispiace, era la verità e io non sopporto di avere un rapporto costruito sulla menzogna.
Magari potevo essere un po’ più morbida.
Sta accucciato in terra, piange e le lacrime scivolano fra le dita, le mani chiuse sul viso.
L’immagine della disperazione.
Mi accuccio vicino a lui; vorrei abbracciarlo ma non so se me lo permetterebbe.
Piange da straziarti il cuore, piange come un bambino.
Gli prendo la mano fasciata e delicatamente gliela bacio.
Mi è venuto spontaneo, così come spontaneo deve essere stato il desiderio di prepararmi qualcosa che mi potesse piacere.
Rialza il viso rigato dalle lacrime e mi guarda stupito; per un istante si scorda di piangere, del suo dolore.
Mi vengono in mente tante belle frasi, tanti aforismi.
Preferisco tacere e attendere.
-          Neanche io ti sopporto, sei stupida e brutta. Era chiaro che papà ti ha sposato perché voleva sistemarmi.- Mi getta in faccia la sua rabbia ma non scansa la mano.
-          Bene, allora siccome adesso siamo pari facciamola finita e andiamo a divertirci! – Esclamo furiosa aiutandolo a rialzarsi.
Mi guarda come si guardano i pazzi.
-          Lavati la faccia e se hai bisogno d’aiuto chiamami senza fare l’eroe. – Vado in cucina a rigovernare mentre Mirko continua a fissarmi esterrefatto.
 
Siamo stati al Luna Park.
Come tutti i maschi si è divertito un mondo a fare giochi spericolati.
Io l’ho seguito nella galleria degli specchi, nel labirinto, nel tunnel degli orrori.
Abbiamo mangiato un mucchio di schifezze e poi ce ne siamo andati al cinema.
Mi sono divertita; ci siamo divertiti!
 
Ho portato Mirko a scuola con me; ho chiesto il permesso alla direttrice.
Le ho detto che il ragazzino è un pericolo pubblico, ho pianto un po’ perché sono stata abbandonata…Insomma sono stata brava.
Così Mirko e io stiamo insieme per ventiquattro ore filate.
Naturalmente tutti i bambini che porto fuori mi domandano chi sia Mirko; ho risposto a tutti che è mio figlio.
Non l’ho detto per affettazione, mi sono sentita di farlo.
L’interessato è arrossito fino alla cima dei capelli e ha fatto finta di continuare a scrivere il tema.
I maestri gli hanno assegnato una marea di compiti e certo non gli manca il daffare.
La cosa peggiore è che gli tocca stare a scuola, lavorare il doppio ed essere sbeffeggiato dai compagni.
Quando siamo rimasti da soli mi ha detto che si sentiva onorato di essere mio figlio, ma non mi avrebbe mai considerato sua madre.
- Tanto piacere!- Gli ho risposto indispettita.
 
