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Autore: Medea00    06/09/2012    11 recensioni
Scritta per la Seblaine Week, una raccolta che ha come filo conduttore Blaine e Sebastian come coinquilini.
Day 1: Dalton
Day 2: Family
Day 3: Kink
Day 4: AU/Crossover
Day 5: Occasions
Day 6: Angst
Day 7: Fluff
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non bisogna fare mai domande.
Non si può chiedere quale sia il prossimo obiettivo, o perchè merita di morire. Se è stato scelto, vuol dire che ha interferito con i loro piani e semplicemente, in quanto assassino, è tuo compito sottostare a tutti gli ordini del tuo mentore. Che ti ha allevato: ti ha addestrato proteggendoti sotto la sua ala; ti ha dato un’altra possibilità di vivere, anche se quella riguarda il togliere la vita a qualcun altro.
Sebastian Smythe sa bene tutte queste cose, ed è per questo che ha annuito di fronte al suo mentore quando gli ha lasciato in mano un bigliettino; bianco, anonimo. Esattamente come loro e i loro abiti.
Sul foglio, un solo nome: Blaine Anderson.
A lui quel nome non dice niente; ci sono così tante persone, a Parigi, che distinguerle tutte sarebbe una vera impresa. Tuttavia, è strano non avere nessuna idea del soggetto dal suo cognome: di solito i suoi bersagli sono politici francesi, o conti vigliacchi. Quest’uomo, però, sembra inglese; forse Americano? Viene dal nuovo Mondo, è una potenziale minaccia per i loro affari, per questo viene ucciso?
“Sai quello che devi fare”, gli sussurra il mentore, con voce ferma, una pronuncia francese perfetta. Sebastian si trovava in Francia da che avesse memoria; sua madre, una nobildonna caduta in miseria, si era data all’alcool sfogando tutti i suoi rimpianti con uomini sempre più squallidi.
Julien Savoir, lo ricordava ancora bene. L’uomo che aveva portato sua madre alla ghigliottina, perchè era un doppiogiochista giacobino: l’aveva usata, in tutti i modi possibili, per poi finirla una volta che non aveva avuto più bisogno di lei. Ricordava bene come le sue mani si erano aggrappate al suo collo con violenza, in un raptus di follia che gli aveva tolto il senno e la vista, recuperata solo quando il suo corpo inerme si era accasciato a terra, pallido, inutile.
Da lì, poi, il resto era venuto da sè: è stato liberato dalla prigione e dalla ghigliottina grazie ad un gruppo di persone misteriose, abili, che uccidevano chiunque osasse intromettersi nei loro piani con una freddezza che trovava quasi... affascinante. Voleva essere come loro: non voleva più avere sentimenti, così da non provare più dolore.
“Vi sono debitore”, aveva detto, e temeva che quell’uomo lo avesse ucciso all’istante, magari, scambiandolo per giacobino. Non avvenne: lo aveva guardato, con forza, e gli aveva dato in mano la sua prima arma, un pugnale piccolo e seghettato.
“La tua vita adesso sarà consacrata all’Ordine.”
In quel momento, Sebastian diventò un assassino.
 
