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Autore: Life in technicolor    05/09/2012    10 recensioni
A distanza di tempo, ricordo perfettamente quella serata. È come impressa nella mia mente, incancellabile in ogni sua più piccola sfumatura. Oggigiorno, se chiudo gli occhi e provo a rifletterci, non riesco a concepire nient'altro che immagini nitide che si sovrappongono, spintonandosi per avere la meglio sulle vecchie ferite cucite dal tempo.
[...]
Adesso, so che quei momenti sono stati tutta una bugia, con il solo scopo di ingannare me, te e la palpabile tensione che cresceva tra noi due e il mondo là fuori. Non ci sbagliavamo Liam. Quello che io temevo, quello che tu speravi con tutte le tue forze, ci attendeva malevolo sulla soglia di casa, bussando diabolico alla porta.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia la dedico a "tre" persone.
A Chiara, che è la creatura più fragile e bella di questo pianeta, ma lei, semplicemente, non lo sa.
Per te, ci sarò sempre.
A Lucia, che non si accorge ancora quanto è importante e riesce a tirarmi su.
Questa storia, senza di te, non esisterebbe.
E a chiunque deciderà di leggere fino alla fine.


 

 

Stavano per iniziare le vacanze estive, avevo paura di quel buco in chimica da recuperare, che però non è mai arrivato. In fondo, quello brillante tra noi due, sei sempre stato tu. Mi ero decisa a non mangiarmi più le unghie, a tenere quelle ridicole code disfatte che ti piacevano tanto, e la frangia dritta. Volevo fermarmi un attimo e riprendere fiato, volevo girare e cambiare la vita. Volevo riscrivere un nuovo inizio, ricominciare la storia da quella splendida estate. 


Era sera, faceva caldo ed ero appoggiata all'angolo della recinzione in legno del cortile. Ti guardavo giocare con la divisa smessa, quella rossa sbiadita, scolorita dai troppi lavaggi e dagli allenamenti nel fango, sotto la pioggia. Sei sempre stato orgoglioso di quell'uniforme, chissà quante volte mi hai ripetuto che con quella, un giorno come tanti, il Mister ti ha scoperto.

E io ti ho sempre ascoltato, annuendo quando avevi bisogno di essere capito, sorridendo al tono infervorato della tua voce, perché sapevo che di campioni come te, in circolazione, ce n'erano davvero pochi. Ho sempre pensato tu fossi un portento, nonostante non te l'abbia mai dimostrato in alcun modo. Ho sempre creduto nelle tue capacità, a dispetto delle provocazioni che ti rifilavo per pungolarti quando ti vedevo abbattuto, sconsolato da un tiro in rete mancato o dall'ennesima, spregevole insolenza di un irritante compagno della squadra avversaria.

E tu, tanto abile quanto delicato, restavi in silenzio, senza rispondere, limitandoti a stringerti nelle spalle, come a volerti nascondere dietro le tue stesse paure. Ti confinavi nella tua amarezza, troppo stretto in una malinconia che non ti apparteneva. A fine partita, quando tutti si erano già allontanati vociando allegramente, poggiavi le palme delle mani sul duro terreno di erba bagnata, incassavi la testa tra le gambe, mandavi giù il groppo in gola, e piangevi. Piangevi frustrato, perché troppo debole per ribellarti. Piangevi in silenzio, con dignità, perché troppo orgoglioso da mostrare di esserti arreso alle lacrime, ancora una volta. Piangevi, semplicemente, perché volevi essere capito, senza troppe domande o spiegazioni. E quel pianto ti logorava, lentamente, senza che i tuoi compagni se ne accorgessero, senza che alzassero un solo dito per aiutarti,  troppo impegnati ad ignorarti o ad additarti, ridendo di te e dei tuoi occhi fiduciosi, incapaci di vedere la realtà. E, al momento giusto, arrivavo io, a strattonarti dall'orlo di un precipizio,  a porgerti una mano e rialzarti da cadute da cui, altrimenti, non ti saresti più sollevato. Mi inginocchiavo accanto a te, nel fango, senza rimpianti, se non quello di essermi troppe volte affacciata alle finestre di quegli occhi ormai privi di vita, senza aver potuto far altro che scrollarti e incoraggiarti inutilmente, cosciente di non aver mai fatto abbastanza per abbattere le imponenti barriere della tua fragilità. 