 
Mirko ha preso i miei soldi e se n’è andato.
Ha fatto un biglietto per il treno; immaginava dove trovare suo padre.
Se il portiere non l’avesse visto prendere l’autobus forse sarebbe arrivato a Trento.
Non gli manca il cervello a quel ragazzino.
L’abbiamo ripreso al volo.
C’era tutta la polizia sguinzagliata per i binari.
Mi sono sentita un’idiota.
Io mi sono fidata di lui, invece come quel bastardo di suo padre mi ha mentito.
Mi domando perché ho voluto ritrovarlo.
Era meglio lasciarlo andare.
Se penso all’ansia, allo spavento.
Ero uscita solo un momento a fare la spesa.
Solo mezz’ora.
Mi aveva detto che voleva il budino; non mi ha mai chiesto nulla.
Così l’ho accontentato.
Ma è scaltro, bugiardo.
Aveva premeditato tutto; perfino la valigia era pronta.
Per questo sapevamo dove trovarlo.
Andava da Mario; ci andava coi miei soldi.
Quando me lo hanno riportato era pallido; nulla di più.
Mi ha guardato senza chinare lo sguardo, senza scusarsi.
Ho raccontato tutto alla polizia, ho chiesto che qualcuno lo portasse da suo padre perché io non ne potevo più.
Ho recitato la parte della povera donna disperata.
In fondo ero seria.
Così li ho convinti; gli ho lasciato Mirko.
Cercheranno di rintracciare Mario.
C’è un poliziotto che viaggerà insieme a lui; io ho firmato un foglio.
Starà con loro.
Bene; io sono già avanti con le pratiche di annullamento.
Presto non sarò più responsabile del figlio di Mario.
Bene.
Lo vedo salire in treno.
Si volta a guardarmi.
Bugiardo schifoso come suo padre.
Glielo ho detto; l’ho detto davanti alla polizia che è subdolo come lui, che non si devono fidare.
Falso.
Credevo mi volesse un po’ di bene.
Credevo avessimo stabilito un’intesa.
Menzogne.
Mi fingo addolorata.
Sono addolorata.
Ringrazio i poliziotti; il comandante mi sorride.
Lascio la stazione più sollevata.
Se avessi saputo che era così semplice ci avrei pensato prima.
 
Finalmente sola.
Ho impacchettato tutta la roba di Mirko; penso che la butterò.
La polizia non mi ha fatto ancora sapere nulla.
Invito la mia amica a cena e poi andiamo a teatro.
Evviva.
 
Giornata splendida.
Mi ha telefonato l’avvocato; sono pronte le carte per l’annullamento.
Anche la polizia ha chiamato; hanno trovato Mario e lo hanno ammonito di non lasciare più il figlio se non vuole finire in galera.
Mi hanno fatto restituire anche tutti i soldi presi da Mirko.
Perfetto.
I due delinquenti sono di nuovo insieme.
 
E’ venuta la vicina; cercava Mirko.
Piangendo e disperandomi le ho raccontato di Mirko.
Mi ha consolato per la sua irriconoscenza e mi ha invitato a cena; bene.
 
Ho fatto un bel regalo al portiere.
Gli ho raccontato tutto e messo in guardia; se rivede il ragazzino chiamasse la polizia.
Intanto ho cambiato le chiavi di casa; non si sa mai.
 
Oggi ho buttato tutta la roba di Mirko.
Finalmente.
Per festeggiare sono uscita con le amiche e poi al cinema; un film splendido.
 
Ne ho dette quattro ai colleghi che avevano in classe Mirko.
Vedessi la faccia di Giuseppe.
Insomma se lo meritavano; comprensione zero!
 
Ho preso un gattino.
Non era previsto , ma stamane quando buttavo la mondezza ci ho quasi inciampato sopra.
Volevo prenderlo ma si è nascosto, così ho rinunciato.
Al ritorno l’ho sentito miagolare; si era incastrato sotto il cassonetto.
Tira e molla l’ho tirato fuori; era lurido e mi ha anche graffiato.
Chissà perché ho deciso di portarmelo a casa.
Devo avere l’istinto del Samaritano.
Oppure sono masochista.
Chissà.
Rapida gli ho fatto un bagno e l’ho asciugato col fon.
Strillava come un’addannata; è femmina.
Alla fine era bellissima; una soriana dal pelo beige.
Sembra gialla, per questo l’ho chiamata Luna.
 