 
Sebastian sfreccia per i tetti di Parigi stando bene attento ad ogni singolo movimento, senza far rumore: le guardie giacobine si aggirano per i palazzi armati di balestra e arco, e lui gode già di una pessima reputazione per via di quella missione che aveva distrutto mezzo OspedaleSalpêtrière. Fortunatamente, le sue gambe lunghe e il suo fisico allenato lo portano sempre a cavarsela anche nei momenti più difficili, e così sarebbe stato anche quella sera: deve rintracciare e uccidere questa persona che, secondo le sue intuizioni, ha degli affari in corso con Jacques Pierre Brissote Pierre Victurnien Vergniaud. L’ultima sua missione riguardava una lettera misteriosamente scomparsa tra le mani nemiche, ed è praticamente certo che adesso sia di proprietà di quel Blaine Anderson.
Le sue ricerche lo portano alla Rue de Rosiers, il quartiere ebraico. Pieno di banchieri e affaristi senza scrupoli, e lui pensa che, probabilmente, quelle persone hanno un’anima ancora più dannata della sua. Scende agilmente da un palazzo non troppo alto con un balzo felino e attirando l’attenzione di una ventina di passanti.
“Gente del circo qui!?” Sbotta una signorina scandalizzata, e Sebastian non riesce a trattenere un ghigno. Certo, è un maestro dello spettacolo, lui: quella sera, si esibisce in una performance di sparizione.
Cammina lento, il suo cappuccio bianco che gli copre gran parte del volto; le armi sono ben nascoste sotto ai vestiti: una piccola daga, dentro lo stivale, una pistola sotto la cintola, e la sua immancabile lama celata, intrappolata nel braccio. I suoi occhi verde chiaro vengono subito attirati da un manifesto appeso alla parete di un bordello, dal quale provengono suoni che non gli interessano, poichè femminili, vuoti, quasi spenti, alle sue orecchie: vede il suo ritratto impresso in quel foglio di carta, con la scritta “Cospiratore contro la Repubblica”. Sorride quasi lusingato, quanto meno c’è una bella taglia sulla sua testa.
Strappa il foglio dal muro senza nemmeno degnarlo di un altro sguardo, e si avvia verso Montmartre, quasi sicuro che quel ritratto provenga da lì, visto che è una zona piena di pittori che si incantano a dipingere qualsiasi cosa gli capiti sotto il naso.
Dopo un certo lasso di tempo scende la sera, l’odore del pane fresco tipico delle strade parigine viene sostituito da quello del fuoco e di pesce raccolto da qualche scaricatore notturno. Tutti stanno bene attenti a non rivolgergli la parola, tutti sanno che un uomo incappucciato non è mai un segnale positivo. Al contrario, è un ottimo conduttore per le guardie: si fermano a fissarlo, più incuriosite che altro, e Sebastian si trova costretto a scappare dietro un angolo dietro la chiesa di Le Sacre Coeur, una chiesetta orribile, a suo modesto parere, ma piuttosto affollata. Non è difficile per lui nascondersi nella mischia dei numerosi credenti e far sparire così ogni sua traccia; le guardie borbottano qualcosa indispettite, non mollano la presa. A lungo andare, diventa quasi stancante: Sebastian è quasi tentato di farla finita e ucciderle ad una ad una, quando un rumore di vassoi e calici scaraventati a terra lo fa girare.
“Aiuto! Aiuto! All’assassino!”
C’è qualcosa che non torna, pensa subito lui, mentre con lo sguardo confuso rimane fermo in mezzo alla folla urlante e scalpitante verso l’uscita. Non ci sono altri adepti in uscita quella sera, l’unica missione è la sua; allora, si tratta di un omicidio isolato?
Ma nel momento in cui riesce a scorgere un prete caduto a terra, esangue, e un cappuccio nero che gli sta chiudendo gli occhi, all’improvviso tutto nella sua mente appare la soluzione in modo nitido e palese: mercenari. I giacobini sanno pagare bene, a quanto pare.
Non si fa intimidire da un paio di occhi azzurri come il ghiaggio, ma non è il momento di cercarsi nuovi nemici, ha una missione da portare a termine; eppure, non ha calcolato l’astuzia di quel presunto rivale, nel momento in cui con una velocità sorprendente lo raggiunge e fa cadere accanto a lui una spada imbrattata di sangue.
“E’ stato lui!” Grida alle guardie, che già hanno afferrato l’arma e si sono voltate maldestre; “E’ stato lui, ha ucciso un uomo di Dio!”
L’unica parola che esce dalle labbra di Sebastian è: “Merda.”
Scavalca un paio di panche, saltando su una e camminando lungo il bancone strettissimo con un perfetto equilibrio; si getta contro la vetrata della chiesa frantumandola in milioni di pezzi, si copre il viso con le maniche sgualcite per poi allungare un braccio e afferrare la grata di una finestra del campanile, a metà altezza da terra. Le guardie iniziano a lanciargli sassi, inveendogli contro e urlando cose come “sei un Demonio!”, “Ti muovi come Satana!”, ma Sebastian è solo più divertito: scala la torre mattone dopo mattone, aggrappandosi a qualche sporgenza con i piedi, saltando verso quella vicina quando non ce ne sono. Le guardie, però, lo hanno raggiunto dalla scala interna: una si è già esposta verso di lui con l’alabarda alzata, quando la sua mano si muove agile e con la lama celata trafigge il suo petto. Esce un piccolo rivolo di sangue dalla bocca, qualche colpo di tosse spezzato; poi, Sebastian lo spinge verso il terreno, facendolo fracassare al suolo.
Non c’è più tempo: il corpo attira altre guardie, e altre guardie significano altri problemi. E’ ormai giunto sulla punta del campanile, quando si ritrova praticamente circondato da un’orda di giubbe rosse.
