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Autore: SkyScraper88    05/09/2012    6 recensioni
Le prime gocce scivolarono silenziose sul viso, infastidendolo. Sbuffò, mentre cercava rapidamente rifugio oltre l’uscio di quel vecchio stabile ubicato alla periferia di Seoul. Gli piaceva la pioggia, ma non quando i capelli gli si schiacciavano sulla fronte e sulle guance, donandogli un aspetto insicuro e trasandato. Aveva lasciato l’ombrello a casa prima di partire, ricordò con un pizzico di irritazione sul bel volto. Attraverso il fitto incedere del temporale osservò la sua nuova città. L’ultima pioggia. L’estate stava arrivando.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altro personaggio, Jonghyun, Key, Quasi tutti, Sorpresa
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOTE

Eccoci qui ragazzuole mie! ^^ Questo capitolo, a voler essere onesti, sarebbe dovuto essere online già da ieri sera,
ma... ahimè... la mia linea adsl, di questi tempi, me ne sta facendo passare di tutti i colori! x_x
Spero non me ne vogliate troppo a male, premettendo che il capitolo era già bello che
pronto per essere pubblicato.

P.S. = Non avete certo dimenticato il "misterioso regalo" che Taemin ha portato a Minho
nei capitoli precedenti, vero? >_<

Un grosso bacione a tutte quante! Chuuuuuuu!
<3 <3 <3

SkyScraper






Capitolo 30 - Le minacce sono per i disperati

Il sudore imperlava la fronte, scivolando seducente attraverso le crepe che solcavano la sua espressione. Ad ogni movimento una contrazione, oscillavo tra i suoi sospiri, agganciando a me quel corpo tremante e pieno di desiderio. Le iridi si allargarono, incrociando le mie, stregandole con il piacere incontrollato di un gesto più intimo. Non riuscii a frenarmi.
 
Strinsi la sua mano nella mia, esercitando ulteriore pressione sull’eccitazione crescente. Non potevo toccarlo. Me lo aveva proibito. Assecondai i battiti accelerati, sincronizzando ad essi ogni fibra e ogni gemito. Kibum chiuse gli occhi, mentre le labbra si contorcevano su quella smorfia liberatoria e sconfitta. Non mi si oppose. Non potevo toccare la sua pelle, ma mi avrebbe lasciato guidare le sue dita.
 
Abbassai lo sguardo sul collo sottile, sensualmente ripiegato all’indietro, seguendone la curva appena accennata e infinitamente erotica. Teso. Ogni tendine sembrava trasformarsi in ferro, rendendo squisitamente divaricate le gambe snelle e dalla carne bramata. “Lasciami fare” lo pregai ancora, ottenendo in cambio un sorriso divertito.
 
Un gattino sadico: questo era diventato.
 
Scosse la testa, mordendo la bocca, inarcando il busto e gemendo forte. Contro i jeans qualcosa sfregava con insistenza, rendendo accigliando il mio volto e sofferente il mio sguardo. Mi accarezzò il viso, quasi intenerito, ma non mi avrebbe concesso quel privilegio che tanto imploravo, lo sapevo bene. Accelerai il ritmo del polso, desideroso di fargli conoscere la mia insoddisfazione. La mano sotto la mia tremò visibilmente, serrandosi con eccessiva forza sulla pronunciata erezione che stava accarezzando.
 
Quante volte lo avevo immaginato in quel modo? Quante volte avevo fantasticato su di lui? Sulla sua immagine, supina o inginocchiata, tra le lenzuola disfatte o sul fondo della vasca, mentre gli ansimi si susseguivano, scandendo con la loro licenziosa condotta il ritmo di quell’orgasmo auto-procurato.
 
“Sei bellissimo” mormorai, sulla sua bocca di rose, sfiorandola con la lingua e cercando i suoi occhi. Parve illuminarsi, così come il colore delle sue guance, che dal pallore del latte si tramutò nell’acceso porpora dei tulipani.
 