 
Stamattina alle otto mi ha suonato la polizia.
Stavo andando al lavoro; stringevo in braccio la micetta che mi stava scappando.
Quanto è durata la pace?
Appena una settimana.
Cosa sono sette giorni di fronte ai mesi trascorsi con quel ragazzino.
Aveva l’aria mortificata quel poliziotto.
Teneva la mano sulla spalla di Mirko, quasi per impedirgli di scappare.
Li ho fatti entrare.
La micetta mi si era arrampicata sulla spalla e li guardava curiosa coi suoi occhi verdi.
Ho fatto sedere il poliziotto e gli ho preparato un caffè.
Ho aperto il frigo e ho preso il latte; ho apparecchiato per Mirko ormai rassegnata.
-          Suo padre è dentro per furto con scasso…- il poliziotto cercava un modo per darmi la notizia.
-          Io sto per avere l’annullamento, è questione di giorni…- dissi trattenendo l’ira.
Proprio un delinquente mi dovevo sposare.
-          Quando sarà lo porteremo all’orfanotrofio, posso portarcelo anche subito se lei mi firma una liberatoria.- Un poliziotto giovane, carino. Chissà se è sposato.
-          Cosa vuoi fare? Io non ho intenzione di venirti a cercare per tutto il paese, ne farmi rubare soldi o altro… Vedi tu..- dissi aspramente rivolgendomi al ragazzino.
Guardava i biscotti, il latte senza mangiarli.
Sospirando spazientita finii di prepararmi, chiusi le finestre - …deciditi a parlare, devo andare al lavoro.
Mirko mi guarda; ha negli occhi la disperazione.
-          Ascolta, se vuoi restare quando esce tuo padre sarò io stessa a riportartici, altrimenti vai in un istituto e aspetti – mi siedo di fronte a lui – non ho altro da proporti.
L’orologio cammina e io sto facendo tardi.
Mirko tace.
-          Devo andare al lavoro, vuoi rispondermi per favore!- Riesco a stento a contenere la voce.
Il poliziotto mi guarda.
Mi disapprova?
Non ho tempo per le elucubrazioni.
-          D’accordo, mi dia il foglio e se lo porti via!- Prendo una penna  dalla borsa.
Mirko si morde le labbra.
Vorrei ignorarlo, ma la gattina salta sul tavolo e tuffa il muso nella tazza del latte.
Mirko la carezza e lei alza il musino sporco con un miagolio soddisfatto.
Ridiamo tutti.
-          Facciamo così, mi lasci il foglio. Se Mirko cambia idea ce lo porto io in istituto; adesso poi gli compro un collare così eviterò di cercarlo per mezzo mondo.
Il poliziotto mi sorride comprensivo.
Ha un bel sorriso.
 
Incredibile, Mirko è con me da due ore e già i colleghi me lo hanno rispedito.
Si è accapigliato con un compagno.
Sono fuori di me dalla rabbia.
Con un bidello mando un biglietto ai colleghi; mi sa che non hanno recepito bene il messaggio.
Il bambino è iscritto regolarmente e non possono rispedirmelo ogni volta che fa un guaio; figurarsi.
Lo punissero, gli mettessero una nota…io li spalleggio, a casa lo punisco, ma non s’è mai visto  che me lo devo portare dietro durante la mattinata.
Sono in servizio, mica passeggio!
Porto Mirko con me nell’aula dove lavoro; mi guarda sottecchi.
-          Adesso ti do’ dieci secondi per dirmi cosa vuoi fare della tua vita; se stai con me decidi di comportarti da persona normale. Se hai dei problemi ne parliamo, se vuoi aiuto lo troveremo. Io non sono tuo padre e non sono stata io ad abbandonarti. Ci ho provato a volerti bene, ma tu mi devi aiutare. Lavoreremo insieme. – Mi guarda senza fiatare – se vuoi andare in istituto ti ci porto subito, così mi metto l’anima in pace.
Non risponde; lo acchiappo per un braccio e lo faccio riportare in classe dal bidello.
Ma quanto mi fa imbestialire sto ragazzino!
 
I colleghi mi hanno fermato; i genitori hanno firmato una petizione.
Non ce lo vogliono Mirko in classe.
-          Vi porterò al consiglio di Circolo! – Esclamo furiosa.
Intanto però mi tocca mandare giù amaro.
Mi precipito in segreteria; Mirko mi segue senza fiatare.
Lo lascio su una panca e vado a parlare con la direttrice.
Incredibile, ma per una volta mi appoggia.
I colleghi sono convocati per domani mattina; bene.
 