A ripensarci, ancora oggi, stringo i pugni e combatto. Combatto tra il sorriso e la lacrima, l'orgoglio e la testardaggine. "La testa e il cuore" avresti detto tu, e io allora ti avrei spintonato e preso in giro per i tuoi sentimentalismi, per poi saltarti al collo sapendo di esser già stata perdonata. Ne è passato di tempo da allora, eh Liam? Adesso non basta più allungare una mano e asciugarti con il pollice la stria sottile di una lacrima, non basta più ascoltare i singhiozzi scuoterti le spalle e perdersi nel vento. Non basta più neanche puntarti un dito contro e persuaderti a non arrenderti, minacciarti e infine pregarti. E tu ti lasciavi  convincere, mi stringevi forte a te e mi chiedevi scusa per essere stato vinto ancora una volta dalla tua stupida codardia. Ma non te ne avrei mai fatto una colpa, per me non sei mai stato un sottomesso, ma sempre e comunque un vincitore. Non basta più niente di tutto questo. E sai una cosa? Un po' mi manca. Mi manca il tuo modo buffo di interpretare i pensieri altrui, mi manca il tuo arricciare il naso quando le cose non vanno per il verso giusto. Mi mancano i tuoi abbracci, i tuoi rumorosi silenzi, le parolacce mai dette che, quando ti scappavano, annotavi su un taccuino per ricordarti di non dirle più. Mi manca persino la tua risata e i tuoi improbabili tentativi di farti perdonare dopo un litigio, quando venivi a cantare sotto la mia finestra e ti appostavi di sotto finché  non mi sentivi scendere le scale. Mi manca tutto di te. Mi manca la tua semplicità. Mi manchi tu. 


I ricordi non possono essere cancellati. Tutto quello che mi resta è guardarti, stasera come tutte le altre sere prima di oggi, colpire la palla e correre lungo il perimetro del campetto, fischiando e gesticolando ai tuoi compagni. Eri un fenomeno con la mia fascetta a fermarti il ciuffo troppo lungo. Ricordo di aver sentito una cosa strana dentro, una bomba, diversa, che non ho identificato subito. Ho mandato un messaggio alla mia amica: "Non è possibile che io mi stia innamorando di lui! E' il mio migliore amico, il bambino che mi portava le margheritine al parco, il ragazzo che salta gli allenamenti quando non ho voglia di parlare e sa che solo lui può cambiare le cose", ma lei mi ha risposto che era giusto così, che era giusto fossi tu. 


Hai segnato, ti sei voltato e mi hai fatto un cuore. 


Boom. 


E, in quel momento, ho capito. E da lì è cambiato tutto. 


Poi, un giorno come tanti, si è capovolta ogni cosa. Un giorno come tanti, la sorte si è insediata stabilmente nelle nostre vite. Un giorno come tanti, è arrivata quella telefonata. 

 
***

A distanza di tempo, ricordo perfettamente quella serata. E' come impressa nella mia mente, incancellabile in ogni sua più piccola sfumatura. Oggigiorno, se chiudo gli occhi e provo a rifletterci, non riesco a concepire nient'altro che immagini nitide che si sovrappongono, spintonandosi per avere la meglio sulle vecchie ferite cucite dal tempo. 


Se solo avessimo saputo cogliere i segni! Se solo ci fossimo soffermati ad interpretarli! Ma, si sa, non si può respingere ciò che ci aspetta dietro l'angolo.Tutto quello che ci è consentito è esserne ignari e, nella nostra inconsapevolezza, continuare ad aggrapparci a convinzioni e progetti che non ci sono più.

