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Autore: giulina    05/09/2012    3 recensioni
Leo tirò in aria l'ennesimo biscotto e lo fece finire direttamente nella bocca aperta, sorridendo alla ragazza che continuava a girare lo zucchero nel suo tè ormai freddo. Non resistette più e gli sorrise apertamente. Con quel ragazzo era tutto un mostrare sorrisi storti e denti bianchi, un ridere fino a sentire male allo stomaco.
- Mi piace. -
- Il mio riuscire a centrare la bocca con il biscotto? Lo sai che riesco a mangiarmi anche l'unghia del pollice mentre sono al telefono? -
Agata rise di nuovo e Leo le si avvicinò, toccandole delicatamente con l'indice la fossetta appena accennata sulla guancia sinistra.
- Mi sono innamorato. -
- Di me? -
- Macchè, parlavo di quella fossetta lì. Sì, proprio quella lì. Non è che la puoi regalare? -
Agata continuò a sorridere mentre Leo le percorreva con il dito la pelle del viso e la guardava con quegli occhi dalle ciglia lunghissime, che le facevano sentire la necessità di abbassare lo sguardo. Non meritava che qualcuno la guardasse con quegli occhi.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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A Roberta, tanti auguri a te, anche se un pò in ritardo.

Al vero Leo e alla sua pazzia.

A questa storia che scava sempre di più dentro di me e in cui metto me stessa, a nudo.

Grazie a tutte voi.

Giulia.







Eppure un sorriso io l'ho regalato 
e ancora ritorna in ogni sua estate 
quando io la guidai o fui forse guidato 
a contarle i capelli con le mani sudate. 

 

 

-Un malato di cuore, Fabrizio De Andrè-










- Lei si è mai innamorata? -
- Pensi che siano cazzi tuoi? -
Leo non si scompose più di tanto per la risposta sgarbata della donna e continuò a pelare la patata che aveva tra le mani con un coltello seghettato dal manico arancione, cercando di non starnutire. In quella casa c'era qualcosa a cui era allergico, ne era sicuro.
Luciana si accese una sigaretta al fornello, stando attenta a non bruciarsi i ciuffi bianchi sulla fronte -come spesso le era capitato in passato-, poi si mise di nuovo a sedere vicino al tavolo della cucina, sulla sedia di paglia che le irritava le gambe lasciate leggermente scoperte dalla camicia da notte di lana violetta -quella volta della sua taglia- a cui mancavano dei bottoni vicino al colletto che erano stati sostituiti con delle spille da balia.

Intanto il suo sguardo era puntato sulla figura di Leo: il ragazzo se ne stava con la schiena ricurva a pelare patate da ormai mezz'ora. 
Non aveva parlato più di tanto, quella mattina. Aveva suonato il campanello fuori dalla porta alle sette e mezza precise ed era entrato in casa completamente bagnato, con un ombrello giallo fluorescente senza manico e le infradito nere ai piedi. 
La donna gli aveva fatto asciugare i capelli in bagno con il suo phon personale, mentre lei se ne stava seduta sul bordo della vasca di ceramica controllando che non ficcanasasse troppo in giro.
Aveva spazzato in salotto e poi pulito i vetri della veranda con dei pezzi del quotidiano della settimana prima, che aveva trovato nella cassetta della posta del vicino di casa, e il Vetril che aveva rubato alla donna che puliva il condominio e che aveva incrociato nell'atrio del palazzo mentre toglieva delle foglie secche ad una pianta ormai morta.
Mentre puliva con uno strofinaccio vecchio un mobile in salotto le aveva raccontato di come aveva passato la sua serata: con un uomo vecchio e fuori di testa, probabilmente con dei problemi di incontinenza, bevendo come un turco quattro bottiglie di vino rosso per poi vomitare anche l'anima alle quattro di notte vicino al lavello in cucina.
A Luciana era venuto a gola il cappuccino che aveva bevuto per colazione e dopo averlo mandato -come nella norma - a fanculo, lo aveva spedito in cucina a pelare patate.