Quando torniamo a casa sono le sei: sono stanca e mi devo occupare di un bambino e un gatto.
I due però hanno già fatto amicizia; Mirko è sul tappeto che gioca con Luna.
Mi pare d’aver capito che l’avrò sul groppone per un po’.
 
Io e Mirko ci parliamo lo stretto indispensabile.
Stamani era pronto all’ora giusta, anche prima.
Dalle occhiaie direi che ha dormito ben poco.
Alle 7.45 era vestito e lavato seduto sul tappeto con Luna.
Non ne ha voluto sapere di fare colazione finchè non ho minacciato di rimettere Luna per strada.
Non mi ha creduto, glielo ho letto in faccia, però mi ha fatto contenta e ha bevuto il latte.
E’ entrato in classe molto malvolentieri; si è messo in un banco in fondo alla classe, ha tirato fuori il libro e si è messo a leggere.
Un po’ mi fa pena.
 
La Direttrice ci ha convocati nel suo ufficio.
Ha la faccia scura, tiene in mano la petizione firmata dai genitori.
Immediatamente fa una lavata di capo a  Giuseppe e Laura
Come godo!
Gli dice che devono inserire il bambino e non far firmare inutili petizioni.
Mirko se è violento va punito e non cacciato.
Ma bene; sono proprio soddisfatta.
Dura poco perchè la bidella porta Mirko che sgocciola sangue dal naso; ha fatto a pugni.
I colleghi guardano la Direttrice.
Lei mi guarda.
-          Io non ho mica detto che è un santo; però ho bisogno d’aiuto, a scuola ci devono pensare loro!- Rispondo a metà fra il furioso e il mortificato.
Saluto e mi prendo Mirko; lo porto al bagno e gli lavo la faccia.
Continua a sgocciolare come una fontana; ha la maglia sporca.
Sembra l’abbiano sgozzato.
Trema: forse ha freddo, l’acqua è gelata e lui è zuppo.
Finalmente l’emorragia si arresta.
Gli levo la maglia e gli metto il mio golf; è arancione e si vede che è da femmina.
Ha le labbra blu dal freddo e non osa protestare.
Butto la maglia nel lavandino poi lo stringo a me.
E’ alto e grosso quanto me; sembra di abbracciare un adulto, ma è solo un bambino.
Rimane rigido contro di me, ma almeno ha smesso di tremare.
-          Dimmelo tu cosa devo fare, io non lo so! – sussurro piano.
Per un attimo si lascia andare contro le mie braccia, poi riprende il dominio di sé e mi scansa.
Sciacqua la maglia e la mette sul termosifone – posso tornare in classe? –
-          Puoi fare ciò che vuoi basta che la pianti di  cacciarti nei guai! – Rispondo tranquilla. Ho capito che con lui non sarà possibile averla vinta.
Se ne torna in classe.
 
La nostra routine è abbastanza semplice Mirko vive con me, ma se potesse starebbe nella cuccia di Luna abbracciato alla gatta.
Fra un po’ si divideranno i croccantini e le scatolette.
Se fosse per lui eviterebbe totalmente di mangiare, se minaccio la gatta allora qualcosa inghiotte.
Immagino a mensa.
In compenso una rissa o due al giorno; adesso litiga anche con i compagni delle altre classi.
I motivi sono futili, totalmente inesistenti.
Non so dove trovi tanta forza; mangia come un uccellino.
Con me non parla, cerca perfino di lavarsi i panni da solo.
Ho deciso di lasciarlo fare; è troppo arrabbiato.
Vorrei portarlo in terapia, ma non ne vuol sentire ragioni.
Ho l’impressione che la situazione mi stia sfuggendo di mano.
 