Eppure, ne eravamo a conoscenza Liam. Sapevamo che qualcosa nell'aria stava cambiando, e tutto quello che eravamo stati capaci di fare era stato nascondere il panico dietro un sorriso di circostanza. Scacciare via l'angoscia era stato inutile. Quella era ritornata, ogni giorno più forte e insistente di prima, si era insidiata in ogni frammento di pelle, sotto i vestiti, ci era entrata nelle vene e adesso scorreva malignamente in circolo, incombendo spaventosa con il peso delle nuove responsabilità. E noi ci limitavamo a sorridere, salutare, svegliarci la mattina, come se niente avesse potuto sfiorare anche solo con un dito la barriera di forza e fiducia che, giorno dopo giorno, avevamo costruito sulla base della nostra amicizia. Adesso, so che quei momenti sono stati tutta una bugia, con il solo scopo di ingannare me, te e la palpabile tensione che cresceva tra noi due e il mondo là fuori. Non ci sbagliavamo Liam. Quello che io temevo, quello che tu speravi con tutte le tue forze, ci attendeva malevolo sulla soglia di casa, bussando diabolico alla porta. 

***

Erano diversi giorni che tentavi di parlarmi inutilmente. E mai c'eri riuscito, un po' per la paura che ti bloccava, un po' per il mio continuo ritmo di vita frenetica, che non mi permetteva di aspettarti, ne' tanto meno di fermarmi, per guardare indietro e vederti arrancare faticosamente dietro i miei passi. A mensa, in classe, al telefono. Tutto quello che riuscivi a fare era scrollarmi per una spalla, distogliermi dall'ennesimo libro di fisica e boccheggiare un po' in cerca d'aria, dopo avermi mormorato all'orecchio uno dei tanti "Devo parlarti" della giornata.

E io mi illudevo, convinta che, finalmente, ti fossi deciso a fare il grande passo. Mi ero accorta già da un po' che quello che provavo per te non era più semplice amicizia, ma un amore genuino appena nato, così autentico e spontaneo da lasciare a bocca aperta chi ci passava vicino, così sincero, naturale, di una semplicità disarmante, tanto da investirmi prepotentemente con la violenza di un fiume in piena. Ma tu eri così cieco, e io così sprovveduta. Fantasticavo sui possibili disegni che il futuro ci riservava, costruivo castelli in aria, che crollavano poco dopo per fare posto a dimore ancora più alte e grandiose. E la mia, e la tua vita, procedevano ansiose da un giorno all'altro, tra ripassi frenetici per mettermi in pari con gli altri e strappare un paio di sufficienze, e partite a calcetto con gli amici.

Poi, un giorno, avevi raccolto in mano tutto il coraggio di cui eri stato capace e avevi chiarito la ragione del sorriso costante che ti illuminava il volto da una settimana o poco più. Convocato nel Chelsea. Da un'intera vita aspettavi un'occasione come quella. Avevi atteso in trepidante pazienza in un angolo, guardando sfilare davanti ai tuoi occhi tutte le opportunità gettate al vento in passato. Ti eri allenato, impegnato con tutto te stesso, avevi sputato sangue, e adesso anche per te era arrivato il momento di farsi strada nel mondo dei grandi schermi. A un terribile prezzo.

Sapevo che saresti diventato qualcuno, sapevo che eri troppo importante per essere lasciato andare via. Ed evidentemente lo sapeva anche chi ti aveva costretto a trasferirti, ad abbandonare la tua piccola città e spostarti a migliaia di chilometri dalla tua famiglia, dalla tua casa, dai tuoi amici, da me. Dev'essere stato in quel momento che ho sentito qualcosa incepparsi. Dentro di me, sapevo che con te sarebbe partito il mio coraggio, la mia felicità e tutto quel poco di buono che riuscivi a tirarmi fuori. Eppure, non avevo la forza di convincerti a lasciar perdere quella promettente possibilità, né di mostrarti la mia amarezza. Mi sentivo un'egoista, un'inutile anima patetica che non riusciva ad accettare e a compiacersi della gioia altrui. Ti avevo abbracciato, sussurrato i miei complimenti con la voce rotta dal pianto, avevo lasciato scivolare lacrime di finta commozione. Mi ero vestita di una maschera ed ero andata in giro guizzando come un'ombra, nel vano tentativo di celare le occhiaie scure che mi si allargavano sotto gli occhi di notte in notte.