Attraverso le pareti della mia camera ogni suono raggiungeva il corridoio, riecheggiando per tutto l’appartamento e poi a ritroso, fino al mio cuore in tumulto. Abbandonai la fronte contro la sua, portando lo sguardo alla finestra dalle tende scostate. Lì, oltre il vetro e il vialetto di casa, Seul era ancora gremita di gente indaffarata. Nel palazzo di fronte riuscii a scorgere la figura di una donna, di spalle, mentre posava in frigo della verdura o qualcosa di molto simile.
 
Ebbi un presentimento.
 
La mano si mosse veloce fino al comodino, dove la piccola abatjour (che il mio dolce gattino aveva insistito perché prendessi) lanciava tenui bagliori di luce rossastra sui nostri corpi vicini ed eccitati. Ne cercai a tastoni l’interruttore, maledicendo mentalmente quei languidi gemiti sospirati al mio orecchio sinistro, che mi impedivano un fermo controllo delle mie attività motorie e celebrali.
 
“Bummie…” mormorai, stringendo tra i denti la pelle delicata del suo collo da cigno. Sussultò sotto le mie labbra, mentre la stanza piombava infine nel buio improvviso, che lo spinse a boccheggiare e tentare di rimettersi seduto. “Calmo… non voglio fare nulla” lo rassicurai, accarezzando i sottili capelli di grano e le guance accaldate “Temevo potessero vederci” aggiunsi, e i suoi muscoli tornarono finalmente a rilassarsi.
 
Il respiro, ancora irregolare e frustrato, mi sfiorava le labbra e le palpebre, spingendomi inesorabilmente verso quello strapiombo di emozioni dal quale avevo, per un solo attimo, ripreso fiato. “V-Va be-bene” balbettò, timoroso in ogni movimento, quando poi la sua gamba destra tornò a scontrarsi contro l’eccitazione che i miei pantaloni nascondevano.
 
“Il mio micetto ha perso coraggio…” lo schernii, ondeggiando delicatamente sul suo membro eretto, ancora una volta, con la mia mano che guidava la sua verso un orgasmo sicuramente prossimo all’apice. “Posso approfittarne…” mormorai, cercando i suoi occhi, nel debole bagliore di quei lontani riflessi di luna, che serpeggiavano attraversò le lenzuola disfatte, raggiungendo il profilo in penombra e facendomi dono della sua bellezza.
 
Allontanai con un calcio i jeans ormai inutili, che rotolarono giù dal letto, finendo accanto ai boxer grigi e neri che poco prima si era sfilato. “Aiutami” lo provocai, portando le sue dita all’elastico e incitandolo a liberarmene. Deglutì rumorosamente, talmente imbarazzato da strapparmi una risata. Strinse le labbra infastidito, tirando giù il mio intimo con un movimento veloce e altezzoso. La mia erezione scattò istantaneamente in avanti, scontrandosi con la sua, procurando ad entrambi una roca quanto esaltata reazione.
 
“Ho vinto io” sbiascicò, orgoglioso in ogni cellula di quel meraviglioso corpo incantatore “Non ci riesci. La vista non basta” concluse, trionfante, stringendo le braccia intorno alle mie spalle, mentre mi invitava silenzioso a sovrastarlo col mio peso.
 
“Uno a zero per te” concessi, impaziente e nuovamente eccitato, incontrando con un gemito sordo e prolungato la vellutata pelle delle sue cosce dischiuse. All’altezza del ventre e poi più in giù, fino all’inguine, ogni tendine tornò a contrarsi, rispondendo a quell’imbarazzante contatto con la forza di una scarica elettrica in pieno petto.
 
“J-Jong…” miagolò, stringendomi più forte, graffiando e mordendo ogni angolo di anima a lui esposto. Concessi alle dita libero arbitrio, ed esse presero a muoversi frenetiche, lungo quel corpo dal profumo di vaniglia, le cui delicate fattezze non potevano far altro che aumentare la mia fame. Serrai le cosce nella mia morsa, per poi lasciarla risalire lenta fino ai glutei, lì dove la mia irruenza lo costrinse ad inarcarsi con disperazione, sussurrando al mio orecchio parole sconnesse e gemiti strozzati.
 