- Perché vuoi sapere se sono mai stata innamorata, Nardo? -

- Perché secondo me lo è stata. Innamorata, dico. Un amore passionale, di quello che non ti fa dormire la notte. Magari è stato anche l'unico. -
Luciana era rimasta in silenzio, osservando la cenere cadere dalla sigaretta che lentamente si stava spegnendo senza essere stata fumata a sufficienza.
- Sono lesbica. -
- Non è vero Luciana! Lo vedo come sbavi su Fabrizio Frizzi mentre guardi quel suo programma sulla Rai! -
La donna alzò il dito medio, come al suo solito, e spense la sigaretta sul tavolo coperto da una tovaglia di plastica verde.
- Luciana! -
- Che cazzo vuoi? -
- Ma ti sembra il modo? Pulisci! -
Leo la vide alzarsi e camminare instabile fino al corridoio, sparendo dietro la porta della sua camera che venne subito dopo chiusa a chiave.
Il ragazzo finì di pelare la patata che aveva in mano, cercando di ricordarsi il titolo di una canzone che aveva sentito quella mattina alla radio con un mezzo sorriso sulle labbra. 
Sì, Luciana era stata innamorata.







- Davvero è allergica alle castagne? -
- Sì. -
- Non ci credo. -
- E non ci credere, stronzo. -
- Cioè, lei non ha mai mangiato una castagna? -
- Sì, e sono quasi andata in shock anafilattico. -
- Davvero? E… è stato bello? Cioè, come si sentiva? -
- Come cazzo vuoi che mi sentissi? Di merda! -
- Quanti anni aveva? -
- Quindici, forse sedici. -
- E lei a quindici anni non aveva mai mangiato una castagna? -
- Sì, va bene?! Problemi? -
- Cioè, nessuna gita in montagna a raccogliere funghi e castagne con mamma, papà e i nonni? Non ci credo. -
- Ma secondo te nel '50 i miei genitori pensavano a portarmi a fare una gita del cazzo in montagna?-
- Ci doveva andare da sola! Io a quattordici anni mi sono trasferito per due mesi in Val D'Aosta, da un mio zio alla lontana, solo per andare ogni giorno nel bosco a fare funghi e a cacciare fagiani! -
- Mi fanno cagare i fagiani. -
- E i piccioni? So fare un piccione con il sughetto di pomodoro e basilico da shock anafilattico! -
- Quindi di merda. -
- Macchè! Da paradiso in due secondi! -
Luciana l'aveva guardato con gli occhi spalancati e si era accesa, senza pensarci due volte, un'altra sigaretta. Stare con quel ragazzo le faceva necessitare la nicotina. E anche un Moment ogni tanto.
Si era accomodata meglio nel suo divano leggermente troppo duro per i suoi gusti, fissando la televisione accesa davanti a sé.
Lo schermo trasmetteva un concerto di musica classica a Berlino. A lei era sempre piaciuta la musica classica, aveva sempre desiderato prendere delle lezioni di pianoforte quando era una bambina. Peccato che fosse figlia di una contadina e di un operaio che avevano altri cinque figli da sfamare e assicurar loro un tetto sopra le loro teste.
- Te, invece? -
- Io cosa? -
- Ti sei mai innamorato, Nardo? -
Leo era scoppiato a ridere e aveva allungato le gambe davanti a sé, stiracchiandosi sulla spalliera del divano.
- Tante volte. Forse troppe. -
- Sei un puttaniere via. -
- Un puttaniere che ama, però! -
- Sempre puttaniere rimani. E il tuo amore più grande? -
- Sicuramente per Sofia Loren. Le ho raccontato di quella volta che la vidi a Cinecittà e le stavo quasi per finire addosso con il mitico motorino Ciao? -