Oggi ho picchiato Mirko; non uno schiaffo, molto di più.
Gliene ho date tante  finchè non sono riuscito a farlo piangere.
Piangere, certo, perché mentre lo prendevo a schiaffi gli dicevo tutto quello che pensavo di lui, di suo padre.
Ha retto finchè non ho tirato in ballo la madre; allora si è infuriato.
Voleva mordermi, darmi calci, ma sono allenata e lui è indebolito dal digiuno.
Con la cucchiarella di legno l’ho picchiato; giù botte sul sedere.
Sembrava un’autentica una rissa, ma vederlo singhiozzare per terra è stata una vittoria.
Luna gli leccava le lacrime; pareva un film.
 
Mi sono presa un giorno di malattia.
Mirko non s’è alzato dal letto.
Ha la coperta tirata fino alla testa; Luna è dentro il letto.
Peli ovunque.
Ho pulito tutta casa spalancando le finestre, sbattendo cuscini, lenzuola.
Ho preparato il bagno a Mirko e ce l’ho trascinato, l’ho spogliato e infilato nella vasca.
Ha cercato di ribellarsi, ma era digiuno e pieno di lividi: è stato quasi facile.
Gli ho lavato la schiena, i capelli.
Poi l’ho lasciato fare e acchiappata Luna ho lavato anche lei.
Lei ha protestato un pochino ma poi è stata buona sotto l’acqua calda.
I guai sono cominciati quando ho dovuto asciugarla col phon; per sfuggirmi è caduta nella vasca.
Mirko l’ha acchiappata prima che si bagnasse le orecchie.
L’abbiamo avvolta in un asciugamano  e dopo averla frizionata siamo riusciti a fonarla.
Già che c’ero ho asciugato anche Mirko, poi l’ho letteralmente cosparso di olio all’arnica; per via dei lividi.
Alla fine ero unta anche io perché lui non voleva farsi toccare.
-          Domani deciderò se portarti all’istituto!- Gli comunico a bruciapelo. - Credo di aver fatto tutto il possibile per te!-
Impallidisce poi mi si avventa contro gridando, piangendo -…sono stronzate…- urla -…non hai fatto proprio niente….tu non ci pensi per niente a me..a come mi sento io…io vi odio, odio tutti!
Voi avete le vostre case, i vostri genitori, la vostra vita…io non ho più nulla…- mi guarda col volto sfigurato dalle lacrime , dalla rabbia - …non capisci niente…pensi solo a te stessa, allo smacco che ti ha dato mio padre!Mi domando come hai fatto a pensare che lui ti volesse; sei brutta, stupida e non capisci niente di bambini…e poi sei acida….
Esco dal bagno e presa la sua borsa ci butto dentro le sue cose alla rinfusa; sono fuori di me dalla rabbia.
Mirko comincia a scaraventare per terra boccette di profumo, e quanto si trova in bagno.
Prima gli allento  uno schiaffo, poi esasperata da quella furia che non si placa,chiamo la polizia. Gli dico di venirselo a  prendere; tergiversano un poco ma poi mi spediscono una volante che è in zona.
Mirko è fuori di sé e continua a distruggere quanto gli capita a tiro; tenta di barricarsi in camera ma glielo impedisco.
Finalmente arriva la polizia; è passata solo mezz’ora dalla chiamata, ma mi sembrano anni.
Apro la porta tenendo Mirko per un braccio; gli agenti sono impietriti.
Noi siamo sporchi , grondiamo sangue e sudore, rabbia.
Mirko mi morde la mano cercando di divincolarsi, io lo acchiappo per i capelli ormai gonfia di collera – portatelo via perché ho paura di fargli del male; sono esasperata.
Per fortuna sono due uomini, cercano di prendere il bambino con le buone, ma ormai lui è una belva e sono costretti ad ammanettarlo perché smetta di graffiarli, oltre che prenderli a calci morsi e testate.
-          Anche se mi mandi via io scapperò…- grida con voce ormai roca.
-          Lunedì firmo l’annullamento e allora sarai solo di tuo padre! – gli rispondo fuori di me.
S’immobilizza recependo l’impatto della notizia.
I poliziotti temono un trucco e non lo mollano.
Ma Mirko ha ceduto; si lascia andare come un sacco di patate.
Per un attimo mi si stringe il cuore; poi gli occhi mi cadono sulla devastazione della mia casa, sulle mie braccia livide e sanguinanti.
Ho fatto del mio meglio.
Non c’è più niente da dire.
Saluto gli agenti, consegno loro il modulo e chiudo la porta sul mio passato.
 