Il liquido contro lo stomaco mi sorprese, così come mi incendiò il sangue, obbligandomi a mordere con traboccante gratitudine la sua bocca ancora aperta, dalla quale il suo richiamo di piacere stava infine venendo fuori. Non lo avevo toccato. Non lì, almeno. Solo abbracci, baci, carezze bisognose. Il seme sugli addominali scivolò caldo, fino alla mia erezione, oscurando ogni giudizio con la sconvolgente testimonianza del suo orgasmo.
 
Afferrai con forza eccessiva il polso sottile, guidando le dita affusolate incontro ai miei istinti. Non oppose resistenza, assecondando, tacitamente sottomesso fino alla soddisfazione del mio bisogno. Abbandonai la fronte contro il suo collo, respirando a fatica sull’armoniosa curva delle spalle. Le labbra intrappolarono un lembo di pelle, inumidendolo di saliva, torturandolo tra i denti fin tanto che il ritmo acquistava velocità.
 
“Kibum” lo chiamai, mentre il piacere stravolgeva i sensi, rendendo rigido ogni muscolo e più strozzata la mia voce che, come in un’incontrollata cantilena, invocava il suo nome attraverso ogni battito e ogni respiro.
 

*****

 
L’aria del mattino era sferzante e gelida, schiaffeggiava il viso con l’impetuosità del vento, trapassando le ossa e i muscoli in movimento. Minho teneva lo sguardo puntato sulla strada, correndo al fianco del suo vicino di casa, che con il sorriso radioso e una volontà pazzesca, manteneva ritmi assurdi ad ogni nuova svolta. Di fronte alla stazione ferroviaria superarono un paio di ciclisti svogliati, che con la bottiglietta alle mani e sguardo assente, affiancavano una grossa vettura dai vetri oscurati.
 
Il salumiere del terzo distretto tirò su la saracinesca della sua piccola attività commerciale, sorridendo ai due ragazzi con insolita cordialità. “Si sarà abituato a vederci passare di qui ogni mattina” commentò il più alto, rallentando sul ciglio del marciapiede in attesa del semaforo. Jonghyun ne approfittò per portare una mano alla tasca dei pantaloni, nella quale il suo palmare aveva preso a vibrare già da un paio di secondi.
 
Sorrise, con lo sguardo rivolto al display, ridestando l’interesse di Minho. “Gli manco…” mormorò, tutto gongolante. Il più piccolo scosse la testa, ridendo piano, indicandogli la luce verde mentre ricominciava a correre. Le vie si univano e si separavano, attraverso quel complesso disegno urbano che era la città di Seul. I bidoni dell’immondizia, diligentemente liberati durante le ore notturne, offrivano rifugio ai pochi randagi della zona che, tra le spesse pareti di acciaio e lamiera, cercavano riparo da freddo e sporadiche piogge.
 
“A ora finisci oggi?”
 
Jonghyun sollevò gli occhi al cielo, arricciando le labbra. “Ho sentito dire che il professore di lingue non farà lezione, quindi… per le dodici, credo” rispose, passando la mano sulla fronte sudata e appiccicaticcia. Minho annuì, porgendogli la propria asciugamano. Le nuvole iniziavano ad addensarsi, oltre le montagne, formando una grande coltre grigiastra e temporalesca.
 
“Passi da noi dopo? Kibum aiuta Tae con la matematica” si premurò di precisare, lasciando che la propria corsa raggiungesse un ritmo più morbido e rilassato, giacché di metri tra loro e il portone di casa ne erano rimasti davvero pochi.
 
“Ah, pomeriggio intendi?” il più grande grattò nervosamente la nuca, fermandosi di fronte agli scalini e deviando lo sguardo. Minho soppesò la sua espressione, fin troppo acuto per non notare quel sottile velo d’ansia che ne stava velocemente offuscando la sincerità. “Vado al negozio di Jinki-Hyung dopo. Non sono sicuro di finire presto oggi. Sai… merce da sistemare, scatoloni da buttare” divagò, facendo grandi cerchi nell’aria con gesti irrequieti e tono malfermo.
 