Ma tu non eri stupido, avrei dovuto capire fin da subito che nasconderti le mie emozioni e celare i miei dispiaceri dietro un velo sottile di egocentrismo sarebbe stato inutile. Non riuscivo nemmeno più a contare sulla punta delle dita gli innumerevoli momenti di sconforto e sofferenza che scoprivo nei tuoi occhi ogni volta che ti scrutavo da lontano, come pallidi granelli di sabbia che andavano ad aggiungersi all'intricato disegno di una fragile clessidra, quasi a voler scandire perfidamente gli ultimi, preziosi battiti di un orologio che ci annunciava il tempo rimasto da vivere insieme. Il tuo dolore era il mio dolore, la tua infelicità mi corrodeva l'animo.

Non potei far altro che cedere alle tue continue pressioni e sputar fuori tutta la mia disperazione. In un primo momento cercai di dissimulare la mia angoscia, ma non potei tirarmi indietro quando mi trovasti in singhiozzi, chiusa nel bagno della scuola. Ricordo che mi guardasti spaventato e mi scongiurasti di parlare, di dirti qualcosa, di confidarti cos'era che non andava. Ricordo di essere scoppiata a piangere molto più forte e di aver respinto il tuo abbraccio, divincolandomi, urlando, sfuggendo alla tua presa e allungandoti deboli pugni sul petto. Ricordo anche di averti gridato delle cose orribili. Che, tutto quello  volevi veramente, erano solo fama, macchine e belle donne. Che eri come tutti gli altri, un ragazzo senza le palle necessarie da accorgersi dei bisogni e dei voleri altrui. Che non ti importava minimamente di tutto il male che stavi procurando alla gente che ti voleva bene, mandando a puttane tutti i piani che riservava il futuro. Ma quello che ricorderò per sempre, fu l'occhiata ferita e sconcertata che mi lanciasti, quando ringhiai fra i denti che il mio sbaglio più grande era stato innamorarmi di un ragazzino immaturo e incosciente come te.


Quella fu l'ultima volta che i miei occhi incrociarono i tuoi. L'ultima volta che sentii il cuore martellare nel petto, compiere un'ultima capriola e arrestarsi di botto. La prima volta che mi resi conto che a certi sbagli era impossibile rimediare.  

***

Infranta. Inutile. Sola. Fragile. Sul punto di piangere. Depressa. Patetica. Con il cuore spezzato. Rifiutata. Schiacciata. Vuota. Sconfitta. Codarda. Pentita. E, più di tutto, vigliacca. Come stavo? Bene. In fondo, tutto quello che ero stata capace di fare era stato chiudermi in camera, eclissarmi sotto le coperte, tirare le tapparelle e piangere in silenzio per ore, con gli auricolari nelle orecchie. Da quanto ero lì? Un minuto? Un'ora? O forse dieci? Non lo sapevo più, perché l'unica cosa che mi importava, in quel momento,era riprendere in mano la mia vita, correrti incontro, bussare alla tua porta, inginocchiarmi e implorarti di perdonarmi. Ma l'orgoglio mi paralizzava, inchiodandomi al letto e ghignando maligno nella mia testa.