“Non hai più scampo, stronzetto”, gli sibila una, che già assaporava il suo sangue. Sebastian sorride, mentre lentamente si espone ancora di più verso il ciglio della torre.
“Puoi ripetere?”
Apre le braccia ad angelo, si lancia all’indietro sotto lo sguardo allibito di tutti, mentre cade, tra il vento e le luci di Parigi, il suo animo leggero e il cuore ormai inesistente.
L’impatto con il suolo è sempre piuttosto traumatico: certo, non si tratta proprio di suolo dal momento che è un carretto pieno di fieno per cavalli, ma tant’è. Si ritrova ad imprecare sottovoce togliendosi tutte le pagliuzze di dosso, scompigliandosi i capelli disordinati ormai liberi dal cappuccio e, quanto meno, è sicuro di essere fuggito e aver risolto i suoi problemi.
“Serve una mano?”
Si volta quasi confuso quando sente quella voce calda e incredibilmente affascinante. Davanti a sè si presenta un ragazzo, non potrà avere più di venticinque anni: i suoi occhi ambrati lo illuminano come se fossero due fiaccole al tramonto, e in quel momento è quasi certo di aver sentito il suo cuore fare un battito. Ma non è possibile: lui non ha più un cuore.
“Ce la faccio da solo”, mormora, perchè un assassino non può ottenere supporto da civili, e i civili non devono rivolgergli la parola. Ma a quel ragazzo non sembra interessargli: lo aiuta comunque, facendolo alzare in piedi, le loro mani si stringono per un solo momento mentre il contatto con la pelle fa trasalire entrambi. Sebastian attende pazientemente che quel ragazzo lo ripulisca dal fieno, visto che non c’è modo di fargli cambiare idea: nel frattempo, non riesce davvero a distogliere lo sguardo dai suoi lineamenti mascolini, il suo corpo tonico e snello, il suo sorriso disarmante.
“Uhm, grazie allora.” Dice, una volta finita la pulizia. Le sue labbra si incurvano solo un po’ di più e, di nuovo, sente il suo cuore fremere.
“Non c’è di che. Ti ho visto tentare il suicidio dal campanile.”
“...Oh.”
Non si aspettava certo una frase simile: si guarda intorno, completamente disorientato, inoltre è senza cappuccio e in quel modo è quasi certo di non incutere nemmeno uno straccio di paura. I suoi capelli corti e castani, i suoi occhi verdi, sono troppo giovani, per essere veramente presi sul serio. Non da un ragazzo come quello che ha di fronte.
“Oh?” Ridacchia, e Sebastian si sofferma per un momento a memorizzare la sua voce. “E’ tutto quello che hai da dire? Cosa avevi intenzione di fare?”
“Io... mi piace il rischio.” Sussurra, senza troppa convinzione perchè quella balla non se la berrebbe proprio nessuno. Il ragazzo si stringe nelle spalle e gli fa cenno di seguirlo, visto che si trovano proprio nel bel mezzo di una piazza; durante il cammino, parlano poco, e si guardano ancora meno. E’ strano come tutti quei sentimenti possano riaffiorare in un solo, inutile incontro. E’ strano come Sebastian provi la voglia di conoscere quell’uomo, di trascinarlo in un vicolo deserto, di sentirlo, come non aveva mai sentito nessun altro prima di allora.
E’ che, c’è qualcosa, in lui. Non sa bene definire cosa, ma lo manda su di giri: è il modo con cui cammina, disinvolto, ma sensuale. E’ il suo collo leggermente abbronzato attraversato da delle ombreggiature eccitanti; è il modo con cui lo sta fissando, come se volesse mangiarlo vivo.
“Beh. E’ stato un piacere.” Lo sente dire, e fa per tendergli la mano. Sebastian non l’afferra, perchè è quasi sicuro che ci sia qualcosa di sbagliato, qualcosa che gli sfugge.
“La prossima volta che tenti di ammazzarti, ti consiglio un po’ di vetro contro le vene.”
O una lama ficcata bene nella giugulare, lo corregge mentalmente lui. Il ragazzo, ignaro di tutto, fa un passo in avanti, tendendogli la mano.
Perchè il destino certe volte è proprio buffo.
“Comunque piacere, Blaine Anderson.”
E’ il momento in cui Sebastian ricorda immediatamente chi sia: non un giovane senza cappuccio, che può permettersi il lusso di fare amicizie. E’ un assassino, vincolato ad un ordine per il resto della sua vita; sente la sua lama celata che freme vendetta contro tutti quei giacobini insofferenti. E poi, ricorda anche le sensazioni provate davanti a quegli occhi chiari, a quel sorriso sfuggente; gli sembrano vuote.Tutto sembra vuoto, quando viene spogliato di ogni sentimento.
Blaine sta ancora attendendo qualcosa da lui, lo si può notare da come sposta il peso da un piede all’altro: “...E tu? Come ti chiami?”
“Sebastian”, pronuncia, calmo, dopo un tempo indefinito. Di solito non rivela mai il suo vero nome; ma, dopotutto, Blaine glielo aveva domandato così gentilmente, e chi era lui per negare l’ultimo desiderio di un condannato? A giudicare dal modo con cui spalanca gli occhi, intuisce di aver colpito nel segno. Lo vede metabolizzare quel nome con fare sospettoso, come se suonasse familiare.
“Ho una cosa da darti.”
Detto quello, si avvicina lentamente a lui, osserva come le sue guance diventano rosse per l’imbarazzo, come il suo respiro si appesantisce, a stretto contatto con il suo; sono ormai a distanza di un bacio. Sebastian continua a fissare le sue labbra morbide, e vorrebbe così tanto... Ma non lo fa. Perchè non importa tutto quello che è successo prima d’allora; non importa il fatto che avesse nutrito qualcosa, per lui, anche se non era stato molto chiaro e decifrabile; non importa nemmeno che quel ragazzo sembri tutto fuorchè un criminale. Deve eseguire gli ordini. Un assassino non ha il diritto di avere pensieri propri.
 