“Capisco” lo assecondò facilmente il più alto, prediligendo un atteggiamento paziente e accomodante, piuttosto che un attacco diretto e per niente fruttuoso. Jonghyun si irrigidì ulteriormente, incrociando per un secondo gli occhi attenti di Minho, per poi chinare nuovamente il capo e nascondere la propria smorfia infelice contro la morbida spugna dell’asciugamano.
 
Si separarono sul portone d’ingresso, come ogni mattina. Il più giovane sarebbe rincasato per primo, mentre l’altro ragazzo avrebbe proseguito fino alla pasticceria infondo alla strada, dove era solito comprare la colazione al proprio fidanzato.
 
Sulla soglia del grazioso locale, completamente vestito di bianco e con il viso imbrattato di farina, Jin attendeva l’arrivo dell’amico. L’insegna aveva da poco preso a lampeggiare, indicando con le proprie sfumature rosa e verdi che l’attività giornaliera era ormai iniziata. I sacchetti tra le mani, due e di medie grandezze, portavano sul fronte il logo del locale, nonché un cordiale saluto a favore del cliente di turno.
 
“A te!” esclamò il gioviale ragazzo, allungando a Jonghyun le prelibatezze ancora calde “Ho messo un segno sulla bustina di Hyuri. Non confonderli, mi raccomando!” la pacca sulla spalla arrivò vigorosa, come ogni mattina, scuotendo il corpo e rallegrando gli animi. Il più piccolo si sforzò di sorridere, mettendo da parte i pensieri e scambiando qualche chiacchiera con l’altro ragazzo.
 
Il canto degli uccelli, che fosse estate o inverno, non variava mai. Risvegliava gli abitanti insonnoliti, spingendoli ad alzare lo sguardo deliziato, tra rami, cespugli e cornicioni sporgenti. Piccoli volatili dai colori caldi e gentili, che si librassero in cielo o zampettassero sul marciapiede, il sol vederli era una gioia per gli occhi. Dorso bianco, piume pece e avorio, gambine sottili e ugola canterina.
 
Jonghyun ripescò dalla felpa le chiavi di casa, che tentennarono l’una contro l’altra, unendosi per un sol momento a quel melodioso insieme di suoni e rumori che segnavano la sua mattina. Contro l’asfalto le biciclette correvano veloci, caparbiamente montate dalla miriade di bambini con ginocchiere e zaino in spalla. La scuola elementare non si trovava lontano.
 
Un poliziotto, incaricato di sorvegliare le zone collegiali, sollevò prontamente un braccio, invitando un grosso camion a dare la precedenza ai pochi passanti. Il guidatore rallentò senza lamentele, chinando brevemente il capo in direzione dell’uomo in uniforme, che rispose al suo gesto con un cordiale “Buongiorno a lei”.
 
Le scale le salì veloce, oltrepassando il variopinto tappeto all’ingresso e gettando con poca grazia le scarpe consunte in un angolo della cucina. Terriccio e fango imbrattarono il battiscopa, e Jonghyun storse il naso, intimidito dalle possibili lamentele del suo tenero micetto. “Meglio lavarle via prima che se ne accorga” mormorò, annuendo a se stesso, quasi congratulandosi per la geniale pensata.
 
Le tazze si trovavano già sul tavolo, e il brik del latte ci stava proprio in mezzo, accanto al barattolo con i biscotti e la zuccheriera. La porta del bagno cigolò appena, rivelando l’imminente arrivo di Kibum. Jonghyun si affrettò ad afferrare la propria tracolla, che penzolava disordinatamente da uno dei ganci accanto allo stanzino. Il dolce destinato a Hyuri ci finì dentro, velocemente e con poca cura, mentre il più piccolo varcava la soglia della cucina, con i capelli ancora umidi e le maniche della maglia arrotolate.
 
“Vai a fare la doccia” disse al proprio coinquilino, sfiorandogli la guancia con un piccolo bacio “Ti aspetto” aggiunse, indicando la colazione e arrossendo vistosamente. La pelle ruvida si scontrò con quella di velluto, nel punto in cui le dita del maggiore sfiorarono il viso di Kibum. Quest’ultimo abbassò ubbidiente le palpebre, facendosi più vicino e lasciandosi stringere.
 