Ci ho messo due giorni a rimettere tutto a posto; la casa era devasta, io ero devastata.
Ho pianto urlato, e poi ho ricominciato a vivere.
Un passo alla volta, una cosa per volta.
 
Ieri sera sono stata ad una cena, ho conosciuto un sacco di persone nuove; sono contenta.
 
E’ stata una settimana infernale; si avvicinano le vacanze e ci sono un mucchio di cose da fare.
Torno sempre a casa tardi, e meno male che abito vicina.
Luna miagola quando me ne vado e mi corre incontro quando ritorno; fa le fusa e poi quasi piangendo cerca Mirko, si accuccia su l divano dove lui dormiva.
A lei manca…
Un poco anche a me.
 
Stasera vengono a cena degli amici; sono contenta!
Ho preparato un mucchio di cose buone!
Ho preparato anche il pollo fritto…piaceva a lui…a Mirko.
Stefano mi ha chiesto di uscire con lui.
Mi piace Stefano; è vedovo .
Per fortuna non ha figli; così evitiamo pasticci.
Non pensavo che me lo avrebbe chiesto; ci conosciamo da tre settimane.
Forse sono un po’ antiquata, però mi fa tanto, tanto piacere che me l’abbia chiesto.
 
Siamo andati a teatro; mi ha offerto il biglietto.
Era una commedia e ci siamo sbellicati dalle risate, dopo lo spettacolo siamo andati in un bar e abbiamo fatto mezzanotte chiacchierando.
E’ stato bello; abbiamo molte cose in comune con Stefano.
 
Era troppo bello per essere vero.
Mi hanno convocato all’istituto dove sta Mirko; gli ho detto che per legge non ero  più la tutrice del bambino.
La dottoressa Mezzetti, la psichiatra dell’istituto, mi ha pregato lo stesso di andare.
Così dopo pranzo mi sono fatta sto viaggio.
L’istituto è bello, molto allegro, sembra pulito.
La dottoressa Mezzetti è piccola, rotondetta, gentile.
Si scusa di avermi chiamato e senza dire nulla mi porta nel suo studio - Mirko è fuggito!- Mi comunica cautamente.
-          Lo immaginavo!- Le rispondo sospirando – io le ho provate tutte…
La dottoressa mi scruta attentamente – non immagina dove possa essere?-
-          Mirko non mi parlava; avevamo un rapporto piuttosto confuso, pieno di rabbia. Ho cercato di volergli bene, e forse un poco me ne voleva anche lui…ma ciò che più lo legava a me era una gattina di due mesi….- rispondo sinceramente; non temo il giudizio della dottoressa.Ognuno ha la sua parte di colpe.
Non mi sento esentata dalla responsabilità della vita di Mirko, semplicemente non so più cosa fare; per la prima volta in vita mia ho esaurito le risorse.
La dottoressa deve averlo capito, mi conforta; cerca di rassicurarmi , ma sappiamo entrambe che  tranne un miracolo, Mirko è perso.
 
E’ passata una settimana.
Ogni giorno lungo, immenso, dilatato all’infinito.
Quante volte ha squillato il telefono?
Le ho contate ma adesso non ricordo più…era un numero strano…
Già strano!
Non lo trovano; lo so…Mirko è bravo a nascondersi.
E’ gia scappato due volte; ma stavolta sa come fare, come muoversi.
Ha firmato la sua condanna, ha perso anche quest’occasione; Mirko se n’è andato.
Come suo padre, lontano da me , in cerca di qualcosa che solo la sua testa sa.
Forse è per strada, dorme sui cartoni  negli androni, davanti ai portoni della chiese.
Oppure qualcuno l’ha preso, gli ha fatto del male!
Non posso neanche pensarlo.
Non posso!
Penso a lui mattina e sera; farei carte false perché tornasse.
Faccio la maestra da tanti anni, che il mio cuore è diventato una pietra.
Non capisco più niente, non sono più nessuno , non servo a nessuno!
 