Leo arrivò a casa che erano le otto di sera passate -visto che aveva passato il pomeriggio da Aldo a giocare a briscola- e si mise seduto nella sua sedia a dondolo sul terrazzo, a mangiare un cornetto al cioccolato che aveva trovato nel freezer. 
Aveva smesso di piovere da qualche ora ormai, ma il cielo era ancora coperto da qualche nuvola grigia che lo costringeva a socchiudere gli occhi e a osservare le finestre aperte del palazzo davanti al suo.
C'erano due bambini fuori da un balcone al primo piano, che giocavano a carte seduti sul pavimento con una scatola marrone che faceva loro da tavolino improvvisato: la bambina con un caschetto di capelli biondi tentava di fare una magia e il bambino davanti a lei, se ne stava con le braccia piccole incrociate sul petto, impaziente di poter provare anche lui a fare un gioco di prestigio che sicuramente non gli sarebbe riuscito e per cui avrebbe dato la colpa alla sorella e alle sue stupide carte.
Al terzo piano, invece, camminavano nel salotto del loro appartamento le due donne che il ragazzo e Agata avevano visto baciarsi qualche settimana prima. Sembravano nervose, camminavano senza sosta sul pavimento, con le mani nei capelli e le unghie che venivano torturate da dei denti macchiati da un rossetto rosso.
Anche Leo, per un momento, si sentì come loro.
La ragazza mora camminò verso l'altra ragazza e l'abbracciò, stretta stretta. Forse fino a toglierle il respiro. Forse fino a farla piangere.
Il fiato mancò anche al ragazzo, per un attimo.
Si domandò cosa potesse essere successo, perché avessero dei volti così seri, senza un sorriso, senza il sapore l'una dell'altra sulle labbra, se il loro amore stesse finendo.
Non riuscì a dare una risposta a nessuna di quelle domande perché la porta di casa si aprì, scoprendo la figura di Agata.
Leo si alzò velocemente dalla sedia a dondolo e rientrò nella cucina dal terrazzo, andandole incontro, con la necessità di stringerla addosso.
Lei si stava togliendo le Converse nell'ingresso, mentre appoggiava le chiavi di casa sul tavolo e si toglieva il cappotto e il cappello rosso di lana che le aveva regalato lui lo scorso Natale.
La vide portarsi le mani intorno al busto perché aveva freddo -quella casa era sempre troppo fredda per i suoi gusti- e avvicinarsi alla ciotola a forma di scimmia che conteneva la posta del giorno. La osservò mentre leggeva attentamente il mittente di ognuna di quelle buste bianche anonime e ne apriva una strappandola con le mani.
Senza alzare gli occhi dal foglio, iniziò a chiamarlo a voce alta.
- Leo! -
- Dimmi, trottolino amoroso. -
- 534, 60 euro di gas da pagare entro due settimane. - Lo disse in modo così serio che il ragazzo sbuffò infastidito. E lui non sbuffava mai davanti a lei, sapendo quanto potesse innervosirla. Infatti, la ragazza gli tirò la bolletta addosso e se ne andò in cucina a passo di marcia, lasciando le impronte dei suoi calzini sudati sul pavimento.
- Hai detto bene, due settimane! Ci penserò fra un po'! Ora vieni qui e fatti abbracciare. -
Agata aprì la bottiglia di vino che aveva trovato già mezza vuota vicino al frigorifero, utilizzando un vecchio cavatappi che nonna Paola aveva regalato al nipote quando era andata in viaggio in Grecia. 
Si incamminò verso il salotto e si sedette sul divano accendendo la televisione: era arrabbiata, terribilmente arrabbiata, visto che non l'aveva ancora guardato negli occhi da quando era entrata.
- Ho detto che la pagherò, ora che vado da Luciana posso anche mettermi qualche soldo da parte... -
- Qualcosa che spenderai in DVD idioti, il giorno dopo magari? Oppure in confezioni maxi di patatine o in un nuovo microonde blu?! Magari in qualche videogioco o per un paio di infradito che hai visto su Ebay?! In quale cazzata li spenderai quei miseri soldi, eh Leo? -
Leo rimase in silenzio ad osservare il suo sfogo, fermo nel mezzo della stanza che gli sembrava tutto a un tratto enorme, senza accennare a muoversi. Non aveva voglia di litigare, quella sera. No.

Avrebbe voluto starsene insieme ad Agata seduto sul divano a guardare una nuova puntata dei Simpson, magari facendole assaggiare la frittata di patate che aveva cucinato a Luciana per pranzo e che era avanzata.
Magari avrebbero fatto anche l'amore una o due volte, il bagno caldo insieme e le avrebbe anche chiesto di rimanere a dormire insieme a lui; a voce bassa, quasi sussurrandoglielo nell'orecchio mentre le avrebbe lavato i capelli con il suo shampoo alle more. Perché Leo ne era certo: quella notte, se Agata non sarebbe rimasta con lui, non sarebbe riuscito a dormire.
Quella sera, sentiva il bisogno di avere Agata il più vicino possibile, toccarla, annusarla, sentirla parlare. Forse a causa della scena che aveva visto prima alla finestra, forse per quella nostalgia che sentiva da un po' di giorni.
Lei, invece, sembrava voler trovare uno stupido pretesto per litigare, per rovinare un momento insieme, per rinfacciargli ogni cosa che faceva o diceva e che non andava mai bene.
Era difficile amare Agata e farsi amare da lei.


- Siamo stati invitati a cena da Aldo e sua moglie. Ci sono anche Bogdana, Manik e Davide. Se mi vuoi, mi trovi lì. -
E uscì di casa come molte volte era uscita di casa lei, quelle volte in cui aveva sbattuto la porta e urlato bestemmie mentre piangeva e il rossetto rosso le macchiava le guance e la pelle.
Lui se ne andò in silenzio, perché di bestemmiare non ne aveva nemmeno la forza.

Le gli risucchiava tutto, anche le parole che a lui non erano mai mancate.
















   
 
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