Le braccia attorno alla vita sottile si chiusero con necessità improvvisa, incastrandosi l’una all’altra, mentre lo sguardo combattuto di Jonghyun scompariva oltre il collo del più giovane, affogando nel dolce profumo del ragazzino la propria disperazione.
 
“Mi sei mancato…” mormorò debolmente, e il sorriso gentile che gli sfiorò la guancia riuscì infine a lenire il suo tormento.
 

*****

 
La notte trascorse lenta, infastidita da mille pensieri e supposizioni, e quando l’alba arrivò decisa, illuminando la stanza e con essa la figura fra le lenzuola, Jinki era già sveglio e con lo sguardo rivolto al soffitto. Non prestò attenzione alla colazione, né tantomeno ai vestiti da ripiegare o alle faccende di casa, che aspettavano di essere ultimate. Aprì con un movimento deciso l’armadio, estraendone il pesante giubbotto e un paio di guanti dalle fredde tonalità blu e azzurre.
 
“Jonghyun non dovrà mai saperlo” si disse, ad alta voce, afferrando le chiavi e trattenendo una smorfia. Sul pianerottolo, non senza un minimo di sensi di colpa, si nascose dallo sguardo dolce del piccolo Taemin che, già sulla porta, si accingeva ad andare a scuola in compagnia del suo grosso coinquilino. Anche Minho non sembrava affatto tranquillo.
 
Le occhiaie appena pronunciate, al di sotto dei grandi occhi scuri, lasciarono intuire al maggiore che non solo la propria notte era trascorsa tormentata. Sulle scale fino al cortile affrettò il passo, eliminando così ogni possibilità di incrociare nuovamente i vicini di casa. All’Università non avrebbe dovuto tenere lezioni. Come giustificare con gli amici quella passeggiata mattutina, con cipiglio severo e pugni serrati, proprio nei pressi della facoltà?
 
“Non credevo avrebbero mandato te” mormorò Byung-Hee, ai piedi del grosso albero, con la sigaretta alle labbra e sguardo derisorio. Jinki strinse gli occhi, muovendo un passo verso di lui, furioso quanto insonne. “E’ stato quello grosso, non è vero? Ieri, vicino all’aula di scienze” la mano guantata incontrò il possente tronco, facendo leva sull’avambraccio e aiutandolo a rimettersi in piedi. “Sei qui per minacciarmi?”
 
La bocca piena si mosse lenta, trasformando il volto gentile dell’assistente di laboratorio in una maschera fredda e assolutamente inaspettata. Sorriso sfrontato e sguardo diretto, completavano l’espressione di quel giovane uomo che ben pochi avevano avuto il privilegio di conoscere fino in fondo. “Le minacce sono per i disperati” rispose, serio e affatto impaurito.
 
Gli anfibi neri scalciarono irrequieti, mentre la bassa risata di Byung-Hee giungeva acuta e pressappoco costernata. “Mi sorprendi Lee” ammise, lasciando aderire le spalle al grande arbusto, ma senza rilassarsi davvero. “Avevo un’opinione del tutto sbagliata su di te” concluse, percorrendo svogliatamente il corpo del più grande, con sguardo affilato, esaminando con rinnovata attenzione quella sorprendente scoperta che si era rivelato essere il giovane docente.
 
“Credi di conoscermi?” la domanda venne posta con divertita arroganza, ma non vi era traccia di divertimento alcuno sul volto dell’interpellato. “Non sono un violento, Jung” precisò, facendo spallucce e affondando le mani nelle tasche profonde “Non ho nessuna intenzione di sporcarmi le mani con qualcuno come te” aggiunse, indicando con sdegno e repulsione l’insolente ragazzino sul quale, evidentemente, si era fatto in passato un’opinione più che errata.
 