Avevo gettato malamente il cellulare in fondo a un cassetto, infastidita dal continuo ronzare dei messaggi non letti. Avevo ascoltato per ben trentacinque volte la suoneria spandersi nell'aria, e per trentacinque volte avevo premuto il tasto rosso del rifiuto chiamata. Avevo maledetto ogni istante i miei occhi colmi di lacrime guardare il display dell'Iphone illuminarsi, senza aver fatto altro che desiderare un po' del coraggio che ti animava e ti spingeva a chiamarmi. Mi avevi dato infinite possibilità Liam, e io le avevo scartate tutte, sforzandomi di trovare scuse abbastanza valide per non premere il tasto verde e risponderti, mettendo fine a quell'inutile commedia. Eppure indugiavo, impotente, perché sapevo che, se solo avessi sentito la tua voce ancora una volta, seppur dall'altro capo della città avrei ammesso di aver sbagliato e ti avrei pregato di cancellare i miei errori. Innumerevoli scorrettezze che, per quanto seccanti potessero apparire, mi avevi sempre perdonato con il sorriso sulle labbra, accantonandole da parte e accrescendo la stima che provavo per te. Ma, adesso, non ero più così sicura che saresti stato tanto bendisposto da giustificare le imperdonabili parole che avevo cacciato fuori di bocca, senza pensare alle conseguenze. Si sa, quando si è arrabbiati si dicono cose che non si pensano veramente. Ed io ero estremamente pentita delle colossali bugie che ti avevo sbattuto in faccia a gran voce, tentando fermamente di ignorare i tuoi occhi annebbiati dalle lacrime. Ma, dopo tutto quello che era successo, non sapevo darmi una spiegazione.

Perchè l'avevo fatto? Probabilmente, a causa mia, non saresti partito, avresti nuovamente lasciato correre il tempo nella speranza di un nuovo colpo di fortuna, di una nuova coincidenza, di una nuova promessa a cui aggrapparti con le unghie e con i denti. E non potevi. Non dovevi. Tu avevi bisogno di entrare nel Chelsea. Non avresti di certo rinunciato all'occasione della tua vita solo per i miei stupidi capricci. E proprio quando mi ero decisa a balzare fuori dal letto, a scendere le scale di corsa e a ritrovarmi fuori nella fredda aria di dicembre, mi aveva assalito un terribile dubbio. Se non mi avresti ascoltato? Se mi avresti intimato di sparire dalla tua vita? Che cosa avrei fatto a quel punto? Ma ormai sarebbe stato inutile farsi prendere dai rimpianti. L'unica cosa che mi rimaneva, l'unica idea da abbracciare, era non perdere la speranza. 

***

Avevo corso disperatamente, con i polmoni che bruciavano e il fiato corto. Avevo attraversato mezza città, affidandomi solo al volere delle gambe che non accennavano a fermarsi. Avevo schivato le occhiate inquisitorie della gente, probabilmente troppo presa da commissioni e problemi ben più importanti del dramma e del dolore di una semplice ragazza di periferia. Mi ero trascinata dietro il peso e il rimorso di parole da dimenticare, finché le ossa non avevano urlato tutta la loro disapprovazione e avevano deciso di fermarsi proprio davanti l'uscio di casa tua. Mi ero piegata sulle ginocchia, avevo ripreso fiato, avevo cercato di ricordare il discorso poco convincente che avevo ripassato lungo il tragitto. Avevo pregato accorgendomi di averlo rimosso completamente. E, per ultimo, mi ero rialzata come si fa dopo una brutta caduta e avevo pigiato il campanello di casa Payne.


Pochi minuti dopo, contemplando la porta ormai chiusa sull'espressione dispiaciuta di tua madre, avevo sperimentato per la prima volta cosa volesse davvero dire la parola "dolore". Tu non c'eri più. Eri andato via con il primo volo per Londra, e avevi lasciato lì tutto ciò che di più caro ti aveva accompagnato nella tua breve vita a Wolverhampton. Tutto quello che mi era rimasto di te erano un paio di fotografie, tanti, troppi ricordi, e l'ultimo messaggio che tua madre mi aveva allungato increspando appena le labbra, senza la forza necessaria per dire di più. 