Non voglio più pensare a Mirko.
Non mi ha mai voluto bene, mai.
A pensarci bene era solo un dannato fastidio!
 
Non tornerà mai più!
Quindici giorni oggi!
 Li ho segnati, croci sul calendario.
Giorni infiniti, eterni: passano via in fretta scorrono come sabbia in un pugno chiuso, stretto d’angoscia.
Mirko!
 
Maledetto bastardo, maledetto!
Ha fatto le cose in grande; è sparito e nessuno riesce più a trovarlo.
Maledetto, stupido , odioso , ragazzino.
Troverà pane per i suoi denti in strada.
Tornerà presto con la coda fra le gambe, altro che!
E’ schifosamente cinico come suo padre; è uguale a Mario!
Maledetto!
 
Non ho più voglia di fare nulla.
A che scopo pulire, riordinare; a che scopo vivere?
Credevo di saper fare tutto, di essermi sistemata, di averne fatta una giusta.
Credevo.
Credevo di potermi riprendere, di farcela senza Mario, di poter educare Mirko…credevo tante cose.
Ma la vita è una subdola mentitrice; una schifosa bugiarda.
Io sono stanca, immensamente stanca.
 
Potenza della medicina; due pasticche al giorno e di nuovo tutto sembra migliore.
Ma è solo una finzione; lo so.
Però adesso sono di nuovo efficiente; vado al lavoro, lavo stendo, stiro, cucino.
Ho ripreso anche ad uscire; nel frattempo Stefano si è trovato una meno complicata.
Sbaglio sempre i tempi; la mia specialità.
Sono passati ormai tre mesi.
Sono tre mesi che Mirko è scappato.
Non mi dicono nulla, ma lo so che hanno smesso di cercarlo.
Anche Luna lo ha scordato; vorrei farlo anche io….invece ricordo.
Ricordo tutto di lui, ogni suo gesto, ogni sua mossa, le cose che gli piacevano e quelle che odiava.
Lo vedo nei bambini a scuola, alla televisione , in un manifesto pubblicitario.
C’è Mirko ovunque ma non nella mia casa, fra le mie braccia.
Maledetta, maledetta!
Non avevo capito niente, niente; la rabbia ha dominato ogni mio gesto, ogni mia azione.
Aveva ragione, aveva ragione a gridarmi, a mordermi.
Ma adesso è tardi e io non posso fare più nulla, nulla.
 
Vivere è la mia punizione; lavorare ogni giorno, veder tramontare il sole e non sapere dov’è lui…dov’è Mirko.
La vita è il mio inferno.
Adesso prendo tre pasticche, ma non serve a niente.
Ti odio Mirko!
Vorrei morire, ma sarebbe troppo facile; allora non potrei espiare.
Ho molto da espiare, molto!
 
 
Mi hanno assegnato alla biblioteca scolastica; sono un’invalida…diciamo…non posso più lavorare coi bambini.
E’ giusto, è giusto.
 
Ho buttato le pasticche; non servono a niente.
Adesso mi metterò un po’ sul letto; mi metterò a dormire…
Dormirò tanto, tanto.
Se ho fatto bene i conti dormirò per giorni, forse mesi, magari anni.
Dormirò e smetterò di pensare a lui…
Chiuderò gli occhi e per la prima volta dopo tanto tempo non vedrò più il suo viso, i suoi occhi neri come pozzi.
Occhi così neri; così fondi.
 
 
 
Giovedì 22 maggio 2003
 
 
 
 
 
 
   
 
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