“L’unico erede di Jung Min Young” cantilenò, irriverente e affatto impressionato “Nessuno ti scambierebbe per un miliardario, lo sai?” si beffò così del suo abbigliamento insolito, ridendo compiaciuto della smorfia irritata che ricevette in cambio. “Forse la mia famiglia non possiede tanto denaro quanto la tua, però… possiamo vantare una lunga sfilza di uomini giusti e rispettabili, a farci da predecessori. Mio padre, ad esempio, è stato docente e poi rettore, in questa facoltà. Lo sapevi?”
 
Byung-Hee non rispose, serrando la propria presa attorno al pacchetto squadrato e malconcio che ancora teneva in mano. L’intero involucro si accartocciò tra le sue dita, spezzando i sottili corpi bianco e senape, dai quali il tabacco venne irrimediabilmente fuori, subito trascinato via dall’improvvisa raffica di vento che investì, con vigore crescente, i due interlocutori.
 
“I soldi non possono comprare chiunque. Il rispetto verso la sua memoria avrà per loro molto più valore delle tue promesse” decretò Jinki, facendo un passo avanti e intrappolando il suo sguardo al proprio “Per quelli come voi non conta nulla, se non l’immagine che la gente possiede della vostra autorità. Mi basterebbe riportare ciò che Minho ha sentito, e saresti gentilmente invitato ad abbandonare questa facoltà in un battito di ciglia”.
 
“Le voci si muovono in fretta, tanto più se riguardano persone importanti e dall’impeccabile condotta… come tuo padre. Non è sempre un pregio essere ricchi, non è vero?” aggiunse, disinvolto, sorridendo mellifluo e tirandosi nuovamente indietro. “Stai lontano da Kibum, Jung. Come ho già detto… le minacce sono per i disperati”.
 

*****

 
La penna a sfera scorreva veloce sul foglio immacolato, colmandolo di formule, definizioni e schizzi di vario genere. Il libro sulla destra, aperto alla pagina 45, veniva sfogliato di malavoglia dal più giovane tra i presenti, costantemente accompagnato dal continuo sbuffare del suo proprietario.
 
“Non ci capisco niente!” si lagnò Taemin, gettando da parte la calcolatrice e scivolando con un’imprecazione ancora più in giù sulla sedia. Gli occhi felini si lavarono a cercare i suoi, spazientiti e indignati.
 
“Non ci stai neanche provando!” lo contraddisse Kibum, pignolo in tutto ciò che riguardava lo studio e il corretto apprendimento. “Usa la formula che ti ho insegnato poco fa. Non mi sembra poi una cosa così difficile!” esordì, indirizzando la manina affusolata del più giovane verso il quaderno, per poi indicare con un gesto deciso del capo la pagina del libro da esaminare.
 
Taemin arricciò le labbra, giungendo le sopracciglia, mentre il suo evidente stato di concentrazione strappava un sorriso al rigido insegnante. “Cambia i segni…” mormorò il biondo, intenerito dalle spalle ricurve e la testolina ciondolante verso il basso. “Il resto è giusto. Vai avanti”.
 
Minho, dall’altra parte della stanza, con un pacco di patatine tra le braccia e il telecomando in mezzo alle gambe, fissava il televisore muto, seguendo un telefilm dalle inquadrature oscene e la sceneggiatura peggiore che avesse mai visto. “Che abominio! Avrebbero potuto utilizzare anche un cane parlante, se lo scopo era quello di inorridire lo spettatore!” borbottò, scuotendo la testa e spettinando i capelli con la mano destra.
 
“Perché lo guardi, se non ti piace?” chiese Kibum, divertito dalle sue continue lamentele. Minho era un appassionato di cinema, al punto di collezionare vecchi film ormai usciti di produzione e alle cui pellicole riservava una particolare, quanta maniacale, cura e devozione.
 
“Mi hai rubato il fidanzato!” protestò di rimando il moro, puntando lo sguardo sul suo giovane coinquilino che, in quel momento, con un sorriso radioso e l’espressione stralunata, indicava al più grande il problema risolto.
 