"Principessa, io non ti dimentico. Una promessa è una promessa, e io voglio mantenere la mia: chissà quando, chissà dove, io tornerò da te. Ma, vedi, questa vita ormai è troppo stretta  e adesso ho soltanto bisogno di piangere da solo. Io e te stiamo andando incontro a qualcosa di molto più grande di quello che ci aspettavamo e che io attendevo da un lato sperando, dall'altro temendo, perché sapevo di non poterti dare tutto l'amore e l'affetto che una persona meravigliosa come te merita. Sono solo un vile burattino comandato da fili invisibili. Un burattino cosciente del fatto di averti fatto già fin troppo male. E non smetterò di fartene, né oggi, né domani e neanche dopodomani, e Dio solo sa come vorrei punirmi per quello che sto facendo. Per questo ti chiedo un ultimo favore, prima di abbandonare la penna e uscire da questa casa per l'ultima volta. Vivi. Vivi con tutte le tue forze, vivi come se fosse il tuo ultimo giorno, vivi come se io non fossi mai andato via. Ma, ti prego, vivi sorridendo perché il tuo sorriso illuminerà i giorni più bui di chi avrà la fortuna di starti vicino. Il tempo che avevamo a disposizione per me è scaduto, ma non per te. Abbi il coraggio di rialzarti, giorno dopo giorno, con la consapevolezza che io ti riabbraccerò molto presto. E ricorda: sorridi, perché quando sorridi sei la creatura più bella che questo pianeta avesse mai sperato di concepire. Qualcuno deve volermi bene lassù, se mi ha fatto innamorare di un angelo. 


Per la prima volta... Forse... Credo di amare. Asciugati le lacrime angelo mio. Non può piovere per sempre." 


Ma io, quelle lacrime, non le avevo asciugate. Eri sparito dalla mia vita come il sole stava scomparendo tra le nuvole, unendosi al mio sconforto. Eri sparito, semplicemente, lasciandomi sola e ferita sul ciglio di una strada, con le ultime scuse scribacchiate disordinatamente su un foglio spiegazzato di carta giallina. Ero riuscita solo a prendermi la testa tra le mani e a piangere più forte, senza che nessuno se ne accorgesse, senza che qualunque passante si avvicinasse e mi chiedesse cosa non andava. Tu eri andato via, ma nonostante tutto, il mondo continuava a girare, le persone andavano avanti e non se ne curavano minimamente.


E' in quel momento che ho capito che non eri il fulcro centrale, il cardine essenziale alla base dell'universo. Certamente non del loro, non delle persone comuni. Ma del mio sì.

 
 
***

Un anno dopo sono sugli spalti, è la fine di aprile, i primi caldi e c'è una partita importante, per te e per me. Per te, perché è la prima volta che giochi sul campo come attaccante del Manchester. Per me, perché è la prima volta che sento rinascere un cuore ridotto a brandelli, come venire alla luce una seconda volta in totale completezza, dopo trecentosessantacinque giorni di lacrime e sospiri, di forza e coraggio, di ferite che si riaprono e di ostacoli abbattuti. Finalmente ho ritrovato la parte necessaria di me, quella parte che mi è mancata per tanto tempo e mi ha causato troppi dispiaceri. Ho cercato quel pezzo indispensabile in ogni angolo, dentro un cassetto, a scuola, davanti il caffè di fronte casa, come si fa con un vecchio giocattolo rotto a cui non si può rinunciare. L'ho cercato negli occhi dei passanti, nei sorrisi dei miei amici, ma nessuno, nessuno, ha saputo rendermi tutto ciò che tu mi avevi portato via.

E adesso sono qui, seduta lontana, sola, attorniata dai tifosi dell'altra squadra, e mi basterebbe allungare una mano per sfiorarti e sentirti di nuovo mio. Ma non lo faccio, perché ho paura, paura che tu possa accorgerti di me, certezza, più che paura, che tu possa riconoscermi. Perché tu, ovviamente, non sai che io oggi sono qui. E' stata tanta la fatica per convincermi a partire, ma non si può dire di no agli ordini di forza maggiore. L'amore? Anche quello, ma soprattutto, mia madre. Assistere al lento logoramento di una figlia non deve essere una bella esperienza. Sentirla piangere tutte le notti e poi vederla negare caparbiamente il mattino dopo deve essere stato il colpo di grazia. E così mi ritrovo qui, imbarcata in un'avventura più grande di me, assalita dal panico alla bocca dello stomaco. 


Gli avversari fanno il tifo, ma io guardo solo te, con i capelli appena tagliati. Sei così bello. E per un attimo mi illudo che tu non possa vedermi, che io possa restare a guardarti per i brevi novanta minuti di copione, per poi sparire nell'ombra e portare con me un nuovo carico di ricordi necessari a sopravvivere al nuovo anno.