Forse, in quel momento, uccide l’ultima occasione che aveva per riacquistare un cuore. L’ha visto lì, in mezzo a quegli occhi dorati che, adesso, si spengono inesorabilmente.
E le sue mani cominciano a sporcarsi di un sangue che non è suo, e la lama fuoriuscita dal suo braccio è calda e confortante.
Non ha il tempo di allontanarsi da Blaine, per evitare di vederlo morire; oppure, forse, non ce la fa. E Blaine, lui non fa nulla. Lo guarda. Sa bene perchè muore, così, non dice niente. Lo guarda, e in quello sguardo, ci sono delle parole che Sebastian non riesce a sentire bene.
Così, si limita a sussurrare le uniche che è costretto a dire.
“Requiescat in pace.”
 
 
 
Sebastian si svegliò di soprassalto nel suo letto ad una piazza e mezzo, con la fronte imperlata di sudore, gli occhi spalcancati e il respiro affannoso. Davanti a lui, la televisione raffigurante Assassin’s Creed era ancora accesa e mostrava un Ezio sulla cinquantina stoppato a metà di una fuga.
Maledetti videogiochi. Maledetti sogni che gli facevano sognare videogiochi.
“Sebastian! Sebastian! Che diavolo, ti avevo detto di buttare l’immondizia, possibile che non fai mai niente in questa casa!?”
E nel momento in cui un ragazzo un po’ più giovane e vestito in modo decisamente più normale del suo sogno si presentò
alla sua vista, Sebastian non riuscì a tirare un sospiro di sollievo, perchè cavolo: era Blaine, ed era vivo. E non riusciva a credere di averlo appena ucciso.
“Ti ho conficcato una lama nello stomaco.” Bisbigliò, ancora incredulo. L’altro ragazzo inarcò un sopracciglio per niente sconvolto.
“Ti voglio tanto bene anche io, sai. Adesso ti muovi, per favore? Come minimo ci verranno i topi in questa casa. Colpa tua e della tua pigrizia. Perchè devo fare sempre tutto io!?”
E mentre si alzava dirigendosi verso un Blaine alquanto scontento, con il suo broncio esagerato e i suoi occhi furiosi, Sebastian pensò che sì, a volte aveva pensato di voler uccidere il suo coinquilino. Ma poi, a chi avrebbe rotto le scatole da mattina a sera?

 






***
Angolo di Fra

Ringrazio Somochu per avermi dato l'idea. E un po' la biasimo perchè dopo questa ho riniziato Assassin's Creed per la ventisettesima volta e so già che NON studierò. (asd)


 
   
 
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