“Non ci credo, Hyung! Ce l’ho fatta!” ripeteva, elettrizzato dai propri progressi. Kibum gli accarezzò con benevolenza la zazzera castana, propinandogli immediatamente un secondo quesito, assai più difficile del precedente. “Non posso gioire almeno per cinque secondi?” si lamentò il più piccolo, volgendo i suoi occhioni supplichevoli in direzione del biondo.
 
“Te ne concedo tre” sentenziò quest’ultimo, facendo spallucce e ricominciando a scrivere sul proprio block notes. Aggiunse poche righe, sotto la dicitura note, scritta in bella grafia e con l’inchiostro rosso, per poi tirare un profondo sospiro e sorridere del proprio operato. “Con questo non dovrebbe avere problemi” decretò, mettendo da parte i libri di fisica e biologia.
 
Minho, incuriosito da tanto impegno, rubò da sotto il suo naso il grosso blocco a righe, dalla copertina color prugna e le pagine piene di appunti. “Ma è tutto il programma di base?!” esclamò, impressionato “Non dirmi che lo hai fatto per Jong?!” continuò, con ammirazione, incurante dell’enorme imbarazzo che aveva colpito Kibum alla sua affermazione.
 
“E’ da dieci giorni che ci lavoro” ammise, rosso in volto, abbassando lo sguardo sulle mani nervose “Ne ho fatto anche uno di inglese. Lui… beh, Jongie è negato con le lingue” aggiunse, sorridendo timidamente, mentre dalla sua tracolla tirava fuori un altro block notes e due quaderni “Pensavo di darglieli stasera”.
 
Kibum, sotto gli sguardi comprensivi e divertiti degli amici, se la diede velocemente a gambe, fingendo un urgentissimo bisogno di utilizzare la toilette. “Sei un idiota!” si rimproverò, puntando un dito contro lo specchio e rivolgendo una smorfia risentita al proprio riflesso “Quello scimmione senza cervello finirà col montarsi la testa!” sbraitò, schiaffeggiandosi il volto quando, al sol pensiero di Jonghyun, tornò a sorridere come un povero mentecatto.
 
“Ah, ci rinuncio!” strillò, agitando per aria le mani e muovendosi frettoloso in direzione della porta. Fu proprio allora che gli occhietti affilati incrociarono qualcosa, sul bordo del lavandino, all’interno di una piccola tazza di ceramica dall’impugnatura arrotondata e lo sfondo color ocra. Gli angoli delle labbra si sollevarono impercettibili, mostrando una premeditata quanto malvagia vendetta, pronta per essere messa in atto.
 
“Ma che carini!” squittì, attraversando il corridoio con andatura ciondolante e passo spedito. La cucina, ancora piena di mormorii e osservazioni divertite, piombò immediatamente nel silenzio più totale. Kibum, gongolante nella sua scoperta, superò la soglia con un sorriso sincero e affatto risentito. “Credo si sia fatta ora di andare!” commentò, controllando l’orologio da polso.
 
Raccolse rapido le ultime cose, indirizzando uno sguardo beffardo ai due piccioncini, ancora ignari delle sue intenzioni. “Adesso puoi continuare anche da solo” aggiunse, in direzione del minore. Taemin annuì, soppesando l’espressione di Kibum e mordendo nervosamente il labbro inferiore. Quell’improvviso cambio d’umore non gli lasciava presagire nulla di buono.
 
“Solo una curiosità…” esordì il biondo dall’ingresso, con un piede sul pianerottolo e l’occhietto furbo di chi sta già pregustando la propria vittoria “Di chi è stata l’idea?”
 
Minho sbatté le palpebre, confuso, incrociando lo sguardo del proprio coinquilino per poi cercare nuovamente quello di Kibum. “Gli spazzolini” chiarì quest’ultimo, nascondendo il proprio ghigno divertito dietro le lunghe dita affusolate “Sono quelli per le coppie, no? Azzurro per il ragazzo e rosa per la ragazza, ma… Oh beh! Non voglio star qui ad importunarvi con le mie domande!”
 
La porta si richiuse sulla sua espressione raggiante, mentre l’eco fin troppo gioviale della sua “Buonanotte!” si perdeva tra le quattro mura di quella misera cucina, adesso fatalmente piombata… nel più totale imbarazzo!
 