1 a 0 per noi. 

1 a 1 siam pari. 


Non avete fatto un bell'inizio di campionato e io, a dirla tutta, non ho mai visto le partite, falciata da sentimenti ancora troppo vividi nell'animo.


Calcio d'angolo. Il tutto per tutto. Un mucchio di gente ti ha notato, tu, da solo, al centro, davanti la porta. Parte il pallone ed è un attimo. Io ho guardato solo te, tu hai alzato gli occhi e mi hai fatto un gol. Non ne avevi mai fatto uno in quella squadra in cui stavi da tempo. Tutti ti hanno abbracciato, tutti ti vogliono bene, si sa, sei un leader, il più simpatico. E poi ti sei girato, io avevo le mani che bruciavano a suon di batterle, e gli occhi lucidi, perché sono fiera di te, fiera del tuo orgoglio e dell'energia che ti brucia viva dentro. Mi hai guardata, mi hai indicata e io ho indicato te. Nessuno lì lo sa di questo amore così grande, forse possono immaginarlo ma nessuno sa che mi sono innamorata di te in un campo da calcio con un tuo gol. 


Mi sono sporta dalla transenna che ci separava, ho sceso la gradinata quasi correndo, scivolando e incespicando, scostando i capelli dal viso, bagnati dalla fitta pioggerellina che aveva cominciato a cadere dal cielo. E tu eri ancora lì, al centro del campo, ad attendermi a braccia spalancate. Ti sono venuta incontro e ti ho abbracciato, con tutta la forza e l'amore che un gesto come quello può imprimere, non un abbraccio come tutti gli altri, uno di quelli veri, che ti trasmettono tutte le emozioni che le parole non sanno fare. E credo di esserci riuscita, a farti provare quel miscuglio di sensazioni che io non esprimevo da tempo. Mi hai stretta protettivamente, forte forte, come se non volessi più lasciarmi andare, come se avessi capito di aver compiuto lo sbaglio più grande della tua vita. E infatti, piangevi.  E le tue lacrime si confondevano con le gocce leggere della plumbea cupola sopra di noi, e i nostri respiri si scontravano, e i nostri corpi, le nostra ossa, le nostre anime erano una cosa sola. Ti sei chinato e mi hai sussurrato all'orecchio "Io te l'avevo promesso, principessa. Avevo promesso che sarei tornato, avevo promesso che ti avrei amata, avevo promesso un sacco di cose, ma tu sei stata più veloce di me. E adesso non rifarò gli stessi sbagli di una volta, non sono così stupido. Non ti lascerò più andare, sappilo.E sappi anche che non può piovere per sempre, te l'ho già detto. Ma, soprattutto, sappi che ti amo, oggi come tutti gli altri giorni, lo so per certo." 


E io lo sapevo, sapevo tutte quelle cose, dalla prima all'ultima, nessuna esclusa. E le sapevi anche tu. L'unica cosa che non potevi sapere, era che stavo per avere un infarto, quasi un mese fa. Ma te ne avrei parlato. Avevamo tutto il tempo del mondo. 


Sei la mia gioia, la forza motrice che mi spinge a vivere. 


Sei un mito amore mio. Il mio mito.




 
---Clara's corner---
Eccomi tornata. Ammetto che l'idea di base non è mia, ma l'ispirazione mi è venuta quando ho letto alcune frasi (che ho anche riportato nel testo) e ho deciso di scrivere questa One-shot. Non è niente di che, so già che tra un paio di mesi avrò voglia di cancellarla perché, chissà, magari l'avrei scritta meglio, o l'avrei fatta finire in modo diverso. Sono stati 20 giorni di idee frenetiche, sbalzi d'umore e, a volte, poca ispirazione. Ma ci ho messo il cuore e tutta me stessa quindi.... Spero vi piaccia :) Detto questo, vi ringrazio, siete speciali, una ad duna.Grazie, davvero. 
Twitter: Pouuf_ 
One shot: Open your eyes.

 

 

 

  
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