*****

 
Con Jihun alla guida e Abel accanto, sospirai pesantemente, incrociando le braccia sul petto e volgendo lo sguardo verso il finestrino. Percepii la sua apprensione per tutto il tragitto, nonostante nessuna considerazione venne realmente rivelata. Quel ragazzino taciturno e dalla personalità schiva, non avrebbe manifestato apertamente i suoi pensieri e, almeno in quel momento, gli fui grato per il suo silenzio.
 
Non avevo previsto quella svolta. Credevo che Choi sarebbe andato di filato da Jonghyun, rivelandogli le mie intenzioni e obbligandomi così ad un nuovo scontro diretto. Quello che invece si era messo in mezzo era stato Jinki e, ad onor del vero, temevo molto di più un carattere riflessivo come il suo, che uno impulsivo e precipitoso come quello del capellone.
 
“Mi ha messo alle strette!” sbottai, spazientito, liberandomi dei guanti e gettandoli da parte.
 
Jihun cercò il mio sguardo, attraverso lo specchietto retrovisore, stringendo le labbra e scuotendo la testa, rammaricato. Non avevo avuto scelta. Quando mi ero reso conto della presenza di Minho era ormai troppo tardi. Se avessi rivelato anche a Seung Su la sua posizione avrei finito col metterlo nei guai.
 
La rabbia di Jonghyun, seppur pericolosa, sarebbe stata un sentimento facile da gestire. L’amore ti rende schiavo delle passioni, e raggirare un’emozione rappresentava per me un’impresa da poco. Ma con Jinki le mie tattiche non avrebbero funzionato. Non mi sarebbe bastato dirgli “Si, voglio prendermi Kibum”. Lui non si sarebbe scomposto di una virgola, mandando così al diavolo la mia intenzione di deviare la loro attenzione dalla questione principale ad una secondaria.
 
“Non potevo fare altrimenti” ammisi, massaggiando le tempie doloranti e imprecando ancora. “Deve sapere tutto quanto. E’ l’unica soluzione”.
 
Nessuno proferì parola. Rimasero semplicemente in silenzio, ognuno immerso tra i propri pensieri e le proprie paure. Abel sollevò una mano, a capo chino, afferrandosi alla mia giacca poco prima di scivolarmi addosso. La fronte contro la mia spalla, solcata da piccole rughe appena visibili, chiaro sintomo di nervosismo e angoscia, mi spinsero a cercare qualcosa in più da dire.
 
“Non è una cattiva persona” lo rassicurai, accarezzando dolcemente i capelli lisci. Le palpebre si strinsero l’una all’altra, con più forza di prima, aggrovigliandomi lo stomaco. “Kibum è importante per lui. Il fatto che io mi sia avvicinato a Seung Su lo preoccupa. In realtà, credo che potrebbe perfino sospettare qualcosa sul reale pericolo che quel ragazzo rappresenta”.
 
“Dici?” mi interruppe Jihun, accostandosi sulla destra. Il leggero ticchettio prodotto dalla freccia, appena inserita, accompagnò le mie ultime osservazioni mentre, in lontananza, la figura di Lee Jinki diveniva via via più nitida e vicina.
 
“Non è uno stupido. Ha preso informazioni su di me, quindi… sono certo che anche Park non sia passato inosservato” confermai, spostando lo sguardo sull’espressione fredda e decisa dell’assistente di laboratorio.
 
“Sembra un ragazzino” mormorò Jihun, spegnendo il motore. Il primo lampo squarciò il cielo, subito seguito dal fragore assordante del tuono. La pioggia cadde all’improvviso, colpendo il parco e l’intera città, mentre passi lenti e sicuri guidavano Jinki verso la nostra auto.
 
“Dovrebbe avere la tua età” lo corressi, con una piccola smorfia, notando solo in quel momento quanto lo sguardo del mio migliore amico fosse diventato attento ed interessato. “Jihun?” lo richiamai, scuotendolo piano per una spalla. Si voltò a guardarmi, sereno e appena sagace.
 

“Non è male…”

  
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